lunedì 13 maggio 2024

Cap 20. La tenuta Bonanza (in italiano)

 

Il cielo era limpido, le prime luci dell’alba facevano brillare le foglie degli alberi e le piante del giardino; Gabriel, mentre apparecchiava la tavola sotto la pergola per la colazione dei padroni e degli ospiti, sorrideva pensando ai nuovi arrivati, gli piacevano: Olivia era molto gentile e Felipe scherzava sempre con lui, chiamandolo compadrito.
- Gabriel siediti con noi, gli disse Mariano.
- Mi piacerebbe, ma non posso, la cuoca si innervosisce quando le chiedo di preparare piatti spagnoli. È molto brava a fare la
minestra d'aglio e anche il cocido madrileño, ma quando deve rivoltare la frittata di patate si innervosisce e la rompe, e per questo oggi la voglio fare io... non fraintendetemi, non mi sto lamentando di lei, quella donna è molto brava a cucinare il cibo della nostra terra.
-
Lascia stare la tortilla e resta con noi, disse Nieves.
I quattro si sedettero
ridanciani all'ombra della pergola; Gabriel, dopo essere andato dalla cuoca a controllare i fornelli, si fermò un po' con loro.
- Non
abitate più a L'Avana? domandò Nieves.
- No,
abbiamo traslocato da poco, disse Olivia.
- Abbiamo comprato una
tenuta vicino alla vostra, era la sorpresa che volevamo farvi oggi, disse Felipe sorridendo.
- Non di
rmi che è quella di cui vi avevo parlato qualche tempo fa! Esclamò Mariano, sorridendo.
- Sì, è la tenuta
Bonanza, disse Olivia.
- Non
ci posso credere, saremo vicini di casa! disse Nieves.
- È stato un affare, visto che la
proprietà era stata abbandonata da un bel po’... Abbiamo restaurato solo una parte della villa, quella messa meglio, mentre l'altra l'abbiamo demolita e trasformata in un gran cortile. Anche il giardino è stato rifatto da capo, sono stati piantati molti alberi da frutto. Il nostro giardiniere e un gruppo di muratori hanno lavorato senza sosta. Non è ancora tutto finito, ma adesso possiamo sistemarci. Siamo arrivati ieri sera per restare, disse Felipe.
- Che mascalzone che sei! Se me lo avessi detto prima, ti avrei aiutato
volentieri, disse Mariano.
-
Come ben sai, mi piace tenerti nascoste le novità, per poterti sbalordire, appena le verrai a sapere! Rispose Felipe con una risata.
-
Mi ero accorto che c’era un via vai di carrette nelle vicinanze e quando ho chiesto al capomastro chi avesse comprato la fattoria Bonanza, mi ha detto che i proprietari erano una coppia de L'Avana, ma non avrei mai immaginato che foste voi, disse Mariano.
-
A suo tempo ti avevo già detto che Juaquín Vila, il figlio del mio ex padrone, mi aveva dato la libertà e rimborsato per gli anni di schiavitù, ragion per cui avevo potuto studiare, ma forse non ti ho raccontato che l'anno scorso, quando lui è morto, mi ha nominato nel suo testamento, lasciandomi una buona somma di denaro, con la quale possiamo vivere agiatamente.
- Per festeggiare, vi
invitiamo a cena, disse Nieves.
- Grazie, accettiamo volentieri il vostro invito, rispose Olivia.

- Oggi pomeriggio vorrei presentarvi Lucas, il figlio di Isabel, che adesso è il nostro falegname. È un peccato che non sia qui adesso, è andato alla stazione di Las Ovas, a prendere delle assi di legno, annunciò Nieves.
- Non sapevo che Isabel avesse un figlio! rispose Olivia.
- Neanche io, Isabel lo ha avuto prima di conoscerla, ma lo ha nascosto a tutti. È stato cresciuto da Rogelia, la donna che aveva fatto da madre anche a lei, raccontò Mariano.
- Lucas è un magnifico ebanista, oltre a un buon falegname, ci sta facendo un tavolo e delle sedie in mogano....bellissime! Siamo molto contenti di lui, si è trasferito nella casetta bianca di Gabriel, disse Nieves.
- Lucas è un ragazzo molto bravo...ora scusatemi, devo proprio ritornare in cucina, osò dire Gabriel.
- Come sta Isabel? Domandò Felipe.
- Sta bene, era l’ora. Un prete con pazienza le ha insegnato a leggere e scrivere, piano piano è migliorata nella calligrafia e ortografia e adesso mi scrive lunghe lettere.
- Non vedo l’ora che tu ci racconti la storia di Isabel! Quando l'ho conosciuta al vostro matrimonio, mi è piaciuta molto, disse Olivia, sorridendo.

Per Mariano il ricongiungimento con Felipe fu una ricarica di entusiasmo. Da quel momento in poi le due coppie cominciarono a frequentarsi assiduamente. Olivia era un'ottima bambinaia, amava giocare con i bambini in cortile, mentre Felipe insegnava ad Ángel numerosi giochi da tavolo. Ben presto Ángel si innamorò perdutamente di Eloína, una ragazza di Las Ovas e smise di giocare a scacchi e a domino con Felipe. I suoi futuri suoceri avevano un allevamento di bestiame e quando il vecchio contabile della fattoria morì, assunsero lui per tenere i libri di contabilità.
Mariano lasciò che Olivia e Felipe si occupassero della scuola che lui aveva fondato. La coppia non solo si spostava nei villaggi e fattorie, per raccattare i bambini analfabeti, ma si dedicava anima e corpo a insegnare loro a leggere e scrivere. In seguito fondarono una scuola itinerante per adulti che consisteva in un carro pieno di libri, una piccola lavagna e banchi di legno con quaderni e matite. La sera, il carretto si fermava davanti a una fattoria, ogni giorno una diversa, dove venivano smontati gli attrezzi e quando i braccianti ritornavano dai campi, dopo una lunga giornata di lavoro, si sedevano davanti alla lavagna per imparare l’alfabeto e a fare conti. Per dimostrare la loro gratitudine, spesso portavano ai maestri quel poco che avevano, uova e ortaggi.
Olivia non poteva avere figli. Fu violentata più volte dai caporali della piantagione dove era una schiava e dopo due aborti perse la fertilità.
- Sono una donna sterile, disse un giorno a Felipe, singhiozzando.
- Sei una donna straordinaria, ti amo molto. Non m’importa di non avere figli, ci sono tanti orfani a Cuba! Rispose Felipe, baciandola.
Le due fattorie, Esperanza e Bonanza, erano confinanti, separate da un ruscello. La prima aveva immensi campi di grano, un frutteto, una grande cisterna per l'acqua, numerose stalle e recinti, un bel giardino con fiori e piante tropicali e un bosco sul fianco della collina, con palme reali che raggiungevano i venticinque metri di altezza, querce, cedri, mogani e arbusti a basso fusto. Oltre alla villa, costruita da Antonio Hernández, il nonno di Ángel, c'erano altri edifici: le piccole case dei lavoratori, la scuola, la cappella e la casetta bianca di Gabriel. La tenuta Bonanza era molto più piccola, poiché dopo la guerra un'ala della vecchia villa fu demolita e i terreni più fertili furono espropriati dagli spagnoli. Il giardiniere che curava i terreni prima del loro arrivo salvò alcuni alberi dalla terra bruciata durante la guerra e ne piantò altri affinché i proprietari potessero raccogliere diversi frutti: banane, ananas, noci di cocco, avocado e mango; piano piano, la tenuta Bonanza si riempì di rigogliosa vegetazione. Olivia si prese cura del giardino dove furono sistemate delle belle piante ornamentali e nel cortile fece mettere dei grandi vasi di fiori.

Col bel tempo i due amici facevano delle belle passeggiate mattutine, verso il ruscello. Anno dopo anno i due non smettevano di scherzare, chiamandosi da lontano e urlando le stesse cose con le mani vicino alla bocca:
- Mariano...Hai limoni?
- Felipe...
ho degli alberelli , ma non vedo limoni, rispondeva Mariano.
- Non fare il finto tonto,
io li vedo da qua.
- Hai occhi di lince?
- Non prendermi in giro,
tu mi nascondi i tuoi limoni.
- Vorrei averl
i, urlava Felipe.
- Non ti sento!
- Sei sordo?
Nella fattoria Esperanza gli anni passarono in fretta i bambini diventavano adulti senza che i genitori quasi se ne accorgessero, e piano piano cominciarono ad accoppiarsi con ragazze e ragazzi dei dintorni. Il primo a sposarsi fu Ángel, il quale si trasferì a casa dei genitori di Eloína. Due anni dopo il matrimonio, in una notte ventosa, Ángel era andato dai suoi per fare sapere alla madre che alla moglie le si erano rotto le acque. Nieves lo accompagnò a cercare il medico del paese, ma non riuscirono a trovarlo; il dottore, insieme alla levatrice, era andato ad assistere un'altra donna in travaglio. La moglie del medico disse loro di andare a cercare Octavia, la levatrice nera, la quale abitava con la madre in una baracca nella periferia del paese. Quando Ángel le chiese di seguirlo, si tolse il grembiule e salì in silenzio sulla carrozza trainata da cavalli. Ángel e Nieves, seduti davanti, Octavia dietro, parlarono appena nel breve tragitto. Quando arrivarono si era calmato il vento. Octavia, dopo essersi lavata le mani, corse nella stanza dove si trovava la partoriente.
- La creatura
si presenta podalica, disse Octavia, dopo aver messo una mano dentro il corpo di Eloína.
O
ctavia, una donna minuta, di poche parole, aveva imparato il mestiere osservando sua nonna, una schiava nera che aveva una buona mano con i parti difficili di mucche e cavalli. Eloína spingeva e gridava di dolore e le ore passavano senza alcun risultato. Ángel si disperava nel sentire le urla della moglie. La suocera, donna delicata di salute, aspettava fuori dalla porta col marito e non voleva fare entrare Ángel, ma lui in preda all'esasperazione entrò nella camera da letto e abbracciò la moglie. Dopo poco tempo, Nieves e Octavia si accorsero che Ángel era molto pallido e lo fecero uscire dalla stanza. Mentre Octavia tirava fuori le gambe e le natiche del bambino, Nieves non smetteva di dare dei colpetti sulle guance di Eloína, la quale sembrava aver perso i sensi.
- Resisti,
la bambina sta per nascere, le disse Octavia con dolcezza, ma anche con determinazione.
Elo
ína recuperò le forze dopo le parole della levatrice e domandò quasi senza fiato:
- È una
femmina? È viva?
- Sì, è viva, spingi...
Eccola!
Ottavia tirò fuori la bambina,
la quale pianse subito. Era sana, non aveva subito alcun danno durante il lungo parto podalico. Quella levatrice nera aveva portato a termine quello che pochi medici sarebbero stati in grado di fare.
Mariano,
quando seppe della nascita di Eloísa, la nipotina, decise di recarsi alla fattoria dei consuoceri, in sella alla sua cavalla, per conoscerla. I genitori della neonata e i quattro nonni piansero di gioia ammirando quell’esserino così bello. All'inizio Eloína non voleva avere un secondo figlio, temeva un altro parto difficile, ma dopo tre anni fu la prima a saltare di gioia per la nuova gravidanza. Fermín Octavio nacque in così poco tempo che Eloína volle dargli come secondo nome quello della levatrice, ma da subito lo chiamò Octavio e tutti continuarono a chiamarlo così. Anni dopo, anche Andrés, Josefina, Bernardo, Esther, Leonardo e María de los Ángeles nacquero senza problemi, ma Eloína volle sempre che Octavia fosse al suo fianco. Cambiò anche il nome a Bernardo, iniziando a chiamarlo Domingo, perché aveva cominciato ad avere le prime doglie di domenica, giornata talmente piovosa che Ottavia, la levatrice, non sapeva come attraversare le strade, diventate corsi d'acqua, ma per fortuna arrivò in tempo, per fare uscire, con sue meravigliose mani, il bambino dal grembo materno.

Juan, il primogenito di Nieves e Mariano, sposò Manuela, una ragazza di Puerta de Golpe, gli sposi andarono ad abitare a pochi chilometri dalla tenuta Esperanza. Ebbero otto figli, i primi cinque furono femmine: Gudelia, Nieves, Mariana, Esther e Cristina, che Mariano chiamava Cuca, perché era molto bellina. Juan e Manuela non ci speravano più di avere figli maschi quando dopo qualche anno nacquero Enrique e Gilberto. José, il secondogenito, ebbe cinque figli: i primi tre, Joseito, Alfonso, che era piuttosto minuto e tutti chiamavano Chiquitín e Mariano, il quale venne da subito chiamato Tití; qualche anno dopo José ebbe altri due figli dalla seconda moglie. Anche Teresa partorì cinque figli: Mariano, Emilio, Regino, Pedro e Nena. Le figlie più giovani di Nieves e Mariano, Ramona e Coltilde, si sposarono tardi e nessuna di loro ebbe figli. Più che una casa, la tenuta Esperanza sembrava una scuola, affollata di bambini di tutte le età che correvano per il cortile e il giardino.
Nieves e Mariano erano contenti quando ospitavano i nipotini, che arrivarono a essere venticinque, e si divertivano a giocare con loro. Ma ci furono anche dei lutti in famiglia: María de los Ángeles morì all'età di sette anni per una misteriosa malattia allo stomaco e Caridad, la gemella di Enrique, morì appena nata. Un'altra disgrazia arrivò anni dopo: José rimase vedovo con tre figli, Pastora, sua moglie, era delicata di salute e morì di febbre tifoidea. Nieves e Mariano ospitarono José nella loro casa per alcuni mesi, fino quando lui sposò una ragazza molto bella, che tutti chiamavano La Niña, e con la quale ebbe altri due figli, Armando e Roberto.
Olivia e Felipe, quando si recavano alla fattoria Esperanza, giocavano con grande piacere con i bambini. Anche Gabriel amava i ragazzi e con pazienza insegnò a ciascuno di loro a montare a cavallo, con i puledri che allevava lui stesso. Lucas costruiva via via, oltre a lettini e seggioloni, giocattoli in legno per i bambini.

I capelli di Gabriel, come quelli dei padroni, piano piano diventarono grigi, ma a lui non sfuggiva niente, continuava a prendersi cura della casa e dei suoi abitanti, occupandosi sempre dei lavori più impegnativi. Era nato schiavo nelle baracche delle piantagioni di tabacco di Antonio Hernández, ma dopo la sua morte, Ángel, il figlio, ereditò la tenuta e gli diede la libertà. Gabriel si trovava bene nella fattoria Esperanza e non si era mai allontanato da Las Ovas, anche se poteva farlo. Quando sposò Nélida, la figlia della cuoca, Mariano gli mise a disposizione la casetta bianca dove lui aveva vissuto i primi anni. Gabriel rimase presto vedovo, la moglie morì dando alla luce un bambino morto. Quando arrivò Lucas, Gabriel lo accolse nella sua casetta. Anche Lucas si era abituato ben presto alla vita della fattoria. Quando gli spagnoli si ritirarono da Cuba, lui non era più ricercato e poteva muoversi in libertà, ma rimase a vivere nella casetta di Gabriel. Ogni mattina cominciava a lavorare con lena nel suo laboratorio di falegnameria, l'odore del legno lo metteva di buon umore. All'età di trent'anni si fidanzò con una bella ragazza mulatta, che sposò un anno dopo e portò a vivere nella casetta bianca. La ragazza stette poco tempo con Lucas, ben presto scappò con un venditore ambulante, un imbroglione che le aveva promesso mari e monti. Gabriel e Lucas rimasero da soli e, invece di disperarsi per la loro brutta situazione, divennero amici inseparabili. Entrambi facevano il proprio lavoro con molta cura e aiutavano anche a organizzare le feste famigliari, a cui partecipavano molto volentieri, diventando veri e propri membri della famiglia Defaus-Herrera. Quando si riunivano tutti insieme, c’erano anche Olivia e Felipe. Un pomeriggio Enrique, uno dei nipoti di Nieves e Mariano, chiese a Felipe:
- Raccontaci qualche fatto della guerra d'indipendenza.
Felipe raccontò ai bambini che prima di ottenere l'indipendenza, Cuba era riuscita, a caro prezzo per i neri, ad abolire la schiavitù. Durante la Grande Guerra, infatti, gli schiavi delle piantagioni avevano combattuto dalla parte dei separatisti che promettevano libertà e uguaglianza, ma non avevano ottenuto nulla, perché la maggior parte di loro era morta sul fronte o fu brutalmente uccisa dagli spagnoli come rappresaglia.
- È stata una grande ingiustizia! disse Mariano.
- Voglio raccontarvi la morte sul campo di battaglia dei due grandi leader cubani, Manuel de Céspedes e José Martí, affinché capiate che i conflitti armati non portano da nessuna parte, disse Felipe. Quando Felipe finì di narrare alcuni episodi di guerra, si alzò e con un gesto teatrale disse:
- Da giovane ero un rivoluzionario pacifico, che camminava per la strada a testa alta volendo salvare Cuba. Io e i miei compagni eravamo convinti che il futuro fosse nelle nostre mani, che le nostre azioni presenti avrebbero influito sul futuro del domani, ma non avrei mai permesso che venisse versato del sangue. Diglielo tu, Mariano... digli che io e te volevamo l'indipendenza senza guerra.
- Sì, e un'altra cosa per cui Felipe ha combattuto è l'uguaglianza tra bianchi e neri. Nella nostra famiglia l'abbiamo raggiunta, il sangue nero scorre nelle vostre vene e ne sono molto fiero, disse Mariano.
- Nelle mie scorre sangue ancora più nero, disse Felipe, scoppiando a ridere.









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