Il
cielo era
limpido,
le prime luci dell’alba
facevano brillare le foglie degli alberi e le
piante del giardino;
Gabriel,
mentre
apparecchiava
la
tavola sotto la pergola per la colazione dei padroni e degli
ospiti, sorrideva
pensando
ai
nuovi
arrivati, gli
piacevano:
Olivia era molto gentile e Felipe scherzava sempre con lui,
chiamandolo compadrito.
-
Gabriel siediti con noi, gli disse Mariano.
- Mi piacerebbe, ma
non posso, la cuoca si innervosisce quando le chiedo di preparare
piatti spagnoli. È molto brava a fare la minestra
d'aglio e anche il cocido
madrileño,
ma quando deve
rivoltare
la frittata
di
patate si innervosisce
e la
rompe, e
per questo oggi
la
voglio fare
io...
non fraintendetemi, non mi sto lamentando di lei, quella donna è
molto
brava a
cucinare
il
cibo
della nostra terra.
- Lascia
stare
la
tortilla
e
resta con noi, disse
Nieves.
I
quattro si sedettero ridanciani
all'ombra della pergola;
Gabriel, dopo essere
andato dalla
cuoca a
controllare i
fornelli,
si
fermò
un po' con
loro.
-
Non abitate
più a L'Avana?
domandò
Nieves.
- No,
abbiamo
traslocato
da poco,
disse Olivia.
- Abbiamo comprato una tenuta
vicino
alla
vostra,
era la sorpresa che volevamo farvi oggi, disse Felipe sorridendo.
-
Non dirmi
che è quella
di cui vi avevo
parlato qualche tempo fa! Esclamò
Mariano, sorridendo.
- Sì, è la tenuta Bonanza,
disse Olivia.
- Non ci
posso
credere, saremo vicini di casa! disse Nieves.
- È stato un
affare, visto che la proprietà
era stata
abbandonata
da
un bel po’...
Abbiamo
restaurato
solo
una parte della villa,
quella messa
meglio,
mentre l'altra l'abbiamo demolita e trasformata in un gran cortile.
Anche il giardino è stato rifatto
da capo,
sono stati piantati molti alberi da frutto. Il nostro giardiniere e
un gruppo
di muratori hanno lavorato senza sosta. Non
è ancora tutto finito,
ma adesso
possiamo sistemarci. Siamo arrivati ieri sera per restare, disse
Felipe.
- Che mascalzone che sei! Se me lo avessi detto prima,
ti avrei aiutato volentieri,
disse Mariano.
- Come
ben
sai,
mi piace tenerti nascoste le novità,
per
poterti
sbalordire,
appena
le
verrai
a sapere!
Rispose
Felipe con una risata.
- Mi
ero accorto
che c’era
un via vai di carrette
nelle
vicinanze e
quando ho chiesto al capomastro chi avesse comprato la fattoria
Bonanza,
mi ha detto che i proprietari erano una coppia de L'Avana,
ma non avrei mai immaginato che foste
voi,
disse Mariano.
- A
suo tempo ti
avevo
già detto
che
Juaquín
Vila, il
figlio del
mio ex padrone, mi aveva
dato
la libertà e rimborsato
per gli anni di schiavitù, ragion
per cui avevo
potuto studiare, ma forse non ti
ho raccontato
che l'anno scorso, quando lui
è
morto, mi ha nominato nel suo testamento, lasciandomi una buona somma
di denaro, con la quale possiamo vivere agiatamente.
- Per festeggiare, vi invitiamo
a cena, disse Nieves.
- Grazie, accettiamo volentieri il vostro
invito, rispose Olivia.
- Oggi pomeriggio vorrei
presentarvi Lucas, il figlio di Isabel, che adesso è il nostro
falegname. È un peccato che non sia qui adesso, è andato alla
stazione di Las Ovas, a prendere delle assi di legno, annunciò
Nieves.
- Non sapevo che Isabel avesse un figlio! rispose
Olivia.
- Neanche io, Isabel lo ha avuto prima di conoscerla, ma
lo ha nascosto a tutti. È stato cresciuto da Rogelia, la donna che
aveva fatto da madre anche a lei, raccontò Mariano.
- Lucas è
un magnifico ebanista, oltre a un buon falegname, ci sta facendo un
tavolo e delle sedie in mogano....bellissime! Siamo molto contenti di
lui, si è trasferito nella casetta bianca di Gabriel, disse
Nieves.
- Lucas è un ragazzo molto bravo...ora scusatemi, devo
proprio ritornare in cucina, osò dire Gabriel.
- Come sta
Isabel? Domandò Felipe.
- Sta bene, era l’ora. Un prete con
pazienza le ha insegnato a leggere e scrivere, piano piano è
migliorata nella calligrafia e ortografia e adesso mi scrive lunghe
lettere.
- Non vedo l’ora che tu ci racconti la storia di
Isabel! Quando l'ho conosciuta al vostro matrimonio, mi è piaciuta
molto, disse Olivia, sorridendo.
Per Mariano il
ricongiungimento con Felipe fu una ricarica di entusiasmo. Da quel
momento in poi le due coppie cominciarono a frequentarsi
assiduamente. Olivia era un'ottima bambinaia, amava giocare con i
bambini in cortile, mentre Felipe insegnava ad Ángel numerosi giochi
da tavolo. Ben presto Ángel si innamorò perdutamente di Eloína,
una ragazza di Las Ovas e smise di giocare a scacchi e a domino con
Felipe. I suoi futuri suoceri avevano un allevamento di bestiame e
quando il vecchio contabile della fattoria morì, assunsero lui per
tenere i libri di contabilità.
Mariano lasciò che Olivia e
Felipe si occupassero della scuola che lui aveva fondato. La coppia
non solo si spostava nei villaggi e fattorie, per raccattare i
bambini analfabeti, ma si dedicava anima e corpo a insegnare loro a
leggere e scrivere. In seguito fondarono una scuola itinerante per
adulti che consisteva in un carro pieno di libri, una piccola lavagna
e banchi di legno con quaderni e matite. La sera, il carretto si
fermava davanti a una fattoria, ogni giorno una diversa, dove
venivano smontati gli attrezzi e quando i braccianti ritornavano dai
campi, dopo una lunga giornata di lavoro, si sedevano davanti alla
lavagna per imparare l’alfabeto e a fare conti. Per dimostrare la
loro gratitudine, spesso portavano ai maestri quel poco che avevano,
uova e ortaggi.
Olivia non poteva avere figli. Fu violentata più
volte dai caporali della piantagione dove era una schiava e dopo due
aborti perse la fertilità.
- Sono una donna sterile, disse un
giorno a Felipe, singhiozzando.
- Sei una donna straordinaria,
ti amo molto. Non m’importa di non avere figli, ci sono tanti
orfani a Cuba! Rispose Felipe, baciandola.
Le due fattorie,
Esperanza e Bonanza, erano confinanti, separate da un ruscello. La
prima aveva immensi campi di grano, un frutteto, una grande cisterna
per l'acqua, numerose stalle e recinti, un bel giardino con fiori e
piante tropicali e un bosco sul fianco della collina, con palme reali
che raggiungevano i venticinque metri di altezza, querce, cedri,
mogani e arbusti a basso fusto. Oltre alla villa, costruita da
Antonio Hernández, il nonno di Ángel,
c'erano altri edifici: le piccole case dei lavoratori, la scuola, la
cappella e la casetta bianca di Gabriel. La tenuta Bonanza era molto
più piccola, poiché dopo la guerra un'ala della vecchia villa fu
demolita e i terreni più fertili furono espropriati dagli spagnoli.
Il giardiniere che curava i terreni prima del loro arrivo salvò
alcuni alberi dalla terra bruciata durante la guerra e ne piantò
altri affinché i proprietari potessero raccogliere diversi frutti:
banane, ananas, noci di cocco, avocado e mango; piano piano, la
tenuta Bonanza si riempì di rigogliosa vegetazione. Olivia si prese
cura del giardino dove furono sistemate delle belle piante
ornamentali e nel cortile fece mettere dei grandi vasi di fiori.
Col
bel tempo i due amici facevano
delle belle
passeggiate mattutine, verso
il
ruscello. Anno dopo anno i due non smettevano di scherzare,
chiamandosi
da lontano e urlando
le
stesse cose con
le mani vicino alla bocca:
- Mariano...Hai limoni?
-
Felipe...ho
degli
alberelli
, ma non vedo
limoni,
rispondeva
Mariano.
- Non fare il finto tonto, io
li
vedo da qua.
-
Hai occhi di lince?
- Non prendermi in giro, tu
mi nascondi
i tuoi
limoni.
-
Vorrei averli,
urlava
Felipe.
- Non ti sento!
- Sei sordo?
Nella
fattoria Esperanza gli
anni
passarono in fretta i bambini diventavano
adulti senza che i genitori quasi
se
ne accorgessero, e piano
piano
cominciarono ad accoppiarsi con ragazze e
ragazzi dei dintorni. Il primo a sposarsi fu Ángel, il
quale si trasferì
a casa dei genitori di Eloína. Due anni dopo il matrimonio, in
una notte ventosa,
Ángel era
andato dai
suoi
per
fare sapere
alla madre che alla
moglie
le
si erano rotto
le acque.
Nieves lo
accompagnò
a
cercare il medico
del
paese,
ma
non
riuscirono a trovarlo; il
dottore,
insieme
alla levatrice, era andato ad assistere
un'altra donna in travaglio. La moglie del medico disse loro di
andare a cercare Octavia, la levatrice nera, la
quale
abitava
con la madre in una baracca
nella
periferia del paese.
Quando
Ángel
le chiese
di seguirlo, si tolse il grembiule e salì in silenzio sulla carrozza
trainata da cavalli. Ángel
e Nieves, seduti
davanti, Octavia dietro, parlarono appena nel
breve
tragitto.
Quando arrivarono
si era calmato il vento.
Octavia, dopo essersi lavata le mani, corse nella
stanza
dove si trovava la partoriente.
- La creatura si
presenta
podalica, disse Octavia,
dopo aver messo una mano dentro
il
corpo
di Eloína.
Octavia,
una donna minuta, di poche parole, aveva imparato il mestiere
osservando sua nonna, una schiava nera che aveva una buona mano con i
parti difficili di mucche e cavalli. Eloína
spingeva
e gridava
di dolore e
le ore
passavano
senza
alcun risultato. Ángel
si
disperava
nel
sentire le urla della
moglie.
La suocera, donna delicata di
salute,
aspettava fuori dalla porta col marito e non voleva
fare
entrare Ángel,
ma lui
in preda all'esasperazione entrò nella camera da letto e abbracciò
la moglie. Dopo poco tempo, Nieves e Octavia si accorsero che Ángel
era molto pallido e lo
fecero
uscire dalla stanza. Mentre Octavia tirava fuori
le gambe e le natiche del bambino, Nieves non
smetteva di dare dei
colpetti
sulle guance di Eloína,
la
quale
sembrava aver perso i sensi.
- Resisti, la
bambina
sta per nascere, le disse Octavia con dolcezza, ma anche
con
determinazione.
Eloína
recuperò le forze dopo
le
parole della levatrice e domandò
quasi senza fiato:
- È una femmina?
È
viva?
-
Sì, è viva, spingi...Eccola!
Ottavia
tirò fuori la bambina, la
quale pianse subito. Era sana, non aveva subito alcun
danno durante il lungo
parto podalico. Quella
levatrice nera
aveva
portato
a termine quello
che pochi medici sarebbero
stati
in
grado di
fare.
Mariano, quando
seppe della nascita di
Eloísa, la
nipotina, decise di recarsi
alla fattoria dei consuoceri,
in sella alla sua cavalla, per conoscerla.
I
genitori
della
neonata
e
i quattro nonni piansero
di gioia ammirando
quell’esserino
così bello. All'inizio Eloína
non voleva
avere un secondo
figlio, temeva
un altro parto
difficile, ma dopo tre anni fu
la prima a saltare di gioia per la
nuova gravidanza. Fermín Octavio nacque in
così
poco
tempo
che Eloína volle dargli come
secondo
nome quello
della
levatrice, ma
da subito lo
chiamò
Octavio
e tutti continuarono a chiamarlo così. Anni dopo, anche Andrés,
Josefina, Bernardo, Esther, Leonardo e María de los Ángeles
nacquero senza
problemi,
ma Eloína volle sempre che Octavia fosse al suo fianco. Cambiò
anche il nome a
Bernardo,
iniziando a chiamarlo Domingo, perché
aveva cominciato ad avere le prime doglie
di
domenica, giornata
talmente
piovosa che Ottavia, la levatrice, non sapeva come attraversare le
strade, diventate
corsi
d'acqua, ma per
fortuna arrivò
in tempo,
per fare uscire, con sue meravigliose mani,
il
bambino dal
grembo materno.
Juan, il primogenito di Nieves
e Mariano, sposò Manuela, una ragazza di Puerta de Golpe, gli sposi
andarono ad abitare a pochi chilometri dalla tenuta Esperanza. Ebbero
otto figli, i primi cinque furono femmine: Gudelia, Nieves, Mariana,
Esther e Cristina, che Mariano chiamava Cuca, perché era
molto bellina. Juan e Manuela non ci speravano più di avere figli
maschi quando dopo qualche anno nacquero Enrique e Gilberto. José,
il secondogenito, ebbe cinque figli: i primi tre, Joseito, Alfonso,
che era piuttosto minuto e tutti chiamavano Chiquitín e
Mariano, il quale venne da subito chiamato Tití; qualche anno dopo
José ebbe altri due figli dalla seconda moglie. Anche Teresa partorì
cinque figli: Mariano, Emilio, Regino, Pedro e Nena. Le figlie più
giovani di Nieves e Mariano, Ramona e Coltilde, si sposarono tardi e
nessuna di loro ebbe figli. Più che una casa, la tenuta Esperanza
sembrava una scuola, affollata di bambini di tutte le età che
correvano per il cortile e il giardino.
Nieves e Mariano erano
contenti quando ospitavano i nipotini, che arrivarono a essere
venticinque, e si divertivano a giocare con loro. Ma ci furono anche
dei lutti in famiglia: María de los Ángeles morì all'età di sette
anni per una misteriosa malattia allo stomaco e Caridad, la gemella
di Enrique, morì appena nata. Un'altra disgrazia arrivò anni dopo:
José rimase vedovo con tre figli, Pastora, sua moglie, era delicata
di salute e morì di febbre tifoidea. Nieves e Mariano ospitarono
José nella loro casa per alcuni mesi, fino quando lui sposò una
ragazza molto bella, che tutti chiamavano La Niña, e con la
quale ebbe altri due figli, Armando e Roberto.
Olivia e Felipe,
quando si recavano alla fattoria Esperanza, giocavano con grande
piacere con i bambini. Anche Gabriel amava i ragazzi e con pazienza
insegnò a ciascuno di loro a montare a cavallo, con i puledri che
allevava lui stesso. Lucas costruiva via via, oltre a lettini e
seggioloni, giocattoli in legno per i bambini.
I capelli di Gabriel, come
quelli dei padroni, piano piano diventarono grigi, ma a lui non
sfuggiva niente, continuava a prendersi cura della casa e dei suoi
abitanti, occupandosi sempre dei lavori più impegnativi. Era nato
schiavo nelle baracche delle piantagioni di tabacco di Antonio
Hernández, ma dopo la sua morte, Ángel, il figlio, ereditò la
tenuta e gli diede la libertà. Gabriel si trovava bene nella
fattoria Esperanza e non si era mai allontanato da Las
Ovas, anche se poteva farlo. Quando sposò Nélida, la figlia della
cuoca, Mariano gli mise a disposizione la casetta bianca dove lui
aveva vissuto i primi anni. Gabriel rimase presto vedovo, la moglie
morì dando alla luce un bambino morto. Quando arrivò Lucas, Gabriel
lo accolse nella sua casetta. Anche Lucas si era abituato ben presto
alla vita della fattoria. Quando gli spagnoli si ritirarono da
Cuba, lui non era più ricercato e poteva muoversi in libertà, ma
rimase a vivere nella casetta di Gabriel. Ogni mattina cominciava a
lavorare con lena nel suo laboratorio di falegnameria, l'odore del
legno lo metteva di buon umore. All'età di trent'anni si fidanzò
con una bella ragazza mulatta, che sposò un anno dopo e portò a
vivere nella casetta bianca. La ragazza stette poco tempo con Lucas,
ben presto scappò con un venditore ambulante, un imbroglione che le
aveva promesso mari e monti. Gabriel e Lucas rimasero da soli e,
invece di disperarsi per la loro brutta situazione, divennero amici
inseparabili. Entrambi facevano il proprio lavoro con molta cura e
aiutavano anche a organizzare le feste famigliari, a cui
partecipavano molto volentieri, diventando veri e propri membri della
famiglia Defaus-Herrera. Quando si riunivano tutti insieme, c’erano
anche Olivia e Felipe. Un pomeriggio Enrique, uno dei nipoti di
Nieves e Mariano, chiese a Felipe:
- Raccontaci qualche fatto
della guerra d'indipendenza.
Felipe raccontò ai bambini che
prima di ottenere l'indipendenza, Cuba era riuscita, a caro prezzo
per i neri, ad abolire la schiavitù. Durante la Grande Guerra,
infatti, gli schiavi delle piantagioni avevano combattuto dalla parte
dei separatisti che promettevano libertà e uguaglianza, ma non
avevano ottenuto nulla, perché la maggior parte di loro era morta
sul fronte o fu brutalmente uccisa dagli spagnoli come
rappresaglia.
- È stata una grande ingiustizia! disse
Mariano.
- Voglio raccontarvi la morte sul campo di battaglia
dei due grandi leader cubani, Manuel de Céspedes e José Martí,
affinché capiate che i conflitti armati non portano da nessuna
parte, disse Felipe. Quando Felipe finì di narrare alcuni episodi di
guerra, si alzò e con un gesto teatrale disse:
- Da giovane ero
un rivoluzionario pacifico, che camminava per la strada a testa alta
volendo salvare Cuba. Io e i miei compagni eravamo convinti che il
futuro fosse nelle nostre mani, che le nostre azioni presenti
avrebbero influito sul futuro del domani, ma non avrei mai permesso
che venisse versato del sangue. Diglielo tu, Mariano... digli che io
e te volevamo l'indipendenza senza guerra.
- Sì, e un'altra
cosa per cui Felipe ha combattuto è l'uguaglianza tra bianchi e
neri. Nella nostra famiglia l'abbiamo raggiunta, il sangue nero
scorre nelle vostre vene e ne sono molto fiero, disse Mariano.
-
Nelle mie scorre sangue ancora più nero, disse Felipe, scoppiando a
ridere.
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