lunedì 13 dicembre 2021

L'ultimo materasso

 

Da quando siamo rimasti da soli nella nostra casa, ognuno di noi si è sistemato uno spazio nelle vecchie stanze dei figli.

I letti dei ragazzi, sono diventati letti degli ospiti, quello da una piazza e mezzo è rimasto sul soppalco della ex camera di nostra figlia, adesso diventata il mio studio. Il letto che era di nostro figlio viene usato come divano nello studio di mio marito.

Negli ultimi mesi mio marito ed io ci siamo detti spesso che era arrivata l’ora di rinnovare il nostro materasso. Nonostante ci fosse qualche molla deformata che ci premeva sulla schiena, ci dispiaceva un po’ sbarazzarci di un pezzo così importante della nostra vita e non ci decidevamo. Ma alla fine ci siamo decisi.

Lui ha ricercato informazioni sulle varie ditte artigiane e dopo qualche giorno ha trovato quello che faceva per noi.

Prima di comprare un materasso online, mi sono recata in due negozi per vedere e provare direttamente i vari modelli, per poi confrontarli.

Prima sono andata in un piccolo negozio vicino casa, la commessa, una signora di mezza età, è stata molto gentile e, mentre mi spiegava la struttura (a molle o senza molle) e i dettagli della composizione (lattice, spugna, lana e cotone, ecc.) dei i vari modelli, mi ha fatto sdraiare prima su un materasso a micro molle insaccate e successivamente su uno di lattice. Il più confortevole mi è sembrato il primo.

Sono andata poi nel secondo negozio, ma la commessa, una ragazza un po’ scorbutica, mi ha detto con un’aria scocciata:

- Non può comprare un materasso matrimoniale, se si sdraia lei da sola. Fa la differenza essere in due !! Deve per forza ritornare col marito.

Credo che fosse una scusa. Osservando le sue mani che si muovevano nervosamente, mentre teneva dei fogli di carta, mi è sembrata piuttosto agitata. Ho pensato che forse quella mattina mancava la vera commessa e lei, addetta alla contabilità, non ce la faceva a fare tutto.

Rientrata a casa ho detto a mio marito:

- Avevi ragione tu, credo che le micro molle siano la miglior cosa!

- Adesso sei pienamente convinta? Posso fare l’ordine? Mi ha chiesto lui.

- Si, non vedo l’ora di dormirci sopra! Gli ho risposto sorridendo.

La ditta artigiana di Forlì alla quale ci siamo rivolti è stata puntuale nella consegna. Il nuovo materasso è arrivato una mattina, arrotolato e sotto vuoto e in un primo momento abbiamo sistemato il pacco nel corridoio.

Il pomeriggio ho disfatto il nostro letto, ma mentre aspettavo mio marito per sostituire il vecchio materasso con quello nuovo mi ci sono seduta sopra. Ho rivisto un alone sbiadito che nonostante avessimo cercato di mandare via, erano rimasto.

Quell' alone mi ha fatto venire in mente una notte di trent'anni prima in cui nostro figlio piccolo aveva bagnato il lettone, dove dormivamo insieme. Quella notte la bambina aveva avuto un incubo e a mio marito era toccato andare a dormire di là, nel letto a castello sotto quello della bambina.

Qualche anno prima, quando avevamo due materassi nel lettone, appena sentivamo il lenzuolo che la bambina aveva bagnato, giravamo un materasso e cambiavamo la biancheria del letto. Ma purtroppo il materasso che avevamo in quel momento era a due piazze e quindi molto ingombrante. Per girarlo non sapevo come fare. A a un certo punto madre e figlio, ci siamo messi a ridere, guardando il materasso appoggiato in verticale sul pavimento. Eravamo in pigiama un po’ infreddoliti e nonostante non riuscissimo a posizionare quell’aggeggio pesante sopra il letto, ridevamo lo stesso. Non volevo svegliare in nessun modo mio marito e la bambina, per fortuna piano piano, a forza di provare, sono riuscita ad appoggiarlo sopra il letto.

Quando mio marito è arrivato a casa, ancora sorridevo pensando a quella notte di tanti anni prima. Lui ha legato con dei cordini il vecchio materasso dopo averlo piegato in due, poi lo abbiamo sistemato nel corridoio. Nel frattempo avevamo scartato e fatto gonfiare quello nuovo sul letto.

Quella sera avevamo ospiti a cena due coppie di amici. La prima cosa che hanno detto tutti, varcando la porta e vedendo l’ingombro nel corridoio, è stata:

- Avete cambiato materasso? Anche noi lo vorremmo fare. Fatecelo provare!

E’ stato buffo, dopo cena accompagnare gli ospiti, uno dopo l’altro, nella nostra camera per farli sdraiare sul materasso nuovo.

- E‘ duro ma allo stesso tempo morbido! Dicevano tutti.

Quella notte quando ci siamo coricati eravamo emozionati, sembrava che la nostra vita fosse cambiata. Avevamo anche sostituito il vecchio piumino e comprato lenzuola nuove. Ci stavo proprio bene in quella cuccia calda e nuova di zecca.

Mentre, prima di addormentarmi, mi chiedevo se sarà il nostro ultimo materasso, mi è venuto in mente mio padre, quando a quasi settanta anni comprò una macchina nuova, dicendo che sarebbe stata l’ultima della sua vita. Invece la cambiò di nuovo per una più maneggevole dopo una decina d’anni, quella fu veramente l’ultima macchina che guidò fino a novanta anni.

Forse non sarà l’ultimo. Anche perché la vita ci riserva molte sorprese, chissà se faremo nuovi traslochi o sostituiremo mobili e letti, pensai.






venerdì 3 dicembre 2021

La caldera

 


Os voy a hablar de Mina y de Hugo, una pareja de sesenta y pico de años, que vive en Florencia, él es italiano y ella catalana.

En otoño 2021 planearon ir a pasar todo el mes de Noviembre en Madrid, para estar junto a su hija Blanca, que estaba a punto de dar a luz.

Blanca vive en Madrid desde hace más de diez años, se fue allí para acabar sus estudios universitarios. Terminó encontrando trabajo en un gabinete de abogados y sobre todo allí se enamoró de Marcos.

Si todo iba bien, el niño nacería a principios de Noviembre, así que, durante la primera semana de octubre, los futuros abuelos empezaron a buscar vuelos y alojamiento en Madrid.

Blanca les ayudó en la búsqueda de apartamentos turísticos, ya que ellos no tenían mucha experiencia en ello.

- ¿Quién quieres que se vaya de vacaciones en Noviembre? Es un mes muerto, seguro que vamos a encontrar alojamiento, le dejo Hugo a Mina.

Todo fue un poco más complicado de lo que pensaban. No lo tuvieron fácil para sacar billetes de avión en aquellas fechas, pues no habían caído que había el puente de todos los Santos. Sin embargo al final encontraron un vuelo que salía de Florencia el 2 de Noviembre, arriesgándose de todos modos a que el parto se adelantara y no llegaran a tiempo. También fue un poco difícil dar con un piso en la zona norte de la ciudad, donde vivían los futuros padres.

Cada vez que encontraban un apartamento ideal para ellos salía una pega. En el salón de la mayoría de las viviendas no había mesa, solo una barra con dos taburetes y la cocina, si se le podía llamar cocina, no estaba equipada. Para ellos era importante poder invitar a Blanca y a Marcos a comer para estar juntos y para echarles una mano. Otros apartamentos que habían encontrado caían demasiado lejos.

Estuvieron a punto de coger una vivienda en el barrio de Mirasierra con una terraza muy bonita, pero al final se les esfumó, desapreció misteriosamente de la plataforma. Se ve que el dueño cambió de idea y ya no lo quiso arrendar.

- Madre mía, tendremos que ir a un hotel si no encontramos ningún apartamento, un mes me parece demasiado, le dijo Mina a Hugo, con un poco de angustia.

La última semana de octubre, buscando y rebuscando por las plataformas de alquiler de Internet, encontraron una casita con un patinejo, ubicada en el barrio de Tetuán, precisamente en la calle del Cactus.

A pesar de que estuviera a unos 45 minutos andando y a 30 minutos en metro de donde vivían Blanca y Marcos, lo alquilaron sin pensárselo dos veces, por miedo de perderlo.

Flora, la dueña de la casita en seguida fue muy amable con ellos, escribiéndoles mensajes y dándoles toda clase de informaciones. Eso confortó a Mina. Para Mina las relaciones humanas eran fundamentales, le daban fuerza y coraje para resolver los problemas.

Llegaron a la casita con tres horas de retraso pues, a causa del viento fuerte, el avión en lugar de despegar del aeropuerto de Florencia lo hizo desde Pisa y claro perdieron mucho tiempo trasbordando. Avisaron a Flora del retraso y ella se las arregló para alcanzarlos cuando llegaran. Los esperó en el portal bajo un paraguas.

Flora, era una mujer de unos sesenta año. Llevaba un anorak granate y pantalones vaqueros gastados. Tenía un no sé que de aire de los años setenta. Nos enseñó el apartamento de forma rápida, se le notaba que llevaba prisa. La casita olía un poco a cerrado a pesar de que estuviera limpia. Antes de salir Flora se dio cuenta de que los radiadores estaban helados y en seguida encendió la caldera, murmurando alguna cosa que Mina no entendió.

- Es raro que la caldera esté apagada, pero la casa está bastante calentita, pensó Mina, sin darle demasiada importancia a la cosa.

A Mina no le gustó mucho el ruido que hizo la caldera al ponerse en marcha.

La caldera estaba dentro de un armario en el altillo. Era bastante vieja, de las antiguas, con llama y hacía un ruido estrepitoso cada vez que se encendía.

Durante los primeros días no tuvieron mucho tiempo para pensar en la caldera, pues transcurrían muchas horas en casa de Blanca, ayudándola o paseando con el bebé en el cochecito. Se enamoraron de su nieto, se les caía la baba mirándolo, meciéndolo, cambiándolo, consolándolo cuando lloraba y mimándolo.

Desde que había nacido su nieto a Mina le habían vuelto a la memoria tantos recuerdos de treinta años atrás, cuando sus dos hijos nacieron: imágenes de ella dando de mamar; sentimientos contradictorios, como alegría, recelo, satisfacción e inseguridad. También cosas más concretas como el dolor de los pezones, el perfume de la leche, el olor de la caca amarillenta, los gestos graciosos del recién nacido, el llanto y el malestar del bebé, sus palabras cariñosas, las canciones de Hugo, etc. También recordó el agotamiento, la falta de sueño y la sensación de que no tenía ni un minuto para ella, ni siquiera para ducharse. Sin embargo no podía olvidar el amor incondicionado hacia sus bebés.

Mina por las mañanas solía hacer ejercicios de yoga en el altillo de la casita, a veces el ruido de la caldera cuando se encendía le asustaba.

- ¿Y si funcionara mal? ¿Y si hubiera un escape de gas venenoso? Se decía, pero en seguida se sacaba ese pensamiento negativo de la cabeza.

Si el día era soleado iban a casa de Blanca andando, a veces se citaban con ella a mitad del camino y luego iban juntos a pasear.

Alguna vez también cogieron el metro para ir al centro de la ciudad, se fueron a una librería, a un museo, a una expocsición o simplemente a pasear.

Una mañana fueron a comprar a un mercado bastante cerca de casa, a la vuelta de la esquina, Mina notó una peluquería donde hacían manicuras.

- Me gustaría que me arreglaran las uñas. Lástima que esté cerrado este local, le dijo Mina a Hugo, mirándose sus uñas desmejoradas.

Los domingos, días en que Blanca y Marcos iban a comer con sus amigos, Hugo y Mina salían de excursión. Un día se fueron a El Escorial  otro a Toledo. Marcos les prestó su coche. También se fueron a visitar  Segovia y Ávila con los padres de Marcos. Les encantó pasar el día con ellos.

Una tarde, sin avisar, la caldera dejó de funcionar. Mina fue al altillo a ver lo que pasaba, pero no hubo manera de encenderla. Llamó en seguida a Flora.

- Qué raro, hace sólo un mes que pasó la revisión y todo iba la mar de bien. Toca el botón de abajo, a ver que pasa, le dijo Flora.

Después de hacer muchas pruebas lograron ponerla otra vez en marcha, pero Mina no se quedó del todo convencida de que funcionara bien.

Los día pasaron de prisa. Marido y mujer en aquella época sólo pensaban en ayudar a Blanca, en el nieto recién nacido, en la lactancia, en los gases que tenía el niño, en lo mucho que crecía, en las visitas al pediatra, etc.

El octavo día invitaron a comer a Blanca para celebrar su cumpleaños. Llegaron en coche los tres: padre, madre y recién nacido.

Mina les preparó pasta alle vongole (almejas) que era el plato preferido de los invitados y compraron un pastel en el que pusieron 32 velas. Le entregaron a la hija dos regalos, uno para ella y otro para el niño.

Disfrutaron los cuatro, hablando y riendo. El niño mamó y se quedó dormido un buen rato. Las dos parejas pasaron unas horas muy amenas de sobremesa. Fueron momentos muy entrañables en los que Mina y Hugo conocieron mejor a Marcos.

Les encantó notar que Marcos quería mucho a Blanca y que intentaba encontrar solución para todos los inconvenientes que iban surgiendo. Tenía mucha paciencia con el niño cuando lloraba  y sin cesar iba resolviendo los problemas de la obra del apartamento que estaban reformando.

Luego salieron con el cochecito a pasear por el barrio.

Pocos días después llegaron de Florencia Arturo, el hermano de Blanca y Nuria, su novia, para pasar unos días en Madrid. Se instalaron en el altillo, junto a la caldera. Ellos también se emocionaron ante el bebé.

La caldera dejó de funcionar la noche de su llegada, cuando Nuria iba a ducharse.

- ¡Qué mala pata! No me fio de esta caldera, le dijo Mina a Nuria, mientras intentaba ponerla de nuevo en marcha.

Por suerte la caldera se encendió de nuevo. Pero desde aquel día se iba apagando cada dos horas. Mina llamó a Flora diciéndole que avisara al técnico para que revisara la caldera.

Al día siguiente se presentó el técnico y tras hacer algunas pruebas, dijo que no valía la pena repararla, había que cambiarla.

No fue fácil quedar de nuevo con el técnico para que instalara la caldera nueva. Por suerte los últimos días en los que estuvieron los invitados la caldera se portó bastante bien.

El técnico llegó a la casita el lunes de la semana siguiente, pero con tres horas de retraso. Mina aquella mañana ya se hartó de esperar, pero por suerte pronto llegó Flora para remplazarla. Aquel día empezó mal, sin embargo el técnico trabajó con esmero y a las tres de la tarde ya estaba lista la nueva caldera.

Una tarde vio que la peluquería cerca de casa, donde hacían manicuras, estaba abierta. Entró para pedir cita. La chica que la atendió era muy simpática y hablaba con acento venezolano.

El local era pequeño, humilde y un poco desordenado. Mina hubiera querido marcharse en seguida de aquel lugar, pero le dio pena la muchacha venezolana que le sonría. No tuvo valor para marcharse cuando la chica le dijo que podía hacerle la manicura en aquel mismo instante

En la peluquería también había un chico que peinaba pelucas y melenas para extensiones en el pelo.

La manicurera, era morena, con una melena larga.  Iba pintada de forma que sus ojos negros y vivarachos resaltaran. Al acercarse Mina se dio cuenta que sus pestañas eran  postizas. Sus cejas eran  pobladas  y tenían una forma muy bonita.  Sonriendo, con una mueca un poco forzada,  le fue contando su vida dura de emigrante. Tenía cuarenta y dos años y hacía quince que vivía en Madrid. Le costó encontrar trabajo, suerte que su madre se fue a vivir unos meses con ella cuando su pareja se largó, dejándola embarazada. Su hijo ahora tenía diez años. Le gustaba ir a la escuela y jugaba a baloncesto, pero pasaba las tardes solo, pues ella trabajaba hasta las diez de la noche.

Le hizo una herida en un dedo de la mano izquierda, al cortarle las pieles. Mina intentó no alterarse al ver su dedo lleno de sangre. No quiso pensar en los microbios que podía haber en aquel lugar.

La chica después del pellizco con el corta pieles fue más cuidadosa, luego le limó y le pintó las uñas. Al cabo de una hora dio por terminada la sesión de manicura. Mina le pagó y mientras se iba despidiendo de ella e intentando no tocar nada para que no se le estropearan las uñas, la chica le dijo:

- Muchas gracias por su visita. A esta hora hay poca gente, trabajamos sobre todo de siete a diez de la tarde.

- Pobre niño, tendrá que cenar siempre solo, pensó Mina, mientras se ponía el abrigo.

Subió la calle pensando en aquella chica que cada noche, al cerrar la tienda, cogía el metro para ir a casa. Se la imaginaba sacándose los zapatos, luego calentándose alguna cosa de la nevera y preguntándole a su hijo, sentado delante de la tele, cómo le había ido el cole.

Al poner la mano dentro del bolso para coger las llaves de casa se le estropeó el esmalte de dos uñas de la mano derecha.

Entró en casa descontenta de la manicura y de la herida que tenía en el dedo de la mano izquierda.

- ¡Qué tonta que he sido en hacerme la manicura en aquel local! Pero tú ya sabes, me daba pena la pobre chica, creo que tiene pocos clientes, le comentó a su marido.

- ¿Al menos te lo ha hecho bien? Le preguntó Hugo.

- Regular, no era muy buena, incluso me ha hecho una herida pequeña, le dijo Mina sin darle importancia a la cosa.

Entró en el cuarto de baño y se cortó las uñas desmejoradas, luego se las fue cortando todas, como si quisiera borrar totalmente la manicura de la venezolana.

Recordó a una amiga suya que, cuando iba a la peluquería, la primera cosa que hacía al llegar a casa era lavarse el pelo.

- Yo estoy haciendo lo mismo, se dijo riñiéndose.

Las tres primeras semanas a Mina se le pasaron volando, los días fueron soleados y suaves. Hugo y Mina solían salir de casa hacia las diez e iban andando al barrio donde vivía Blanca. Por la tarde volvían a la casita también andando. Caminaban unos seis o siete kilómetros al día, quizás por eso a Mina empezó a dolerle el dedo gordo de un pie.

Llevaba tiempo pensando en ir al podólogo pero no se decidía nunca. Cerca de la plaza de la Remonta, no muy lejos de donde vivían ellos, había un ambulatorio de podólogos.

Quería ir, pero tenía un poco de miedo de que le pasara lo mismo que con la manicura. Sin embargo se decidió y no se arrepintió. Laura, la podóloga, le gustó en seguida y le dio confianza. Ella era una mujer joven. Más tarde le contó, que para pagar el préstamo que había pedido para abrir el local, se pasaba todo el día trabajando, desde las nueve de la mañana hasta las ocho de la tarde, sólo con media hora de descanso para la comida.

Después de la consulta Laura le dijo que iba a necesitar plantillas.

Mina se lo pensó un buen rato y al final las encargó. Tardaron tres días en llegar. Al principio le molestaban pero poco a poco se fue acostumbrando. Laura tuvo mucha paciencia con ella y la atendió muy bien.

El día en que le llegaron las plantillas, Laura le contó que su socio se había marchado de Madrid y que ella tuvo de hacerse cargo de aquel local. Había sido una época difícil, pero estaba contenta pues estaba logrando salvar el ambulatorio.

En la última semana de su estancia en Madrid el tiempo cambió de golpe, empezó a llover y a hacer frio.

En aquellos días helados a Mina se le rompió la cremallera del abrigo. Por suerte había una tienda de arreglos en el mismo edificio donde vivían.

Mina había notado a dos mujeres que, cada vez que pasaba cerca del escaparte de la tienda, le sonreían. 

Las dos mujeres cosían a máquina todo el día, sólo descansaban de dos y media a tres para comer algo. Le dijeron a Mina que eran de Ecuador. La madre tenía unos cuarenta y pico de años y la hija no llegaba a treinta.

Le cambiaron la cremallera en veinticuatro horas y Mina pudo salir a la intemperie bien abrigada.

Uno de los últimos días de su estancia en Madrid se encontró con Flora en la entradamientras estaba sacando un mueble de su estudio. 

- ¿Cómo va la caldera ? Le preguntó Flora.

- Muy bien, me siento más tranquila con esa nueva, sobre todo ahora que ha llegado el frio, le contestó Mina.

Aquel día Flora tenía muchas ganas de hablar y le contó a Mina cantidad de cosas: que tenía tres hijos ventiañeros, que se había separado hacía poco de su marido, que pronto se iba a mudar a un piso nuevo, que sus dos hijos mayores todavía estudiaban pero que ya no vivían con ella, que el pequeño quería ser actor, etc. Luego le dijo que para vivir por suerte podía contar con el alquiler del local de las costureras y el de la casita. También le dijo que la costurera más joven tenía dos hijitos en Ecuador y que por eso trabajaba día y noche para que pudieran reunirse con ella lo más pronto posible.

Flora trabajaba haciendo murales y decorando paredes, era todo una artista. Años atrás con la herencia de sus padres, había comprado la casita y el local adyacente, para trasformarlo en galería de arte, pero por culpa de la pandemia tuvo que dividir el local y conformarse con un estudio minúsculo. La parte anterior se convirtió en la tienda que arrendó a las ecuadoreñas.

Flora le quiso enseñar su estudio, pero primero fue a dejar el mueble en su coche aparcado en la esquina. Mina la esperó en el patio y se puso a pensar en lo afortunados que habían sido ellos al poder transcurrir un mes con su hija y su nieto en aquella ciudad. Había sido una buena idea alquilar la casita y vivir por su cuenta.

Se habían sumergido completamente en aquel barrio, con sus costumbres, sus horarios y sus habitantes. Habían descubierto poco a poco una ciudad que casi desconocían. Gracias a la casita habían vivido intensamente las calles, los olores, los ruidos, los bares, los restaurantes, las plazas, los parques, las tiendas conocido a muchas personas.

Mina siguió pensando en que sobre todo había tenido la oportunidad de conocer y compenetrase con algunas mujeres que se peleaban cada día contra las adversidades de la vida, para poder salir adelante.

Aquella noche, Mina, cuando entró en la casita, se estremeció sintiendo el ambiente cálido y observando a Hugo que, sentado en el sofá, estaba leyendo un libro.

- Qué frio que hace, menos mal que tenemos la caldera nueva, le dijo, sacándose el abrigo.

- Sólo faltaría, ahora si que es confortable la casita, le dijo él sonriendo.