venerdì 8 ottobre 2021

La piazzetta

 


Nel paese dove sono nata c'è una piazzetta dietro la chiesa. Tutti la chiamano placeta, ma il suo vero nome è Plaça Pau Casals. Anticamente si chiamava San Antonio Abad,  protettore degli animali, dei cavalli e dei carri. Il giorno della festa, il diciassette gennaio, i cavalli venivano benedetti nella  piazzetta.

Gli abitanti del mio paese si dedicavano soprattutto all’agricoltura e pochi facevano i pescatori 
nonostante fosse un luogo di mare. Ricordo che spesso per le strade vedevo cavalli che trainavano carri colmi di raccolti.


A quel tempo, una delle strade che sfociavano nella piazza non aveva case vere e proprie, vi si aprivano solo stalle e rimesse per veicoli  e carri. La strada era un cul de sac. Ecco perché non aveva un nome. Negli anni '70 il Comune acquistò la casa, situata alla fine del vicolo, per abbatterla e far posto alla strada. Fu allora che i vicini iniziarono a costruire abitazioni sul retro dei giardini o dei cortili. Quel vicolo divenne una vera strada. Senza molta immaginazione la chiamarono San Antonio Abad. Per alcuni anni via e piazza ebbero lo stesso nome, ma in seguito dettero alla piazza il nome del grande musicista catalano, ma tutti continuarono a chiamarla La
  placeta.


Fino a qualche anno fa i pochi cespugli che c'erano nella piazzetta non si potevano guardare, da quanto erano brutti. Le fioriere erano state danneggiate dalle intemperie o da persone poco rispettose, insomma tutto l’insieme era abbastanza trascurato. Tuttavia, dopo gli ultimi lavori di ristrutturazione, che prevedevano la sostituzione della pavimentazione e la sistemazione delle aiuole, con nuove piante, erba e fiori, la piazza cambiò volto.

Piantarono nuovi alberi, montarono cinque panchine e un porta biciclette con supporti metallici. Misero dei cassonetti interrati, che non sempre sono risultati efficaci, a volte, quando sono pieni, alcune persone lasciano i rifiuti fuori.

In inverno la piazzetta è popolata solo da scolaretti, che si dirigono o escono da scuola, e da casalinghe, che vanno a fare la spesa. Le casalinghe, trascinando lentamente i loro carretti, sono le uniche persone che si trattengono un po' a parlare o a spettegolare, tutti gli altri attraversano la piazza in fretta e furia, senza mai fermarsi. In estate la piazzetta invece è molto più affollata, a tutte le ore ci sono ragazzi che giocano a pallone e bambine che saltano la corda o giocano a campana. Ma è all'imbrunire che la gente esce di casa a passeggiare per il centro storico e la piazza si anima. Prima di cena, alcuni vicini si siedono sulle panchine per chiacchierare e prendere una boccata d'aria fresca.

Mio fratello e sua moglie abitano in una casa della piazzetta Pau Casals, ma conducono una vita piuttosto impegnata e non hanno mai tempo di sedersi sulle panchine della piazza.

Ogni estate mio marito ed io e andiamo in vacanza nel mio paese per qualche settimana. Una delle prime cose che facciamo è andare a trovare mio fratello e sua moglie. Quest'estate è successo che più di una volta ci siamo dati appuntamento davanti alla loro casa, quasi sempre verso le otto di sera. Arrivando alla piazza subito notai un curioso capannello di persone che mi ha riempì di tenerezza. Ci siamo avvicinati e li abbiamo salutati. Quando mio fratello e sua moglie sono usciti di casa, ce li hanno presentati. Due di loro erano persone del quartiere, li conoscevo di vista, ma la coppia della sedia a rotelle non l’avevo mai incontrata prima.

La seconda sera sono andata da sola a trovare mio fratello e prima di entrare in casa mi sono intrattenuta a parlare con il gruppo di vicini. Ho iniziato raccontando loro qualcosa di me: che vivevo a Firenze da quarantacinque anni, che mio marito era italiano, che avevo due figli sulla trentina, che presto sarei diventata nonna, che ero appena andata in pensione e che forse in futuro avrei passato più tempo in paese, ecc.

Loro, quel pomeriggio e poi i giorni successivi, hanno cominciato, a spizzichi e bocconi, a raccontarmi la loro vita.

- Amo cucire a macchina. Dovete sapere che anche se mi dedico al cucito tutto il giorno, cerco di prendermi cura di me stessa: ogni mattina alle nove esco di casa per fare una passeggiata, d'estate vado al mare a fare il bagno. Verso le dieci e mezzo inizio a cucire davanti alla finestra. Ogni tanto alzo lo sguardo e osservo la gente che attraversa la piazza. Mangio verso le due e poi mi sdraio sul letto per fare un pisolino. Nel pomeriggio mi rimetto a cucire fino alle sette, poi comincio ad annaffiare le piante del giardino e a riordinare un po' la casa. Verso le otto esco, prima faccio due o tre giri intorno alla piazzetta col mio girello e poi mi siedo su una panchina a prendere una boccata d'aria con i vicini, mi disse Adela il primo giorno.

Adela è una donna magra con occhi vivaci e capelli bianchi raccolti in una crocchia. Il suo sorriso e la sua voglia di vivere fanno sparire le rughe sul suo volto. Ha appena compiuto novantacinque anni. È nata nella casa sulla piazzetta dove tuttora abita. Si è sposata giovanissima, come la maggior parte delle donne della sua generazione. Il marito, con l'aiuto di un muratore, sistemò alla meglio le due stanze del primo piano della vecchia casa dei genitori di Adela. Lui nacque in Andalusia, ma a dieci anni emigrò con la famiglia verso la Catalogna in cerca di lavoro. Gli fu difficile integrarsi nel paese, ma quando raggiunse l'età di sedici anni ce la mise tutta per cercare un lavoro. Ebbe la fortuna di trovare un impiego da operaio in una fabbrica di prodotti chimici, dove dopo pochi anni è diventato caposquadra. Adela gli parlava in catalano e lui le rispondeva sempre in spagnolo. Ebbero due figli.

Adela faceva riparazioni sartoriali per l'intero quartiere. Quando sua madre morì, suo marito si prese cura della cucina e della spesa. Presto morì anche il padre e Adela ereditò la casa. Suo marito, che era un tuttofare, trasformò quella vecchia casa buia in una abitazione bianca e piena di luce.

Adela era una donna loquace e allegra, ma non sopportava stare da sola. Quando i figli si sposarono, si era sentita un po' abbandonata, ma presto si abituò alla nuova vita e la scansione delle sue attività quotidiane insieme alla gente che le stava intorno la aiutarono ad affrontare la vecchiaia.
Suo marito iniziò a frequentare tutti i pomeriggi la
placeta quando andò in pensione. Si sedeva su una panchina, leggeva il giornale e guardava la gente passare. Amava andare al mercato e cucinare nuovi piatti per la moglie. Quando morì il marito, Adela aveva quasi novant'anni. Uno dei suoi figli, che si era appena separato dalla moglie, andò a vivere da lei, e si occupò di fare la spesa e di cucinare per la madre. Ancora una volta la macchina da cucire la aveva aiutata a superare il lutto.

- Mi manca mia moglie giorno e notte, ma mi sento meglio quando esco per strada. Seduto su questa panchina mi distraggo e smetto per un po' di pensarla, le disse Mario il secondo giorno, singhiozzando.

Mario è un uomo paffuto di una ottantina d’anni. Indossa sempre un berretto e cammina molto lentamente a causa dell’artrite.
Da giovane gli piaceva viaggiare e divertirsi. Cambiava lavoro spesso ed impazziva per le auto sportive. I suoi genitori erano preoccupati per quanto fosse sprecone e spesso minacciavano di diseredarlo, ma lui li ignorava. Un giorno Mario, avrà avuto una quarantina d'anni, in un ristorante di Bristol, conobbe una cameriera inglese, di dieci anni più grande di lui, che sposò pochi mesi dopo.

I genitori di Mario erano molto tradizionalisti e non furono entusiasti di quel matrimonio, ma sollevati perché credevano che suo figlio sposandosi avrebbe messo la testa a posto. Fecero sistemare per gli sposi un alloggio indipendente, sull’ala della vecchia casa che si affacciava sulle scuderie.

Mario, dopo aver perso il suo ultimo impiego, decise di entrare a lavorare nella piccola azienda agricola dei suoi genitori, ma senza crederci troppo e con poche ambizioni. Lo fece perché sua moglie lo implorò. Quando poteva continuava a girare con la sua macchina sportiva, questo era ciò che lo rendeva più felice.
La donna inglese era aperta e cordiale e si era adattata ben presto alla vita monotona del paese. Cantava mentre lavava e stendeva i panni. La suocera si occupava della cucina, ma tutte le altre faccende domestiche erano sbrigate da lei. Al tramonto le piaceva sedersi in terrazza e guardare la piazza, non scendeva quasi mai, ma dall'alto parlava e scherzava con i vicini.

Imparò subito alcune parole di catalano e spagnolo che mescolava con la sua lingua. Negli anni, il suo spagnolo migliorò, ma continuò a mescolare le tre lingue e non perse mai il forte accento anglosassone.
Era una gran lavoratrice, prese le redini dell’azienda dei suoceri, quando questi andarono in pensione. Teneva i conti, pagava le tasse e riscuoteva gli affitti.

Quando i genitori di Mario morirono, gli lasciarono una bella eredità. Mario smise gradualmente di coltivare i campi e lasciò che sua moglie si occupasse di tutto per tirare avanti. Passarono gli anni, Mario iniziò ad ingrassare e languire. Usciva sempre di meno a causa dell’artrosi galoppante. D'altra parte, la moglie continuò con la sua vitalità a gestire la casa e ad occuparsi di tutto senza mai lamentarsi. La coppia era diventata, contro ogni previsione, affiatata. Avevano avuto diversi cani e vivevano felici a modo loro, fino a quando una mattina lei cadde morta in cucina, dopo un attacco cardiaco.

- Ti piace stare qui, Anita? Santiago chiedeva ogni giorno a sua moglie, senza che lei gli rispondesse mai.
- Anche se non parla, capisce quello che le dico. E’ più presente la mattina, quando le do la colazione e le racconto per filo e per segno le cose che faremo nella giornata. Poche volte mi sorride, ma quando lo fa, quel suo mezzo sorriso mi dà la forza di andare avanti, mi disse Santiago il terzo giorno.

Santiago e Anita sono una coppia sulla settantina. Lei è nata a Barcellona e lui in un paese della Mancia, ma ben presto la sua famiglia era emigrata in Catalogna. Santiago era bravo a scuola e all'età di sedici anni trovò lavoro in un albergo come fattorino, tuttavia dopo poco tempo fu trasferito alla reception perché era vispo e parlucchiava diverse lingue. Santiago conobbe Anita in albergo, l'estate in cui lei ci andò in vacanza.

Iniziarono subito a frequentarsi e si sposarono poco dopo, anche perché Anita era rimasta orfana, dopo l’incidente stradale dei suoi genitori. Con l'eredità di Anita, gli sposi acquistarono un bell’appartamento, dietro la
placeta.

Anita avendo studiato ragioneria si avventurò ad aprire un piccolo ufficio che si occupasse di pratiche burocratiche e legali. Santiago fin dall’inizio andava a fare la spesa e Anita cucinava. Quando l'agenzia iniziò ad andare bene, Santiago lasciò l'albergo e andò a lavorare con la moglie. Ebbero un figlio. Gestirono entrambi per diverse anni con successo l'agenzia che si trovava a due isolati dalla loro abitazione.

Quando il figlio si sposò si trasferì in un paese vicino. Quel cambiamento destabilizzò Anita, che iniziò a fare stranezze. Non ricordava più niente, non riusciva a concentrarsi nel lavoro, non cucinava più e soprattutto si chiuse in se stessa.
Anita era stata una bella donna. Gli piaceva vestirsi bene per andare al lavoro o per uscire col marito. Tuttavia lentamente iniziò a trascurarsi. Dal pomeriggio in cui era caduta sul sagrato della chiesa, non volle più uscire di casa, era impaurita. Santiago la portò da un neurologo, il quale le diagnosticò l'Alzheimer. Furono tempi terribili per entrambi, giorno dopo giorno Anita perdeva la testa.

Santiago dovette vendere l’agenzia e chiedere il pensionamento anticipato per sua moglie. Grazie ai risparmi accantonati poté dedicarsi alla moglie corpo e anima fino a quando anche lui ottenne la pensione. Arrivò un momento in cui Anita non riconosceva più nessuno, nemmeno suo figlio. Tuttavia, Santiago non si scoraggiò e continuò a coccolare e a badare alla moglie con dedizione. Ben presto si rese conto che per fare uscire la moglie di casa doveva comprarle una sedia a rotelle. Da allora il pomeriggio Santiago girella per il paese e prima di rientrare si ferma nella piazzetta.

Molti giorni al tramonto passo apposta per la piazza per incontrare Adela, Mario, Anita e Santiago.
Ho notato che Adela e Santiago si sforzano per consolare Mario della morte della moglie, seppellita due settimane prima.

Poi che Adela è incoraggiata dai due uomini ad andare a fare il bagno al mare e aggrapparsi saldamente alla corda che i bagnini hanno predisposto, in modo che gli anziani possano bagnarsi in sicurezza. E infine che Mario e Adela, prima di rincasare si occupano per qualche minuto di Anita, le parlano e le accarezzano il viso, così Santiago, può sedersi e smettere di preoccuparsi per la moglie.

Al tramonto dell'ultimo giorno di vacanza siamo andati a salutare mio fratello e mia cognata. Il gruppo bizzarro di vicini come ogni sera era seduto sulla solita panchina.
Ci siamo avvicinati
e dopo avere salutato tutti, ho domandato ad Anita:
- Ti piace stare
con noi nella placeta?
- Sì, molto, ha detto lentamente, pronunciando le due parole in modo pastoso.
- Anche a me piace molto stare con te nella
placeta, dissi prendendole le mani tra le mie.
Poi Anita sorrise.