martedì 10 dicembre 2019

Invito a colazione











Doriana era invidiosa di Ida, come lo era stata delle sue sorelle e della sua amica del cuore. Fin da piccola le era è piaciuto comandare: essendo nata quando i genitori erano ormai anziani, le era stato tutto consentito. Non vi racconto la delusione che provò quando non riuscì a vincere un concorso all'Università: si vedeva già ad occupare un posto di comando. Per essere indipendente economicamente cominciò a fare supplenze nelle Scuole Medie. L’unica cosa che le piaceva era interrogare gli alunni:
- Voi non capite niente, urlava al povero torturato di turno.
A casa quando correggeva i compiti, la sua grande soddisfazione era sottolineare in rosso gli errori.
Grazie all'eredità di una anziana zia comprò un appartamento in città. Appena entrò di ruolo come insegnante, prese un'aspettativa di un anno, per poter lavorare come collaboratrice in una piccola casa editrice. In quel periodo le mancavano un po’ gli studenti con cui poter sfogare il suo odio verso il mondo, così ingiusto con lei. Si lamentava spesso, non solo del lavoro, ma anche degli uomini che frequentava:
- Sono tutti sfigati, diceva.
Una mattina Doriana litigò ferocemente con uno dei suoi capi, la sera era talmente arrabbiata col mondo che perse la testa e buttò fuori di casa l’unico uomo che forse l’aveva amato. L’indomani fu licenziata e l’uomo a cui lei teneva tanto non si fece più vivo, né quel giorno né mai più.
Dopo la breve esperienza lavorativa rientrò a scuola e si rassegnò a insegnare per tutta la vita.
Ida e suo marito conobbero Doriana il giorno del trasloco:
- Buon giorno, sono Ida la nuova vicina del terzo piano.
- Io sono Doriana. Quanti siete voi? Domandò Doriana con un tono un po’ arrogante.
- Siamo in cinque, la nostra casa era diventata troppo piccola, dopo la nascita del terzo figlio.
- Tre figli! Disse Doriana sconvolta, temendo che la sua quiete sarebbe finita.
Doriana cominciò subito a odiare Ida e i tre figli. Il pomeriggio, quando i bambini, rientrando dalla scuola, correvano o lasciavano cadere sul pavimento qualche giocatolo, Doriana era pronta a prendere il palo della scopa e a batterlo contro il soffitto.
- La volete smettere di fare baccano, urlava come impazzita.
Una mattina un rumore insolito svegliò Doriana, la quale indossò l'accappatoio e salì in fretta le scale.
Appena Ida aprì la porta, Doriana l’aggredì dicendo:
- Siete pazzi a fare tutto questo chiasso all'alba, io vi denuncio.
- Quale rumore? I bambini sono fuori col babbo. Forse ti ha dato fastidio il rasoio elettrico che uso per depilarmi le gambe? Ti sei resa conto che sono quasi le dieci del mattino? Rispose Ida, piuttosto innervosita.
- Anche se fossero le dieci, fatte lo stesso troppo rumore, disse Doriana scendendo le scale.
Gli anni passarono in fretta e presto i tre figli di Ida se ne andarono di casa, chi per lavoro, chi per studio. Doriana fece un sospiro di sollievo quando cessarono i rumori fastidiosi al piano di sopra. Ma nemmeno il silenzio le diede pace, era diventata insofferente verso chi le stava intorno; in quel periodo decise di anticipare la pensione per non avere più a che fare con alunni e colleghi, i quali negli ultimi anni le erano diventati estremamente noiosi.
Il primo inverno da pensionata fu terribile per lei. La mattina girava smarrita per le stanze di casa in vestaglia, solo una volta la settimana, verso mezzogiorno, si vestiva e usciva a fare la spesa e a sbrigare commissioni.
Un giorno Doriana incontrò Ida nell'androne del palazzo.
- Come stai, adesso che sei in pensione? Le domandò Ida.
- Male, mi manca la scuola, le uscì di bocca, prima di rendersi conto di quello che stava dicendo.
- Forse potresti fare un po' di volontariato, le propose Ida sorridendo.
- Non ci penso nemmeno, rispose Doriana con una voce stridula e insofferente che denotava una sorta di odio verso tutte le persone che vedeva felici e spensierate.
Ida invece non ci fece caso a quella brutta smorfia di Doriana e disse:
- Vuoi venire domani a colazione da me? Ho invitato altre due vicine del condominio di fronte, sono un po' più vecchie di noi, ma simpatiche e arzille.
- Grazie, ma non credo di farcela. Controllerò i mie impegni e ti farò sapere più tardi, rispose Doriana.
Mentre saliva le scale si domandò:
- Come farà Ida a essere sempre così affabile e disponibile?
Il pomeriggio si arrovellò per decidere se accettare o meno l’invito; da una parte non voleva avere niente a che fare con le vecchiette, ma dall’altra si sentiva così triste, al pensiero di stare di nuovo la mattina da sola, che alla fine inviò un messaggio a Ida confermando la sua presenza.
L'appuntamento era alle dieci, Doriana si vestì con cura e salì al terzo piano.
Le due vedove ottantenni erano già sedute intorno al tavolo, Ida stava preparando il tè e sistemando una piantina che le donne le avevano portato.

Mentre prendevamo il tè parlarono, prima del quartiere dove abitavamo e dei disastri dell'alluvione del '66, poi le due donne cominciarono a raccontare di sé: si rammaricarono di non essere riuscite ad abitare da sole con i loro mariti, essendo i soldi pochi, erano state costrette a vivere in casa con i suoceri.

- Mia suocera aveva un brutto carattere, mi odiava, era gelosa di me, inoltre per risparmiare non voleva riscaldare la casa. Quando è nata mia figlia temevo il peggio e ho dovuto comprare una stufetta di nascosto, disse Fiorenza la più vispa.
- Anche mio suocero ci  rendeva la vita impossibile: la sera arrivava ubriaco e picchiava la moglie, a volte vomitava in cucina e io dovevo pulire, disse Frida con una voce debole, dovuta sia alla timidezza che alla sua salute cagionevole.

Ida ascoltava con interesse i racconti delle vicine, Doriana all’inizio si sentiva a disagio, ma ben presto cominciò a fare domande alle vicine, forse perché si vide in un futuro vicino anziana e sola.
- Quando morì mio marito mi chiusi in casa e non volevo più uscire. Mia figlia si era da poco sposata, ma non potevo mica farla ritornare a casa. Meno male che Frida venne a trovarmi con la sua canina e mi convinse a prendere un cane. E stata la cosa più intelligenti che io abbia fatto. Furia, la mia cagna, mi costrinse a uscire di casa due volte al giorno, disse Fiorenza.

Dopo l’invito a colazione, Doriana si sforzò a uscire di casa più spesso, un giorno andò a trovare Fiorenza nella biblioteca del quartiere dove la donna andava a leggere e a prendere libri in prestito, un altro giorno si recò al centro sociale che frequentava Frida, dove, tra le altre cose, due volte la settimana, c’era la raccolta e ripartizione di cibo alle famiglie bisognose e piano piano smise di provare odio verso tutti quelli che credeva più fortunati di lei.










sabato 16 novembre 2019

Lodazales - Fangaie












Era domingo, Silvia se despertó de madrugada, pues tenía los pies fríos. A pesar de que fuera noviembre, los días eran templados, por eso aún no había puesto el edredón en la cama, seguía con una manta ligera y poco cálida. Cogió un chal de lana que había en la silla de su cuarto y se lo puso encima de la colcha. Sus pies se le fueron calentado y se volvió a dormir. Hacia las ocho abrió los ojos y vio la luz tenue que entraba por la persiana entreabierta.

Se levantó contenta por el día soleado casi sin nubes, no se lo esperaba, pues las previsiones meterológicas para aquel fin de semana eran pésimas.
Miró a Pietro, su marido, que estaba dormido. Encendió la lamparita, la puso en el suelo para que a él no le molestara la luz y empezó a leer un relato. 

Era la historia de una muchacha que vivía con su marido, unos quince años mayor que ella, en una granja, donde hospedaban y alquilaban caballos, además de dar clases de equitación, pero la lluvia incesante de aquellos días había alejado a muchos clientes. El marido a veces era áspero e intratable, sin embargo en aquella época de lluvias su mal humor creció exponencialmente a causa de las deudas que se le iban acumulando. Ella no tenía acceso a la cuenta bancaria, tampoco tenía dinero efectivo para hacerse una nueva vida lejos de la granja. No soportaba más al marido que cada día la despreciaba y maltrataba verbalmente. Para ganar algo se ocupaba de los quehaceres doménticos de la casa rural que lindaba con su finca. Una mañana mientras limpiaba los cristales de las ventanas de la vecina se puso a llorar. Cuando se apaciguó le contó sus penas a la señora, quien le dijo que intentaría ayudarla para que se fugara de casa, pues tenía una amiga en Toronto  que podía darle cobijo hasta que encontrara un nuevo empleo. Llovía sin cesar, el terreno estaba lleno de lodo. Para tranquilizar a los caballos y darse sosiego, los sacaba de la cuadra un par de veces al día, cuando regresaba estaba calada de pies a cabeza y aún estaba más triste.

La vida de Silvia a menudo se mezclaba con las historias de los personajes de los libros que leía, aquella mañana mientras imaginaba las huellas de los caballos en los lodazales, pensó que le apetecería ir a caminar por la senda del río, para olvidar tanta lluvia y tanto barro. Cerró el libro antes de que la protagonista huyera a Toronto.
A veces iba a caminar sola, otras con dos amigas, pero casi nunca con Pietro. Él desde que estaba jubilado se había vuelto un ciclista empedernido, salía a dar una vuelta dos veces por semana, los jueves y los domingos. Pero aquel día el grupo de aficionados no salió por el mal tiempo anunciado.

Silvia se levantó, se preparó un té verde y se puso a desayunar leyendo el periódico del día anterior. A Silvia le encantaba tomar dos o tres tazas de té, un par de tostadas con mermelada de naranja y algunas galletas de harina integral.
Hacia las nueve Pietro se levantó y desayunó con ella. Silvia le contó que le gustaría ir andando por la senda del río.
- Si me esperas iré contigo, dijo Pietro.
- Vale. Ojalá no llueva ¿Salimos dentro de media de hora? ¿Qué te parece? Le preguntó Silvia a su marido.
Silvia se asomó por la ventana del salón y vio que el cielo estaba limpio, pero hacia las montañas del Appennino se divisaban nubes negras.
- Muy bien, dentro de poco estaré listo. Coge uno de mis chalecos amarillos, que son muy buenos para la lluvia, le contestó él.

Salieron de casa hacia las diez. Mientras sus pies se movían rápidamente, sus ojos miraban las aguas del río, que tras las lluvias torrenciales de los días anteriores corrían turbulentas y de sus bocas iban saliendo palabras y más palabras. En casa hablaban poco, en cambio cuando se desplazaban en coche, en tren o iban andando no paraban de charlar. Tocaron temas de actualidad, pero sobre todo de la vida cotidiana, hablaron largo rato de lo mucho que les gustaría invitar a unos amigos a cenar, de lo qué harían para las fiestas de Navidad, de los dos hijos treintañeros, de quien llegaría antes y de quien luego se volvería a marchar y de que les encantaría hacer un viaje por el sur de Italia o por Marruecos.
Ya fuera de la ciudad, siguiendo la senda que corría a lo largo del río, divisaron a un pescador que con su caña había atrapado a una carpa, que luego la soltó al agua. Pietro le tiró una foto a la carpa gigante antes de que volviera al río.
Hacia las once y media llegaron a un pueblecito a unos siete kilómetros de Florencia. La vuelta fue más rápida, aceleraron el ritmo viendo que los nubarrones iban creciendo. Cuando estaban a punto de llegar a casa se puso a llover. Entonces empezaron a correr, pero se mojaron bastante a pesar de los impermeables amarillos que llevaban.

En primer lugar se duchó Pietro, Silvia encendió la radio y preparó una rica ensalada mixta con semillas de girasol, de sésamo y de calabaza. Hacía tiempo que tenían la  costumbre de usar semillas porque sabían que eran muy saludables e indispensables para compensar su falta de proteínas  debido a la dieta sin carne que seguían.

Luego Silvia se fue a duchar y entre tanto Pietro descorchó una botella de vino tinto y puso la mesa con esmero.
Mientras el agua se deslizaba por su cuerpo, Silvia pensó que aquella tarde lluviosa era ideal para ir al cine. Recordó los domingos de su adolescencia, cuando iba con sus amigas del barrio a ver dos películas seguidas. La sesión empezaba a las cinco, primero ponían la película mala, la de reestreno, a veces en blanco y negro; la segunda, la buena, era de estreno. A Silvia le gustaban casi siempre las dos.
Las chiquillas charlaban sin parar, a menudo se peleaban y reñían con los niños, quienes solían sentarse en la fila de atrás y no dejaban de hacerles bromas y tirarles cáscaras de pipas. Armaban un gran barullo en el descanso, que ellos llamaban media parte. Silvia se aislaba de todo aquel jaleo y no se distraía ni un minuto, se ensimismaba sumergiéndose en la historia de las películas.
La sala estaba envuelta en una capa de humo, pues los chicos mayores fumaban cigarrillos de tabaco negro que compraban en la tienda de Lola, la dueña del estanco y la madre de una de las mejores amigas de Silvia. Alguna que otra tarde al salir del colegio las dos niñas se metían detrás del mostrador para repostar paquetes y cartones de tabaco en las estanterías. A Silvia le encantaba ir a la tienda porque mientras colocaba el tabaco iba observando a los fumadores que entraban y compraban, picadura, papel de fumar, puros o cigarrillos sin filtro. Los clientes más adinerados compraban una cajetilla de cigarrillos rubios, a quienes Lola les regalaba una cajita de cerillas.
En el suelo de la sala iba creciendo una alfombra de cáscaras de pipas, y cacahuetes, palos chupados de regaliz, trozos de piruletas, papeles de caramelos y demás envoltorios de golosinas. Bartolo era el hombre de la pierna de palo, vendía toda clase de chucherías. Cada domingo Bartolo y su mujer se ponían en una esquina de la plaza mayor con su carrito de madera, repleto de golosinas. Por la mañana las vendían a los niños que salían de misa y por la tarde a los que iban al cine.

Silvia seguía en la ducha, no se decidía a cerrar el grifo del agua caliente y a abrir la manpara, porque se delieitaba pensando en las tardes de cine de su infancia. Se acordó de un domingo de cine entrañable. Pusieron una vieja película del oeste que les encantó a todos, la segunda fue, según los muchachos, un rollo, por eso toda la pandilla salió del cine antes de que terminara, en cambio Silvia no quiso marcharse y se quedó sola sentada en una butaca de la tercera fila.
Era una película italiana, cuyo título era El incomprendido. Se acordó poco a poco de la historia: tras la enfermedad y muerte de la madre, el padre centraba su atención en el hijo pequeño, descuidando totalmente al mayor, el protagonista, a quien no lo entendía y lo trataba exageradamente como un adulto. El niño era muy sensible y pasaba muchas horas solo en el jardín encima de un árbol.
Silvia salió de la ducha, se abrochó el albornoz y se enrolló una toalla en la cabeza, luego conectó el ordenador, en busca de la película del niño triste y descubrió que la rodaron en 1966. Pensó en que quizás la obra llegara a España en 1967, cuando ella tenía 11 años. Trasladándose cincuenta años atrás, se estremeció al verse llorando en la oscuridad del cine para que nadie la viera.

- ¿Por qué me conmovió tanto aquella historia? Se preguntó.
Luego fue pensando en la misteriosa enfermedad pulmonar de su madre, que todos pronunciaban en voz baja. Se prometió que cuando volviera a ver a su hermana mayor o la llamara, le preguntaría cosas de los años de su infancia, en los que su madre guardaba cama, tras el nacimiento de su hermanito y la enfermedad innombrable. Recordaba sólo que cada día iba Rosita, una señora rechoncha, que hacía la comida, lavaba los platos y limpiaba toda la casa. El padre contrató también a Fuensanta, una monja que se ocupaba de la enferma y del bebé. Silvia tenía unos cinco años, se acordaba poco de aquella época de pesadumbre, que duró largos meses, pero aún tenía grabada la cara de pena de aquellas dos mujeres.

Se vistió, cogió el periódico y leyendo la cartelera, se dio cuenta de que en un cine, no muy lejos de casa, al que podían ir a pie, ponían dos películas interesantes.
- ¿Te apetecería ir al cine esta tarde? Ponen dos películas buenas, a las cuatro una más intimista y a las seis una de acción. Le preguntó Silvia a Pietro, mientras comían la ensalada.
- La primera sesión empieza demasiado pronto, prefiero ir a las seis a ver la película de acción, respondió él.
Quedaron en que a las cuatro iría ella a ver la película, La vita invisibile di Erudice Gusmao, basada en una novela de una escritora brasileña y que luego, a las seis, él la alcanzaría para ver juntos la película de acción.
A Silvia le gustó la idea de ir al cine a ver dos películas como cuando era pequeña.
Se asomó por la ventana y se dio cuenta de que llovía a cántaros, pero no se desanimó, se puso las botas con la suela de goma gruesa, la gabardina, la boina y cogió el paraguas más grande que tenía.
Hacia el final de la película, mientras le descendía una lágrima por la mejilla, oyó que su móvil vibraba en el bolso.
Dejó que el teléfono sonara, pues quería saborear la última parte de la historia. Mientras estaba leyendo los títulos de crédito entró su marido en la sala. La besó. A Silvia aquel encuentro en el cine le causó alegría. Él se sentó a su lado y al cabo de poco ella se acordó del móvil. Tenía un mensaje que decía:
- Mamá he pasado por casa para recoger la mochila grande, la necesito para mañana, pero no hay nadie ¿Cuándo vais a volver?
Le leyó el mensaje al marido, que le dijo:
- ¡Qué nos espere, podía haber avisado antes!
A Silvia le sabía mal dejar al hijo a la intemperie, con el tiempo tan malo que hacía, pero tampoco le apetecía abandonar a su marido recién llegado, además jamás se había  escabullido de un cine. Mientras se preguntaba qué es lo que quería realmente, tomó su decisión:
- ¿Y si me marchara? Acabo de ver una película preciosa, la que ponen ahora no me atrae para nada, se dijo.
- Me voy a casa. Luego te cuento, le susurró a Pietro mientras se estaban apagando las luces.

La lluvia seguía cayendo cuando Silvia salió del cine. Se fue caminando deprisa por las calles desiertas, cobijada bajo su paraguas. Cuando llegó a casa, su hijo, la estaba esperando en la puerta y en seguida la besó agradeciéndole que se hubiera sacrificado por él.
- He perdido las llaves de vuestro piso, le dijo el chico.
- No te preocupes haremos una copia de mi juego de llaves, pero tenías que habernos avisado que esta tarde aparecerías por casa, le contestó Silvia.
El chico cogió la mochila y se fue corriendo pues había quedado con unos amigos.
Cuando volvió Pietro, Silvia le contó las peripecias del hijo y luego le preguntó:
- ¿Qué tal la película?
- Menos mal que no te has quedado, has acertado en marcharte, la película no te hubiera gustado nada, a mí tampoco me ha convencido, le dijo él.
Pietro empezó a poner la mesa, luego preparó rebanadas de pan con tomate y albahaca y las colocó en una bandeja con lonchas de queso y trozos de tortilla de patatas del día anterior. Cuando terminaron de cenar Silvia se sentó en el sofá, retomó su libro de relatos y se sumergió en la historia de los lodazales.


Fangaie
Era domenica, Silvia si svegliò all'alba, perché aveva i piedi freddi. Sebbene fosse novembre, i giorni erano miti, per questo non aveva ancora messo la trapunta sul letto, che aveva solo una coperta leggera e poco calda. Prese lo scialle di lana che era appoggiato sulla sedia e lo mise sul copriletto. I suoi piedi si riscaldarono subito e si riaddormentò. Intorno alle otto aprì gli occhi e vide la luce che entrava dalla persiana semiaperta.

Si alzò contenta per la giornata di sole che non si aspettava, dato che le previsioni del tempo per quel fine settimana erano pessime.
Guardò a lungo Pietro, suo marito, che ancora dormiva. Accese la lampada del comodino, poi la posò sul pavimento in modo che lui non fosse disturbato dalla luce e cominciò a leggere un racconto; era la storia di una ragazza che viveva con il compagno, circa quindici anni più grande di lei, in una fattoria, dove tenevano e affittavano cavalli, oltre che a insegnare a cavalcare, ma la pioggia incessante di quei giorni aveva allontanato molti clienti. L'uomo a volte era ruvido e intrattabile, tuttavia in quella stagione delle piogge il suo cattivo umore era cresciuto in forma esponenziale a causa dei debiti che stava accumulando. Lei non aveva accesso al conto corrente bancario e non aveva neppure risparmi per poter rifarsi una nuova vita lontano dalla fattoria. La ragazza non sopportava più l'uomo per cui aveva lasciato la sua famiglia, che ogni giorno la disprezzava e la maltrattava verbalmente. Per guadagnare un po' soldi, si prese cura delle faccende domestiche della casa rurale che confinava con la loro tenuta. Una mattina mentre puliva i vetri delle finestre della vicina di casa, cominciò a piangere. Quando si calmò, raccontò alla donna i suoi guai, la padrona di casa le disse che avrebbe cercato di aiutarla a fuggire, dato che aveva un'amica a Toronto che poteva ospitarla fino a quando non avesse trovato un nuovo lavoro. Pioveva incessantemente, la terra era diventata un'immensa fangaia con alcuni tratti paludosi. Per trovare un po' di calma la ragazza portava i cavalli fuori dalla stalla un paio di volte al giorno, ma quando rientrava, zuppa d'acqua, era ancora più triste.

La vita di Silvia si mescolava spesso con le storie dei personaggi dei romanzi che leggeva, quella mattina mentre immaginava le orme dei cavalli nelle fangaie, pensò che le sarebbe piaciuto fare una passeggiata lungo il sentiero del fiume, per dimenticare tanta pioggia e tanto fango. Chiuse il libro prima che la protagonista fuggisse verso Toronto.

Spesso Silvia andava a camminare da sola, qualche volta con due amiche, ma quasi mai con Pietro. Lui era diventato un vero ciclista da quando era in pensione, percorreva una sessantina di chilometri due volte a settimana, il giovedì e la domenica. Ma quel giorno il gruppo di ciclisti non si era dato appuntamento a causa del brutto tempo annunciato.
Silvia si alzò dal letto, preparò un tè verde e iniziò a fare colazione mentre leggeva il giornale del giorno prima. A Silvia piaceva prendere con calma due o tre tazze di tè con un paio di fette biscottate con marmellata di arance e alcuni biscotti integrali.
Verso le nove si alzò anche Pietro e fece colazione con lei. Silvia gli fece sapere che aveva deciso di andare a camminare lungo il sentiero del fiume.
- Se mi aspetti, verrò anch'io, le rispose Pietro.
- Ti aspetto volentieri, sono contenta che tu venga con me. Spero che non piova. Partiamo tra mezz'ora? Che ne pensi? Domandò Silvia al marito.
- Perfetto, sarò pronto tra un attimo; forse sarebbe meglio prendere i giubbotti gialli quasi mai piovesse, rispose lui.
Silvia si affacciò dalla finestra del soggiorno e vide che il cielo era limpido, ma verso l'Appennino si intravedevano alcune nuvole nere.

Partirono di casa verso le dieci. Le acque del fiume scorrevano turbolente, dopo le copiose piogge dei giorni precedenti. I loro piedi si muovevano rapidamente, mentre dalle loro bocche uscivano parole e ancora più parole. A casa parlavano poco, ma quando si muovevano in auto, in treno o a piedi non smettevano di chiacchierare. Appena si misero in cammino parlarono di argomenti di attualità, ma subito dopo passarono a quelli della vita di tutti i giorni: Silvia propose di invitare amici a cena il prossimo fine settimana; poi entrambi si posero il problema di come avrebbero organizzato le feste di Natale, dopo l'arrivo dei due figli trentenni. Ripassarono le date degli arrivi e quelle delle partenza e parlarono anche di voler fare un viaggio per il sud Italia o in Marocco.
Già fuori città, seguendo il sentiero che costeggiava il fiume, avvistarono un pescatore il quale con la sua canna aveva catturato una carpa, che poi gettò in acqua. Pietro scattò una foto al pesce gigante prima di essere ributtato al fiume.
Verso le undici e mezzo raggiunsero la loro meta, un paesino a circa sette chilometri da Firenze. Il ritorno fu più veloce, cominciarono ad accelerare il passo vedendo che le nuvole stavano crescendo. Quando mancava poco per arrivare a casa cominciò a piovere e loro iniziarono a correre, ma si bagnarono un po' nonostante gli impermeabili gialli che indossavano.
Pietro fece per primo la doccia, Silvia si tolse i vestiti bagnati, accese la radio e preparò una ricca insalata mista con semi di girasole, sesamo e zucca. Avevano da tempo l'abitudine di aggiungere semi alle pietanze perché sapevano che facevano bene alla salute, soprattutto per compensare la mancanza di proteine della loro dieta senza carne.

Dopo Silvia andò a fare la doccia e nel frattempo Pietro stappò una bottiglia di vino rosso e apparecchiò con cura la tavola.
Mentre l'acqua scivolava sul suo corpo, Silvia pensò che quel pomeriggio piovoso fosse ideale per andare al cinema. Ricordava le domeniche della sua adolescenza, quando andava con gli amici del quartiere a vedere due film, uno dietro l'altro. Lo spettacolo iniziava alle cinque in punto, prima davano un film vecchio, a volte in bianco e nero, dopo quello recente. A Silvia piacevano quasi sempre entrambi.
Le ragazze chiacchieravano ininterrottamente, spesso litigavano con i maschi, che erano seduti di solito nella fila di dietro. I ragazzi non smettevano di fare battute e di lanciare alle ragazze bucce di girasole. Facevano un gran baccano soprattutto durante l'intervallo. Silvia si isolava da tutto quel rumore e non si distraeva nemmeno un minuto, da quanto era coinvolta nella storia del film.
La sala era avvolta da uno strato di fumo, che proveniva dalle numerose sigarette che fumavano i ragazzi più grandi. Le acquistavano nell'unica tabaccheria del paese, la cui proprietaria era Lola, la madre di una delle migliori amiche di Silvia. Qualche pomeriggio, all'uscita della scuola, le due ragazze si davano da fare dietro il bancone per sistemare le scatole di sigari e i pacchetti di sigarette sugli scaffali. A Silvia piaceva andare al negozio perché mentre metteva i pacchi a posto guardava i fumatori che entravano e compravano tabacco sfuso, cartine, sigari o sigarette senza filtro. I clienti migliori acquistavano vari pacchetti di sigarette bionde, a cui Lola regalava una piccola scatola di fiammiferi.
Sul pavimento della sala cinematografica cresceva un tappeto di bucce di semi di girasole e di arachidi, bastoncini di liquirizia, pezzi di lecca-lecca, carte di caramelle o altri involucri di dolciumi vari. Bartolo, l'uomo della la gamba di legno, vendeva tutti i tipi di chicche. Ogni domenica Bartolo e sua moglie posizionavano il loro carro di legno, pieno di leccornie in un angolo della piazza principale. Al mattino vendevano caramelle ai bambini che uscivano dalla Messa e nel pomeriggio a quelli che andavano al cinema.

Silvia, ancora sotto la doccia, non si decideva a chiudere il rubinetto dell'acqua calda, perché era felice ripensando ai pomeriggi cinematografici della sua infanzia. Ricordò una domenica speciale. Davano per primo un vecchio film western che aveva soddisfatto tutti, il secondo film non piacque molto alla comitiva, che lasciò il cinema prima della fine; invece Silvia non volle andarsene, rimase da sola seduta su una poltrona della terza fila.
Era un film italiano, il cui titolo era L'incompreso. Piano piano ricordò la storia: dopo la malattia e la morte della madre, il padre focalizzò la sua attenzione sul figlio piccolo, trascurando completamente il maggiore, il protagonista, che non capiva e trattava esageratamente da adulto. Il ragazzo triste era piuttosto sensibile e trascorreva molte ore da solo nel giardino in cima a un albero.
Silvia uscì dalla doccia, si allacciò l'accappatoio e si arrotolò un asciugamano sopra la testa, poi accese il computer, per cercare notizie sul film del ragazzo triste ed scoprì che era stato girato nel 1966. Pensò che fosse arrivato in Spagna verso il 1967, quando lei aveva undici anni. Tornando indietro di cinquant'anni, rabbrividì nel vedersi piangere nell'oscurità del cinema per non esser vista da nessuno.

- Perché quella storia la commosse così tanto? Si domandò.
Poi pensò alla misteriosa malattia polmonare di sua madre, che tutti pronunciavano a sotto voce. Si promise che quando avrebbe visto di nuovo sua sorella maggiore o l'avesse chiamata, le avrebbe chiesto tanto cose su gli anni della loro infanzia, in cui sua madre era costretta a stare a letto, dopo la nascita del fratellino e la comparsa dell'innominabile malattia. Ricordava solo che ogni giorno Rosita, una signora paffutella, arrivava la mattina per pulire la casa, cucinare e lavare i piatti. Il padre assunse anche Fuensanta, una suora che si prese cura della malata e del bambino. Silvia aveva circa cinque  anni, ricordava poco di quel periodo doloroso, che durò lunghi mesi, ma aveva ancora in mente lo sguardo compassionevole delle due donne.

Si vestì, prese il giornale e cercò il cartellone, subito si rese conto che in un cinema, dove potevano recarsi a piedi, davano due film interessanti.
- Ti piacerebbe andare al cinema questo pomeriggio, ci sarebbero due bei film, uno più intimista alle quattro e uno di azione alle sei? Domandò Silvia a Pietro mentre mangiavano l'insalata.
- Il primo spettacolo inizia troppo presto, preferisco andare alle sei, rispose lui.
Concordarono che alle quattro sarebbe andata lei a vedere il film, La vita invisibile di Erudice Gusmao, basato su un romanzo di una scrittrice brasiliana e poi, alle sei, lui l' avrebbe raggiunta per vedere insieme il film d'azione.
A Silvia piacque l'idea di andare a vedere due film come quando era piccola.
Si affacciò dalla finestra e si rese conto che pioveva a dirotto, ma non si scoraggiò, si mise gli stivali con la spessa suola di gomma, l'impermeabile, il berretto e prese l'ombrello più grande che aveva.
Verso la fine del film, mentre una lacrima le scorreva lungo la guancia, sentì il cellulare vibrare nella sua borsa.
Lasciò squillare il telefono, perché voleva godersi l'ultima parte della storia. Mentre stava leggendo i titoli di coda, suo marito entrò nella sala. A Silvia quell'incontro al cinema suscitò allegria. Lui si sedette accanto a lei, dopo qualche minuto lei si ricordò del cellulare.
Aveva un messaggio che diceva:
- Mamma, sono venuto  da voi a prendere lo zaino grande, ne ho bisogno per domani, ma non ho trovato nessuno. Quando tornerai?
Lesse il messaggio al marito, il quale disse:
- Io gli direi di aspettarci, avrebbe potuto avvisarci prima!
A Silvia dispiaceva lasciare il figlio all'aperto, con quel brutto tempo, ma d'altro canto non aveva voglia di abbandonare suo marito, appena arrivato, inoltre non era mai scappata via da un cinema. Mentre si chiedeva cosa volesse fare davvero, prese la sua decisione:
- E se me ne andassi? Ho appena visto un film bellissimo, quello che comincerà adesso non mi interessa molto, si disse.
- Vado a casa. Poi ti racconterò, sussurrò all'orecchio di Pietro mentre le luci si stavano spegnendo.

Non aveva ancora smesso di piovere quando Silvia uscì dal cinema. Camminò rapidamente per le strade deserte sotto l'ombrello. Quando arrivò a casa, suo figlio, che la stava aspettando alla porta, l'abbracciò ringraziandola per esserci sacrificata per lui.
- Ho perso le chiavi del vostro appartamento, disse il ragazzo.
- Non ti preoccupare, faremo una copia del mio mazzo, ma piuttosto avresti dovuto dirci prima che avevi intenzione di venire questo pomeriggio, rispose Silvia.
Il ragazzo si scusò di nuovo, prese lo zaino e se ne andò in fretta e furia perché aveva un appuntamento con degli amici.
Quando Pietro tornò, Silvia gli raccontò le disavventure del figlio e poi gli domandò:
- Com'era il film?
- Meno male che non sei rimasta, non ti sarebbe piaciuto per niente, non ha convinto nemmeno me, rispose lui.
Pietro iniziò a apparecchiare, poi preparò delle fette di pane con pomodoro e basilico e le mise in un vassoio con pezzettini di formaggio e di tortilla di patate che avevano fatto il giorno prima. Quando finirono di cenare, Silvia si sedette sul divano, riprese il suo libro e si immerse di nuovo nella storia delle fangaie.









venerdì 1 novembre 2019

L'appuntamento del giovedì












Quasi tutti a volte ci sentiamo in colpa per qualcosa, anche per delle piccolezze. A Elisa, soprattutto la sera quando arrivava a casa dall'ufficio, succedeva di colpevolizzarsi per i contrattempi, le avversità, i dispiaceri e tutto ciò che le era andato storto durante la giornata.
- Sono stressata, ho spesso mal di testa, colpa mia, perché avrei dovuto saper dire di no a certi incarichi di lavoro che non sono di mia competenza. Sono ingrassata, colpa mia, perché ingoio velocemente il cibo e mangio troppo pane. Faccio una vita sedentaria, colpa mia, perché sono diventata pigra e non riesco ad andare regolarmente in palestra. Se non coltivo le amicizie è sempre colpa mia, si diceva quando era veramente stanca, si diceva.

Ma la mattina appena alzata, dopo una bella dormita, i suoi sensi di colpa si affievolivano un po' e cercava di convincersi che tante volte la colpa non era di nessuno o addirittura degli altri.
Aveva superato da poco la sessantina. Era vedova da dieci anni. Durante i primi anni di vedovanza aveva continuato a uscire con gli amici di sempre, quasi tutte coppie. Loro l'avevano quasi adottata e non veniva mai lasciata da sola durante le feste o il fine settimana, ogni sabato sera la invitavano a cena nelle loro case o in trattoria. Elisa usciva per inerzia, voleva bene agli amici, ma ogni settimana le pesava di più uscire con loro, perché tutto girava intorno alla vita di coppia e lei si sentiva più sola che mai.
Oltre alla compagnia e all'amore incondizionato che le aveva regalato il premuroso marito, le mancavano i lunghi viaggi che una volta all'anno facevano insieme. Aveva provato a viaggiare con un gruppo di colleghe di lavoro, ma non era la stessa cosa, non sentiva più quella felicità che provava col marito scoprendo nuovi orizzonti.

Ogni giovedì, da quando era rimasta vedova, la chiamava Carlo, che era stato il miglior amico di suo marito e le diceva:
- Ti andrebbe bene se oggi verso le cinque io venissi a trovarti? Dovrei passare dalle tue parti.
Elisa sospettava che il marito, prima di morire, avesse chiesto all'amico di avere cura di lei e quindi Carlo gli aveva promesso che ogni settimana sarebbe andato a trovarla. Il primo giorno che si incontrarono le sembrò strano trovarsi da sola davanti a Carlo, ma poi si abituò a quelle visite settimanali.
Prendevano un caffè mentre chiacchieravano delle loro vita quotidiana. Elisa cominciava sempre a raccontare dei figli, che nel frattempo si erano sposati, poi delle piccole soddisfazioni che le davano i nipotini, non mancavano le lamentele verso alcuni colleghi di lavoro, alla fine rammentava il marito scomparso, ma quasi mai menzionava la lunga malattia causata dal brutto tumore polmonare diagnosticato troppo tardi. Invece Carlo diceva poco della propria famiglia, parlava più volentieri del lavoro.
Elisa si sentiva con lui a suo agio, come se fosse un fratello maggiore, le raccontava dei suoi sensi di colpa. Lui era un uomo pratico e trovava sempre la soluzione ai problemi di Elisa.
Carlo era sposato, aveva due figli ormai grandi, lavorava come direttore in un hotel di cinque stelle e sembrava contento della propria vita. Elisa si chiedeva come mai un uomo così impegnato trovasse il tempo di andare da lei ogni settimana.
Carlo non era mai mancato all'appuntamento, tranne che poche volte, quando era malato e quando andava in vacanza o era in viaggio, ma sempre avvisava il giorno prima con una telefonata.
A lui piaceva poco parlare di se stesso, per questo dopo che Elisa aveva esaurito i suoi argomenti preferiti lui cominciava a dire:
- In un albergo succedono tante cose bizzarre, alcune sono veramente buffe.
Quindi ogni settimana la faceva ridere con aneddoti degli ospiti e del personale dell'albergo. Uno degli ultimi giorni in cui Carlo andò a trovarla le raccontò questa storia:

L'altro giorno sono venuti nel mio ufficio due ultra ottantenni con la coda tra le gambe. Non sapevano come dirmi che si erano un po' agitati sul letto, il quale era letteralmente sprofondato. L'uomo ancora robusto nonostante l'età era quello che parlava, la donna stava zitta e no osava nemmeno guardarmi. Chi sa cosa era successo in quella stanza, mi sono detto, ma non ho dato importanza alla cosa, anche perché avevamo già previsto che le spalliere e le strutture in legno dei letti antichi fossero restaurate e rinforzate,  quindi ho fatto sistemare loro in un'altra camera. I due vecchietti il giorno in cui sono partiti mi hanno ringraziato per la discrezione e mi volevano dare una lauta mancia, ma io non ho accettato. L'uomo, quando la donna è andata a chiamare un tassi, mi ha detto a bassa voce che nonostante l'età avevano una vita sessuale molto intensa.

Elisa, viveva da sola in una casa piuttosto grande. Era la villetta che il marito, aveva fatto costruire nella zona alta della città, quando la loro posizione economica era migliorata. Appena sposati si erano accontentati di un piccolo appartamento, ma molto comodo perché situato nel centro storico. Il marito oltre a lavorare la mattina in ufficio, il pomeriggio si occupava dell'impresa della famiglia di Elisa. Era un uomo ambizioso e capace, in pochi anni aveva tirato su la piccola azienda di occhiali. I conoscenti e gli amici lo chiamavano scherzosamente l'occhialaio. Presto lasciò il lavoro come impiegato pubblico e si dedicò corpo e anima alla impresa, ma senza mai trascurare la giovane moglie, che portava in giro per il mondo. Fu allora che si trasferirono nella villetta.

Ogni anno che passava Elisa si prometteva di traslocare al piccolo appartamento che aveva ereditato dalla sua famiglia, ma non ci riusciva. Dopo dieci anni della morte del marito aveva preso la decisione di andarci per sentirsi meno sola, anche se diceva a tutti che lo faceva per risparmiare sul riscaldamento. Ma non per questo le visite di Carlo si erano diradate. 

Un giorno Carlo, la invitò a cena a casa sua. Elisa era rimasta un po' confusa da quel invito e non sapeva se accettare o meno. Prese coraggio e disse a Carlo:
- In questi dieci anni mi hai parlato poco di tua moglie. Io capivo che qualcosa non andava, ma non ho voluto indagare, adesso ti domando, come va con Laura?
- Abbiamo passato un brutto periodo, non te l'ho detto a suo tempo perché non ti volevo rattristare, ma adesso va meglio. Laura dopo la morte dei genitori, è diventata strana, a volte insopportabile, mi rimproverava i continui ritardi e le assenze notturne, all'inizio erano veramente dovute al lavoro, ma dopo ho continuato a darle come scusa l'impegno lavorativo, mentre in realtà avevo cominciato a frequentare locali notturni. La casa mi opprimeva e non riuscivo a parlarne con lei. Laura era caduta in depressione, ma io non ho saputo aiutarla. Ritornavo a casa quando mia moglie era a letto, così non dovevo occuparmi di lei e ogni giorno ci allontanavamo di più. Quando Laura ha saputo della mia doppia vita se ne è andata di casa. In quel momento ho capito quanto l'amavo. Ero disperato, sono andato a cercarla e le ho promesso che avrei fatto di tutto per cambiare. I nostri figli non hanno saputo niente, vivono lontano da noi e li vediamo poco. Adesso, abbiamo voluto organizzare una cena con i vecchi amici, per ricominciare da capo.
- Sono contenta di sapere che state cercando di avvicinarvi di nuovo, ma mi sento un po' in colpa che in questi anni tu abbia dedicato tanto tempo a me, tempo sottratto a Laura, disse Elisa.
- Ma che dici. Venire da te ogni giovedì mi ha dato la forza per andare avanti. Con te dimenticavo i miei problemi. Ci siamo aiutati a vicenda. Non trovi?
- Se lo dici tu! Va bene, mi hai convinta, verrò a cena da voi, cosa posso portare?
- Non portare niente. Ti passeranno a prendere gli Agnolucci, non voglio che tu guidi di notte.

Elisa quella sera si divertì, le presentarono alcune persone simpatiche. A tavola parlò con Michele, un amico della sorella di Laura, il quale si era separato dalla moglie da qualche anno.
Anche a Michele piaceva andare in giro per il mondo, quindi parlarono tutta la serata di viaggi, di quelli fatti in passato e di quelli che sarebbe piaciuto loro intraprendere.
Dopo qualche giorno Michele chiamò Elisa e cominciarono a uscire insieme. Elisa diradò le cene del fine settimana con i vecchi amici.
Anche Carlo smise lentamente di andare a trovarla, ma Elisa non se ne rese quasi conto, perché sembrava che tutto seguisse un decorso naturale.
Elisa continuava a vivere da sola, ma con Michele si vedevano ogni fine settimana. Ognuno aveva il proprio appartamento, a volte lei rimaneva a casa di Michele o lui a casa sua. Elisa non sapeva come chiamare Michele:
- Mio fidanzato? Mio compagno? Il mio uomo?
Quando doveva presentarlo a qualcuno diceva:
- Questo è Michele, un mio caro amico.
Da quando vedeva regolarmente Michele, Elisa si era dimenticata dei  suoi sensi di colpa e piano piano nella nuova casa cominciò a stare bene da sola.