domenica 26 novembre 2023

Maria Plana - Cap. 8 (in italiano)

 


Da quando Mariano frequentava Isabel, pensava meno a Maria, la ragazza catalana che aveva conosciuto sulla nave e aveva perso l'abitudine di sedersi fuori dalla farmacia ad aspettare con ansia l'arrivo del postino. Finché una mattina gli arrivò la lettera che da tanto attendeva. Strappò la busta e tirò fuori con impazienza i due fogli di carta velina. Lesse le prime righe con impazienza e apprese che Maria era stata molto male, si fermò e sospirò, ma poi, continuando a leggere, gli mancò il respiro e dovette sedersi.

La signora Valls fu la prima della fattoria ad essere contagiata e morì prima dell'arrivo del medico. Maria si ammalò qualche giorno dopo e trascorse diverse settimane tra la vita e la morte. Dopo aver seppellito la moglie nella parte più appartata del giardino, il signor Valls si prese cura di Maria, di giorno e di notte, e non volle che nessun altro si occupasse di lei. La curò con grande premura e per fortuna piano piano la ragazza si riprese.
Quando Maria fu completamente guarita, il signor Valls e Alfredo, il maggiordomo, si ammalarono uno dopo l'altro. I due uomini avevano vissuto sotto lo stesso tetto
lunghi anni, prima in Catalogna e poi a Cuba. Alfredo aveva visto nascere il suo padrone e gli era molto affezionato, avrebbe dato la vita per lui. Nonostante gli evidenti sintomi di febbre e itterizia, Alfredo si prendeva cura del suo padrone, fino a quando un giorno crollò. Alfredo delirava e tremava, da quanto era alta la febbre e da allora Maria cominciò a occuparsi di entrambi.

Di notte passava ore e ore al capezzale dei due uomini, mettendo stracci bagnati sulla loro fronte, dando loro acqua e sussurrando che presto sarebbero guariti. Maria pregava perché ciò accadesse. Durante il giorno si riposava per qualche ora, lasciando i due malati nelle mani di un servitore che era uscito indenne della malattia.
Il signor Valls, dopo una settimana di febbre alta, cominciò a stare meglio, ma dovette rimanere a letto ancora per qualche giorno, perché era molto debole e la sua pelle era così gialla che non si sapeva se sarebbe vissuto, ma alla fine si salvò. Alfredo, come la maggior parte della servitù, non ebbe la stessa fortuna, morì tra le braccia di Ramón Valls, che volle seppellirlo accanto a Eulalia, sua moglie, pur sapendo che lei lo detestava.

La febbre gialla causò molte morti, soprattutto nelle piantagioni dove gli schiavi vivevano in baracche affollate. Per più di due secoli (dal XVII al XIX) la febbre gialla è stata una malattia misteriosa che ha colpito le aree tropicali dell'America e dell'Africa causando epidemie devastanti. Nessuno sapeva da dove venisse quella peste, né come curarla.
Ci vollero alcuni anni prima che le Università iniziassero a occuparsi della pandemia. Tra il 1883 e il 1897, diversi scienziati pensarono di aver identificato l'agente che causava la malattia, ma le loro teorie non trovarono consenso. Qualche anno dopo, un gruppo di chirurghi e microbiologi cubani iniziò a lavorare su un'ipotesi: le zanzare fungevano da ospite intermedio al parassita della febbre gialla. All'inizio del XX secolo, diverse ricerche cercarono di individuare la causa della trasmissione, ma con metodi discutibili: alcuni medici e volontari, che si lasciarono inoculare i germi della malattia, diedero la loro salute e la loro vita per la scienza, e solo molti anni dopo si scoprì che quel parassita era un virus.
Dopo l'epidemia, la fattoria dei Valls cadde in disgrazia e i pochi servi e braccianti che si salvarono fuggirono. Molti capi di bestiame, cavalli, mucche, buoi e tori, furono rubati, alcuni morirono, altri scapparono. Anche Maria avrebbe potuto lasciare la fattoria, ma non ebbe il coraggio di farlo. Ogni tanto sentiva l’impulso di andare a cercare Mariano all'Avana, ma alla fine decise di rimanere lì, per aiutare il signor Valls che era rimasto solo. Maria, la ragazza gracile, che al suo arrivo a Cuba aveva paura di tutto, si occupò di tirare su l'allevamento di bestiame dei Valls.
I mesi passarono. Ramón Valls si riprese completamente e con l'aiuto di Maria iniziò a occuparsi delle faccende della fattoria. Comprarono altri bovini, cavalli, mucche, buoi, maiali, ecc., assunsero un nuovo cuoco, una manciata di domestici e una pattuglia di braccianti e rimisero in funzione la fattoria.
In quei giorni, il signor Valls non smetteva di ringraziare Maria, le diceva che era stata il suo angelo salvatore. Provava tenerezza e amore per quella ragazza fedele che aveva salvato la sua vita e la sua fattoria. Poche settimane dopo le chiese di diventare sua moglie. Dopo la morte della signora Valls, Maria si affezionò a Ramon Valls. Il fatto che si fossero presi cura l'uno dell'altra, nei giorni in cui la febbre gialla li aveva colpiti, li unì fortemente. Erano felici come due bambini a cui è stata data la libertà dopo una punizione, si sentivano a loro agio senza l'irascibile e impertinente signora Valls, che non aveva mai sopportato di vivere a Cuba e che si arrabbiava e litigava con tutti. Maria accettò senza esitazione la proposta di matrimonio del suo padrone.

Mariano lesse tre volte l'ultima parte della lettera, cercando di cogliere un barlume di speranza, ma senza successo.
...mi sentivo debole, ma dovevo resistere perché il personale della fattoria cadeva malato, uno dopo l’altro. Non ti puoi immaginare quanto sia stato orribile, non sapevamo dove seppellire i morti. Ma ora, grazie a Dio, tutto è finito. La lettera in cui mi chiedevi di essere tua moglie l'ho ricevuta solo qualche giorno fa, mi lusinga sapere che io sia importante per te, ma ho deciso di sposare Ramón Valls e non credo che se l’ avessi ricevuta prima non sarebbe cambiato niente. Ramón è stato molto buono con me, gli sono molto grata e sto cominciando ad amarlo. Anche io sulla nave mi sono sentita attratta da te, ma dopo siamo stati troppo tempo lontani. Ti ho aspettato per cinque lunghi anni, ma tutto è cambiato dopo la febbre gialla. Vorrei che tu venissi alla fattoria, Ramón sa che ci scriviamo e sarebbe contento di offrirti la nostra ospitalità. È una brava persona. Spero che tu stia bene e che riesca a realizzare i tuoi progetti.
Mi ricorderò sempre di te.
Maria Plana Tarradas

Mariano stette due giorni a pensare prima di rispondere a María, e quando lo fece le promise che a guerra finita avrebbe noleggiato un carro e due cavalli per andare a trovarla, ma non poteva farlo in quel momento, perché la situazione politica a Cuba stava peggiorando, invece di migliorare.

- Sto perdendo le persone che amo di più. Ci ho messo troppo tempo ad andare alla ricerca di María, avrei dovuto farlo prima, si disse sconsolato.
Tuttavia, dopo qualche settimana, riprese coraggio e decise che era giunto il momento di
ritornare in Catalogna.
- Devo preparar
mi bene per il mio ritorno a casa, si disse con convinzione, anche se temeva di essere arrestato al suo arrivo in Spagna.
Nel 1876, la terza guerra
carlista si era conclusa, ma in realtà, fino all'inizio del 1878, i combattimenti continuarono in Catalogna, soprattutto attraverso una sanguinosa guerriglia che causò centinaia di morti in entrambe le parti. Di conseguenza, Mariano dovette rimandare di un altro anno la sua partenza.
Continuò a lavorare in farmacia, ma
a malincuore, poiché non andava molto d'accordo con Pep, il nipote di José Sarrá. Mariano sentiva la mancanza del suo ex benefattore e amico, che alla fine del 1876 dovette tornare a Barcellona per occuparsi di Emilia, la moglie, gravemente malata, ma fu lui, e non Emilia, a morire d'infarto qualche mese dopo. Prima della morte di José Sarrá, Mariano gli scrisse alcune lettere, ma non gli accennò mai al cattivo carattere del nipote, perché non voleva metterlo in imbarazzo.
Pep era un uomo giovane e intelligente ma molto
agitato, dormiva poco e lavorava di notte alla ricerca di rimedi per le malattie tropicali. Girava sempre in camice bianco e non si levava mai i suoi occhiali da miope, era bravo come chimico farmaceutico, ma era una una frana nei rapporti umani, era scontroso e sempre imbronciato con tutti. Urlava e non aveva pazienza con nessuno, gli piaceva solo fare esperimenti nel suo laboratorio o pulire le gabbie dei suoi uccellini. Mariano a volte lo osservava e non riusciva a capire come mai un uomo così affettuoso con i suoi canarini potesse essere scontroso con i suoi dipendenti. Era uno scapolone che si arrabbiava ogni mattina con la cuoca, donna mulatta servizievole e piacevole.
Mariano
spesso sentiva i rimproveri che Pep faceva alla cuoca:

- Non capisco come mai tu non riesca a sfornare per bene le pagnotte e a servirmi un paio di fette di pane col pomodoro. Ti viene una schifezza e non dare la colpa alla farina o all'acqua dell'Avana, è solo che tu fai il pane malvolentieri.
Poi si calmava e le diceva senza urlare:
- Te lo dico da settimane, mettiti d'impegno, ma tu non mi ascolti.
Il nipote del signor Sarrá aveva cambiato la cuoca varie volte, ma era sempre insoddisfatto e si lamentava con tutte.
- Povere cuoche, che pazienza dobbiamo avere tutti con questo brontolone! si diceva Mariano ogni volta che sentiva la voce stridula del farmacista.
Pep parlava a Mariano in catalano e non lo sgridava mai; era soprattutto con i domestici che tirava fuori il suo brutto carattere.
Un giorno in farmacia Mariano sentì un cliente, un uomo di Reus, dire a Pep che stava cercando un contabile. Mariano non ci pensò due volte e il giorno dopo si recò al magazzino del commerciante catalano, che acquistava tessuti in Catalogna e li rivendeva a Cuba, per parlargli.
All'inizio del 1878, ottenne il lavoro nell'ufficio del signore di Reus e prese in affitto una piccola stanza in via San Ignacio.
Dopo alcune vicissitudini, riuscì a lasciare la farmacia, ma Pep gli fece capire che era molto seccato che lui se ne andasse.
- Che faccia tosta che hai! È così che ci ripaghi di tutto quello che i Sarrá hanno fatto per te, se esci da quella porta non potrai più varcarla, gli urlò Pep.

Mariano se ne andò sconvolto dalle parole del farmacista, dimenticando di aver nascosto le sue monete d'argento in una trave del retrobottega. Gli ci vollero alcuni mesi per recuperarle e dovette pagare un servitore, poiché Pep aveva ordinato ai domestici di non farlo entrare per nessun motivo.
Il panciuto uomo di Reus si rivelò anche lui un brontolone, ma Mariano resistette diversi mesi lavorando nel suo ufficio, poiché non voleva ammettere in alcun modo di aver commesso un errore lasciando la farmacia. Maria continuò a scrivergli lettere e lo invitò più volte alla fattoria, ma Mariano seguitò a rimandare la visita.
Il Re Alfonso XII, figlio di Isabella II, regnò in Spagna dopo il fallimento della Repubblica e nel 1878 pose definitivamente fine alla guerriglia carlista. Anche a Cuba il conflitto tra la madrepatria e i separatisti rimase stagnante per alcuni anni. Infine, nel febbraio del 1878, venne firmato un laconico patto tra spagnoli e separatisti, stremati dal conflitto, un accordo inutile che non risolveva nulla e concedeva ben poco alla causa dei ribelli. Indignato e disilluso, Maceo rese noto il suo dissenso nella protesta di Baraguá, ma dopo un breve tentativo abortito di riprendere la guerra nel 1879 (la cosiddetta Piccola Guerra), sia lui che Gómez scomparvero in un esilio prolungato.

Mariano, approfittando del periodo di pace in entrambi i Paesi, pensò che fosse arrivato il momento giusto per lasciare il suo lavoro di contabile e tornare in Spagna, ma le cose andarono diversamente. Mariano aspettava che Miguel e il capitano tornassero all'Avana per imbarcarsi sulla loro nave, ma una mattina Pedro si presentò nell'ufficio in cui Mariano lavorava per offrirgli la possibilità di entrare nell'azienda commerciale che aveva fondato anni prima con i suoi fratelli. Gli disse che c'era bisogno di lui perché Pablo, il fratello maggiore si era ammalato, un ictus gli aveva paralizzato il lato destro del corpo.
- Pepe e io sappiamo solo
fare i commessi, quindi abbiamo bisogno di te.
Pablo era quello che si era sempre occupato dell'acquisto delle merci e della contabilità. Mariano non poteva lasciarsi sfuggire quell'opportunità, così rimandò di nuovo il suo viaggio a Barcellona e si trasferì a vivere in via
Mercaderes, accanto al negozio dei tre fratelli. Era soddisfatto, poteva finalmente dedicarsi al commercio delle sementi.
Telegrafò a Miguel di portargli dei semi dalla Spagna. Quando Miguel e il
capitano arrivarono all'Avana, fu una grande gioia per lui abbracciarli e scaricare la merce che aveva ordinato. Pagò i sacchi di semi con le sue monete d'argento e li vendette immediatamente. In seguito commerciò anche con patate da semina e a poco a poco il negozio dei fratelli Barcelona cominciò a prosperare.
Nel 1880 ricevette una lette
ra di Felipe. Il postino la portò in negozio una mattina di primavera. Non la aprì subito, aveva paura, ricordava ancora la delusione che aveva provato quando aveva letto la lettera tanto attesa di Maria. La sera, da solo, aprì la busta e cominciò a leggerla.
Felipe
gli diceva che era nascosto in campagna, che non poteva dirgli dove, ma gli parlò con entusiasmo di José Martí.

...è arrivato il momento, abbiamo trovato l’uomo di cui avevamo bisogno. José Martí, semplice, generoso e intelligente, poeta, visionario e intellettuale (ha studiato a Cuba e in Spagna), è diventato una figura patriottica per tutti noi che vogliamo una Cuba libera. Si dedica totalmente alla causa della resistenza pacifica, scrive, parla, fa petizioni e organizza l'indipendenza di Cuba... Io lo aiuto e credo in lui. Spero che con lui non si arrivi mai più a prendere le armi...
Mi farò vivo presto, se tutto va bene verrà a prenderti una carrozza a due cavalli, la sera del primo sabato di luna piena.
Un abbraccio.
Felipe





giovedì 23 novembre 2023

El secreto - Cap. 16

 


La cabeza de José Defaus Ballesté, apoyada en la almohada, se movió despacio hacia un lado y tras un jadeo entrecortado, le dijo a su esposa:

- El párroco y yo recurrimos a una estratagema para conseguir que se celebrara a corto plazo la boda de Teresita y Francisco.

- ¡No te canses! Es agua pasada.

José estaba débil, pero reunió todas sus fuerzas, para sacarse el peso del secreto que le oprimía en el pecho desde hacía largos años, sin embargo notó que mientras él hablaba su esposa estaba tranquila,

como si ya supiera lo que él le iba a revelar.

- Nadie tenía que saber que Teresita estaba embarazada- hizo una pausa antes de explicarse - pero la boda todavía no se podía celebrar, pues, por ser los novios cuñados, el obispo necesitaba tiempo para darnos el permiso.

- ¿El matrimonio es válido, no? Pues no me importa como lo conseguiste y ahora deja de hablar.

- Claro que es válido, no hicimos ninguna trampa - hizo una pausa para respirar - se podían casar, la ley eclesiástica y civil lo permitía, pero era una cosa larga, el permiso iba a tardar varios meses en llegar y nosotros no podíamos esperar.

- José, descansa, ya me lo contarás otro día.

- No, tengo que decírtelo ahora, quiero limpiarme la conciencia. El párroco, sin cometer ningún sacrilegio y salvándonos la reputación, tuvo esa ocurrencia. Te lo escondimos para que no sufrieras.

- De verdad, no me importa lo que hicisteis. Lo que quiero es que te repongas, no seas testarudo José, no hables más.

- El acto matrimonial no se pudo registrar el día de la boda, sin embargo una noche de varios meses después, Teresita y Francisco fueron a firmar los papeles en el sacristía - miró a su mujer y escogiendo las palabras con cuidado le dijo lentamente - El acto fue registrado cuando la niña Teresa tenía tres meses y ellos se convirtieron oficialmente en marido y mujer. Perdona si te lo oculté.

- No hay nada que perdonar, ya está todo arreglado. Ahora descansa e intenta dormir, le susurró su esposa, sin mostrar perplejidad.

Teresa confiaba en José y aunque en algún momento sospechara algo, nunca quiso saber los tejemanejes que tramaba su marido para solucionar los asuntos familiares.

Los nietos del moribundo, Teresa, María, Francisco y Josep, correteaban por la casa sin saber bien lo que estaba sucediendo. Francisco, a quien todos llamaban Cisco, un niño de ocho años, ordenó a sus hermanos que pararan de chillar. Teresa, la mayor, lloraba de forma histérica, María intentaba consolarla.

- El abuelo está malo, pero no llores Teresa, voy ver lo que le pasa, vosotros quedaros en el patio, les dijo Cisco serio.

Cisco entró e el cuarto donde yacía su abuelo y se acercó a la cama. El enfermo parecía relajado por eso Teresa le dijo a su nieto:

- Anda, despídete del abuelo que está a punto de dormirse.

El niño se acercó al abuelo, posó sus labios en su frente y le dijo a su abuela:

- La frente del abuelo está helada.

Teresa se dio cuenta de que la tez de su marido se había vuelto blanca, le tocó las manos y notó que estaban frías.

- Acercaros, mi José se acaba de morir, gritó sollozando Teresa.

José Defaus Moragas aquel atardecer se fue al otro mundo durmiendo y no llegó a saber que Cuba había dejado de ser española. Tampoco José Martí llegó a ver como sus arengas y sus versos llevaban a la independencia, aunque en realidad no se tratara de la independencia que él había soñado, puesto que Cuba se convirtió en una república tutelada por los Estados Unidos.

Mientras su padre estaba consumando las últimas horas de su vida, Mariano, aquel amanecer de finales de julio de 1898, se estaba dirigiendo a la Habana, donde iba para comprar algunas cosas que no lograba encontrar en el mercado de Abastos de Pinar del Río.

Mariano no estaba cansado, siendo el viaje bastante rápido y cómodo, puesto que en 1894 fue inaugurado el último tramo de la línea ferroviaria, que enlazaba La Habana a Pinar del Rio. Bajó del tren a media mañana y al salir de la estación decidió ir callejeando por el barrio antiguo, le gustaba andar despacio observando a la muchedumbre. Las calles estaban abarrotadas de gente de toda clase, ricos, pobres, criados, libertos, soldados, vendedores ambulantes y tenderos que salían de sus colmados, pulperías, fruterías, sastrerías y tabaquerías, gritando lo bueno que era su género. Una negra exuberante se acercó a Mariano sin ningún recato, él le dijo que no le interesaban sus servicios y ella se alejó haciéndose la ofendida.

Poco a poco el olor y el ajetreo de la ciudad lo transportaron al día en que llegó a Cuba con el Señor Sarrá, llevaba consigo una maleta pequeña y una mochila. Aún recordaba el temor que sentía por aquel bullicio y por el desparpajo de las mujeres cubanas.

Sonrió pensando en que su timón había girado de golpe, su vida había doblado hacia una dirección que él nunca se hubiera imaginado. Entonces era un chiquillo de diecisiete años, ahora ya era un hombre de cuarenta y dos, con un ahijado que tenía la misma edad que él cuando llegó a Cuba y tres hijos pequeños. Pensó con cariño en Nieves, en Juan, su hijo mayor que ya tenía tres años, en José de un año y medio y en Teresa que era un bebé de tres meses. Se prometió a si mismo que en cuanto abrieran el nuevo estudio fotográfico de Pinar del Rio, se haría retratar con toda su familia y les enviaría la fotografía a sus padres.

Mientras pensaba en todo ello llegó a la tienda de sus tres amigos tenderos, Pablo, Pepe y Pedro, que lo acogieron con mucha alegría. Los dos mayores sufrían achaques de gota y tenían reumatismos, pero iban tirando, en cambio Pedro, el que nunca se enfermaba, en aquel entonces descubrió que tenía piedras en los riñones.

- Tú no te puedes imaginar lo dolorosos que son los cólicos de riñón.

- A ver si bebes más agua, seguro que tanto alcohol no es bueno para tus riñones.

- ¡Bebamos una copita para celebrar tu llegada!

- No me tomes el pelo, conmigo ni una gota de licor, le contestó Mariano.

Al atardecer tenía una cita con Felipe en la plaza de Armas. A la hora establecida le pasó cerca un coche de caballos.

- Anda Mariano, sube.

- ¡Felipe, como siempre tan puntual!

El coche de caballos hizo un largo recorrido por la ciudad mientras ellos hablaban, poniéndose al día de sus cosas.

- Felipe nunca te conté porque hui de España.

- Aunque te buscara la guardia civil, tú seguirás siendo mi amigo.

- Tienes que saber que soy un fugitivo, dijo Mariano con una expresión de timidez - mi padre me preparó el terreno para que huyera, pues una mujer me denunció; fue una chiquillada, pero me ha marcado toda la vida. Para mi padre era un deshonor que un hijo tuviera que pasar por el juzgado y temiendo habladurías, hizo saber a todo el mundo que me marchaba a Cuba, porque había sido sorteado para el servicio militar y que muy pronto iba recibir la tarjeta de reclutamiento.

- Perdona mi curiosidad. ¿Pero que jugada le hiciste a esa mujer para que te denunciara?

- Si tienes un poco de tiempo te lo yo a contar, estoy emocionado pues jamás se lo he dicho a nadie, ni siquiera el señor Sarrá estaba al corriente de mi verdadera historia.

- Tranquilo, yo soy una tumba.

Mariano empezó por el principio narrando la trastada que hicieron él y su amigo Pepito en la casa de barrets que había en el pueblo y le explicó que desde que llegó el tren, y con él las primeras industrias, en Malgrat se abrió un establecimiento de ocio nocturno.

- ¿Casa de barrets, quiere decir prostíbulo, no? Le preguntó Felipe.

- Sí, en Malgrat, en una barriada obrera de la zona alta, llamada Castell por una torreta medieval que hay en la cima, había una casa de citas, regentada por Lola, una viuda, que se hacía llamar Señora Iglesias. En ella varias mujeres, se ofrecían para dar placer a los hombres de los alrededores. Generalmente eran, obreras, viudas u otras mujeres humildes que lo hacían para dar de comer a sus hijos, pero durante las fiestas, la casa de Lola estaba abarrotada de hombres y entonces ella hacía llegar meretrices de Barcelona.

- Huy, huy, huy!!! Esto se está poniendo verde, le dijo riendo Felipe.

- No te burles, en los pueblos era costumbre que los hombres ricos llevaran a escondidas a sus hijos varones a los prostíbulos, para su primera experiencia sexual. Se decía que la viuda Iglesias, era la más experta.

- ¡Qué costumbres!

- Pero no te creas, los más puritanos se quejaban y culpaban al local y a las mujeres del extravío de sus vástagos, pero ellos eran los primeros en frecuentarlo.

- ¡Qué hipócritas! - Felipe lo miró con el ceño fruncido y las cejas arqueadas - En Cuba la prostitución no se esconde y aunque no sea autorizada, se practica dondequiera, ya ves lo que pasa en La Habana, hay una prostituta apostada en cada esquina y las autoridades hacen la vista gorda, hasta que alguien no denuncia a una meretriz o una casa de citas, pero eso no pasa casi nunca.

- Por aquel entonces Pepito y yo, éramos unos mocosos de dieciséis años, emperrados en averiguar lo que hacían las mujeres de mala vida. Un atardecer nos escondimos detrás de unos matorrales y esperamos a que llegaran los hombres, cuando oscureció nos acercamos a la casa y nos ocultamos detrás de una tapia. Espiamos, por los ventanucos, con unos prismáticos a las mujeres y a los clientes. Los cuartos estaban poco iluminados, pero las sombras delataban la pasión masculina y los servicios sexuales que ofrecían las mujeres.

- ¡Madre mía, me imagino la que armasteis al ser descubiertos!

- No corras tanto Felipe, aquel día no nos descubrieron. Pasamos mucho rato observando las idas y venidas de los hombres. Era la vigilia de una fiesta y había más mujeres de lo normal y bastantes hombres. Algunos los conocíamos, pues eran personas ricas del pueblo, otros eran trabajadores que se gastaban su sueldo semanal en aquel antro. Al lado de la casa había un bodega, llamada La Cueva, porque era tan oscura que parecía una caverna, donde los hombres entraban para beber vino tinto, antes o después de ir al establecimiento de la viuda. Los ricos iban en tartanas y raramente se paraban en La Cueva.

Volvimos dos o tres veces más, pero la última vez descubrimos a dos mujeres nuevas, eran un poco más jóvenes que las que solían ejercer. Nos hubiera gustado pasar un rato con ellas, pero no teníamos ni un duro.

Pepito, que era un chico listo, tenía un plan: iríamos a chantajear a Lola, para obtener dos servicios gratis.

La viuda estaba sentada en una garita y al vernos nos dijo:

- Aquí se cobra por adelantado.

- Si no nos dejas pasar, vamos chivarnos al alcalde, le diremos que recibes a muchos hombres ilustres, incluso a un cura.

- ¡Sinvergüenzas!

La viuda empezó a gritar como una loca y llamó al alguacil que estaba en un cuartucho solazándose con una de las mujeres. Con ese inconveniente no había contado Pepito. En pocos minutos se armó la gorda, el alguacil nos detuvo a nosotros y a otros chicos que estaban esperando su turno y que se mezclaron en la pelea y la viuda nos denunció.

- ¿Y qué dijo tu padre cuándo lo supo?

- No se enfadó por la chiquillada, sino por las consecuencias que conllevaba. Por eso cuando llegó al ayuntamiento la denuncia del juzgado, el alcalde, quien era su amigo, lo llamó y le cubrió la mentira para que nadie supiera que me habían denunciado. Todo el pueblo creyó que me escapaba para no alistarme en el ejercito: era más noble ser un desertor que un rebelde o un criminal.