domenica 10 marzo 2019

Il corridoio del terzo piano


Ogni mattina percorro i lunghi corridoi della scuola dove lavoro, carica di libri, fotocopie, compiti, ecc, per recarmi nell'aula dove faccio lezione. 
A settembre quasi sempre mi compro uno zaino o una cartella o delle matite colorate o un astuccio nuovo, è un rito che ho cominciato da piccola. E' come un nuovo oggetto utile riuscisse a attirare l' forza, l'ottimismo e l' entusiasmo, necessari a me per cominciare il nuovo corso. L'anno scorso mi ero regalata uno zaino rosso e un thermos per il  tè verde.
In ogni piano della scuola c'è un corridoio grande e largo con diverse aule sul lato sinistro, invece sulla destra ci sono dei grandi finestroni che danno su un ampio cortile. Le aule si affacciano sul fiume, inoltre quelle del terzo e quarto piano hanno una vista panoramica della città medievale. 
A volte mentre m'incammino verso l'aula penso alle origini di quel palazzo, che nel cinquecento, dopo essere stato distrutto, fu  adibito a convento, poi nell'Ottocento ospitò un istituto scolastico, il Reale Istituto Superiore di Magistero Femminile e durante il breve periodo di Firenze Capitale (1865-1871), ospitò il Ministero della Marina.
Passo dopo passo penso che è  una grande fortuna avere  immensi corridoi, dove sono sistemati dei lunghi tavoli,  destinati a studenti e professori per la lettura, lo studio  o  altre attività scolastica. In ogni piano ai due estremi dei corridoi centrali ce ne sono altri due più stretti, in quello di destra ci sono aule in entrambi i lati ed è piuttosto lungo, quello di sinistra è più corto e con meno spazi per la didattica.
Una mattina mentre attraversavo il corridoio del terzo piano col mio zaino rosso, durante la  ricreazione, ho notato, appoggiata sulla parete, una ragazza dai tratti tipici del Centro America: faccia larga, bassettina e di corporatura un po' tozza. Ma la cosa che più mi colpi fu la sua espressione triste e spaesata. Era sola e mangiava concentrata un grande panino, avvolto con carta di giornale. Mi sono avvicinata e le ho detto:
- Hola ¿Qué tal?
- ¡Qué alegría oír hablar español! Mi ha detto la ragazza con un sorriso timido.
- ¿De dónde eres?
- Soy de El Salvador, hace un par de meses que vivo en Firenze y entiendo muy poco el italiano.
Dopo pochi giorni parlai con la professoressa di lettere di Catalina, così si chiamava la ragazza centroamericana. La docente mi disse che qualche giorno prima aveva avuto un colloquio con la madre della ragazza, una donna giovane che si era fatta una vita in Italia lavorando duramente come badante. Aveva richiamato in Italia la figlia, perché le voleva dare una vita migliore, dopo averla lasciata per diversi anni nel suo paese di origine con la nonna. La madre non aveva né tempo né voglia per stare dietro Catalina, era come se le volesse dare un' opportunità ma senza nessun tipo di aiuto, giustificava la sua rigidità, dicendo che aveva da lavorare sodo per mantenere altri figli,  avuti da una relazione con un uomo italiano.
Quindi Catalina era veramente lasciata a se stessa, solo noi professori potevamo aiutarla. 
Da quel giorno durante la ricreazione andavo a cercarla e le davo consigli e suggerimenti per affrontare le lezioni.
Insieme alla docente di italiano ho presentato al Consiglio di classe di Catalina, un piccolo progetto per poter aiutare la ragazza, un paio di ore la settimana. Però non è stato possibile farlo, perché mi fu detto che non potevamo allontanarla dall'aula, perché avrebbe perduto troppe ore di lezione, questa era la normativa. Formalmente non faceva una piega, ma se Catalina non capiva niente di quello che spiegavano i professori, come avrebbe fatto? Inoltre la ragazza de El Salvador, oltre le carenze linguistiche, aveva notevoli lacune di base in tutte le materie. Ne parlai anche con la dirigente, ma lei mi ribadì la stessa cosa:  non  si poteva fare perdere delle lezioni agli alunni, era un loro diritto.
Io continuavo a pensare che sarebbe stato meglio seguirla individualmente fuori dell'aula, ma purtroppo le mie ore libere non coincidevano con nessuna delle ore dei professori disponibile a farmi stare dentro la classe accanto a Catalina.
Alcuni professori hanno veramente aiutato Catalina, altri, la maggior parte, erano e sono ancora  convinti  di averle concesso il massimo, dandole l'opportunità di frequentare un corso d'italiano pomeridiano. Questi ultimi durante tutto l'anno scolastico hanno continuato a dire :
- E' una ragazza che non ha voglia di fare nulla e capisce ben poco.
- Vorrei veder cosa avresti fatto tu, in un paese nuovo, senza parlare la lingua, rispondevo io.
Quei corridoi per Catalina ogni giorno sono diventati più tristi, solo faceva un mezzo sorriso quando mangiava da sola il suo panino.
Alla fine dell'anno Catalina fu bocciata, ma la madre le diede una seconda opportunità, la fece iscrivere di nuovo in prima, ma in un indirizzo meno impegnativo, sempre nella stessa scuola. Purtroppo i nuovi  docenti, salvo qualche eccezione, furono ancora meno sensibili e collaborativi e Catalina a metà anno, dopo la prima pagella disastrosa, fu rimandata in Centro america dalla nonna.
Quando ogni mattina passo dal corridoio del terzo piano penso a Catalina, a tutto quello che noi professori non abbiamo fatto per lei e alla vita che potrebbe aver avuto in Italia con una istruzione adeguata. Mi consolo pensando che forse è ritornata nella vecchia scuola e che durante la ricreazione,  mentre mangia il suo panino, ride con le compagne di classe.













venerdì 1 marzo 2019

Se qualcuno suonasse il campanello

















La donna sessantenne ancora ama il proprio lavoro, ma alcune giornate sono così faticose, a volte addirittura estenuanti, soprattutto per la negatività che sente intorno a sé, che, pensando al tempo libero che potrebbe avere in futuro, dubita se presentare o meno la domanda di pensionamento per il prossimo anno scolastico. Ma poi, passata la giornataccia, ricomincia con entusiasmo a preparare lezioni per i suoi alunni e dimentica la domanda.
Un pomeriggio di febbraio dopo aver pranzato col marito con una frugale insalata, seduta nel suo nuovo studio, che ha ricavato da una camera da letto, appena i figli se ne sono andati a vivere per conto proprio, riceve la telefonata di Lidia, una sua collega.
- Sandra, sono molto contenta di lavorare insieme a te. Te lo volevo dire dopo tutto quello che vedo ogni mattina a scuola, le disse.
-  Grazie, anche a me piace molto collaborare con te.
- Prima non mi rendevo conto di come e quanto, ci aiutiamo e collaboriamo tutti noi del Consiglio di classe, fino a che non sono entrata nel gruppo dirigente della scuola, disse la collega premurosa.
Lidia da quando collaborava con la vicepreside ne aveva sentite di cotte e di crude in quell' ufficio. Non mancavano le lamentele dei professori su qualsiasi cosa, ognuno pensava egoisticamente di essere il più svantaggiato e che gli altri ce l'avessero sempre con lui. Le invidie, i litighi e i piccoli dispetti tra colleghi erano il pane quotidiano.
Sandra è veramente contenta di quella chiamata e dice a Lidia.
- Anch'io ho avuto modo di scoprire che alcuni dei nostri compagni di lavoro godono a fare le spie e a mettere in difficoltà gli altri, ma sono pochi per fortuna, generalmente sono persone insoddisfatte e infelici. A molti non piace insegnare, altri hanno rimpianti e soffrono per quello non hanno fatto. Io sono serena perché faccio quello che veramente desideravo di fare.
- Sono felice anch'io del mio mestiere.
Dopo la  chiamata di Lidia, Sandra continua per un po' a pensare ai rimpianti che possono rovinarci la vita e le viene in mente una conversazione che ebbe una mattina di qualche anno prima con due professoresse.
La sala insegnanti della scuola è piuttosto spaziosa, i tre lunghi tavoli sono disposti parallelamente alla grande porta a vetri dell' entrata, in fondo c'è la vetrata delle immense finestre che danno sull'Arno. Alcuni professori lavorano al computer, altri sono immersi nella lettura di manuali scolastici, intorno a un mare di fotocopie, ma sempre c'è un piccolo gruppo che chiacchiera e si rilassa prendendo un caffè alle macchinette.
Sandra la maggior parte delle volte si siede un po' in disparte per poter lavorare, correggendo compiti o preparando esercizi, ma a volte  fa una pausa e va a prende un tè.
Quella mattina era in piedi con altre due docenti davanti alla macchina delle bevande calde; non  ricorda come mai il discorso sia andato a finire sul loro passato, si chiedevano come sarebbe stata la loro vita se avessero lasciato l'Italia?
Sandra raccontò loro che a una sua amica d'infanzia successe una cosa inverosimile. Un pomeriggio, il suo primo fidanzato, dopo quaranta cinque anni che non si vedevano, aveva suonato il  campanello.
- Cosa ha fatto lei? Le domandarono sbalordite le due donne.
- Ha aperto la porta e lo ha fatto entrare.
- Ma lei nel frattempo era sposata? No?
- Si, aveva un compagno che lasciò poco dopo l'apparizione di François, così si chiamava. François era vedovo, aveva due figli trentenni e abitava a Parigi, era un funzionario statale in pensione.
- Cosa le ha detto esattamente lui alla tua amica? Domandò la professoressa di spagnolo.
- Le ha detto che da quando era diventato vedovo, pensava solo a lei e che l'estate in cui si erano conosciuti era stata la più bella della sua vita. Poi l'indomani le fece sapere che desiderava sposarla e portarla con sé in Francia, disse Sandra.
- Magari mi suonasse il campanello il mio primo ragazzo, scapperei subito con lui. Era irlandese e insegnava inglese all'Università, ma quando è rientrato nel suo paese io non ho avuto il coraggio di seguirlo. Adesso non sopporto più mio marito, mia suocera, il lavoro, vorrei tanto fuggire e lasciare tutto e tutti, disse tutto d' un fiato la docente d'inglese.
- La mia amica prese un anno di aspettativa e se ne andò a Parigi con François. Dopo poco si sposarono, ma lui morì due anni dopo. Ma lei è felice di avere acquisito due figli, adesso è ritornata, ha un nuovo compagno e vede i figli, a cui è molto legata, per le vacanze, concluse Sandra.
- Anch'io lascerei tutto per il  primo amore. Era argentino studiava storia dell'arte in Italia, ho avuto paura di partire con lui  verso il Sud-america, forse a causa dei mie genitori che si erano opposti; ma me ne sono pentita assai. Mio marito è una brava persona, ma io non l'ho mai amato. Volevo fare altro, girare il mondo, imparare le lingue, lavorare nel campo del turismo. Vedi cosa mi tocca fare adesso, insegnare. Quanto darei se qualcuno suonasse il campanello e mi portasse via.
Sandra sorride, pensando a quelle due donne che forse ancora  attendono  che qualcuno suoni il loro campanello, quando sente in lontananza lo schiamazzo dei bambini che escono da scuola, per questo guarda l'orologio  appeso sulla parete di fronte. Si affaccia alla finestra per controllare se piove. Ha smesso, è uscito il sole, ma forse per poco. 
Le arriva un messaggio :
- Viene a camminate un'oretta con noi?
Spegne il computer ed esce volentieri a camminare con le due amiche lungo il fiume perché ha scoperto, da quando le è scaduto l'abbonamento della palestra dove andava da anni, che l'esercizio fisico all'aperto e le lunghe chiacchierate con le amiche le fanno tanto bene.