sabato 29 febbraio 2020

Il campanello

















Un pomeriggio di febbraio Nina era seduta nel suo studio davanti il computer quando ricevette la telefonata di Laura, una sua collega.
- Nina, sono molto contenta di lavorare con te. Te lo volevo proprio dire, dopo tutto quello che vedo ogni mattina, le disse.

- Grazie, anche a me piace molto collaborare con te.
- Fino a che non sono entrata nel gruppo dirigente della scuola, non mi sono resa conto di quanto ci aiutiamo noi due.

Laura da quando era vicepreside ne aveva sentite di cotte e di crude nel suo ufficio. Non mancavano le lamentele dei professori su qualsiasi cosa, ognuno pensava di essere il più svantaggiato o che gli altri ce l'avessero con lui. Le invidie, i litigi e i piccoli dispetti tra loro erano il pane quotidiano.

- Credo che ad alcuni professori non piaccia insegnare, forse hanno rimpianti per quello avrebbero voluto fare, disse Nina  nel congedarsi.

Nina fu veramente felice della chiamata di Laura, le piaceva che le amiche e le colleghe si fidassero di lei e che si aprissero a lei in confidenza. Mentre continuava a pensare alle parole che si erano dette, le venne in mente  una scena di alcuni giorni prima.

Quella mattina, durante un’ora libera, si era fermata a parlare con due colleghe davanti alla macchina delle bevande calde; non ricordava però come mai il discorso fosse andato a finire sul loro passato: entrambe si chiedevano come sarebbe stata la loro vita se dopo gli studi universitari avessero lasciato l'Italia.
Nina raccontò alle due donne la storia di Sara, una sua amica d’infanzia:

- Un pomeriggio, il primo fidanzato di Sara, dopo quaranta cinque anni che non si vedevano, ha suonato il campanello di casa sua.
- Cosa ha fatto lei? Le domandarono sbalordite le due donne.
- Ha aperto la porta e lo ha fatto entrare.
- Ma lei nel frattempo era sposata? No?
- Si, aveva un compagno che lasciò poco dopo la comparsa di François, così si chiamava il primo amore di Sara. François abitava a Parigi, aveva due figli trentenni ed era funzionario di un Ministero, rispose Nina.
- Cosa disse lui esattamente alla tua amica? Domandò interessata la professoressa di Italiano.
- Le ha detto che da quando era diventato vedovo, pensava tutti giorni a lei e che l'estate in cui si erano conosciuti era stata la più bella della sua vita. Poi dopo pochi giorni le ha fatto sapere che desiderava sposarla e portarla con sé in Francia.
- Magari il mio primo ragazzo suonasse il campanello di casa, scapperei subito con lui. Era irlandese e insegnava inglese nella mia Facoltà, ma quando è rientrato nel suo paese io non ho avuto il coraggio di seguirlo. Adesso non sopporto più mio marito, mia suocera, il lavoro, vorrei tanto fuggire e lasciare tutto e tutti, disse un po’ alterata la docente d'inglese.
- Se ne andò in Francia la tua amica? Domandò incuriosita l’insegnante di Italiano.
- Si, Sara prese un anno di aspettativa dal lavoro di psicologa e se ne andò a Parigi a vivere con François. Dopo poco si sposarono, ma lui morì di cancro  un'anno dopo. Lei per settimane soffrì da sola a Parigi, dove non aveva amici. Dopo decise di rientrare in Italia e ricominciò la sua vita da dove la aveva lasciata. Adesso è felice di avere acquisito due figli, con i quali ogni estate va in vacanze, concluse Nina.
- Vi devo confessare che anch'io adesso lascerei tutto per il mio primo amore. Era argentino e studiava archeologia a Firenze. Quando la sua borsa di studio è finita, si è dovuto trasferire in Messico, dove aveva trovato un buon lavoro. Mi ha chiesto di partire con lui, ma io non me la sono sentita di farlo, nonostante avesse finito l’Università e avesse un po’ di risparmi da parte. Ho dato sempre la colpa ai mie genitori, i quali si erano, in un primo tempo, opposti alla mia partenza, oggi so che sono stata io ad avere paura. Dopo me ne sono pentita. Non mi dispiace insegnare, ma io volevo fare altro, disse la docente di Italiano.

Lo schiamazzo dei bambini che uscivano da scuola la allontanò dei sui pensieri, si affacciò alla finestra per vedere i gruppi di scolari  allegri e chiassosi. 
A un certo punto le sembrò di sentire il suono del campanello.
Chiuse la finestra e subito andò ad aprire la porta.
Era la vicina del terzo piano:

- Viene a cammina
re un'oretta con me lungo il fiume? Le domandò.
- Dammi dieci minuti e sarò pronta, le rispose Nina.
- Io comincio ad avviarmi, ci vediamo sul ponte.

Nina spense il computer, si cambiò ed uscì di casa. Mentre si incamminava verso il ponte sorrise pensando alle due donne che attendevano che qualcuno suonasse il campanello.










domenica 16 febbraio 2020

Risotto con bietole - Arroz con acelgas



Risultato immagini per risotto alle bietole


Ingredienti per 4 persone
  • 250 g riso vialone nano o carnaroli
  • 300 g bietole lavate e tagliate
  • 1 cipolla 
  • olio di oliva
  • circa 2  L. i di brodo vegetale ( circa la metà se si usa la pentola a pressione)
  • 100 g parmigiano reggiano grattugiato
  •  sale

Preparazione

Tritate finemente la cipolla e  fatela appassire in due cucchiai di olio. Preparare il brodo vegetale (anche di dado) . Aggiungete il riso e lasciate insaporire. Tostare qualche minuto prima di versare il brodo  man mano che asciuga. Unite le bietole e portate a cottura unendo il brodo poco alla volta  ( se usate la pentola a pressione il tempo di cottura è di circa 7 minuti e richiede circa metà brodo) 
A fine cottura e a fuoco spento regolate di sale e mantecate con  il parmigiano mescolando delicatamente. Fate riposare per 3 minuti prima di servire in tavola


Arroz con acelgas y parmesano

Ingredientes para 4 personas. 
  •  250 g de arroz
  •  300 g de acelgas lavadas y cortadas 
  •  una cebolla
  •  aceite de oliva 
  •  2 L de caldo de verdura (  menos  de la mitad si se usa la illa de presión)
  •  100 g de queso parmesano rallado
  •  sal


Preparación
Pique finamente la cebolla y sofríala en dos cucharadas de aceite. Prepare el caldo de verdura. Agregue el arroz y deje que coja sabor. Cuando el arroz esté un poco dorado, añadir el caldo. Agregue las acelgas cortadas y siga agregando el caldo poco a poco (si usa la olla a presión, el tiempo de cocción es de aproximadamente  la mitad, unos 7-8 minutos) Al final de la cocción y con el fuego apagado, sazone con sal y agregue el queso parmesano, mezclandolo suavemente. Deje reposar 3 minutos antes de servir.
Si no  tiene  acelgas, la misma cosa se puede hacer con puerros  o con alcachofas ( la cebolla y los puerros se sofríen juntos, también la cebolla y las alcachofas cortadas finas). 






sabato 8 febbraio 2020

La lettera scritta di notte


C’è un rumore insolito sulla strada, è un giorno di festa, ma gli operai di un cantiere vicino lavorano senza tregua.
La sera prima, mentre marito e moglie erano a tavola sentirono un frastuono improvviso, sembrava che un trapano perforasse la strada. Si affacciarono alla finestra, ma non videro anima viva. Prima si guardarono perplessi e poi il marito disse:
- Ci sarà una emergenza forse per la rottura di un tubo del gas o di dell’acqua nell'angolo della strada che non riusciamo a vedere.
Subito, come facevano sempre quando l’acqua cominciava ad arrivare con poca pressione, riempirono dal rubinetto di cucina alcune bottiglie di scorta.
Il rumore cessò per un ora, ma dopo ricominciò di forma intermittente. La donna andò a letto quasi a mezzanotte, ma prima lesse qualche pagina di un libro che aveva iniziato il giorno prima, un po’ un romanzo, un po’ un diario. La lettura da una parte la turbò, dall'altra le diede allegria.
Era una storia densa, ma anche leggera, che prendeva spunti dal passato per lanciarsi verso il futuro ignoto, toccando diversi temi come la morte dei genitori, il fallimento del matrimonio e il complesso rapporto con i figli.
Quando il marito si coricò domandò alla moglie:
- Come mai sei ancora sveglia?
- Mi ero addormentata, ma credo che il rumore del trapano mi abbia svegliata.
- Adesso è tutto calmo. Dormi tranquilla, vedrai che gli operai presto riusciranno a riparare l’eventuale guasto.
La donna lo abbracciò da dietro e si riaddormentò.
Dopo poco la svegliò di nuovo il trapano della strada, stette a lungo immobile ad ascoltare, mentre i pensieri che le frullavano in testa cominciarono a ingarbugliarsi. Sentiva il suo corpo rigido, si girò lentamente per non svegliare il marito, ma immagini e parole, mescolate col rumore alieno di fuori, non smettevano di urtare e interferire tra loro.
Nel dormiveglia le apparve il volto della bella e sfortunata Caterina, una compagna di scuola. Rabbrividì, mentre le venivano in mente le parole dell’amica, allora ventenne, il giorno in cui l’aveva incontrata casualmente in un parco pubblico:
- Ero a letto con un uomo che non mi piaceva nemmeno, quando è suonato il telefono. Era mia madre, che mi annunciava la morte improvvisa di mio padre, colui che odiavo con tutto il mio cuore. Le sue regole e il suo fanatismo religioso mi annientavano, ma la sua morte mi sconvolse così tanto che d’allora ho paura di tutto, anche di a fare l’amore e esagero con le droghe.
Cercò di cacciare via quella parola: paura. Si assopì e sognò la madre morta da qualche anno che al telefono le diceva:
- È morta Caterina, poverina. Non potrai venire, abiti così lontano, troppo lontano, andrò io al funerale al posto tuo.
La donna si alzò dal letto, entrò a tentoni nel suo studio, accese la luce, prese un quaderno e scrisse:

Cara mamma,
indossavo un cappotto nero di lana seduta sul treno che mi portava verso la città dove eri stata ricoverata; leggevo distratta un libro e ogni tanto avvicinavo il pollice sinistro alle labbra per strapparmi una pellicina, poi guardavo immobile il paesaggi che scorreva veloce, come se fosse lontano da me diversi anni luce. Avevo paura di non arrivare in tempo da te.
Avevo scelto quel capotto nero perché sapevo che ti sarebbe piaciuto.
Sono arrivata in ospedale di sera, appena ho aperto la porta della stanza, ho visto i tuoi capelli bianchi intorno al tuo viso imprigionato dalla maschera d'ossigeno, poi ho notato il colore giallognolo del tuo corpo magro, coperto appena da un camice verde e infine ho scoperto le tue braccia inerti da cui ti entravano ed uscivano diverse sonde; avevi però una mano libera.
Accanto al letto c'era un comodino con delle garze e una bottiglia d’acqua. Quasi nascosto spuntava il tuo braccialetto preferito, ricordo che lo indossavi il sabato per andare dal parrucchiere a farti i capelli. Ho aperto l'armadio dove erano appesi i vestiti che indossavi il giorno in cui sei caduta.
Mi sono seduta sull'unica sedia della stanza, ho preso la tua mano tra le mie.
Al medico che era entrato nella stanza poco dopo il mio arrivo avevo domandato:
- Può sentirmi mia madre? Sembra che muova le palpebre quando le chiedo qualcosa.
- Non è possibile che le arrivino stimoli esterni perché è in stato vegetativo, cioè in coma, anche se apre gli occhi sono solo riflessi, mi rispose lui, in forma un po' sbrigativa.
Quella notte sono rimasta da sola con te, hai aperto diverse volte gli occhi, ma avevi uno sguardo perso e spaventato.
-Non avere paura, mamma, ci sono io, ti ho detto stringendoti forte la mano.
A un certo punto hai rilassato i muscoli del viso, forse ti sei addormentata. Mentre avevi gli occhi chiusi ti ho guardata a lungo e ti ho detto:
- Sei cambiata da quando noi figli, uno dopo l'altro, siamo andati via di casa, finalmente hai smesso di preoccuparti per tutti noi; come per magia, sono spariti i sintomi della tua malattia polmonare, forse per questo il tuo carattere si è addolcito. Prima non ti piacevano né baci né abbracci, ma negli ultimi anni nel congedarti, quando tu e il babbo mi accompagnavate all'aeroporto, mi stringevi forte forte.
Poi ti ho preso dolcemente la mano e ti ho detto delle parole che no avevo mai osato pronunciare:
- Voglio ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me.
Mi sono accorta che avevi mosso le dita, come se volessi dirmi qualcosa:
- Adesso che sei arrivata me ne posso andare tranquilla, ho detto io per te.
- Mi senti, mamma? Ti domandai.
Tu hai smesso di muovere la mano, ma io ho continuato a parlare con te.
- Ricordo ancora quando ti alzavi presto per accendere la stufa a legna affinché trovassi la cucina calda per studiare nei giorni prima degli esami, poi quando sono partita contro la tua volontà non mi hai fatto pesare la mia scelta audace, mi hai sempre aiutata. Conservo sempre le lettere che mi hai scritto ogni settimana per più di venti anni, mi accompagneranno sempre.
Non hai più aperto gli occhi: ho pensato che tu fosse caduta in un sonno profondo. Anch'io senza rendermi conto mi sono addormenta. Mi sono svegliata dopo poco tutta infreddolita, ho preso il cappotto dall'attaccapanni e me lo sono messo addosso. Prima che entrasse il dottore seguito da una l’infermiera, ho camminato verso di te e ti ho domandato:
-Ti piace il mio cappotto nero?

La donna spense la luce dello studio e tornò a letto. Nello scrivere quelle poche righe, piano piano la paura in lei era sparita. Abbracciò il marito da dietro e si addormentò profondamente.