martedì 12 marzo 2024

Cap .12 La tenuta Esperanza ( in italiano)

 


Un giorno, alla fine dell'estate del 1883, giunse alla tenuta Esperanza la notizia della scomparsa di Joan Defaus Moragas. Quando Mariano lesse il telegramma che annunciava la morte del fratello, cadde in uno stato di tristezza e disperazione che spaventò Ángel e Nieves.
- Joan aveva solo 23 anni, perché è dovuto accadere? Non posso accettarlo. E i miei genitori, poverini, saranno sconvolti, devo andare a consolarli
e ad aiutarli... ma d'altro canto non posso lasciarvi soli, con tutto quello che resta da fare nella fattoria, disse Mariano.
- Non
pensare a noi, fai ciò che ritenete più opportuno.
-
Mi trovo a un bivio, non so cosa fare.
- Lascia passare qualche giorno e vedrai che prenderai la decisione più saggia, rispose Ángel.
- Pensa al fatto che il viaggio è molto lungo, anche se ti imbarcassi domani,
sempre che ci sia una nave in partenza per le Canarie, arriveresti a Barcellona dopo circa otto settimane. Due o tre giorni in più o in meno non faranno alcuna differenza - Nieves tacque per un attimo e un'ombra di tristezza le attraversò il viso - Ángel ha ragione, decidi senza fretta, concluse con tenerezza.
Mentre si arrovellava a pensare alla cosa migliore da fare, arrivò un altro telegramma della madre che gli comunicava che suo fratello Francisco aveva
lasciato gli studi e aveva preso in mano l'azienda di famiglia. Mariano si sentì sollevato nel leggere la notizia. Qualche settimana dopo ricevette una lettera in cui la madre gli diceva che stavano pensando di proporre a Francisco di sposare Teresita, ma che sarebbe stato complicato, dato che essendo cognati dovevano aspettare il permesso del vescovo.

Domandò il suo parere e Mariano nella sua lettera gli rispose che, se Teresita e Francisco erano d'accordo, lui credeva che fosse un'ottima soluzione.
Teresa non disse a Mariano che suo padre, aveva già parlato con Teresita e che, seguendo il consiglio del sacerdote, le aveva proposto di sposare Francisco, ma a condizione che lei dimostrasse di essere fertile. A Teresa questo patto non piaceva, perché, se si metteva nei panni della vedova, si vergognava e si sentiva in imbarazzo.
- Come può un sacerdote proporre una cosa del genere a quella povera ragazza? Disse al marito.
- Il parroco dice che una vedova non può vivere sotto lo stesso tetto di Francisco, devono sposarsi, rispose José.
- Lo capisco, ma perché devono esserci delle condizioni?
- Perché lei non è rimasta incinta l'anno in cui è stata sposata con Joan e ora non possiamo rischiare che a Francisco succeda la stessa cosa e che quindi la nostra stirpe scompaia, esclamò José un po' contrariato.
- Non consideri gli altri due figli maschi, Mariano e Isidro? E le femmine, Marieta e le piccole? Domandò decisa Teresa.
- I nostri due figli maggiori sono lontani, non possiamo contare su di loro. L'unico che può darci discendenza è Francisco. La terra, come tu sai, passa attraverso i maschi, rispose José.
- Alla fine sono sempre gli uomini a decidere il destino delle donne. Non voglio essere presente quando tu e il prete proporrete questa cosa orribile a Teresita, aggiunse in un tono duro.
- Ma cosa vuoi, buttarla fuori da casa nostra e restituirla a suo padre?
- No, vorrei che lei restasse con noi.
- Lascia che me ne occupi io, disse José, chiudendo la conversazione.
Mariano, dopo aver letto la lettera della madre, si calmò. Quella sera parlò con Ángel e Nieves e disse loro che avrebbe rimandato il viaggio in Spagna all'anno successivo, alla fine della semina del grano, segale e mais su tutti gli appezzamenti della fattoria. Ma le cose andarono diversamente e un anno dopo, quando Ángel si ammalò, Mariano smise di pensare di andare a trovare i suoi genitori.

Dopo pochi giorni le campane suonarono a morto nella chiesa di Las Ovas, prima un suono forte ma grave, poi un piccolo scampanio. I rintocchi furono tre, a indicare che il defunto era un uomo.
Ángel fu sepolto, secondo la sua volontà, ai margini della spianata che costeggiava la villa, il luogo dove lui domava i puledri. Aveva lasciato detto di non volere essere seppellito accanto ai genitori e al fratello al cimitero di Llopí, di Pinar del Rio. Fu recintato un pezzo di terreno con una staccionata di legno e furono seppellite le persone che erano morte dall’inizio dell’epidemia di vaiolo. La tomba di Ángel Hernández era semplice come le altre: una lastra di pietra bianca con inciso il nome e le date di nascita e di morte.

Il lutto alla tenuta Esperanza durò due settimane, dopo le quali ricominciarono le attività ordinarie, ma la fattoria perse il suo splendore, era come se, oltre che le persone, anche le piante e gli animali avessero perso la loro vitalità a causa della morte del padrone: i colori dei fiori erano diventati spenti, le foglie degli alberi avevano perso il verde intenso, le piume dei pavoni erano meno vivaci, il pelo degli animali e le criniere dei cavalli erano sbiaditi e il cielo non aveva quell’azzurro intenso di prima.
La sofferenza che Nieves provava la teneva nascosta e solo quando nessuno la vedeva piangeva. Ma cercava di occuparsi di mille cose, per alleviare la pesantezza e l'intenso dolore al petto che sentiva ogni mattina quando si alzava dal letto, dopo aver dormito ben poco. La cosa che le dava più sollievo era accendere il forno e mettersi al lavoro. Quando dal cortile Mariano sentiva il profumo del pane appena sfornato e l'odore del lievito madre, lasciava da parte il suo lavoro, entrava nel porticato dove c’era il forno, che tutti chiamavano panadería, e guardava Nieves mentre sistemava abilmente le pagnotte sugli scaffali e toglieva con uno straccio le briciole e la polvere di farina dal tavolo.
Un giorno le disse:
- Mi piace guardarti mentre levi le pagnotte dal forno. La tua maniera di fare mi ricorda la fornaia che mi regalava sempre un panino quando da piccolo andavo a comprare il pane
- Ángel aveva ragione quando diceva che il grano avrebbe salvato la mia vita, ma purtroppo non ha salvato la sua, rispose Nieves, con tristezza.
In quel momento Mariano avrebbe voluto dirle qualcos'altro, ma non osò. Angelito aveva quasi tre anni quando perse il padre e per i primi mesi continuò a chiamarlo e a cercarlo.
- Papà, papà, dove sei? gridava, correndo per il cortile.
Durante quelle settimane di lutto, Mariano lasciò gran parte del lavoro che svolgeva nelle mani di un uomo di fiducia e si dedicò anima e corpo al piccolo Ángel. Fu allora che gli venne l’idea di organizzare una scuola rurale per insegnare a leggere e scrivere a tutti i bambini della fattoria.
Nieves aiutò Mariano a imbiancare e sistemare una grande stanza al piano terra, per trasformarla in aula. Costruirono insieme banchi e prepararono il materiale didattico. Questo nuovo compito le diede pace.
Mariano si prendeva cura di Angelito come se fosse suo figlio e si accorgeva che ciò era molto apprezzato da Nieves.
Un giorno Nieves gli disse:
- Sono così sollevata di sapere che sarai sempre al nostro fianco.
- Non ti lascerò mai, rispose Mariano.

Nell'autunno del 1884 due figli di Teresa Moragas e José Defaus si sposarono: il 26 novembre Mariano con Nieves a Pinar del Río e il 19 dicembre Francisco con Teresita a Malgrat. Il destino era stato crudele con la famiglia Defaus Moragas, entrambe le spose erano rimaste vedove dopo la morte prematura del giovane marito, ma tutti speravano che le disgrazie fossero finite e che fosse iniziato un periodo di bonaccia.
In quell'occasione Teresa scrisse una lunga lettera al figlio, descrivendo i dettagli del matrimonio di Maria. Mariano la lesse più volte, perché aveva la sensazione che sotto sotto si nascondesse qualcosa.
- Forse mi sbaglio, ma credo che ci sia qualcosa di strano sul matrimonio di mia sorella che mia madre non vuole dirmi, forse il vescovo ha messo degli impedimenti, disse Mariano.
- Che te ne importa del matrimonio, ciò che conta è che si amino. Il vescovo può dire quello che vuole, disse Nieves

- Ma nei paesini ci sonno molti pettegolezzi su due che vivono insieme senza essere sposati.
- Tu non pensarci più. Tua madre ti ha detto che sono sposati e che lei è incinta, quindi basta.
Mariano avrebbe voluto inviare una fotografia di Nieves a sua madre, ma il giorno del matrimonio il fotografo che lui aveva chiamato non si presentò, poi si scoprì che era caduto dall’albero mentre raccoglieva le prugne e portato in ospedale. Il povero fotografo era paralizzato su una sedia a rotelle. Il suo era l'unico studio fotografico di Pinar del Rio e, da quando era stato chiuso, gli utenti dovevano recarsi a L'Avana per farsi fotografare. Nieves si rifiutò categoricamente di intraprendere un viaggio così lungo per farsi fare una fotografia. Teresa e José dovettero immaginare la bellezza di Nieves attraverso le descrizioni nelle lettere del figlio.
Mariano usciva raramente dalla tenuta, una volta alla settimana andava a Las Ovas o a Pinar de Río a seconda della necessità e ogni due mesi, come aveva promesso ai tre fratelli, si recava a L'Avana per controllare la contabilità del negozio. Finché un giorno disse ai bottegai:
- È tempo che io lasci la vostra azienda, non avete più bisogno di me.
I tre fratelli accettarono la sua proposta, ma gli promisero che sarebbero andati a trovarlo ogni anno in estate, per trascorrere qualche giorno con lui e Nieves. E così fecero per il resto della loro vita.

Le lettere di Teresa Moragas continuarono ad arrivare regolarmente alla tenuta Esperanza e Mariano non smise mai di scrivere alla madre.
Le lettere che Teresa scriveva al figlio nella brutta stagione erano più lunghe di quelle scritte quando c’era bel tempo. Nell'ultima lettera di quell'inverno menzionò più volte il figlio Isidro, confessando a Mariano di essere angosciata perché aveva poche notizie di lui, poi gli raccontò con gioia che la gravidanza di Teresita stava seguendo il suo corso naturale e che tutti erano impazienti di sapere se era maschio o femmina. Gli disse anche che il raccolto era andato piuttosto male, ma che la vendita di semi era stata migliore e concluse lamentandosi del brutto tempo e delle forti mareggiate.
Quando rilesse l'ultima parte a Mariano tornò in mente la frase che suo nonno, Mariano Defaus Segarra, era solito pronunciare con enfasi quando in inverno il mare grosso lo spaventava.
- Se l'acqua salata dovesse arrivare fino ai nostri campi, saremmo persi per sempre.
Il piccolo Mariano più di una notte aveva sognato onde giganti che raggiungevano il villaggio e si svegliava sudato e spaventato da quell'incubo.

Nelle lettere che Mariano scrisse alla madre durante quei lunghi mesi, le raccontava aneddoti della vita quotidiana nella fattoria, di quanto fosse felice di aver sposato Nieves e fortunato di avere Ángel, il suo figlioccio, che amava come se fosse suo vero figlio. Tuttavia, non le parlò mai del suo ritorno in Spagna, né lei ne fece cenno.
Alla fine dell'estate del 1885 Mariano ricevette un telegramma dalla madre con una buona notizie e due cattive:
Teresita ha partorito una bambina. La scarlattina ci ha portato via Luisa e Rosa. Agustí è morto a Cuba.
Pochi giorni prima della nascita della bambina, Agustí, il marito di Marieta, morì dopo un’imboscata, in un campo militare vicino a Santiago de Cuba e le bambine, Rosa e Luisa, si erano ammalate di scarlattina. Il medico disse di mettere dei cataplasmi e di non far salire la febbre, ma la febbre salì a quaranta gradi e non ci fu modo di farla scendere. Luisa e Rosa, a diciassette e quindici anni, morirono a poche ore di distanza l'una dall'altra.
Mariano decise di tornare in Spagna, ma poche ore dopo rinunciò, pensando a Nieves e al suo figlioccio. Dopo qualche settimana, ricevette una busta contenente la l’annuncio funebre delle due sorelle e una fotografia di Francisco e Teresita con la neonata in braccio, che chiamarono Teresa, come la madre e la nonna.

In quella lettera, Teresa Defaus Moragas disse nuovamente a Mariano di non preoccuparsi: che stavano tutti bene, che Teresita, Francisco e Marieta si stavano occupando di tutto, che la bambina era molto vivace e che dava loro tanta gioia dopo tutte quelle disgrazie.
Nieves consolò il marito come meglio seppe fare. Ogni sera gli preparava un infuso di camomilla, affinché potesse riposare bene. Nieves e Mariano dormivano in stanze separate, non volendo consumare il matrimonio per rispetto al defunto. In un momento in cui le disgrazie sembravano non avere fine, entrambi capirono che tra loro c'era qualcosa di più di un'amicizia, ma nessuno dei due osava confessare all'altro i propri sentimenti.
I giorni alla fattoria Esperanza passavano di nuovo velocemente, la routine e gli impegni quotidiani davano alla coppia una sensazione di prosperità e benessere: al mattino Mariano insegnava a leggere e scrivere ad Angelito e agli altri bambini della fattoria. Mariano si sentiva bene in mezzo ai bambini. Gli piaceva passare davanti ai banchi dei suoi alunni per vedere come avevano svolto gli esercizi. Ricordava la scuola elementare di Malgrat e applicava con cura le buone tecniche di insegnamento del suo vecchio maestro.
Il giorno in cui andò a L'Avana per chiudere il contratto che aveva con i tre bottegai, comprò un libro di pedagogia che lesse in treno con grande fervore. Quando arrivò alla fattoria disse a Nieves:

- Sento una grande soddisfazione nell'aiutare i bambini a risolvere un problema o a scrivere un tema o una poesia.
- Ammiro quello che stai facendo. Sono sicura che tu sei stato un alunno modello.
- Da piccolo mi piaceva andare a scuola, ma a dodici anni ho dovuto lasciare i libri per iniziare a lavorare. Per fortuna il mio maestro mi impartiva lezioni private nel pomeriggio, in quegli anni ho imparato molto da lui. Al mattino aiutavo mio padre nei campi, ma non mi piaceva zappare la terra, avrei voluto viaggiare e lasciare il paesino. La sera andavo fuori con un gruppo di ragazzi che ogni tanto si mettevano nei guai e finivamo in scaramucce.
- Sono sicura che andavate dietro alle ragazze, raccontami le tue marachelle di quando avevi quattordici o quindici anni. A pensarci bene so ben poco di te, mi hai detto solo che sei scappato dalla Spagna a causa della guerra.
- Un giorno ti racconterò, disse Mariano con un'espressione di disaggio, perché parlare di quell'argomento lo metteva in imbarazzo.
- Mamma, dove sei? Urlò il bambino, correndo verso di loro.
Quella sera, Mariano fu sollevato dall'inquietudine che provava al ricordo dei suoi anni giovanili. L'arrivo del bambino lo aveva salvato, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto rivelare a Nieves il suo segreto.
D'altra parte, anche Nieves aveva ripreso a sfornare pagnotte e a cuocere vasi di terracotta. Un giorno iniziò a dipingere piatti di colori vivaci: arancione col bordo blu, viola e giallo e verde e rosso.

- Perché non vendi questi piatti, sono bellissimi? Gli disse Mariano.
- Hai ragione, a casa abbiamo un sacco di stoviglie.
- Il negoziante del bazar El siglo di Pinar del Río potrebbe essere il tuo primo acquirente.
Nieves seguì il consiglio di Mariano e i suoi piatti iniziarono a vendersi bene.
La fattoria Esperanza progrediva, ma né Nieves, né Mariano avevano intenzione di ingrandirla. I profitti non erano molti, ma erano sufficienti sia per i padroni che per i lavoratori. Sapevano dall’inizio che i cereali da soli non sarebbero bastati a farli diventare ricchi, ma non era questo il loro obiettivo.
- Impastare il pane e sentire il profumo delle pagnotte appena sfornate mi rende felice, ma anche dare forma e colore ai mie vasi, confessò Nieves, sorridendo un giorno a Mariano.
- Ed io sono ancora più felice accanto a te, rispose Mariano, guardandola intensamente.
Né l’uno né l’altro parlarono più del viaggio in Spagna che lui avrebbe voluto fare e la vecchia valigia di cartone, quella che aveva attraversato l'Atlantico nel 1873, fu sistemata in soffitta e per lunghi anni dimenticata.











lunedì 11 marzo 2024

Las primas cubanas



El nombre de Mariano iba danzando por mi cabeza desde que era niña. En verano, por las tardes, mientras todos dormían la siesta yo solía registrar los cajones de la cómoda del dormitorio de Francisco Defaus Marés, mi abuelo materno. El cajón que me estimulaba más curiosidad era el primero, donde había documentos notariales, que en su mayor parte eran testamentos. Me subía a una silla y sacaba los papeles.

Me emocionaba leer cuentos e historias y aquellos documentos contenían muchas. De los más antiguos, los del siglo XVIII, no entendía casi nada pues la tinta estaba descolorida y la letra era retorcida e indescifrable, sin embargo los del siglo XIX estaban escritos con una caligrafía más clara y eran más fáciles de leer. En alguno de principios del siglo diecinueve salía un tal Mariano Defaus Segarra. Pero el que más me llamó la atención fue un testamento de 1887 en el que se citaba a mi bisabuelo Francisco y a sus hermanos, Mariano, María e Isidro Defaus Moragas. Todo iba para el heredero universal y a los demás hijos les tocaba bien poco, a Teresa Moragas, la esposa, nada. En otros papeles notariales de 1898, año en que murió José Defaus Ballesté, también salía el nombre de Mariano y el de sus hermanos.

A principios de los años sesenta, cuando tenía cinco o seis años, enfermaba cada dos por tres de anginas y tenía que guardar cama varios días, entonces me inventaba historias extraordinarias, mis favoritas eran viajes por los mares, mi cama era mi navío. Cuando remaba mi barco con una percha no podía imaginar que en el siglo pasado un hermano de mi bisabuelo se fuera a la mar.

En mi familia no había ni viajeros, ni aventureros, todos habían sido y seguíamos siendo, personas quietas y sedentarias. Durante siglos, por lo que he podido averiguar, la mayor parte de mis ancestros nacieron y murieron en el pueblo de Malgrat. Hasta hace pocos meses nadie sospechó que uno de ellos se embarcó y se fue a ultramar. Sin embargo en la casa de los Defaus no existía ningún documento que lo atestiguara. Nadie nos habló del pariente que se fue a Cuba.

A los dieciocho años yo me marché del pueblo para ir a estudiar a Barcelona, en la Universidad y a los veintiuno me fui a vivir a Italia. Durante mucho tiempo me olvidé de mis antepasados, hasta que un día, tenía unos cincuenta años y seguía viviendo en el extranjero, escribí un cuento de un episodio que mi padre, que por aquel entonces era viudo y tenía más de noventa años, me contó sobre los abuelos de mi madre. Desde Firenze no podía consultar los papeles y al escribir el relato confundí los nombres de los bisabuelos, pero cuando caí en la cuenta de mis errores y los corregí.

A finales de febrero de 2023, recibí un mensaje de María Rosa, una de mis primas, que vive en Malgrat, contándome que había encontrado por la calle a Jordi Defaus, otro primo nuestro. Jordi le dijo a M. Rosa que una muchacha cubana le había escrito un mensaje en sus redes sociales, comunicándole que teníamos antepasados comunes. Escribí impaciente a Jordi.

Mi primo me dijo que la chica cubana, Lilién Catalá Defaus, era la hija de una bisnieta del hermano de nuestro bisabuelo y que estaba moviendo el asunto de su antepasado de Malgrat, para obtener papeles para el expatrio de su madre Lidia y de sus hermanas, Elena, Nelida y Felicita. En seguida le escribí a ella a través de sus redes sociales:

- Hola, soy Josefina Privat Defaus, una prima de Jordi Defaus, nací en Malgrat, pero hace muchos años que vivo en Italia. Por Jordi he sabido que tenemos antepasados comunes. Me hace mucha ilusión que Mariano Defaus Moragas, el bisabuelo de tu madre, fuera hermano de Francisco Defaus Moragas, mi bisabuelo (también el de Jordi). No sabía que un miembro de nuestra familia se hubiera ido a Cuba.

- Hola, yo feliz de conocerte. Ay! Debe de ser tarde en Italia, hay una diferencia horaria.

- No te preocupes, no es tarde, son las diez de la noche, además estoy de vacaciones perennes, hace un año que me jubilé.

- ¡Qué gusto que me escribas! Aquí son las cinco de la tarde. Jordi ha sido especial conmigo. Me ha emocionado mucho conocerlo y ahora me pasa lo mismo contigo.

- Sí, Jordi es muy amable, me ha contado algo de tu tatarabuelo Mariano, pero me gustaría saber más.

- Pues te va a encantar la historia, te la voy a contar: Mariano Defaus llegó a Cuba con 17 años en 1873 y …

.. al triunfar la revolución de Fidel Castro la familia de Mariano perdió la casona y las tierras, al ser expropiadas por la ley del nuevo gobierno.

- ¿Sois muchos los descendientes de Mariano en Cuba?

- La familia de los Defaus es numerosa, pero el apellido Defaus es único en Cuba. Todos los Defaus en el país somos familia…

- No me lo puedo creer y nosotros sin saber nada.

- Estoy ansiosa por contarles de ti a mi madre y a mis tías, que son las bisnietas de Mariano.

- Yo también me muero de ganas de hablarles de ti a mis hermanos.

- He sabido por Jordi que aún existe la casa donde nació Mariano.

- Si, pero se han hecho muchas reformas, creo que la fachada es de los primeros años del siglo veinte.

- Me alegra que la casa permanezca a la familia porque tiene un valor sentimental muy grande.

- Todavía conservamos una virgen de madera muy antigua, te enviaré una foto.

- Me encantaría verla. Consérvenla siempre. Los recuerdos tienen un valor incalculable.

- Mariano fue muy valiente alejándose con diecisiete años de su familia.

- Imagino cuanto habrá extrañado el abrazo de su madre, la compañía de sus hermanos y hermanas. El mar que tanto amaba…

- ¿Tú sabes por qué se marchó de Malgrat?

- Mariano contaba a sus hijos que vino a Cuba porque no quería alistarse en el ejercito, supongo que de cierta forma lo hizo para preservar su vida.

- Quizás haya otro motivo, a mí me parece raro que Mariano, el primogénito y heredero de las propiedades de la familia Defaus, se fuera a Cuba.

- No lo sé… ya intentaremos averiguarlo juntas. Esta búsqueda comenzó porque he querido que mi madre recupere la nacionalidad española, que le corresponde por derecho de sangre, para que pueda viajar y visitar a su hermana Nélida y a la familia que reside en Estados Unidos… Y resulta que terminé encontrando algo más valioso.

- Yo voy a preguntarles a mis hermanos y primos, a ver si saben alguna cosa más. Ya te escribiré si sale algo.

- Gracias. He logrado conectar con el pasado familiar y pienso que podremos mantener la comunicación y conocernos. Eso me hace muy feliz.

- A mí también.

- Me he puesto en contacto con el archivo de Malgrat, con María Teresa Gibert, una mujer que me ha ayudado muchísimo para conseguir los certificados que atestigüen el origen catalán de Mariano.

- Creo que mi hermana conoce a Maria Teresa, es una prima de su nuera. Se lo voy a preguntar, yo hace más de cuarenta y cinco años que vivo en Italia, pero cada verano vuelvo a Malgrat. En Julio iré a ver a M.Teresa, tengo ganas de conocerla.

- Muy bien. Por ahora un fuerte abrazo.

- Sí, ya seguiremos hablando, otro abrazo de parte mía.

Aquella misma noche fui a mirar mis redes sociales y encontré un mensaje de Lidia, la madre de Lilién, ella también me contaba que estaba buscando miembros de la familia catalana de su bisabuelo y que enviaba mensajes a todo el mundo que se apellidara Defaus.

Toda la vida llevo quejándome de que mi familia ha sido monótona, por lo que se refiere a genealogía: sea por parte de padre que de madre todos mis antepasados procedían del mismo pueblo, Malgrat, durante siglos se casaron entre ellos y jamás salieron de la comarca. Por eso fue emocionante para mí descubrir que teníamos familia en Cuba.

- ¡Tengo primas cubanas y nadie me hablado de ello! Le dije contenta a mi marido aquella noche antes de acostarnos.

Al día siguiente llamé a mi hermana, a la muerte de mis padres, ella heredó la casona y todos los papeles de la familia Defaus.

- ¿María Carmen, que tú sepas tenemos familia Defaus en Cuba?

- No creo, nos lo hubiera dicho nuestra madre.

- Pues me ha escrito una chica cubana, diciéndome que desciende del hermano de nuestro bisabuelo Francisco, le dije yo.

- ¡No me lo puedo creer!¿Estás segura de que esa chica no se ha confundido?

- La muchacha tiene pruebas de que Mariano Defaus Moragas llegó a La Habana en 1873 y que procedía de Malgrat.

- ¡Aquí hay gato encerrado! Si todo es verdad, lo de Mariano podría ser un secreto que nuestra familia tenía bien escondido y que no quiso revelar a nadie, dijo mi hermana.

- ¡Hay que averiguarlo!

María Carmen, aquel mismo día se fue a la casa de nuestra infancia, que llevaba varios años cerrada, para ver si encontraba alguna pista para resolver aquel enigma, la ayudaron su hijo y su nuera. En el fondo de una caja de latón de un estante de la vitrina del comedor, hallaron una fotografía de un hombre de unos treinta años, de mirada profunda, ojos claros, con barba y bigote, pelo corto y ondulado, quizás rojizo, con una chaqueta oscura, una camisa blanca y corbatín. Aquel retrato color sepia, lo había tirado un fotógrafo de La Habana, en un estudio fotográfico llamado J. A. Suarez y compañía, de la calle O’Reilly 64. En la foto no había fecha. Ella y yo dedujimos que era Mariano Defaus Moragas. ¿Quién otro podía ser?

- ¿Por qué nadie se dio cuenta de que la fotografía procedía de La Habana? Le dije.

- No se habían fijado en ella porque estaba escondida en el fondo de la caja donde nuestros abuelos guardaban las fotos y con los años los que conocían la historia de Mariano se murieron, dijo mi hermana.

Ella también encontró el testamento de 1887 en el que José Defaus Ballesté les dejaba a sus hijos sus bienes. Era el mismo testamento que yo había hojeado de pequeña.

Volví a escribir a Lilién contándole nuestros hallazgos y ella me dijo que sus pesquisas también habían obtenido buenos resultados, gracias a María Teresa, una voluntaria del grupo Amics del arxiu de Malgrat.

Yo no conocía a María Teresa, sin embargo no tardé en conocerla a través de los mensajes que me envió en mis redes sociales:

- Hola soy María Teresa, tu no me conoces pero yo soy de Malgrat y conozco a tu hermana y a tu cuñada. Soy voluntaria en el Archivo del pueblo y me encantan los estudios genealógicos. Tenemos un vínculo común: tus primas cubanas. Lilién me escribió pidiéndome informaciones sobre Mariano Defaus Moragas, el bisabuelo de su madre. Yo le hubiera podido dar indicaciones de como podía moverse, como hago siempre, pero ella era tan amable y tan educada que me salió decirle: me ocuparé yo de ello. He sabido por Lilién que os estáis escribiendo.

- Hola, mucho guste de conocerte. Sí me estoy escribiendo con Lilién. Y ella me ha dicho que has encontrado lo que buscaba.

- Me costó mucho pues cuando nació Mariano (1856) no existía registro civil y tuve que consultar los libros parroquiales, pero desgraciadamente muchos fueron quemados durante la Guerra Civil.

- ¡Qué mala suerte! ¿Y que hiciste?

- Mossen Salvador de Malgrat, me ayudó, diciéndome: consulta los archivos de la diócesis de Girona, si Mariano estaba bautizado, también debería estar confirmado y eso lo hace el obispo.

- ¡Qué buena idea! ¿Y lo conseguiste?

- Sí, Mariano fue confirmado por el obispo de Girona, también lo encontré en el censo de enero de 1873, el último año en que vivió con su familia en Malgrat, en los años siguientes ya no aparece.

- Estoy contenta de que lo hayas logrado.

- Bueno a las primas también se les pedía otra cosa, que fue la más difícil de obtener: un certificado del juzgado donde se declarara que en aquellos años España no tenía registro civil.

- ¡Madre mía, cuánto papeleo!

- Por suerte ahora ya lo tienen todo, ya pueden pedir la nacionalidad española.

- Has hecho un buen trabajo, las primas cubanas te estarán agradecidas toda la vida.

- No sé porque me embarque en ese asunto, algo dentro de mí me decía que necesitaban mi ayuda.

- Hiciste muy bien, yo también creo que hay que seguir nuestro instinto y ayudar a los demás.

Conocí personalmente a María Teresa en verano de 2023 y me contó que realmente se puso gran esfuerzo y empeño en solicitar y conseguir lo que parecía imposible. Luego envió los papeles a Lidia, una de las bisnietas de Mariano, pero no por correo, sino a través de una persona cubana que en aquel momento estaba en Madrid, pues las primas tenían miedo de que los documentos se perdieran por los meandros de las oficinas de correos de Cuba. Las primas presentaron en seguida la solicitud al consulado español de La Habana, pero todavía están esperando la respuesta.

Lilién es una treintañera cubana llena de entusiasmo, por eso hace un año creó un grupo Whats App, para reunirnos a todos los Defaus. Primero eramos seis, las tres tías de Lilién, su madre, ella y yo, luego fueron uniéndose los primos catalanes, Jordi, M.Rosa, Teresa y Montse y otras primas cubanas, Mariela, Idania, Dinorah, Drialis, Nydia, Amy, Wendy, Adileny algunos primos: Emilio, Osvaldo, Juan y Gilberto. Somos más de veinte los primos reunidos en el grupo, todos somos descendientes de los cónyuges Teresa Moragas Gibert y José Defaus Ballesté, casados en los años setenta del siglo diecinueve. La mayoría de ellos viven en Cuba, sin embargo también hay una parte que vive en Estados Unidos. A veces es un poco complicado hablar con tanta gente, al principio era un mareo cuando escribíamos todos a la vez, pero ahora hemos aprendido y somos más ordenados. También forma parte de nuestro grupo María Teresa Gibert Corominas, que con todos sus estudios genealógicos ha descubierto que es prima lejana nuestra.

El día en que escribí a Lilién supe que en mi vida había una historia que contar. Cada uno de las primas cubanas poco a poco me han ido regalando relatos y anécdotas que sus antepasados se pasaban de boca a boca. María Teresa, consultando horas y horas el archivo, me ha ayudado a reconstruir la vida, las costumbres y los hechos más importantes de algunos habitantes de Malgrat de finales del siglo diecinueve.

En el grupo Whats App se comparten, además de relatos de nuestros padres o abuelos (cubanos y catalanes), viejas fotografías de Malgrat, Las Ovas, Pinar del Río y de la farmacia Sarrá de La Habana, videos de la zona donde estaba la finca Esperanza (hoy día solo queda el gran deposito de agua de la mansión), imágenes de la estación de Las Ovas, donde Mariano tomaba el tren, que desgraciadamente pocos años atrás fue destruida por un tornado, canciones en las se que describe el pueblo de Las Ovas, antiguas tarjetas postales, documentos del municipio, recordatorios fúnebres, etc.

No sé deciros porque empecé a escribir la historia de Mariano, sin embargo sé que algo dentro de mí me impulsó a hacerlo. El porqué quizás esté encerrado en las palabras de un personaje de un libro de Care Santos, una escritora contemporánea catalana:

Las novelas sirven para hacer volver a los muertos, para reencontrarnos con todo lo que perdimos.

Quizás os preguntaréis porqué escribí la historia en castellano y no en catalán. He aquí algunos motivos: no todos a quienes yo dedicaba la narración entendían el catalán, además Mariano a partir de los diecisiete años, sin olvidar su lengua materna, adoptó el castellano como su propio idioma, yo en mi imaginación lo oía pronunciar el meloso español de Cuba, todos mis estudios primarios y superiores los hice en la época dela dictadura franquista, por eso me es más fácil escribir en castellano, que era la lengua oficial, el catalán nunca nos lo enseñaron en el colegio. De todas maneras el catalán es mi lengua nativa y la seguirá amando toda mi vida; tenéis que saber, que en cuando termine la traducción de esa historia al italiano, empezaré la versión catalana.

Durante varios meses, cada mañana me he despertado temprano pensando en Mariano, en sus padres, hermanos, esposa, amigos, etc y después del desayuno me he puesto a escribir sus hazañas. Una vez terminado un capítulo lo he ido enviando al grupo Whats App de los primos Defaus, más o menos uno cada dos semanas.

Mariano y los personajes de su entorno (algunos reales y otros salidos de mi fantasía) han vuelto, me han acompañado semana tras semana, espero que a vosotros, los que habéis acabado de leer esta historia, también os hayan atrapado.












lunedì 4 marzo 2024

Prologo (in italiano)

 


In una notte afosa di fine estate 1837, Mariano Defaus Moragas morì nella sua casa, aveva compiuto ottantuno anni da qualche settimana.

Pochi giorni prima di morire disse a Nieves:
- Nel
la soffitta c'è un baule con dentro una valigia, portamela. La chiave è nel cassetto centrale della mia scrivania.
Nieves si affrettò a salire le scale per prendere ciò che Mariano
le aveva richiesto, ma prima avvisò Felipe per farlo rimanere al suo capezzale.
Il b
aule non veniva aperto da tempo. Era l’unico bagaglio che accompagnava Mariano quando era arrivato alla fattoria Esperanza. Nieves cercò nel cassetto la chiave. Fece fatica ad aprirlo perché la serratura era arrugginita. Mentre ci riprovava sentì un brivido lunga la schiena, temeva di trovare lettere compromettenti. Aveva fiducia in Mariano, ma sapeva per esperienza che ogni persona potrebbe avere dei segreti.
Aprì il ba
ule, dove c'erano un vecchio cappotto di lana nera, una logora coperta grigia, uno zaino di stoffa sbiadita e due libri dalle copertine sciupate. Ne prese uno, il cui titolo era Marina, una zarzuela di Francisco Camprodón. Lo sfogliò e capì che si trattava della storia d'amore tra il capitano di una nave e Marina, una ragazza orfana. In una delle prime pagine lesse: Costa de Levante, spiaggia di Lloret.
-
La spiaggia di Lloret mi dice qualcosa.. credo che una volta Mariano mi parlò di questo piccolo villaggio di pescatori a pochi chilometri a nord da dove lui era nato, si disse.
Poi ricordò il giorno in cui Mariano
le raccontò che durante il viaggio da Barcellona a L’Avana aveva letto e riletto quel libro decine di volte. Poi pensò alla traversata oltreoceano che invece lei aveva fatto e mormorò:

- Se avessi saputo leggere, il mio viaggio da Cadice a L’Avana non sarebbe stato così lungo e faticoso.
L'altro libro era
Cor de Roure di Ramón Picó Campamar, un altro drammaturgo. Gli diede una rapida occhiata, ma riuscì a capire ben poco, perché era scritto in catalano; era anche esso un'opera teatrale, ma ambientata in un castello della Catalogna medievale.
Nieves aveva un buon orecchio
musicale e una gran memoria. Quando Mariano parlava al telefono in catalano, prima con sua madre, poi con suo fratello o con uno dei suoi amici al Casal Català di Pinar del Río, capiva un po' di quello che dicevano. La traduzione del titolo poteva essere Cuore di Quercia, ma non ne era sicura.
- Mariano
ha sempre amato il teatro, pensò.
Rimise i libri nel ba
ule, tirò fuori la valigia, la accarezzò e quando stava per aprirla le sue mani si bloccarono.
- Non posso farlo, si disse.
Entrò ansimante nella stanza dove giaceva Mariano,
il quale era stato trasferito al piano terra, per evitare di dover salire e scendere le scale in continuazione.
Olivia aggiustò i cuscini in modo che lui potesse piegarsi in avanti e
Felipe gli avvicinò la valigia e la aprì.
C'erano
quattro pacchi di lettere e su ognuno c'era un cartellino con un nome: Madre, Felipe, Maria e Isabel. Quello della madre era il più voluminoso.
- Vorrei che
uno di voi mi leggesse una lettera di ogni plico, disse Mariano, facendo un grande sforzo.
- Abbiamo tempo,
adesso riposati, cominceremo domani, gli disse Felipe.
Nieves e Felipe presero l'abitudine di leggergli una lettera all’imbrunire, ma con il passare dei giorni il malato smise di parlare, entrando in uno stato di agonia. Nei pochi momenti di lucidità rimasti, Mariano sapeva che il tempo gli stava per scadere e con le sue ultime forze iniziò a scorrere gli eventi della sua vita, non ebbe rimpianti e si sentì soddisfatto dell'amore che aveva dato e ricevuto. Nell'inaspettato miglioramento che gli agonizzanti hanno prima di morire, lui riuscì a dire a Nieves, quasi senza fiato:
-
Estava tot escrit (era tutto scritto).
- Non sforzarti
a parlare, adesso chiudi gli occhi, gli disse lei dolcemente.
- Non voglio fiori al mio funerale.
- Non
ti preoccupare, ci penserò io a tutto.
- Ho lasciato una lettera
sulla scrivania con le mie volontà.
- Non ti affaticare... Ti amo, il primo giorno che ti ho visto
ho sentito un pizzico di felicità nel mio cuore, ma non te l'ho mai confessato, ora voglio che tu lo sappia, disse Nieves, baciandolo.
-
Non era Ángel il tuo grande amore? Gli domandò lui, alzando un po' la testa.
- No,
sei stato sempre tu, rispose lei.
- Anch'io ti
ho amata dall’inizio, le disse Mariano e chiudendo gli occhi cadde in un sonno profondo.
Nieves rimase a
l suo fianco, ma si addormentò, senza nemmeno rendersene conto. Dopo poco sentì la freddezza della mano del moribondo e chiamò immediatamente Felipe e Olivia, i quali erano nella stanza accanto a riposarsi. I tre rimasero immobili per qualche minuto di fronte al corpo morto, sentivano conforto nel guardarlo intensamente, ma poi iniziarono a toccargli le mani, ad accarezzargli il viso e ad abbracciarlo.

Felipe si occupò di avvisare i figli del defunto, i quali arrivarono poco dopo. Nieves inviò un telegramma ai parenti catalani, i quali telefonarono lo stesso giorno per porgere le loro condoglianze.
La serenità con cui Mariano aveva lasciato questo mondo consolò tutti e rese più facile il loro lutto. I funerali si svolsero il giorno seguente in una cappella vicino alla fattoria Esperanza, in presenza dei familiari più stretti. Dopo la cerimonia, Mariano fu sepolto nel piccolo cimitero della tenuta, accanto alla tomba di Ángel Herrera.