mercoledì 23 febbraio 2022

La vecchia culla

 

Dopo una lunga assenza, Maria volle ritornare nella casa della sua infanzia. Era un edificio a due piani, con un lungo balcone nella facciata e una terrazza rivolta verso il giardino. Aveva due entrate, una nella via principale, l’altra dava accesso al giardino. I muri erano grossi, era stata costruita a metà del Settecento, quando cominciarono ad arrivare i primi coloni dal sud dalla Francia, per popolare la vasta regione degli acquitrini, luoghi malsani e infestati di malaria.

Maria avrebbe viaggiato da sola, senza il marito. Voleva riappacificarsi con Caterina, la sorella, con cui aveva avuto, dopo la morte dei genitori, qualche screzio a causa dell’eredità, inoltre in quel periodo aveva il desiderio di starsene in po’ per conto proprio.

Maria, qualche giorno prima della partenza, aveva chiamato la sorella, che abitava in paese, per informarla del suo arrivo.

- Mi prendi in un brutto periodo, ma senz'altro cercherò di farti pulire la casa. Ti chiamerò io per fissare quando possiamo vederci, le disse al telefono Caterina con un voce un po’ annoiata.

Maria ci rimase un po’ male, avrebbe voluto incontrarla subito, ma non volle insistere più di tanto, conoscendo la sorella, sapeva che bisognava assecondarla.

Caterina usciva poco di casa, spesso era triste e depressa, a causa dei forti dolori provocati da una brutta ernia lombare; fece pulire la casa a fondo da una signora di fiducia a cui aveva dato le chiavi. Nonostante la grande pulizia, Maria aprendo il portone, sentì un forte odore di chiuso e di muffa. Subito spalancò porte e finestre per fare entrare l’aria primaverile.

Si sistemò al primo piano, in quella che era stata la sua camera da letto. Gironzolò per la casa e poi andò in soffitta, dove regnava un gran disordine. In una parete erano stati accatastati alcuni mobili piuttosto tarlati e malridotti, cassettoni, bauli e testate di letti. Alcuni cassetti, quelli che Maria riuscì ad aprire, erano pieni di carte notarili e vecchi testamenti. I bauli invece contenevano lenzuola giallognole, con delle macchie rugginose. C’erano anche valigie, sedie, materassi arrotolati e un grande specchio, appartenuto a chi sa quale armadio. Maria pulì con un fazzoletto lo specchio e si guardò.

- Invecchiando assomiglio sempre di più alla mamma e pensare che tutti mi dicevano che ero identica al babbo, si disse.

Maria ricordò che la madre non voleva che le bambine andassero da sole in soffitta. Ma talvolta di nascosto lei e la sorella ci andavano a giocare. Toglievano il telo bianco che copriva la vecchia culla e ci infilavano dentro le loro bambole.

In mezzo alla stanza trovò un secchio, lasciato dal padre, per raccogliere l’acqua che colava dal tetto quando diluviava.

Guardò le travi del soffitto e si spaventò per stato in cui erano. Suo madre, qualche anno prima di morire, aveva fatto sistemare dal muratore di fiducia una grossa trave di ferro che sosteneva quelle vecchie di legno.

- Da quando è morta la mamma, la casa è cominciata a cadere a pezzi. Si disse e subito le vennero in mente le discussioni che a quel proposito avevano ogni tanto i genitori.

Alla fine degli anni Sessanta, la madre avrebbe voluto ristrutturare la casa e darla in affitto, ma il padre non ne volle sapere. Il desiderio della donna era di far costruire un appartamento in fondo al giardino, sopra il garage, per trascorrere serenamente la vecchiaia col marito. Il padre invece non voleva in nessun modo lasciare quella casa, non gli interessavano le comodità che avrebbero acquisito in un appartamento moderno e luminoso, pensava solo a ingrandire la sua azienda.

Le sembrò di vedere, in una giornata invernale, sua madre seduta in giardino, mentre elemosinava i pochi raggi di sole e di sentire la sua voce lamentosa:

- Questa chiesa è troppo grande e sproporzionata per un paese come il nostro. Se fosse stata una chiesa normale sulla nostra casa ci batterebbe il sole tutto l’anno.

Un po’ commossa, dal ricordo della madre insoddisfatta, Maria si sedette su una vecchia sedia e sospirò.

- Adesso posso capire le sofferenze della mamma, lei avrebbe voluto fuggire da questa casa triste e cupa, invece le è toccato abitarci tutta la vita, senza mai poter fare un trasloco, pensò.

A un certo punto vide spuntare, dietro la catasta di mobili, il bordo della vecchia culla. La tirò fuori e con uno straccio, che trovò vicino al secchio, levò il grosso strato di polvere che si era depositato sopra. Poi chiamò la sorella per raccontarle della sua scoperta.

- Non ci posso credere che tu abbia trovato la nostra culla. Aspettami, arrivo subito, disse Caterina, con la voce allegra di chi ha dimenticato i propri malanni.





domenica 13 febbraio 2022

L'uomo che soffriva di gotta

       

Maurizio piaceva stare da solo. Le poche volte che usciva non parlava con nessuno, ma si fermava ad ascoltare il mondo che brulicava. Si sedeva su una panchina di piazza D’Azeglio e guardava con aria timida e impacciata i bambini giocare e la gente passare.

Maurizio era un uomo robusto, ma essendo alto mascherava bene il suo corpo grassoccio. Il suo cranio era privo di capelli, lucido come un uovo. Era paffuto e di carnagione chiara. Dietro ai suoi occhiali da miope, che si aggiustava ogni tanto, aveva uno sguardo melancolico. Parlava poco, ma sapeva ascoltare.

Dalla morte precoce dei genitori abitava da solo. Era andato in pensione da qualche anno e trascorreva lunghe giornate a casa. Ogni tre ore si tagliava un sigaro a metà, lo accendeva e si sedeva sulla poltrona a divorare romanzi storici, la sua grande passione. I sigari erano accompagnati da una tazzina di caffè. Indossava quasi sempre gli stessi abiti, d’inverno un maglione di lana beige e pantaloni di velluto a coste marroni, d’estate una maglietta bianca e pantaloni di cotone grigio.

A Maurizio piaceva cucinare e anche mangiare. Usciva la mattina del lunedì e del mercoledì a comprare il pane e il giornale, buttava la spazzatura e faceva una piccola passeggiata intorno alla piazza. Il venerdì andava a fare la spesa al mercato di Sant’Ambrogio. Comprava quello che gli occorreva, ma la spesa più grande la faceva dal suo macellaio di fiduccia, prendeva sempre carne macinata, filetti di manzo, spezzatino, cotolette di agnello e un po’ di rosticciana.
- Più tempo ci vuole a cucinare un piatto, più buono viene! Si ripeteva ogni volta che iniziava a preparare lo stufato di cinghiale, che era la sua specialità.

Aveva una cucina ben attrezzata e molto ordinata. Dietro alla porta erano appesi diversi grembiuli da cuoco professionista. Ne sceglieva uno per ogni occasione. Aveva nel sottoscala un congelatore dove conservava ogni ben di Dio.
Mauri
zio aveva lavorato come contabile in un importante maglificio. Non essendosi mai sposato e non avendo praticamente amici, quando andò in pensione cominciò a isolarsi sempre di più. Non aveva contati con nessuno, salvo chiamare ogni tanto Luisa, una delle sue vecchie colleghe d'ufficio.
Luisa
aveva una vita abbastanza complicata. Abitava con la madre, donna malaticcia e piuttosto depressa. Era da anni separata, ma il suo ex marito, essendo uno scansafatiche, ogni volta che si metteva nei guai le chiedeva aiuto.
Luisa, per Mauri
zio, era più che una amica, ma non si era mai deciso a esternare i sui sentimenti. Sebbene Luisa fosse attratta dalla vita parsimoniosa e routinaria di Maurizio, ne biasimava la mancanza di vitalità e coraggio.

Maurizio aveva cominciato a invitare Luisa a pranzo, insieme ad Anna, la sorella di Luisa e Franco, il marito di Anna, ogni prima domenica del mese.
Mauri
zio apparecchiava la tavola e serviva appetitose prelibatezze con grande cura.
-
Il buon cibo bisogna assaporarlo lentamente, facendo delle pause tra un piatto e l'altro, consigliava il padrone di casa ai commensali.
Erano passati più di
cinque anni da quando era iniziato quel rito della domenica. Nessuno era mai mancato all’appuntamento, finché un giorno Maurizio ebbe un attacco di gotta e il dottore gli proibì di mangiare carne.
Mauri
zio chiamò Luisa, per raccontarle della sua malattia e lamentarsi della dieta che doveva fare.
-
Devi seguire i consigli del medico. Promettimi che lo farai, gli disse Luisa con voce preoccupata.

- Ci proverò, ma che ne sarà del nostro appuntamento della prima domenica del mese? Disse lui.

- Possiamo continuare a vederci come prima, se d’ora in avanti i piatti che cucinerai saranno a base di verdure. Altrimenti non contare su di me. Ti posso insegnare a preparare ricette vegetariane. Vieni da me quando vuoi, anche domani, se vuoi. Gli rispose Luisa.

Maurizio, di per sé debole e indeciso, non riuscì a cominciare la dieta senza carne e rimandava di giorno in giorno la visita a casa di Luisa. Tuttavia, ogni prima domenica del mese, continuò a preparare succulenti arrosti e stufati, apparecchiando per un unico commensale.