lunedì 13 maggio 2024

Cap 20. La tenuta Bonanza (in italiano)

 

Il cielo era limpido, le prime luci dell’alba facevano brillare le foglie degli alberi e le piante del giardino; Gabriel, mentre apparecchiava la tavola sotto la pergola per la colazione dei padroni e degli ospiti, sorrideva pensando ai nuovi arrivati, gli piacevano: Olivia era molto gentile e Felipe scherzava sempre con lui, chiamandolo compadrito.
- Gabriel siediti con noi, gli disse Mariano.
- Mi piacerebbe, ma non posso, la cuoca si innervosisce quando le chiedo di preparare piatti spagnoli. È molto brava a fare la
minestra d'aglio e anche il cocido madrileño, ma quando deve rivoltare la frittata di patate si innervosisce e la rompe, e per questo oggi la voglio fare io... non fraintendetemi, non mi sto lamentando di lei, quella donna è molto brava a cucinare il cibo della nostra terra.
-
Lascia stare la tortilla e resta con noi, disse Nieves.
I quattro si sedettero
ridanciani all'ombra della pergola; Gabriel, dopo essere andato dalla cuoca a controllare i fornelli, si fermò un po' con loro.
- Non
abitate più a L'Avana? domandò Nieves.
- No,
abbiamo traslocato da poco, disse Olivia.
- Abbiamo comprato una
tenuta vicino alla vostra, era la sorpresa che volevamo farvi oggi, disse Felipe sorridendo.
- Non di
rmi che è quella di cui vi avevo parlato qualche tempo fa! Esclamò Mariano, sorridendo.
- Sì, è la tenuta
Bonanza, disse Olivia.
- Non
ci posso credere, saremo vicini di casa! disse Nieves.
- È stato un affare, visto che la
proprietà era stata abbandonata da un bel po’... Abbiamo restaurato solo una parte della villa, quella messa meglio, mentre l'altra l'abbiamo demolita e trasformata in un gran cortile. Anche il giardino è stato rifatto da capo, sono stati piantati molti alberi da frutto. Il nostro giardiniere e un gruppo di muratori hanno lavorato senza sosta. Non è ancora tutto finito, ma adesso possiamo sistemarci. Siamo arrivati ieri sera per restare, disse Felipe.
- Che mascalzone che sei! Se me lo avessi detto prima, ti avrei aiutato
volentieri, disse Mariano.
-
Come ben sai, mi piace tenerti nascoste le novità, per poterti sbalordire, appena le verrai a sapere! Rispose Felipe con una risata.
-
Mi ero accorto che c’era un via vai di carrette nelle vicinanze e quando ho chiesto al capomastro chi avesse comprato la fattoria Bonanza, mi ha detto che i proprietari erano una coppia de L'Avana, ma non avrei mai immaginato che foste voi, disse Mariano.
-
A suo tempo ti avevo già detto che Juaquín Vila, il figlio del mio ex padrone, mi aveva dato la libertà e rimborsato per gli anni di schiavitù, ragion per cui avevo potuto studiare, ma forse non ti ho raccontato che l'anno scorso, quando lui è morto, mi ha nominato nel suo testamento, lasciandomi una buona somma di denaro, con la quale possiamo vivere agiatamente.
- Per festeggiare, vi
invitiamo a cena, disse Nieves.
- Grazie, accettiamo volentieri il vostro invito, rispose Olivia.

- Oggi pomeriggio vorrei presentarvi Lucas, il figlio di Isabel, che adesso è il nostro falegname. È un peccato che non sia qui adesso, è andato alla stazione di Las Ovas, a prendere delle assi di legno, annunciò Nieves.
- Non sapevo che Isabel avesse un figlio! rispose Olivia.
- Neanche io, Isabel lo ha avuto prima di conoscerla, ma lo ha nascosto a tutti. È stato cresciuto da Rogelia, la donna che aveva fatto da madre anche a lei, raccontò Mariano.
- Lucas è un magnifico ebanista, oltre a un buon falegname, ci sta facendo un tavolo e delle sedie in mogano....bellissime! Siamo molto contenti di lui, si è trasferito nella casetta bianca di Gabriel, disse Nieves.
- Lucas è un ragazzo molto bravo...ora scusatemi, devo proprio ritornare in cucina, osò dire Gabriel.
- Come sta Isabel? Domandò Felipe.
- Sta bene, era l’ora. Un prete con pazienza le ha insegnato a leggere e scrivere, piano piano è migliorata nella calligrafia e ortografia e adesso mi scrive lunghe lettere.
- Non vedo l’ora che tu ci racconti la storia di Isabel! Quando l'ho conosciuta al vostro matrimonio, mi è piaciuta molto, disse Olivia, sorridendo.

Per Mariano il ricongiungimento con Felipe fu una ricarica di entusiasmo. Da quel momento in poi le due coppie cominciarono a frequentarsi assiduamente. Olivia era un'ottima bambinaia, amava giocare con i bambini in cortile, mentre Felipe insegnava ad Ángel numerosi giochi da tavolo. Ben presto Ángel si innamorò perdutamente di Eloína, una ragazza di Las Ovas e smise di giocare a scacchi e a domino con Felipe. I suoi futuri suoceri avevano un allevamento di bestiame e quando il vecchio contabile della fattoria morì, assunsero lui per tenere i libri di contabilità.
Mariano lasciò che Olivia e Felipe si occupassero della scuola che lui aveva fondato. La coppia non solo si spostava nei villaggi e fattorie, per raccattare i bambini analfabeti, ma si dedicava anima e corpo a insegnare loro a leggere e scrivere. In seguito fondarono una scuola itinerante per adulti che consisteva in un carro pieno di libri, una piccola lavagna e banchi di legno con quaderni e matite. La sera, il carretto si fermava davanti a una fattoria, ogni giorno una diversa, dove venivano smontati gli attrezzi e quando i braccianti ritornavano dai campi, dopo una lunga giornata di lavoro, si sedevano davanti alla lavagna per imparare l’alfabeto e a fare conti. Per dimostrare la loro gratitudine, spesso portavano ai maestri quel poco che avevano, uova e ortaggi.
Olivia non poteva avere figli. Fu violentata più volte dai caporali della piantagione dove era una schiava e dopo due aborti perse la fertilità.
- Sono una donna sterile, disse un giorno a Felipe, singhiozzando.
- Sei una donna straordinaria, ti amo molto. Non m’importa di non avere figli, ci sono tanti orfani a Cuba! Rispose Felipe, baciandola.
Le due fattorie, Esperanza e Bonanza, erano confinanti, separate da un ruscello. La prima aveva immensi campi di grano, un frutteto, una grande cisterna per l'acqua, numerose stalle e recinti, un bel giardino con fiori e piante tropicali e un bosco sul fianco della collina, con palme reali che raggiungevano i venticinque metri di altezza, querce, cedri, mogani e arbusti a basso fusto. Oltre alla villa, costruita da Antonio Hernández, il nonno di Ángel, c'erano altri edifici: le piccole case dei lavoratori, la scuola, la cappella e la casetta bianca di Gabriel. La tenuta Bonanza era molto più piccola, poiché dopo la guerra un'ala della vecchia villa fu demolita e i terreni più fertili furono espropriati dagli spagnoli. Il giardiniere che curava i terreni prima del loro arrivo salvò alcuni alberi dalla terra bruciata durante la guerra e ne piantò altri affinché i proprietari potessero raccogliere diversi frutti: banane, ananas, noci di cocco, avocado e mango; piano piano, la tenuta Bonanza si riempì di rigogliosa vegetazione. Olivia si prese cura del giardino dove furono sistemate delle belle piante ornamentali e nel cortile fece mettere dei grandi vasi di fiori.

Col bel tempo i due amici facevano delle belle passeggiate mattutine, verso il ruscello. Anno dopo anno i due non smettevano di scherzare, chiamandosi da lontano e urlando le stesse cose con le mani vicino alla bocca:
- Mariano...Hai limoni?
- Felipe...
ho degli alberelli , ma non vedo limoni, rispondeva Mariano.
- Non fare il finto tonto,
io li vedo da qua.
- Hai occhi di lince?
- Non prendermi in giro,
tu mi nascondi i tuoi limoni.
- Vorrei averl
i, urlava Felipe.
- Non ti sento!
- Sei sordo?
Nella fattoria Esperanza gli anni passarono in fretta i bambini diventavano adulti senza che i genitori quasi se ne accorgessero, e piano piano cominciarono ad accoppiarsi con ragazze e ragazzi dei dintorni. Il primo a sposarsi fu Ángel, il quale si trasferì a casa dei genitori di Eloína. Due anni dopo il matrimonio, in una notte ventosa, Ángel era andato dai suoi per fare sapere alla madre che alla moglie le si erano rotto le acque. Nieves lo accompagnò a cercare il medico del paese, ma non riuscirono a trovarlo; il dottore, insieme alla levatrice, era andato ad assistere un'altra donna in travaglio. La moglie del medico disse loro di andare a cercare Octavia, la levatrice nera, la quale abitava con la madre in una baracca nella periferia del paese. Quando Ángel le chiese di seguirlo, si tolse il grembiule e salì in silenzio sulla carrozza trainata da cavalli. Ángel e Nieves, seduti davanti, Octavia dietro, parlarono appena nel breve tragitto. Quando arrivarono si era calmato il vento. Octavia, dopo essersi lavata le mani, corse nella stanza dove si trovava la partoriente.
- La creatura
si presenta podalica, disse Octavia, dopo aver messo una mano dentro il corpo di Eloína.
O
ctavia, una donna minuta, di poche parole, aveva imparato il mestiere osservando sua nonna, una schiava nera che aveva una buona mano con i parti difficili di mucche e cavalli. Eloína spingeva e gridava di dolore e le ore passavano senza alcun risultato. Ángel si disperava nel sentire le urla della moglie. La suocera, donna delicata di salute, aspettava fuori dalla porta col marito e non voleva fare entrare Ángel, ma lui in preda all'esasperazione entrò nella camera da letto e abbracciò la moglie. Dopo poco tempo, Nieves e Octavia si accorsero che Ángel era molto pallido e lo fecero uscire dalla stanza. Mentre Octavia tirava fuori le gambe e le natiche del bambino, Nieves non smetteva di dare dei colpetti sulle guance di Eloína, la quale sembrava aver perso i sensi.
- Resisti,
la bambina sta per nascere, le disse Octavia con dolcezza, ma anche con determinazione.
Elo
ína recuperò le forze dopo le parole della levatrice e domandò quasi senza fiato:
- È una
femmina? È viva?
- Sì, è viva, spingi...
Eccola!
Ottavia tirò fuori la bambina,
la quale pianse subito. Era sana, non aveva subito alcun danno durante il lungo parto podalico. Quella levatrice nera aveva portato a termine quello che pochi medici sarebbero stati in grado di fare.
Mariano,
quando seppe della nascita di Eloísa, la nipotina, decise di recarsi alla fattoria dei consuoceri, in sella alla sua cavalla, per conoscerla. I genitori della neonata e i quattro nonni piansero di gioia ammirando quell’esserino così bello. All'inizio Eloína non voleva avere un secondo figlio, temeva un altro parto difficile, ma dopo tre anni fu la prima a saltare di gioia per la nuova gravidanza. Fermín Octavio nacque in così poco tempo che Eloína volle dargli come secondo nome quello della levatrice, ma da subito lo chiamò Octavio e tutti continuarono a chiamarlo così. Anni dopo, anche Andrés, Josefina, Bernardo, Esther, Leonardo e María de los Ángeles nacquero senza problemi, ma Eloína volle sempre che Octavia fosse al suo fianco. Cambiò anche il nome a Bernardo, iniziando a chiamarlo Domingo, perché aveva cominciato ad avere le prime doglie di domenica, giornata talmente piovosa che Ottavia, la levatrice, non sapeva come attraversare le strade, diventate corsi d'acqua, ma per fortuna arrivò in tempo, per fare uscire, con sue meravigliose mani, il bambino dal grembo materno.

Juan, il primogenito di Nieves e Mariano, sposò Manuela, una ragazza di Puerta de Golpe, gli sposi andarono ad abitare a pochi chilometri dalla tenuta Esperanza. Ebbero otto figli, i primi cinque furono femmine: Gudelia, Nieves, Mariana, Esther e Cristina, che Mariano chiamava Cuca, perché era molto bellina. Juan e Manuela non ci speravano più di avere figli maschi quando dopo qualche anno nacquero Enrique e Gilberto. José, il secondogenito, ebbe cinque figli: i primi tre, Joseito, Alfonso, che era piuttosto minuto e tutti chiamavano Chiquitín e Mariano, il quale venne da subito chiamato Tití; qualche anno dopo José ebbe altri due figli dalla seconda moglie. Anche Teresa partorì cinque figli: Mariano, Emilio, Regino, Pedro e Nena. Le figlie più giovani di Nieves e Mariano, Ramona e Coltilde, si sposarono tardi e nessuna di loro ebbe figli. Più che una casa, la tenuta Esperanza sembrava una scuola, affollata di bambini di tutte le età che correvano per il cortile e il giardino.
Nieves e Mariano erano contenti quando ospitavano i nipotini, che arrivarono a essere venticinque, e si divertivano a giocare con loro. Ma ci furono anche dei lutti in famiglia: María de los Ángeles morì all'età di sette anni per una misteriosa malattia allo stomaco e Caridad, la gemella di Enrique, morì appena nata. Un'altra disgrazia arrivò anni dopo: José rimase vedovo con tre figli, Pastora, sua moglie, era delicata di salute e morì di febbre tifoidea. Nieves e Mariano ospitarono José nella loro casa per alcuni mesi, fino quando lui sposò una ragazza molto bella, che tutti chiamavano La Niña, e con la quale ebbe altri due figli, Armando e Roberto.
Olivia e Felipe, quando si recavano alla fattoria Esperanza, giocavano con grande piacere con i bambini. Anche Gabriel amava i ragazzi e con pazienza insegnò a ciascuno di loro a montare a cavallo, con i puledri che allevava lui stesso. Lucas costruiva via via, oltre a lettini e seggioloni, giocattoli in legno per i bambini.

I capelli di Gabriel, come quelli dei padroni, piano piano diventarono grigi, ma a lui non sfuggiva niente, continuava a prendersi cura della casa e dei suoi abitanti, occupandosi sempre dei lavori più impegnativi. Era nato schiavo nelle baracche delle piantagioni di tabacco di Antonio Hernández, ma dopo la sua morte, Ángel, il figlio, ereditò la tenuta e gli diede la libertà. Gabriel si trovava bene nella fattoria Esperanza e non si era mai allontanato da Las Ovas, anche se poteva farlo. Quando sposò Nélida, la figlia della cuoca, Mariano gli mise a disposizione la casetta bianca dove lui aveva vissuto i primi anni. Gabriel rimase presto vedovo, la moglie morì dando alla luce un bambino morto. Quando arrivò Lucas, Gabriel lo accolse nella sua casetta. Anche Lucas si era abituato ben presto alla vita della fattoria. Quando gli spagnoli si ritirarono da Cuba, lui non era più ricercato e poteva muoversi in libertà, ma rimase a vivere nella casetta di Gabriel. Ogni mattina cominciava a lavorare con lena nel suo laboratorio di falegnameria, l'odore del legno lo metteva di buon umore. All'età di trent'anni si fidanzò con una bella ragazza mulatta, che sposò un anno dopo e portò a vivere nella casetta bianca. La ragazza stette poco tempo con Lucas, ben presto scappò con un venditore ambulante, un imbroglione che le aveva promesso mari e monti. Gabriel e Lucas rimasero da soli e, invece di disperarsi per la loro brutta situazione, divennero amici inseparabili. Entrambi facevano il proprio lavoro con molta cura e aiutavano anche a organizzare le feste famigliari, a cui partecipavano molto volentieri, diventando veri e propri membri della famiglia Defaus-Herrera. Quando si riunivano tutti insieme, c’erano anche Olivia e Felipe. Un pomeriggio Enrique, uno dei nipoti di Nieves e Mariano, chiese a Felipe:
- Raccontaci qualche fatto della guerra d'indipendenza.
Felipe raccontò ai bambini che prima di ottenere l'indipendenza, Cuba era riuscita, a caro prezzo per i neri, ad abolire la schiavitù. Durante la Grande Guerra, infatti, gli schiavi delle piantagioni avevano combattuto dalla parte dei separatisti che promettevano libertà e uguaglianza, ma non avevano ottenuto nulla, perché la maggior parte di loro era morta sul fronte o fu brutalmente uccisa dagli spagnoli come rappresaglia.
- È stata una grande ingiustizia! disse Mariano.
- Voglio raccontarvi la morte sul campo di battaglia dei due grandi leader cubani, Manuel de Céspedes e José Martí, affinché capiate che i conflitti armati non portano da nessuna parte, disse Felipe. Quando Felipe finì di narrare alcuni episodi di guerra, si alzò e con un gesto teatrale disse:
- Da giovane ero un rivoluzionario pacifico, che camminava per la strada a testa alta volendo salvare Cuba. Io e i miei compagni eravamo convinti che il futuro fosse nelle nostre mani, che le nostre azioni presenti avrebbero influito sul futuro del domani, ma non avrei mai permesso che venisse versato del sangue. Diglielo tu, Mariano... digli che io e te volevamo l'indipendenza senza guerra.
- Sì, e un'altra cosa per cui Felipe ha combattuto è l'uguaglianza tra bianchi e neri. Nella nostra famiglia l'abbiamo raggiunta, il sangue nero scorre nelle vostre vene e ne sono molto fiero, disse Mariano.
- Nelle mie scorre sangue ancora più nero, disse Felipe, scoppiando a ridere.









giovedì 9 maggio 2024

Chapter 5 - Havana (English)

 


One afternoon at the end of April, cooler and less muggy than it usually was at that time of the year, Miguel and the captain set sail for the Canary Islands. Mariano went to the dock to say goodbye to them. He became melancholic watching the maneuvers of the sailboat and the raising of the sails. He would have gladly embarked with them to return to his land. Since he had set foot in Cuba, every morning he woke up with fear and pain in his chest. He had mentioned it to Miguel who told him that the same thing had happened to him when he left La Palma.

- It is due to the fear of feeling abandoned and the longing one has for one's family. Don't worry, we've all been there.

- While we were sailing, I didn't notice anything. Now I wake up startled and very anxious, Mariano confessed.

- Of course, on the boat you felt welcomed and protected by all of us,” Miguel told him laughing.

Before the ship detached its anchor from the anchorage, Mariano gave Miguel a letter he wrote to his mother the night before.

Havana April 28, 1873

Dear Mom,

I will be pleased to know that upon receiving this letter you are in perfect health in the company of our family. I'm doing well, thank God.

Mr. Sarrá has been very helpful. I stay in the back room of the Pharmacy and very often he invites me to have lunch with his family. For now, I am working for him, but I would like to work in the commercial field.

Every day I get up when it's light, at half past six in the morning, and go out to have a coffee with milk at an establishment that is on the same block. In Cuba, workers usually eat twice a day: lunch at ten thirty in the morning and dinner at four in the afternoon. After dinner there is not much going on. This is the hottest part of the day and we all take it easy. At six, work starts again until eight. It gets dark suddenly around eight.

Sometimes at dusk I go out for a walk with my old cabin mates Pablo, Pepe, and Pedro. You remember? I told you about them in a prior letter. They are the ones who have opened a grocery store in the city center. Let's hope they do well. Pedro told me that later they will start selling seeds and that if they manage to do so, I will take care of that part of the business. Hopefully!!

As I told you before, I became good friends with Miguel, an officer of the ship and also with the captain. I'm sorry they're embarking tomorrow. I'd gotten used to having dinner with them. You may wonder what they eat in Cuba.

My favorite dish is rice and beans, also called Moors and Christians. The beans are small and black, very tasty, but not as delicate as Malgrat's ganxet fesols. I usually have pork for lunch, prepared in very different ways, other times we eat lobster and shrimp. Mr. Sarrá's cook prepares delicious dishes, such as yuca with mojo (a delicious-tasting root prepared with a garlic and lemon sauce), stuffed avocados, and fried plantains.

I hope that in a few months the political situation in Spain will improve and that I can return home. However, I have already made up my mind that I am going to stay here for a year or at most two. I miss you all very much. How are my brothers? I often think of you and my father, of everything you have taught me. I thank you from the bottom of my heart. How is everything going for Malgrat? Give my regards to the teacher, the priest, and the mayor.

I will not tell you my opinion in regards to Cuba yet, because until now I have barely seen the neighborhood of Old Havana and the port area. Mr. Sarrá wants Felipe, a trusted coachman, to take me for a ride throughout the city and its surroundings. Another day I would like to take the train and go to Güines, a city south of Havana. I'll tell you about it.

I'm going to sleep because I have to get up early tomorrow. I say goodbye to you with great affection.

Your son who loves you very much.

Mariano Defaus Moragas

As the ship receded from sight, Mariano stood up and headed towards the Post Office and Intendant’s Palace located in the Plaza de Armas. He bought stamps and envelopes, and as he left he heard someone calling him from a horse-drawn carriage.

- Mariano! It was Felipe's voice.

- Come on, get in, I'll take you for a ride around the city, offered Felipe.

- Thanks, but aren't you acting as a coach today? Mariano asked.

- I'll do it tomorrow. Today I would like to take a ride with you,” replied Felipe.

- Well, today is my day off! Generally my work at the pharmacy is from Tuesday to Saturday. Today is Monday, my lucky day,  Mariano as he sat next to Felipe where he had a better view of the sorroundings.

- Do you know the history of Havana and the history of this square?

- I have no idea! Mariano responded.

- Well, before starting the tour, it would be best for you to know that this city was founded in 1514 by the Spanish Conquistador Pánfilo de Narváez, but it was moved twice due to mosquito plagues. In 1519, it was located in its current location and according to the legend, the first mass was celebrated under a Ceiba tree in the current Plaza de Armas, which shortly after was called ‘Plaza de la Iglesia’ when the Main Parish was built.

- What is a Ceiba?”

- It is a very tall tree, with a thick trunk and reddish flowers. I will show it to you when I see one.

- Yes, please. I can imagine why it is called Plaza de Armas, they defended the city there, right?

- Don't run ahead Mariano, let's go a step at a time, Felipe replied.

- At first it was a small area next to the bay, occupied with buildings mainly made of wood that served the most basic public functions. It is believed that on one side, this plaza opened towards the bay to facilitate the work of the ships landing and docking. In 1558, the construction of the Castillo de la Real Fuerza began, which included an open space around the castle, a parade ground itself, which would serve to collect residents and property in case of danger. As you mentioned, to defend the city! In the last century, the Parish, losing importance when the Baroque Cathedral of San Cristóbal was built five blocks away, was demolished and in its place the Post Office and Intendance Palace, also called the Second Cape Palace, was built, and finally the Palace of the Captains was built . . . but perhaps I am boring you with all my talk.

- Not at all, I'm very interested! Whose statue is that in the center of the square? And please, let’s not be so formal.

- I feel strange addressing people by their first name, but I'm going to try. It is the statue of King Ferdinand VII of Bourbon. You know who he is, right?

- Of course I know, he was the king of Spain! He reigned at the beginning of the century and was the father of Isabel II.

- Tell me, tell me! I know very little about all that! implored Felipe.

- In 1830, Fernando VII abolished the Salic Law, which did not allow women to ascend the throne, in favor of his newborn daughter Isabel. When Fernando died three years later, Carlos, brother of the deceased king, wanted to take the crown, not accepting Isabel as queen and from there the Carlist Wars began. In 1868, the queen was dethroned after the uprising of the progressive parties, but they were unable to end the monarchy.

-Those damned monarchies always resist, Felipe replied.

- Yes, Spain has always been very monarchical. That is why the new constitution of 1869 maintained the monarchy. In 1870, Amadeus of Savoy, son of King Victor Emmanuel of Italy and related to the Bourbon royal family, was elected king, but the political parties and the nobility never accepted him. Neither did the popular classes who mocked him for being a foreigner. The Carlists took advantage of the political instability to conquer ground. And in 1872, as a result of all this, a real civil war broke out, especially in the north of Spain. In many cities there were workers' revolts and republican uprisings. Faced with so many difficulties, Amadeo I abdicated in February 1873 and thus the first Republic was born. For now, the republican government has neither known how to contain the internal unrest nor come to an agreement with the Carlists. I get sick thinking about those damned wars that lead to so many deaths and that have kept me away from Spain.

- Thanks for recalling your history in such a simple and clear way. We Cubans only receive news of the greatness of the Spanish Crown and not internal disputes.

- I didn't know the history of Spain well either, my family is conservative. They trust the monarchical policy promulgated by the church, and they are not well informed as to what is happening in the country. That's why, when I lived there, I didn't understand the reason for so many disputes. However, on the ship I made friends with a man, referred to by everyone as “teacher,” who lent me a book he had recently written on the contemporary history of Spain. Many afternoons we talked and he confessed to me that he was a confirmed republican, but that lately he had been disillusioned by everything that was happening and that he was fleeing before the Republic fell; the government's days were numbered, according to him.

- I would have liked meeting the teacher. I like him! I would abolish all the dynasties of kings that are on earth. In my humble opinion, the Monarchy is an evil of society. I hope that the world changes and leaves behind all the mistakes it has been making. The worst for me is the inheritance to the throne of monarchs, because that is where wars for power are born - Felipe was silent for a few seconds and then continued, saying, -Well, I don't want you to be disappointed and before it gets dark I want to take you to the other side of the bay, at the mouth of the Gulf of Mexico, so you can see the strategic position of the city.

-I have seen on a map that the sea that laps Havana is called The Florida Strait.”

- Yes, but the Florida Strait is the continuation of the Gulf of Mexico. As I was telling you, the Bay of Havana has always been a magnificent natural port but it has also been very vulnerable. Did you know that the city was sacked several times by pirates and privateers?

- I can imagine! Pirates also arrived in my town!”

- To protect the entrance to the port, at the beginning of the seventeenth century the Castle of the Three Holy Wise Men of Morro was erected. Later, the city was also attacked by the English when Spain went to war with them. In 1762, the English held Havana for eleven months. When the Spanish recovered the enclave in exchange for Florida, the building of the San Carlos de la Cabaña Fortress began and the entire city was walled. Havana became the most fortified city in the New World.

- I am impressed Felipe, you know a lot! Your explanations take me back to that time. I am excited to see the vestiges of Havana.

-Where exactly were you born?

- I was born in Malgrat, a fishing village on the eastern coast of Spain, about fifty kilometers north of Barcelona. It was a town that subsisted thanks to agriculture and fishing, but at the arrival of the railway in 1859, industries and businesses began to develop. There is even a shipyard where quite large ships are built. My town does not have a port. Boats cannot disembark on the beach, they have to do so with small boats.

-The railway arrived in Havana in 1837 and public gas lighting in 1848. I hope that progress will save us as long as we stop mistreating slaves, and making them work like animals. They are the ones who build our railway networks. They nail the telegraph poles and install the streetlights. Without the blacks, Cuba would have nothing, Felipe said.

- Also believe in progress and I hate slavery. When I was little, I saw the boats in my town's shipyard. I dreamed of getting on one of them and going to America. And here I am! Mariano replied.

- One day I'm going to tell you how I got to Cuba, Felipe told him, lighting a cigarette.

- I'm also going to tell you my story another day, Mariano answered sadly.

- Well, let's not be sad. Let's think about positive things. How much has Malgrat prospered? I suppose the telegraph cables also arrived, right?

- Yes, and by the way, last year the telegraph saved my life, but in Malgrat we still do not have public lighting. However, in Barcelona, since 1850, there have been more than 1,500 oil lamps that illuminate the streets. But I see that Cuba is very advanced.

- It is French and English companies that invest in Cuba for their businesses and interests. Don't think that they lose out. By exploiting the slaves, they get rich and we Cubans get nothing.

While Felipe spoke to him he was alert, guiding his horses and in a short time he took Mariano to the other side of the bay, where they admired the beauty of Havana. They got out of the horse carriage, walked around the Castle and when they were driving around the perimeter of the San Carlos de la Cabaña Fortress, night suddenly fell.







mercoledì 8 maggio 2024

Cap 19 - Teresita e Francisco (in italiano)


I figli di José Defaus e Teresa Moragas che più si assomigliavano erano Mariano e Francisco, entrambi perspicaci, occhi azzurri penetranti e capelli rossicci. Quando Mariano partì per Cuba, Francisco aveva appena compiuto nove anni ed era il più sveglio dei fratelli. Fin da piccolo iniziò a leggere con passione i libri che prendeva in prestito dal maestro e per stare in santa pace, si nascondeva in soffitta, il suo posto preferito di casa. La madre era molto tollerante con lui e non lo rimproverava quando agiva senza chiedere il permesso o quando spariva.

- Isidro sei una peste, sei peggio tu che dieci Franciscos insieme ! Urlava al figlio, rincorrendolo con un mestolo di legno.
Quando Isidro fu espulso dal seminario, Francisco entrò in quel triste edificio senza lamentarsi. Non ebbe problemi ad adattarsi alla routine dell’
istituzione, dove seguiva la stessa tattica di casa: si nascondeva a leggere in soffitta, circondato da armadi, materassi, sedie zoppe e altri oggetti in disuso. Poiché era così tranquillo e diligente, venne subito apprezzato dagli insegnanti, anche per il Priore era uno studente modello che sarebbe diventato un buon sacerdote, invece Francisco era sicuro di non volerlo essere. A scuola non fece molte amicizie, gli piaceva stare da solo e a casa non si lasciava coinvolgere troppo dalle vicende famigliari: Mariano non ritorna da Cuba, Marieta si sposa con Agustí, Isidro viene obbligato a imbarcarsi, Joan va in guerra, si ammala e infine sposa Teresita.
La prima volta che tornò a casa e
ci trovò la cognata, sentì una fitta al cuore. La ragazza gli piaceva, ma essendo la moglie del fratello, doveva togliersela dalla testa e per non dover parlare con lei, si nascondeva. Teresita era una ragazza con capelli neri e folti, occhi vivaci, labbra carnose e carnagione scura, sembrava una mulatta. La sua famiglia era originaria di un villaggio vicino, ma aveva una nonna andalusa, dalla quale aveva ereditato il carattere gioviale ed estroverso: amava parlare con le persone e aveva fatto amicizia con tutti i vicini.
Da quando Teresita
era andata a stare dai Defaus, Francisco aveva iniziato a trascorrere più tempo a Malgrat, ma continuava a evitare la cognata. In seguito alla morte del fratello Joan, a causa di una polmonite, Francisco, oltre a essere triste per quella perdita era preoccupato, sapendo che avrebbe dovuto lasciare il seminario e che la responsabilità di prendersi cura della famiglia sarebbe ricaduta su di lui, essendo l'unico figlio maschio rimasto a casa. Francisco aveva diciannove anni quando i genitori gli dissero che doveva sposare la cognata.

- Teresita è la donna ideale per te, ma deve rimanere incinta prima del matrimonio, gli disse perentoriamente il padre.
-
Avete perso la testa? Come posso costringere Teresita a venire a letto con me?
- Le parlerò, le disse il padre seri
oso.
- Penso che sia un'idea folle, rispose Francisco.
- José, stai
esagerando, neanch'io vorrei perdere Teresita, ma non possiamo obbligarla fare questo, disse Teresa, la madre.
- Il parroco mi ha detto che dobbiamo agire in fretta,
è impensabile che una vedova possa vivere sotto lo stesso tetto del fratello celibe del marito defunto.
- Padre, non di
te nulla a quella povera ragazza, implorò Francisco.
- Lasciatemi in pace, so cosa sto facendo. Se non sposi Teresita ti disered
erò.
- José,
sei impazzito? Disse Teresa, piagnucolando.
- Senti Francisco, ti do tre mesi di tempo.
Francisco uscì dalla cucina sconfortato, gli piaceva Teresita ma non sapeva come
agire. José Defaus Ballesté, essendo molto testardo, lo stesso giorno mandò a chiamare Teresita nel suo ufficio e le disse:
- Siamo così contenti di te che non vogliamo che tu te ne vada, ma per salvare le apparenze e il tuo onore non è bene che tu
stia sotto lo stesso tetto di Francisco... Dovresti sposarlo.
- Anch'io sono
sto bene con voi, ma penso che sia una cosa affrettata. Conosco Francisco a malapena, rispose Teresita.
- Hai tre mesi di tempo per decidere se vuoi restare in questa casa o
ritornare a casa di tuo padre.
-
Vi ringrazio per la fiducia che avete in me, ma l'amore deve essere una cosa reciproca.
- Smett
ila con questa sciocchezza dell’amore e pensa al tuo futuro! Ah, dimenticavo, prima di sposarti dovresti rimanere incinta!
- Incinta! V
olete che vada contro i principi religiosi?
- Teresita, il parroco
continua a dire che il vostro è un caso particolare, che non è peccato quello che tu e Francisco state per fare per salvare la vostra reputazione.
- Non avendo avuto figli con
Joan, voi e il parroco sospettate che sia sterile.
- No, Teresita, non è questo, vogliamo solo che tu rimanga in questa casa.
- E cosa
ne dice Francisco? Mi evita sempre.
- N
on dire così! Mi occuperò io di Francisco.
Teresita
si chiuse in camera e cominciò a piangere: si sentiva umiliata e temeva che José Defaus volesse costringere il figlio a sposarla, minacciandolo di diseredarlo.
- Sono sicura che Francisco non mi
vuole...io non so nulla di lui, anche se viviamo sotto lo stesso tetto da diversi mesi, singhiozzava tra sé e sé.
Non sapendo come comportarsi, andò a
confidarsi con Mercedes, la sua migliore amica.
- Ti piace Francisco? Mercedes le
domandò a bruciapelo.
- Sì,
è carino, ma è molto timido, quando mi vede si gira dall'altra parte, come faremo ad avere un figlio insieme?
- Non so cosa dirti Teresita, forse sarebbe meglio
che tu andassi via da quella casa, ma dove andrai? Se potessi, ti farei stare da noi, ma come ben sai, da quando mio padre si è ammalato, siamo messi male.

- Il medico dice che si riprenderà, sta migliorando.
- Sono davvero content
a per tuo padre - rimase in silenzio per qualche secondo e poi aggiunse -non voglio andarmene, vado molto d'accordo con mia suocera.
- Beh,
allora io lascerei agire Francisco e vedi cosa succede.
- Non so proprio cosa fare!
- Tu non fa
re niente.
Un altro pomeriggio andò a trovare suo padre,
il quale le disse:
- Sei una povera vedova, non hai altra scelta che accettare il matrimonio con Franc
isco, noi non possiamo riprenderti, abbiamo troppe bocche da sfamare.
- Fai come dice tuo padre, l
e supplicava la zia in lacrime.
Andò anche a parlare co
l parroco, il quale le fece girare la testa con le sue chiacchiere per convincerla ad accettare l'offerta della famiglia del defunto marito. Ma lei esitava. Un giorno si ricordò dei libri che Francisco prendeva in prestito dal maestro del paese e che una volta letti appoggiava su una sedia della sala da pranzo. Decise quindi di rivolgersi a lui per chiedergli un consiglio. Il maestro le disse che non era giusto che una donna fosse costretta a sposare un uomo che conosceva appena e le consigliò di scrivere una lettera a Francisco.
- La corrispondenza, per non destare sospetti,
potrebbe arrivare a casa mia, le propose l'insegnante.
E quando lei gli disse che Franc
isco la evitava, lui rispose:
- È ancora molto giovane e inesperto in amore, si sente in imbarazzo di fronte a te.
T
eresa scrisse una lettera a Francisco.

Caro Francisco,
come in un sogno, sono
arrivata a casa vostra all'età di diciotto anni. Joan aveva cinque anni più di me, è sempre stato gentile con me e mi ha rispettata quando vivevamo insieme.
Ti starai chiedendo se lo amavo.
Io posso dirti che lo ammiravo, per la sua gentilezza e intelligenza, e che ho sofferto molto quando è morto. Joan è stato il mio unico e fedele corteggiatore da quando avevo quindici anni. Sebbene all'inizio fossi intimorita, piano piano mi sono abituata a lui. I miei genitori, essendo poveri, vedevano in Joan un buon partito. Non potevo deluderli, così, senza essere innamorata, ho accettato di sposarlo.
Il mio matrimonio è durato poco, ma in quell'anno ho imparato molte cose. Tutti i membri della tua famiglia sono stati buoni con me. Mi hanno sempre sostenut
a, anche quando ho proposto loro di fare una serie di lavori in casa, cosa che nessuno aveva osato fare prima.
Tu mi eviti sempre. Ogni tanto lasci un libro su una sedia in sala da pranzo, che io leggo mentre voi dormite la siesta. Ti ho offeso in qualche modo senza rendermene conto?
Mi piacerebbe
poter parlare con te. Aspetto una tua risposta.
Teresita
Francisco le rispose quello stesso giorno e da allora continuò a scriverle lunghe lettere che portava al maestro. Piano piano cominciarono a conoscersi e per lettera si accordarono per incontrarsi di nascosto nella soffitta della casa. Ogni sera parlavano a lume di candela finché non cadevano addormentati.

La prima cosa che facevano era parlare dei libri che Francisco aveva prestato a Teresita, ma con il passare dei giorni, i loro sentimenti cominciarono a venire fuori e le lettere divennero meno formali e più appassionate, tuttavia in soffitta continuavano ad avere un atteggiamento più formale e non osavano avvicinarsi.
Una sera Teresita gli disse:
- Mi piace molto l'ultimo libro che mi hai lasciato sulla sedia.
- Che cos'era? Non me lo ricordo,
domandò Francisco, facendo finta di niente per non far vedere che era diventato rosso.
- Madame Bovary di Flaubert.
- Ah, sì, mi ricordo, Emma, la protagonista è infelice col marito, sogna una storia d'amore che non riesce a trovare, nemmeno col suo amante.
- Sì, mentre lo leggevo, mi dispiaceva per lei, ma anche per il marito medico,
quel pover'uomo non sapeva come dimostrare il suo amore a Emma.
La sera dopo, mentre stavano ancora parlando di Emma Bovary, Francis
co le prese la mano, le accarezzò i capelli e la baciò. Teresa lo abbracciò. Si sdraiarono su un vecchio materasso e si amarono con una passione inaudita per due persone con così poca esperienze d'amore. I giorni passarono e continuarono ad amarsi e ad essere felici, nonostante le complicazioni che questo amore clandestino comportava.

Dopo qualche settimana Teresita scoprì di essere incinta. Nel frattempo il suocero, vedendo che non succedeva nulla, le disse che non poteva più aspettare e che l'indomani una carrozza l'avrebbe condotta nel suo villaggio, dove la zia l'avrebbe ospitata.
Francisco arrossì quando annunciò ai suoi genitori che Teresita aspettava un figlio suo. Tutti saltarono di gioia e si affrettarono a preparare il matrimonio.
Francisco era innamorato di Teresita e, vedendo i suoi genitori felici, pensò che fosse giunto il momento di prendere in mano gli affari del padre. Cominciò a uscire di più, ad andare in chiesa ogni domenica e a frequentare gli amici del padre, il notaio, il veterinario, il sindaco e il medico del paese.
Una domenica il parroco gli disse:
- Devi allontanarti dal maestro e avvicinarti alla chiesa.
- Ma il maestro è mio amico.
- Sai di cosa parlo, mi devi un favore, ho salvato la tua reputazione e quella di Teresita, non puoi continuare a essere amico di un maestro repubblicano che, tra l'altro, presto dovrà lasciare il paese.
- Non cacciatelo, è un brav'uomo.
- Lo so, ma lui non frequenta la chiesa e questo ha una cattiva influenza sugli alunni. Ho parlato col preside per farlo allontanare.
Francisco pensava che fosse ingiusto quello che stavano per fare, ma dopo la minaccia del parroco sapeva che doveva smettere di frequentare gli incontri organizzati dall’insegnante, in un locale del paese.

Il povero maestro fu licenziato e dovete ritornare a Barcellona, dove fu fortunatamente assunto in una scuola fondata da un gruppo di giovani insegnanti con idee e tecniche pedagogiche innovative, molto vicine al metodo educativo che pochi anni dopo Maria Montessori diffuse in Italia.
Francisco perse il suo migliore amico, diventò monarchico come suo padre abbandonando i suoi ideali repubblicani e il parroco mantenne la sua promessa: il matrimonio tra Francesco e Teresita fu riconosciuto ufficialmente.