mercoledì 8 maggio 2024

Cap.18 - Il nuovo secolo (in italiano)




Il telefono era squillato una mattina afosa di fine luglio 1898, mentre Olivia e Felipe stavano leggendo ad alta voce un racconto a dei bambini piccoli. Felipe lasciò gli alunni e si recò al vestibolo per rispondere alla chiamata. Nel prendere la cornetta, aveva pensato che erano trascorsi più di quindici anni da quando quella miracolosa invenzione era arrivata a Cuba e che una delle prime cose che lui aveva voluto nella nuova casa de L'Avana, era un apparecchio telefonico.
- Pronto?
- Ciao, sono Mariano.
- Che strano che tu chiami a quest'ora! C'è qualcosa che non va?
- Ieri sera, quando sono arrivato a casa, ho trovato un telegramma che annunciava la morte di mio padre.
- Sono molto dispiaciuto. Non sapevo che fosse malato, rispose Felipe.
- Aveva molti acciacchi, ma non abbastanza da dover morire. Ha avuto un infarto, spero solo che non abbia sofferto troppo.
- Vuoi che ti raggiunga?
- Non ti preoccupare, non è necessario.

Da quel giorno Felipe lo chiamava più spesso per dargli supporto:

- Buon giorno, come stai?

- Abbastanza bene, ma da quando è morto mio padre mi viene una gran voglia di fare la valigia, andare al porto e partire per Barcellona con la prima nave.

- Qualche mese fa, quando mi hai confessato il motivo per cui eri fuggito dalla Spagna, ti ho detto che mi sarei informato sulla tua situazione legale; adesso posso confermarti che non potrai ritornare. Hai la fedina penale sporca, si tratta di due reati, il primo di ribellione, per non esserti presentato in tribunale, il secondo di diserzione, per non esserti arruolato nell'esercito…ma tu devi stare tranquillo e cercare di aiutare tua madre da qua.

Mentre l'amico gli parlava, Mariano pensò a quanto fosse stato sciocco, tutti quegli anni, a sognare il ritorno in Spagna:
- Mi sono visto diverse volte salire su una nave che part
iva dal molo de L'Avana, arrivare poi al porto di Barcellona e infine sedermi su una carrozza del treno che mi portava a Malgrat - rimase in silenzio per qualche secondo e aggiunse - scriverò subito un telegramma a mia madre e poi una lunga lettera per farle sapere che non potrò ritornare
- Se fossi in te, le proporrei di mettere un telefono a casa. La messa in funzione è piuttosto costosa, forse potresti pagarla tu.
- Mi sembra un'ottima idea. Grazie per i
tuoi suggerimenti, a me non sarebbe mai venuto in mente.
- Sai come la penso
io sul progresso...sono sicuro che il telefono migliorerà la vita di molte persone. Il primo servizio telefonico a L'Avana è stato inaugurato nel marzo del 1882, in Spagna è arrivato un po' più tardi. Vedrai che a Malgrat ci sarà più di un apparecchio, ho letto sul giornale che l'anno scorso nella penisola erano stati attivati più di dodicimila numeri.
-
Anche nelle ferrovie siete stati i primi, voi cubani siete sempre più avanti in tutto, disse Mariano sorridendo.
Teresa Moragas accettò di buon grado
l’idea di mettere mettere in casa il telefono. Quando arrivarono i due operai della compagnia telefonica per attivare la linea e installare l'apparecchio, disse loro.

- È un peccato che mio marito, che riposi in pace, non possa vedere questa meravigliosa invenzione. Vi rendete conto che adesso potrò parlare con mio figlio che vive a Cuba e non vedo da venticinque anni?
- Signora, a Malgrat ci sono otto abbonati, lei avrà il numero nove.
- Lo metta a nome di mio figlio, Francisco Defaus Moragas.
- Suo figlio dovrebbe firmare.
- Mentre state ultimando i lavori, lo manderò a chiamare.
Francisco arrivò dopo venti minuti e firmò tutti i documenti. Avere un telefono in casa era un lusso che la famiglia Defaus non avrebbe potuto permettersi, ma Mariano volle pagare l'installazione e tutte le bollette, e non smise di farlo fino al giorno della sua morte. L'apparecchio fu appeso alla parete della prima stanza del pianterreno, poi diventata l'ufficio di Francisco.
Era la prima volta che Teresa usava quell'invenzione ed era eccitata e impaziente di sentire la voce dell’amato figlio.
- ¡Mare, mare!

- ¡Fill meu! Mi sembra un miracolo poterti sentire, hai uno strano accento, ma è sempre la tua voce. Che bello che tu non abbia dimenticato il catalano!
- No oblidaré mai la meva llengua i la meva terra. Vostè mare té la veu més baixa (Non dimenticherò mai la mia lingua e la mia terra. Voi madre avete la voce più bassa).
- Sì, sono un po' rauca, ma non stare in pena per me, sono in buona salute. E dimmi, come stai? Quando potrai fare ritorno?
- Madre, devo confessarvi che non posso più ritornare, se lo facessi, mi arresterebbero. Un mio amico avvocato si è interessato al mio caso.
- Me lo immaginavo, ma non dimenticarti mai di noi...- disse con voce tremante e poi domandò - Come stanno Nieves e i bambini?
- Stiamo tutti bene, nonostante questi tempi convulsi.
Madre e figlio parlarono a lungo, finché un operatore disse loro che dovevano riattaccare. Dopo la telefonata Mariano era felice, ma allo stesso tempo un po’ triste, perché si rendeva conto che non avrebbe potuto mai più abbracciarla. Lui continuò a chiamarla ogni settimana, insieme a Nieves e i suoi due figli, che non facevano altro che raccontare cose alla nonna, Juan parlava bene, José riusciva a pronunciare solo qualche parola.
Un giorno el niño Juan, così veniva chiamato affettuosamente da Gabriel, cantò alla nonna una canzone in catalano. Teresa cominciò a piangere di gioia e di commozione.

Quando la Spagna si ritirò da Cuba, gli spagnoli che abitavano sull'isola dovettero ratificare la loro decisione di rimanere cittadini spagnoli e mantenere tale status. Il 3 marzo dell’anno 1900, Mariano si recò a Pinar del Río con la moglie, Nieves Herrera Herrera e i loro cinque figli minorenni per procedere all’iscrizione di tutti i membri della famiglia. Non voleva rinunciare alla cittadinanza spagnola, anche se dopo l'intervento degli Stati Uniti, gli spagnoli a Cuba cominciavano a trovarsi in una posizione difficile, ma lui continuava ad essere fiero delle sue radici e a pensare nonostante tutto che prima o poi sarebbe potuto ritornare.
Le telefonate tra Pinar del Rio e Malgrat furono per più di due anni una festa per tutti, fino a quando, nel 1901, Teresa ebbe un ictus cerebrale che si manifestò all'improvviso, mentre stava cucinande cadde svenuta a terra. Quando Mariano venne a saperlo, soffrì molto, non potendo ritornare in Spagna, si sentiva impotente e per alleviare il dolore telefonava alla madre ogni giorno. La parte sinistra del corpo dell’anziana era rimasta paralizzata, ma lei riusciva a sollevare il ricevitore con l'altra mano. Con la bocca storta, parlava male e non sempre si faceva capire, ma era felice di sentire la voce del figlio prediletto.
Dopo aver ricevuto un telegramma da Marieta, Isidro si recò all'edificio della centrale telefonica di Mataró per chiamare la madre. Al sentire la voce del figlio, Teresa pianse di gioia, era da molto che non aveva sue notizie.
- Io...ti...ho...amato...sempre...come...i tuoi...fratelli, gli disse con grande sforzo.
- Non capisco bene quello che dite, madre. Adesso che siete malata, non voglio rinfacciarvi che mi sento usurpato, ma dovete sapere che ho sofferto molto
Il risentimento che il figlio nutriva ancora nei suoi confronti, procurava alla madre sofferenza e dispiacere. Francisco, sentendo i singhiozzi della madre, entrò nella stanza.
- Isidro, non dire queste cose a nostra madre, disse Francisco, prendendo la cornetta dalla mano di Teresa.
- Guarda chi lo dice, l'usurpatore.
- Per favore, nostra madre sta male, non complicare più le cose.
- Tu e Mariano siete sempre stati i suoi preferiti, mi avete cacciato dalla famiglia, disse Isidro, alzando la voce.

- Isidro nessuno ti ha cacciato, per favore calmati. Vieni a Malgrat a trovare tua madre.
- Vuoi che ritorni a casa? È troppo tardi, disse riattaccando.

Teresa fu assistita con cura da Francisco, Teresita e Marieta durante le quattro settimane che intercorsero tra il primo e il secondo ictus.
La morte di Teresa fu un duro colpo per tutti. Mariano, nonostante i lunghi anni trascorsi lontano dalla madre, si sentì orfano per la prima volta nella sua vita. Nieves era spaventata, perché non lo aveva mai visto in uno stato di tale prostrazione, ma con il passare dei giorni Mariano ritornò a fare le cose di sempre.
Era impaziente di realizzare un sogno che aveva in mente da tempo: Su un terreno della tenuta, a una certa distanza dalla villa, voleva costruire una grande scuola per i bambini dei dintorni. Una volta ultimati i lavori, si prese la briga di assumere un paio di giovani maestri, di acquistare libri e materiale didattico e, soprattutto, di andare a raccattare i bambini nei villaggi e convincere i genitori, che spesso si rifiutavano di mandare i figli a scuola.

In quel periodo sia la Spagna che Cuba si stavano curando le ferite di guerra. Il 20 maggio 1902 Cuba divenne, in teoria, una Repubblica indipendente. Nonostante i tre anni di sangue, sudore e sacrifici durante il conflitto ispano-americano, nessun rappresentante di Cuba e delle altre colonie spagnole d'oltremare fu invitato allo storico trattato di pace, firmato a Parigi nel 1898. La Spagna rinunciò a tutti i diritti di sovranità e di proprietà delle sue colonie. Il Trattato di Parigi segnò la fine dell'impero spagnolo e l'inizio del periodo del potere coloniale statunitense. L'indipendenza di Cuba fu promessa nel trattato a determinate condizioni, contenute nell'emendamento Platt, un'abile aggiunta alla legge sugli stanziamenti dell'esercito statunitense del 1901, che dava agli Stati Uniti il diritto di intervenire militarmente a Cuba ogni volta che lo avessero ritenuto opportuno. Gli Stati Uniti usarono anche la loro considerevole influenza per procurarsi una base navale nella Baia di Guantánamo per proteggere i loro interessi strategici nella regione del Canale di Panama. Nonostante la discreta opposizione negli Stati Uniti e di quella molto più forte a Cuba, il Congresso approvò l'Emendamento Platt, che fu integrato nella Costituzione cubana del 1902. Per molti gli Stati Uniti avevano semplicemente sostituito la Spagna nel nuovo ruolo di colonizzatore e nemico.

Un anno dopo, Mariano chiamò il fratello per sapere come stava lui e la famiglia, dato che le sue lettere non avevano avuto risposta, Francisco gli raccontò cosa era successo a Isidro.
- Isidro non ci parla da tempo, ma abbiamo saputo da un fattorino di Mataró che sua moglie è morta il mese scorso. Lui ha smesso di fare il bottaio ed è ripartito per il sud della Francia. La sua nave è scomparsa in mare, inghiottita dalle acque durante una tempesta.
- Quanto mi dispiace! Mi rammarico che nostro fratello sia stato così sfortunato.
- L'abbiamo scoperto per caso, non ci voleva parlare, non è nemmeno venuto al funerale di nostra madre.
- Quando sono partito per Cuba Isidro aveva dieci anni. Ricordo solo che giocava sempre con Joan, erano els bessons (i gemelli)...ma mostra madre non mi aveva mai detto che non voleva parlare con voi. Abitava sempre a Mataró?

- Sono certo che avrai saputo che nostro padre lo costrinse a imbarcarsi, per tenerlo lontano da Agustina, una donna di mala reputazione. Lavorò per diversi anni come tuttofare sulle navi che andavano e venivano dal sud della Francia. Raramente ritornava a casa, ma quando lo fece per il matrimonio di Joan e Teresita, ci siamo accorti che aveva un atteggiamento strano, ma abbiamo pensato che la causa fosse il richiamo alle armi. Era sempre imbronciato e risentito, non credo che abbia mai perdonato a nostro padre di averlo allontanato da casa. Dopo quattro anni finì il servizio militare, ma non si imbarcò più, affittò una casa in via De Boters e ricominciò a fare il bottaio. Abbiamo saputo che si era sposata una certa María Teresa, ma non l'abbiamo mai incontrata. Dopo qualche anno si sono trasferiti a Mataró.
- Nostra madre non mi
aveva mai detto quest'ultima cosa. Sapevo solo che si era imbarcato e che dopo aveva lavorato come bottaio. Avrei voluto parlargli, gli scrissi, ma non mi rispose mai.
Francisco non gli
raccontò dell'ultima conversazione avuta con Isidro pochi giorni prima della morte della madre, per non addolorarlo, né quello che si diceva di lui: è fuggito con Agustina e il naufragio è uno stratagemma perché nessuno li possa seguire.
- Sono solo pettegolezzi, disse Francisco a
lla moglie il giorno in cui si sparse quella notizia.
-
Io invece spero che Isidro sia arrivato in Francia con Agustina, saranno finalmente felici, rispose Teresita.

Mariano scriveva un paio di lettere all'anno ai suoi fratelli e non aveva mai perso l'abitudine di farlo anche con i suoi amici, invece chiamava i tre negozianti, i quali avevano un telefono nella bottega. I tre continuarono a condurre una vita spensierata tuttavia, Pau e Pepe furono i primi a sentire gli acciacchi della vecchiaia. Pau, dopo un problema di cuore, si spaventò e prese lavorare come governante Inés, una donna mulatta sulla quarantina. Dopo qualche mese Inés, vedendo la mole di lavoro, chiamò sua sorella Paulina. L'anno successivo fece la stessa cosa con Josefina, la sorella più giovane, che arrivò con una piccola valigia e uno zaino pieno di libri. Inés sapeva come trattare i tre negozianti, aveva capito che non si sarebbero mai separati e né tanto meno sposati. Pepe e Pere, con tutto quello che avevano mangiato e bevuto, oltre alla gotta e ai reumatismi, cominciavano ad accusare altri malanni. Le tre donne si occupavano di tutto, sia in casa che nel negozio, e piano piano, senza rendersi conto, si accoppiarono: Inés era attratta dall’onestà e gentilezza di Pau, nonostante la sua debolezza fisica, scherzava con lui e lo faceva ballare, Paulina era molto loquace e amava essere ascoltata da Pepe, Josefina, la più indipendente, non voleva cadere nelle reti di quegli uomini, ma i complimenti e le lusinghe di Pere la fecero innamorare. Tuttavia, Pau, Pepe e Pere non sposarono mai le tre sorelle, ma rimasero insieme fino alla morte.

Mariano scriveva anche a Miguel, il quale aveva smesso di navigare e si era stabilito nelle Isole Canarie, dove viveva con la madre e uno dei fratelli. Con i suoi risparmi poteva vivere una vita agiata; nemmeno lui si era mai sposato. Ricominciò a scrivere per un giornale locale, ma gli mancava il mare e ogni tanto saliva su una nave, aveva bisogno di essere cullato dalle onde. Alcuni pomeriggi andava a trovare il Capitano che si era ritirato nella sua casa di La Palma. Miguel aveva una vita tranquilla, ma ogni quattro o cinque anni faceva un lungo viaggio a Cuba, per andare a trovare il suo amico.
A Natale Mariano scriveva a María e Isabel una cartolina, invitandole alla fattoria, le due donne ricambiavano gli auguri, ma un inverno Isabel smise di rispondere. Mariano non si preoccupò, perché sapeva da Lucas che lei stava bene, madre e figlio si scambiavano lettere, attraverso il sacerdote che aveva dato aiuto a Lucas.
In quel periodo un gruppo di soldati spagnoli era andato a perquisire la casa di Isabel alla ricerca del figlio fuggitivo. Lei temeva che le lettere che le arrivavano fossero intercettate e che scoprissero il nascondiglio del figlio, così smise di scrivere, ma dopo alcuni mesi arrivò una lettera di Isabel, indirizzata ai tre bottegai, la quale fu inoltrata a Mariano. Quando gli spagnoli furono cacciati da Cuba dagli americani, Isabel riprese a scrivere lettere direttamente a Mariano e si recò più volte alla fattoria Esperanza con Tomás, suo marito, per incontrare Lucas, suo figlio e Mariano e la sua famiglia. In quelle occasioni Isabel e Nieves cominciarono a conoscersi e ad andare d'accordo.
Maria non scriveva molto spesso, ma di tanto in tanto passava dalla fattoria Esperanza con Ramón Valls, il marito, ogni volta portavano come regalo la migliore carne di manzo del loro allevamento. Felipe e Mariano continuarono a scriversi, finché un giorno le loro lettere smisero di arrivare alla fattoria.
- Mi prendo un bello spavento quando Felipe scompare! Hanno mandato indietro la mia ultima lettera, credo che non abiti più a L'Avana.

- Non ti preoccupare, prima o poi si farà vivo.
- Gli ho anche telefonato, ma l'operatore mi ha comunicato che il numero è stato cancellato.
- Ho un presentimento, credo che ci farà una sorpresa, disse Nieves.
Pochi giorni dopo quella conversazione tra marito e moglie, Olivia e Felipe si presentarono alla fattoria Esperanza.
Gabriel vide arrivare la coppia, mentre lui, vicino al cancello d'ingresso, insegnava al piccolo Joan a montare su un puledro; con cautela fece scendere il ragazzino da cavallo e andò verso gli ospiti.
- Vado ad avvisare i padroni del vostro arrivo.
Mariano e Nieves arrivarono subito all'ingresso della fattoria, gesticolando con le braccia.
- Quale vento vi ha portato qui! Ero preoccupato, senza avere vostre notizie, Felipe, disse Mariano, abbracciando gli amici.
- Che bella sorpresa! disse Nieves.
- Non dovete preoccuparvi per noi. Ora che i tempi sono tranquilli, non siamo più ricercati, disse Felipe.
- Non sapevo che ti piacesse essere sotto la tutela degli Stati Uniti, disse Mariano.
- Non fraintendetemi, vorrei che Cuba fosse veramente libera, ma come ti dissi all'epoca, guardo il lato positivo delle cose. Adesso che, grazie al cielo, la guerra è finita, il popolo cubano ha bisogno di lunghi anni di pace.
Mentre i padroni parlavano con i nuovi arrivati, Gabriel andò ad allestire il tavolo sotto la pergola. Preparò una limonata e disse alla cuoca di arrostire pannocchie di mais e banane e di tagliare fette di pane e formaggio.







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