lunedì 13 dicembre 2021

L'ultimo materasso

 

Da quando siamo rimasti da soli nella nostra casa, ognuno di noi si è sistemato uno spazio nelle vecchie stanze dei figli.

I letti dei ragazzi, sono diventati letti degli ospiti, quello da una piazza e mezzo è rimasto sul soppalco della ex camera di nostra figlia, adesso diventata il mio studio. Il letto che era di nostro figlio viene usato come divano nello studio di mio marito.

Negli ultimi mesi mio marito ed io ci siamo detti spesso che era arrivata l’ora di rinnovare il nostro materasso. Nonostante ci fosse qualche molla deformata che ci premeva sulla schiena, ci dispiaceva un po’ sbarazzarci di un pezzo così importante della nostra vita e non ci decidevamo. Ma alla fine ci siamo decisi.

Lui ha ricercato informazioni sulle varie ditte artigiane e dopo qualche giorno ha trovato quello che faceva per noi.

Prima di comprare un materasso online, mi sono recata in due negozi per vedere e provare direttamente i vari modelli, per poi confrontarli.

Prima sono andata in un piccolo negozio vicino casa, la commessa, una signora di mezza età, è stata molto gentile e, mentre mi spiegava la struttura (a molle o senza molle) e i dettagli della composizione (lattice, spugna, lana e cotone, ecc.) dei i vari modelli, mi ha fatto sdraiare prima su un materasso a micro molle insaccate e successivamente su uno di lattice. Il più confortevole mi è sembrato il primo.

Sono andata poi nel secondo negozio, ma la commessa, una ragazza un po’ scorbutica, mi ha detto con un’aria scocciata:

- Non può comprare un materasso matrimoniale, se si sdraia lei da sola. Fa la differenza essere in due !! Deve per forza ritornare col marito.

Credo che fosse una scusa. Osservando le sue mani che si muovevano nervosamente, mentre teneva dei fogli di carta, mi è sembrata piuttosto agitata. Ho pensato che forse quella mattina mancava la vera commessa e lei, addetta alla contabilità, non ce la faceva a fare tutto.

Rientrata a casa ho detto a mio marito:

- Avevi ragione tu, credo che le micro molle siano la miglior cosa!

- Adesso sei pienamente convinta? Posso fare l’ordine? Mi ha chiesto lui.

- Si, non vedo l’ora di dormirci sopra! Gli ho risposto sorridendo.

La ditta artigiana di Forlì alla quale ci siamo rivolti è stata puntuale nella consegna. Il nuovo materasso è arrivato una mattina, arrotolato e sotto vuoto e in un primo momento abbiamo sistemato il pacco nel corridoio.

Il pomeriggio ho disfatto il nostro letto, ma mentre aspettavo mio marito per sostituire il vecchio materasso con quello nuovo mi ci sono seduta sopra. Ho rivisto un alone sbiadito che nonostante avessimo cercato di mandare via, erano rimasto.

Quell' alone mi ha fatto venire in mente una notte di trent'anni prima in cui nostro figlio piccolo aveva bagnato il lettone, dove dormivamo insieme. Quella notte la bambina aveva avuto un incubo e a mio marito era toccato andare a dormire di là, nel letto a castello sotto quello della bambina.

Qualche anno prima, quando avevamo due materassi nel lettone, appena sentivamo il lenzuolo che la bambina aveva bagnato, giravamo un materasso e cambiavamo la biancheria del letto. Ma purtroppo il materasso che avevamo in quel momento era a due piazze e quindi molto ingombrante. Per girarlo non sapevo come fare. A a un certo punto madre e figlio, ci siamo messi a ridere, guardando il materasso appoggiato in verticale sul pavimento. Eravamo in pigiama un po’ infreddoliti e nonostante non riuscissimo a posizionare quell’aggeggio pesante sopra il letto, ridevamo lo stesso. Non volevo svegliare in nessun modo mio marito e la bambina, per fortuna piano piano, a forza di provare, sono riuscita ad appoggiarlo sopra il letto.

Quando mio marito è arrivato a casa, ancora sorridevo pensando a quella notte di tanti anni prima. Lui ha legato con dei cordini il vecchio materasso dopo averlo piegato in due, poi lo abbiamo sistemato nel corridoio. Nel frattempo avevamo scartato e fatto gonfiare quello nuovo sul letto.

Quella sera avevamo ospiti a cena due coppie di amici. La prima cosa che hanno detto tutti, varcando la porta e vedendo l’ingombro nel corridoio, è stata:

- Avete cambiato materasso? Anche noi lo vorremmo fare. Fatecelo provare!

E’ stato buffo, dopo cena accompagnare gli ospiti, uno dopo l’altro, nella nostra camera per farli sdraiare sul materasso nuovo.

- E‘ duro ma allo stesso tempo morbido! Dicevano tutti.

Quella notte quando ci siamo coricati eravamo emozionati, sembrava che la nostra vita fosse cambiata. Avevamo anche sostituito il vecchio piumino e comprato lenzuola nuove. Ci stavo proprio bene in quella cuccia calda e nuova di zecca.

Mentre, prima di addormentarmi, mi chiedevo se sarà il nostro ultimo materasso, mi è venuto in mente mio padre, quando a quasi settanta anni comprò una macchina nuova, dicendo che sarebbe stata l’ultima della sua vita. Invece la cambiò di nuovo per una più maneggevole dopo una decina d’anni, quella fu veramente l’ultima macchina che guidò fino a novanta anni.

Forse non sarà l’ultimo. Anche perché la vita ci riserva molte sorprese, chissà se faremo nuovi traslochi o sostituiremo mobili e letti, pensai.






venerdì 3 dicembre 2021

La caldera

 


Os voy a hablar de Mina y de Hugo, una pareja de sesenta y pico de años, que vive en Florencia, él es italiano y ella catalana.

En otoño 2021 planearon ir a pasar todo el mes de Noviembre en Madrid, para estar junto a su hija Blanca, que estaba a punto de dar a luz.

Blanca vive en Madrid desde hace más de diez años, se fue allí para acabar sus estudios universitarios. Terminó encontrando trabajo en un gabinete de abogados y sobre todo allí se enamoró de Marcos.

Si todo iba bien, el niño nacería a principios de Noviembre, así que, durante la primera semana de octubre, los futuros abuelos empezaron a buscar vuelos y alojamiento en Madrid.

Blanca les ayudó en la búsqueda de apartamentos turísticos, ya que ellos no tenían mucha experiencia en ello.

- ¿Quién quieres que se vaya de vacaciones en Noviembre? Es un mes muerto, seguro que vamos a encontrar alojamiento, le dejo Hugo a Mina.

Todo fue un poco más complicado de lo que pensaban. No lo tuvieron fácil para sacar billetes de avión en aquellas fechas, pues no habían caído que había el puente de todos los Santos. Sin embargo al final encontraron un vuelo que salía de Florencia el 2 de Noviembre, arriesgándose de todos modos a que el parto se adelantara y no llegaran a tiempo. También fue un poco difícil dar con un piso en la zona norte de la ciudad, donde vivían los futuros padres.

Cada vez que encontraban un apartamento ideal para ellos salía una pega. En el salón de la mayoría de las viviendas no había mesa, solo una barra con dos taburetes y la cocina, si se le podía llamar cocina, no estaba equipada. Para ellos era importante poder invitar a Blanca y a Marcos a comer para estar juntos y para echarles una mano. Otros apartamentos que habían encontrado caían demasiado lejos.

Estuvieron a punto de coger una vivienda en el barrio de Mirasierra con una terraza muy bonita, pero al final se les esfumó, desapreció misteriosamente de la plataforma. Se ve que el dueño cambió de idea y ya no lo quiso arrendar.

- Madre mía, tendremos que ir a un hotel si no encontramos ningún apartamento, un mes me parece demasiado, le dijo Mina a Hugo, con un poco de angustia.

La última semana de octubre, buscando y rebuscando por las plataformas de alquiler de Internet, encontraron una casita con un patinejo, ubicada en el barrio de Tetuán, precisamente en la calle del Cactus.

A pesar de que estuviera a unos 45 minutos andando y a 30 minutos en metro de donde vivían Blanca y Marcos, lo alquilaron sin pensárselo dos veces, por miedo de perderlo.

Flora, la dueña de la casita en seguida fue muy amable con ellos, escribiéndoles mensajes y dándoles toda clase de informaciones. Eso confortó a Mina. Para Mina las relaciones humanas eran fundamentales, le daban fuerza y coraje para resolver los problemas.

Llegaron a la casita con tres horas de retraso pues, a causa del viento fuerte, el avión en lugar de despegar del aeropuerto de Florencia lo hizo desde Pisa y claro perdieron mucho tiempo trasbordando. Avisaron a Flora del retraso y ella se las arregló para alcanzarlos cuando llegaran. Los esperó en el portal bajo un paraguas.

Flora, era una mujer de unos sesenta año. Llevaba un anorak granate y pantalones vaqueros gastados. Tenía un no sé que de aire de los años setenta. Nos enseñó el apartamento de forma rápida, se le notaba que llevaba prisa. La casita olía un poco a cerrado a pesar de que estuviera limpia. Antes de salir Flora se dio cuenta de que los radiadores estaban helados y en seguida encendió la caldera, murmurando alguna cosa que Mina no entendió.

- Es raro que la caldera esté apagada, pero la casa está bastante calentita, pensó Mina, sin darle demasiada importancia a la cosa.

A Mina no le gustó mucho el ruido que hizo la caldera al ponerse en marcha.

La caldera estaba dentro de un armario en el altillo. Era bastante vieja, de las antiguas, con llama y hacía un ruido estrepitoso cada vez que se encendía.

Durante los primeros días no tuvieron mucho tiempo para pensar en la caldera, pues transcurrían muchas horas en casa de Blanca, ayudándola o paseando con el bebé en el cochecito. Se enamoraron de su nieto, se les caía la baba mirándolo, meciéndolo, cambiándolo, consolándolo cuando lloraba y mimándolo.

Desde que había nacido su nieto a Mina le habían vuelto a la memoria tantos recuerdos de treinta años atrás, cuando sus dos hijos nacieron: imágenes de ella dando de mamar; sentimientos contradictorios, como alegría, recelo, satisfacción e inseguridad. También cosas más concretas como el dolor de los pezones, el perfume de la leche, el olor de la caca amarillenta, los gestos graciosos del recién nacido, el llanto y el malestar del bebé, sus palabras cariñosas, las canciones de Hugo, etc. También recordó el agotamiento, la falta de sueño y la sensación de que no tenía ni un minuto para ella, ni siquiera para ducharse. Sin embargo no podía olvidar el amor incondicionado hacia sus bebés.

Mina por las mañanas solía hacer ejercicios de yoga en el altillo de la casita, a veces el ruido de la caldera cuando se encendía le asustaba.

- ¿Y si funcionara mal? ¿Y si hubiera un escape de gas venenoso? Se decía, pero en seguida se sacaba ese pensamiento negativo de la cabeza.

Si el día era soleado iban a casa de Blanca andando, a veces se citaban con ella a mitad del camino y luego iban juntos a pasear.

Alguna vez también cogieron el metro para ir al centro de la ciudad, se fueron a una librería, a un museo, a una expocsición o simplemente a pasear.

Una mañana fueron a comprar a un mercado bastante cerca de casa, a la vuelta de la esquina, Mina notó una peluquería donde hacían manicuras.

- Me gustaría que me arreglaran las uñas. Lástima que esté cerrado este local, le dijo Mina a Hugo, mirándose sus uñas desmejoradas.

Los domingos, días en que Blanca y Marcos iban a comer con sus amigos, Hugo y Mina salían de excursión. Un día se fueron a El Escorial  otro a Toledo. Marcos les prestó su coche. También se fueron a visitar  Segovia y Ávila con los padres de Marcos. Les encantó pasar el día con ellos.

Una tarde, sin avisar, la caldera dejó de funcionar. Mina fue al altillo a ver lo que pasaba, pero no hubo manera de encenderla. Llamó en seguida a Flora.

- Qué raro, hace sólo un mes que pasó la revisión y todo iba la mar de bien. Toca el botón de abajo, a ver que pasa, le dijo Flora.

Después de hacer muchas pruebas lograron ponerla otra vez en marcha, pero Mina no se quedó del todo convencida de que funcionara bien.

Los día pasaron de prisa. Marido y mujer en aquella época sólo pensaban en ayudar a Blanca, en el nieto recién nacido, en la lactancia, en los gases que tenía el niño, en lo mucho que crecía, en las visitas al pediatra, etc.

El octavo día invitaron a comer a Blanca para celebrar su cumpleaños. Llegaron en coche los tres: padre, madre y recién nacido.

Mina les preparó pasta alle vongole (almejas) que era el plato preferido de los invitados y compraron un pastel en el que pusieron 32 velas. Le entregaron a la hija dos regalos, uno para ella y otro para el niño.

Disfrutaron los cuatro, hablando y riendo. El niño mamó y se quedó dormido un buen rato. Las dos parejas pasaron unas horas muy amenas de sobremesa. Fueron momentos muy entrañables en los que Mina y Hugo conocieron mejor a Marcos.

Les encantó notar que Marcos quería mucho a Blanca y que intentaba encontrar solución para todos los inconvenientes que iban surgiendo. Tenía mucha paciencia con el niño cuando lloraba  y sin cesar iba resolviendo los problemas de la obra del apartamento que estaban reformando.

Luego salieron con el cochecito a pasear por el barrio.

Pocos días después llegaron de Florencia Arturo, el hermano de Blanca y Nuria, su novia, para pasar unos días en Madrid. Se instalaron en el altillo, junto a la caldera. Ellos también se emocionaron ante el bebé.

La caldera dejó de funcionar la noche de su llegada, cuando Nuria iba a ducharse.

- ¡Qué mala pata! No me fio de esta caldera, le dijo Mina a Nuria, mientras intentaba ponerla de nuevo en marcha.

Por suerte la caldera se encendió de nuevo. Pero desde aquel día se iba apagando cada dos horas. Mina llamó a Flora diciéndole que avisara al técnico para que revisara la caldera.

Al día siguiente se presentó el técnico y tras hacer algunas pruebas, dijo que no valía la pena repararla, había que cambiarla.

No fue fácil quedar de nuevo con el técnico para que instalara la caldera nueva. Por suerte los últimos días en los que estuvieron los invitados la caldera se portó bastante bien.

El técnico llegó a la casita el lunes de la semana siguiente, pero con tres horas de retraso. Mina aquella mañana ya se hartó de esperar, pero por suerte pronto llegó Flora para remplazarla. Aquel día empezó mal, sin embargo el técnico trabajó con esmero y a las tres de la tarde ya estaba lista la nueva caldera.

Una tarde vio que la peluquería cerca de casa, donde hacían manicuras, estaba abierta. Entró para pedir cita. La chica que la atendió era muy simpática y hablaba con acento venezolano.

El local era pequeño, humilde y un poco desordenado. Mina hubiera querido marcharse en seguida de aquel lugar, pero le dio pena la muchacha venezolana que le sonría. No tuvo valor para marcharse cuando la chica le dijo que podía hacerle la manicura en aquel mismo instante

En la peluquería también había un chico que peinaba pelucas y melenas para extensiones en el pelo.

La manicurera, era morena, con una melena larga.  Iba pintada de forma que sus ojos negros y vivarachos resaltaran. Al acercarse Mina se dio cuenta que sus pestañas eran  postizas. Sus cejas eran  pobladas  y tenían una forma muy bonita.  Sonriendo, con una mueca un poco forzada,  le fue contando su vida dura de emigrante. Tenía cuarenta y dos años y hacía quince que vivía en Madrid. Le costó encontrar trabajo, suerte que su madre se fue a vivir unos meses con ella cuando su pareja se largó, dejándola embarazada. Su hijo ahora tenía diez años. Le gustaba ir a la escuela y jugaba a baloncesto, pero pasaba las tardes solo, pues ella trabajaba hasta las diez de la noche.

Le hizo una herida en un dedo de la mano izquierda, al cortarle las pieles. Mina intentó no alterarse al ver su dedo lleno de sangre. No quiso pensar en los microbios que podía haber en aquel lugar.

La chica después del pellizco con el corta pieles fue más cuidadosa, luego le limó y le pintó las uñas. Al cabo de una hora dio por terminada la sesión de manicura. Mina le pagó y mientras se iba despidiendo de ella e intentando no tocar nada para que no se le estropearan las uñas, la chica le dijo:

- Muchas gracias por su visita. A esta hora hay poca gente, trabajamos sobre todo de siete a diez de la tarde.

- Pobre niño, tendrá que cenar siempre solo, pensó Mina, mientras se ponía el abrigo.

Subió la calle pensando en aquella chica que cada noche, al cerrar la tienda, cogía el metro para ir a casa. Se la imaginaba sacándose los zapatos, luego calentándose alguna cosa de la nevera y preguntándole a su hijo, sentado delante de la tele, cómo le había ido el cole.

Al poner la mano dentro del bolso para coger las llaves de casa se le estropeó el esmalte de dos uñas de la mano derecha.

Entró en casa descontenta de la manicura y de la herida que tenía en el dedo de la mano izquierda.

- ¡Qué tonta que he sido en hacerme la manicura en aquel local! Pero tú ya sabes, me daba pena la pobre chica, creo que tiene pocos clientes, le comentó a su marido.

- ¿Al menos te lo ha hecho bien? Le preguntó Hugo.

- Regular, no era muy buena, incluso me ha hecho una herida pequeña, le dijo Mina sin darle importancia a la cosa.

Entró en el cuarto de baño y se cortó las uñas desmejoradas, luego se las fue cortando todas, como si quisiera borrar totalmente la manicura de la venezolana.

Recordó a una amiga suya que, cuando iba a la peluquería, la primera cosa que hacía al llegar a casa era lavarse el pelo.

- Yo estoy haciendo lo mismo, se dijo riñiéndose.

Las tres primeras semanas a Mina se le pasaron volando, los días fueron soleados y suaves. Hugo y Mina solían salir de casa hacia las diez e iban andando al barrio donde vivía Blanca. Por la tarde volvían a la casita también andando. Caminaban unos seis o siete kilómetros al día, quizás por eso a Mina empezó a dolerle el dedo gordo de un pie.

Llevaba tiempo pensando en ir al podólogo pero no se decidía nunca. Cerca de la plaza de la Remonta, no muy lejos de donde vivían ellos, había un ambulatorio de podólogos.

Quería ir, pero tenía un poco de miedo de que le pasara lo mismo que con la manicura. Sin embargo se decidió y no se arrepintió. Laura, la podóloga, le gustó en seguida y le dio confianza. Ella era una mujer joven. Más tarde le contó, que para pagar el préstamo que había pedido para abrir el local, se pasaba todo el día trabajando, desde las nueve de la mañana hasta las ocho de la tarde, sólo con media hora de descanso para la comida.

Después de la consulta Laura le dijo que iba a necesitar plantillas.

Mina se lo pensó un buen rato y al final las encargó. Tardaron tres días en llegar. Al principio le molestaban pero poco a poco se fue acostumbrando. Laura tuvo mucha paciencia con ella y la atendió muy bien.

El día en que le llegaron las plantillas, Laura le contó que su socio se había marchado de Madrid y que ella tuvo de hacerse cargo de aquel local. Había sido una época difícil, pero estaba contenta pues estaba logrando salvar el ambulatorio.

En la última semana de su estancia en Madrid el tiempo cambió de golpe, empezó a llover y a hacer frio.

En aquellos días helados a Mina se le rompió la cremallera del abrigo. Por suerte había una tienda de arreglos en el mismo edificio donde vivían.

Mina había notado a dos mujeres que, cada vez que pasaba cerca del escaparte de la tienda, le sonreían. 

Las dos mujeres cosían a máquina todo el día, sólo descansaban de dos y media a tres para comer algo. Le dijeron a Mina que eran de Ecuador. La madre tenía unos cuarenta y pico de años y la hija no llegaba a treinta.

Le cambiaron la cremallera en veinticuatro horas y Mina pudo salir a la intemperie bien abrigada.

Uno de los últimos días de su estancia en Madrid se encontró con Flora en la entradamientras estaba sacando un mueble de su estudio. 

- ¿Cómo va la caldera ? Le preguntó Flora.

- Muy bien, me siento más tranquila con esa nueva, sobre todo ahora que ha llegado el frio, le contestó Mina.

Aquel día Flora tenía muchas ganas de hablar y le contó a Mina cantidad de cosas: que tenía tres hijos ventiañeros, que se había separado hacía poco de su marido, que pronto se iba a mudar a un piso nuevo, que sus dos hijos mayores todavía estudiaban pero que ya no vivían con ella, que el pequeño quería ser actor, etc. Luego le dijo que para vivir por suerte podía contar con el alquiler del local de las costureras y el de la casita. También le dijo que la costurera más joven tenía dos hijitos en Ecuador y que por eso trabajaba día y noche para que pudieran reunirse con ella lo más pronto posible.

Flora trabajaba haciendo murales y decorando paredes, era todo una artista. Años atrás con la herencia de sus padres, había comprado la casita y el local adyacente, para trasformarlo en galería de arte, pero por culpa de la pandemia tuvo que dividir el local y conformarse con un estudio minúsculo. La parte anterior se convirtió en la tienda que arrendó a las ecuadoreñas.

Flora le quiso enseñar su estudio, pero primero fue a dejar el mueble en su coche aparcado en la esquina. Mina la esperó en el patio y se puso a pensar en lo afortunados que habían sido ellos al poder transcurrir un mes con su hija y su nieto en aquella ciudad. Había sido una buena idea alquilar la casita y vivir por su cuenta.

Se habían sumergido completamente en aquel barrio, con sus costumbres, sus horarios y sus habitantes. Habían descubierto poco a poco una ciudad que casi desconocían. Gracias a la casita habían vivido intensamente las calles, los olores, los ruidos, los bares, los restaurantes, las plazas, los parques, las tiendas conocido a muchas personas.

Mina siguió pensando en que sobre todo había tenido la oportunidad de conocer y compenetrase con algunas mujeres que se peleaban cada día contra las adversidades de la vida, para poder salir adelante.

Aquella noche, Mina, cuando entró en la casita, se estremeció sintiendo el ambiente cálido y observando a Hugo que, sentado en el sofá, estaba leyendo un libro.

- Qué frio que hace, menos mal que tenemos la caldera nueva, le dijo, sacándose el abrigo.

- Sólo faltaría, ahora si que es confortable la casita, le dijo él sonriendo.








mercoledì 3 novembre 2021

Lettera al mio nipotino



Firenze 1 novembre 2021


Caro Giulio:

Sono seduta nel mio studio, sono quasi le otto del mattino. Sul tavolo ho dei fogli di carta, buste e francobolli.

Ho iniziato a scrivere una lettera a tua madre venerdì 29 ottobre, non c'era ancora nessuna avvisaglia che la tua nascita sarebbe stata eminente.

Il giorno dopo, il 30/10, quando mi sono svegliata ho trovato un messaggio di tuo padre in cui diceva che a madre le si erano rotto le acque all’alba e che erano corsi all'ospedale.

Ho continuato a scrivere la lettera mentre i tuoi genitori mi informavano che le prime contrazioni erano arrivate lente e irregolari.

Non ci potevo credere che tu avessi già iniziato a uscire da quel canale oscuro dove eri.

Alle 10.30 sono andata a fare colazione con una amica. Sedute in una terrazza al sole, abbiamo parlato di te e ricordato i parti dei nostri figli, di trent'anni prima.

Nel pomeriggio io e tuo nonno siamo andati a fare una passeggiata e ti abbiamo comprato un regalo.

Tua madre è stata tutto il sabato nella sala pre-parto. Le ostetriche ogni tanto venivano a visitarla e le dicevano:

- Coraggio, manca poco, aspettiamo ancora due ore e vediamo cosa succede.

Un altro giorno era finito e iniziò il 31/10, che era domenica.

Verso le due del mattino, dopo dodici ore di contrazioni, le ostetriche finalmente dissero di essere soddisfate, perché tu eri già ben posizionato per nascere. Tutto accade di notte, si vede che la notte è un momento buono per nascere. Anch'io sono nata all'alba.

Tuo nonno ed io, seduti sul divano, seguivamo in diretta il tuo ingresso al mondo, tuo padre ci mandava spesso dei messaggini.

Siamo rimasti svegli fino all'arrivo del messaggio scritto più bello che abbiamo mai ricevuto:

Siete diventati nonni, congratulazioni. Lei è esausta ma sta bene, è stata bravissima. Il bambino è bellissimo. Adesso madre e neonato sono a contatto pelle a pelle.

Dopo tante ore di fatica, tue e di tua madre, sei riuscito a lasciare il luogo buio per entrare nella luce.

Sei nato quasi alle tre del mattino. In quel momento c’è stato il passaggio dall'ora legale a quella solare.

Quella notte non so come descrivertela, eravamo emozionati, ci siamo baciati e abbracciati pieni di energia primordiale. Nonostante fossimo a più di 1.500 km di distanza, ci siamo sentiti vicini a te. Ci dicevamo, ridendo e piangendo alla volta, che sembrava impossibile che tu fossi già arrivato.
Ci siamo addormentati felici e contenti. La mattina siamo andati a fare una passeggiata lungo il fiume e abbiamo parlato solo di te.

Vogliamo davvero accarezzarti e amarti. Arriveremo a Madrid domani, quando forse già sarete uscisti dall'ospedale. A prestissimo.

Ti voglio tanto tanto bene







lunedì 1 novembre 2021

Carta a mi nieto recién nacido

 


Firenze 1 de Noviembre 2021

Estimat Giulio:

Estoy sentada en mi estudio, son casi las ocho de la mañana.

En la mesa tengo hojas de papel, sobres y sellos.

Empecé a escribir una carta a tu madre el viernes 29 de octubre, todavía no había ninguna señal de que tu nacimiento sería eminente.

Al día siguiente, el 30/10, al despertar encontré un mensaje de tu padre que me decía que tu madre rompió aguas a las dos de la madrugada y que se fueron corriendo al hospital.

Yo seguí escribiendo la carta mientras tus padres me iban informando que las primeras contracciones, eran flojas e irregulares.

No me acababa de creer que tú ya habías empezado a hacerte camino para salir de aquel canal oscuro, donde estabas metido.

A las 10.30 fui a desayunar con una amiga. Sentadas en una terraza al sol hablamos de ti y recordamos nuestros partos de treinta años atrás.

Por la tarde tu abuelo y yo salimos a pasear y te compramos un regalo.

Tu madre estuvo todo el sábado en la sala preparatoria para el parto. Las madronas cada dos por tres la visitaban y le decían:

- Ánimos, ya falta poco, esperemos dos horas más y veamos lo que pasa.

Otro día terminó y empezó el 31 /10, que era domingo.

Hacia las dos de la madrugada, después de doce horas de contracciones las madronas estuvieron satisfechas, porque tú ya estabas bien posicionado para nacer. Todo pasa de madrugada, se ve que la noche es buena para nacer. Yo también nací de madrugada.

Tu abuelo y yo, sentados en el sofá, seguimos tu entrada en el mundo en directo, tu padre nos iba enviando mensajes.

Estuvimos levantados hasta que llegó el mensaje más bonito que jamás hemos recibido:

Ya sois abuelos, enhorabuena. Ella está agotada pero muy bien, lo ha hecho genial y el niño es precioso. Ahora está haciendo el piel con piel.

Después de tantas horas de esfuerzos, tuyos y de tu madre, lograste salir de un lugar oscuro y entrar en otro claro. Quizás por eso se dice que las madres dan a luz.

Naciste a las dos y veinticinco de la madrugada. Retrasaron una hora, se pasó de la hora legal a la solar.

Aquella noche no sé como describírtela, fue emocionante para nosotros, nos besamos y nos abrazamos llenos de energía primordial. No obstante estuviéramos a más de 1.500 km de distancia sentíamos que estábamos cerca de ti. Nos dijimos, riendo y llorando a la vez, que parecía imposible que ya hubieras llegado.

Nos dormimos felices y contentos. Por la mañana fuimos a pasear por el rio y hablamos sólo de ti.

Tenemos muchas ganas de acariciarte y de quererte. Llegaremos mañana a Madrid, cuando quizás te den de alta del hospital. Hasta muy pronto.

T'estimo molt.







venerdì 8 ottobre 2021

La piazzetta

 


Nel paese dove sono nata c'è una piazzetta dietro la chiesa. Tutti la chiamano placeta, ma il suo vero nome è Plaça Pau Casals. Anticamente si chiamava San Antonio Abad,  protettore degli animali, dei cavalli e dei carri. Il giorno della festa, il diciassette gennaio, i cavalli venivano benedetti nella  piazzetta.

Gli abitanti del mio paese si dedicavano soprattutto all’agricoltura e pochi facevano i pescatori 
nonostante fosse un luogo di mare. Ricordo che spesso per le strade vedevo cavalli che trainavano carri colmi di raccolti.


A quel tempo, una delle strade che sfociavano nella piazza non aveva case vere e proprie, vi si aprivano solo stalle e rimesse per veicoli  e carri. La strada era un cul de sac. Ecco perché non aveva un nome. Negli anni '70 il Comune acquistò la casa, situata alla fine del vicolo, per abbatterla e far posto alla strada. Fu allora che i vicini iniziarono a costruire abitazioni sul retro dei giardini o dei cortili. Quel vicolo divenne una vera strada. Senza molta immaginazione la chiamarono San Antonio Abad. Per alcuni anni via e piazza ebbero lo stesso nome, ma in seguito dettero alla piazza il nome del grande musicista catalano, ma tutti continuarono a chiamarla La
  placeta.


Fino a qualche anno fa i pochi cespugli che c'erano nella piazzetta non si potevano guardare, da quanto erano brutti. Le fioriere erano state danneggiate dalle intemperie o da persone poco rispettose, insomma tutto l’insieme era abbastanza trascurato. Tuttavia, dopo gli ultimi lavori di ristrutturazione, che prevedevano la sostituzione della pavimentazione e la sistemazione delle aiuole, con nuove piante, erba e fiori, la piazza cambiò volto.

Piantarono nuovi alberi, montarono cinque panchine e un porta biciclette con supporti metallici. Misero dei cassonetti interrati, che non sempre sono risultati efficaci, a volte, quando sono pieni, alcune persone lasciano i rifiuti fuori.

In inverno la piazzetta è popolata solo da scolaretti, che si dirigono o escono da scuola, e da casalinghe, che vanno a fare la spesa. Le casalinghe, trascinando lentamente i loro carretti, sono le uniche persone che si trattengono un po' a parlare o a spettegolare, tutti gli altri attraversano la piazza in fretta e furia, senza mai fermarsi. In estate la piazzetta invece è molto più affollata, a tutte le ore ci sono ragazzi che giocano a pallone e bambine che saltano la corda o giocano a campana. Ma è all'imbrunire che la gente esce di casa a passeggiare per il centro storico e la piazza si anima. Prima di cena, alcuni vicini si siedono sulle panchine per chiacchierare e prendere una boccata d'aria fresca.

Mio fratello e sua moglie abitano in una casa della piazzetta Pau Casals, ma conducono una vita piuttosto impegnata e non hanno mai tempo di sedersi sulle panchine della piazza.

Ogni estate mio marito ed io e andiamo in vacanza nel mio paese per qualche settimana. Una delle prime cose che facciamo è andare a trovare mio fratello e sua moglie. Quest'estate è successo che più di una volta ci siamo dati appuntamento davanti alla loro casa, quasi sempre verso le otto di sera. Arrivando alla piazza subito notai un curioso capannello di persone che mi ha riempì di tenerezza. Ci siamo avvicinati e li abbiamo salutati. Quando mio fratello e sua moglie sono usciti di casa, ce li hanno presentati. Due di loro erano persone del quartiere, li conoscevo di vista, ma la coppia della sedia a rotelle non l’avevo mai incontrata prima.

La seconda sera sono andata da sola a trovare mio fratello e prima di entrare in casa mi sono intrattenuta a parlare con il gruppo di vicini. Ho iniziato raccontando loro qualcosa di me: che vivevo a Firenze da quarantacinque anni, che mio marito era italiano, che avevo due figli sulla trentina, che presto sarei diventata nonna, che ero appena andata in pensione e che forse in futuro avrei passato più tempo in paese, ecc.

Loro, quel pomeriggio e poi i giorni successivi, hanno cominciato, a spizzichi e bocconi, a raccontarmi la loro vita.

- Amo cucire a macchina. Dovete sapere che anche se mi dedico al cucito tutto il giorno, cerco di prendermi cura di me stessa: ogni mattina alle nove esco di casa per fare una passeggiata, d'estate vado al mare a fare il bagno. Verso le dieci e mezzo inizio a cucire davanti alla finestra. Ogni tanto alzo lo sguardo e osservo la gente che attraversa la piazza. Mangio verso le due e poi mi sdraio sul letto per fare un pisolino. Nel pomeriggio mi rimetto a cucire fino alle sette, poi comincio ad annaffiare le piante del giardino e a riordinare un po' la casa. Verso le otto esco, prima faccio due o tre giri intorno alla piazzetta col mio girello e poi mi siedo su una panchina a prendere una boccata d'aria con i vicini, mi disse Adela il primo giorno.

Adela è una donna magra con occhi vivaci e capelli bianchi raccolti in una crocchia. Il suo sorriso e la sua voglia di vivere fanno sparire le rughe sul suo volto. Ha appena compiuto novantacinque anni. È nata nella casa sulla piazzetta dove tuttora abita. Si è sposata giovanissima, come la maggior parte delle donne della sua generazione. Il marito, con l'aiuto di un muratore, sistemò alla meglio le due stanze del primo piano della vecchia casa dei genitori di Adela. Lui nacque in Andalusia, ma a dieci anni emigrò con la famiglia verso la Catalogna in cerca di lavoro. Gli fu difficile integrarsi nel paese, ma quando raggiunse l'età di sedici anni ce la mise tutta per cercare un lavoro. Ebbe la fortuna di trovare un impiego da operaio in una fabbrica di prodotti chimici, dove dopo pochi anni è diventato caposquadra. Adela gli parlava in catalano e lui le rispondeva sempre in spagnolo. Ebbero due figli.

Adela faceva riparazioni sartoriali per l'intero quartiere. Quando sua madre morì, suo marito si prese cura della cucina e della spesa. Presto morì anche il padre e Adela ereditò la casa. Suo marito, che era un tuttofare, trasformò quella vecchia casa buia in una abitazione bianca e piena di luce.

Adela era una donna loquace e allegra, ma non sopportava stare da sola. Quando i figli si sposarono, si era sentita un po' abbandonata, ma presto si abituò alla nuova vita e la scansione delle sue attività quotidiane insieme alla gente che le stava intorno la aiutarono ad affrontare la vecchiaia.
Suo marito iniziò a frequentare tutti i pomeriggi la
placeta quando andò in pensione. Si sedeva su una panchina, leggeva il giornale e guardava la gente passare. Amava andare al mercato e cucinare nuovi piatti per la moglie. Quando morì il marito, Adela aveva quasi novant'anni. Uno dei suoi figli, che si era appena separato dalla moglie, andò a vivere da lei, e si occupò di fare la spesa e di cucinare per la madre. Ancora una volta la macchina da cucire la aveva aiutata a superare il lutto.

- Mi manca mia moglie giorno e notte, ma mi sento meglio quando esco per strada. Seduto su questa panchina mi distraggo e smetto per un po' di pensarla, le disse Mario il secondo giorno, singhiozzando.

Mario è un uomo paffuto di una ottantina d’anni. Indossa sempre un berretto e cammina molto lentamente a causa dell’artrite.
Da giovane gli piaceva viaggiare e divertirsi. Cambiava lavoro spesso ed impazziva per le auto sportive. I suoi genitori erano preoccupati per quanto fosse sprecone e spesso minacciavano di diseredarlo, ma lui li ignorava. Un giorno Mario, avrà avuto una quarantina d'anni, in un ristorante di Bristol, conobbe una cameriera inglese, di dieci anni più grande di lui, che sposò pochi mesi dopo.

I genitori di Mario erano molto tradizionalisti e non furono entusiasti di quel matrimonio, ma sollevati perché credevano che suo figlio sposandosi avrebbe messo la testa a posto. Fecero sistemare per gli sposi un alloggio indipendente, sull’ala della vecchia casa che si affacciava sulle scuderie.

Mario, dopo aver perso il suo ultimo impiego, decise di entrare a lavorare nella piccola azienda agricola dei suoi genitori, ma senza crederci troppo e con poche ambizioni. Lo fece perché sua moglie lo implorò. Quando poteva continuava a girare con la sua macchina sportiva, questo era ciò che lo rendeva più felice.
La donna inglese era aperta e cordiale e si era adattata ben presto alla vita monotona del paese. Cantava mentre lavava e stendeva i panni. La suocera si occupava della cucina, ma tutte le altre faccende domestiche erano sbrigate da lei. Al tramonto le piaceva sedersi in terrazza e guardare la piazza, non scendeva quasi mai, ma dall'alto parlava e scherzava con i vicini.

Imparò subito alcune parole di catalano e spagnolo che mescolava con la sua lingua. Negli anni, il suo spagnolo migliorò, ma continuò a mescolare le tre lingue e non perse mai il forte accento anglosassone.
Era una gran lavoratrice, prese le redini dell’azienda dei suoceri, quando questi andarono in pensione. Teneva i conti, pagava le tasse e riscuoteva gli affitti.

Quando i genitori di Mario morirono, gli lasciarono una bella eredità. Mario smise gradualmente di coltivare i campi e lasciò che sua moglie si occupasse di tutto per tirare avanti. Passarono gli anni, Mario iniziò ad ingrassare e languire. Usciva sempre di meno a causa dell’artrosi galoppante. D'altra parte, la moglie continuò con la sua vitalità a gestire la casa e ad occuparsi di tutto senza mai lamentarsi. La coppia era diventata, contro ogni previsione, affiatata. Avevano avuto diversi cani e vivevano felici a modo loro, fino a quando una mattina lei cadde morta in cucina, dopo un attacco cardiaco.

- Ti piace stare qui, Anita? Santiago chiedeva ogni giorno a sua moglie, senza che lei gli rispondesse mai.
- Anche se non parla, capisce quello che le dico. E’ più presente la mattina, quando le do la colazione e le racconto per filo e per segno le cose che faremo nella giornata. Poche volte mi sorride, ma quando lo fa, quel suo mezzo sorriso mi dà la forza di andare avanti, mi disse Santiago il terzo giorno.

Santiago e Anita sono una coppia sulla settantina. Lei è nata a Barcellona e lui in un paese della Mancia, ma ben presto la sua famiglia era emigrata in Catalogna. Santiago era bravo a scuola e all'età di sedici anni trovò lavoro in un albergo come fattorino, tuttavia dopo poco tempo fu trasferito alla reception perché era vispo e parlucchiava diverse lingue. Santiago conobbe Anita in albergo, l'estate in cui lei ci andò in vacanza.

Iniziarono subito a frequentarsi e si sposarono poco dopo, anche perché Anita era rimasta orfana, dopo l’incidente stradale dei suoi genitori. Con l'eredità di Anita, gli sposi acquistarono un bell’appartamento, dietro la
placeta.

Anita avendo studiato ragioneria si avventurò ad aprire un piccolo ufficio che si occupasse di pratiche burocratiche e legali. Santiago fin dall’inizio andava a fare la spesa e Anita cucinava. Quando l'agenzia iniziò ad andare bene, Santiago lasciò l'albergo e andò a lavorare con la moglie. Ebbero un figlio. Gestirono entrambi per diverse anni con successo l'agenzia che si trovava a due isolati dalla loro abitazione.

Quando il figlio si sposò si trasferì in un paese vicino. Quel cambiamento destabilizzò Anita, che iniziò a fare stranezze. Non ricordava più niente, non riusciva a concentrarsi nel lavoro, non cucinava più e soprattutto si chiuse in se stessa.
Anita era stata una bella donna. Gli piaceva vestirsi bene per andare al lavoro o per uscire col marito. Tuttavia lentamente iniziò a trascurarsi. Dal pomeriggio in cui era caduta sul sagrato della chiesa, non volle più uscire di casa, era impaurita. Santiago la portò da un neurologo, il quale le diagnosticò l'Alzheimer. Furono tempi terribili per entrambi, giorno dopo giorno Anita perdeva la testa.

Santiago dovette vendere l’agenzia e chiedere il pensionamento anticipato per sua moglie. Grazie ai risparmi accantonati poté dedicarsi alla moglie corpo e anima fino a quando anche lui ottenne la pensione. Arrivò un momento in cui Anita non riconosceva più nessuno, nemmeno suo figlio. Tuttavia, Santiago non si scoraggiò e continuò a coccolare e a badare alla moglie con dedizione. Ben presto si rese conto che per fare uscire la moglie di casa doveva comprarle una sedia a rotelle. Da allora il pomeriggio Santiago girella per il paese e prima di rientrare si ferma nella piazzetta.

Molti giorni al tramonto passo apposta per la piazza per incontrare Adela, Mario, Anita e Santiago.
Ho notato che Adela e Santiago si sforzano per consolare Mario della morte della moglie, seppellita due settimane prima.

Poi che Adela è incoraggiata dai due uomini ad andare a fare il bagno al mare e aggrapparsi saldamente alla corda che i bagnini hanno predisposto, in modo che gli anziani possano bagnarsi in sicurezza. E infine che Mario e Adela, prima di rincasare si occupano per qualche minuto di Anita, le parlano e le accarezzano il viso, così Santiago, può sedersi e smettere di preoccuparsi per la moglie.

Al tramonto dell'ultimo giorno di vacanza siamo andati a salutare mio fratello e mia cognata. Il gruppo bizzarro di vicini come ogni sera era seduto sulla solita panchina.
Ci siamo avvicinati
e dopo avere salutato tutti, ho domandato ad Anita:
- Ti piace stare
con noi nella placeta?
- Sì, molto, ha detto lentamente, pronunciando le due parole in modo pastoso.
- Anche a me piace molto stare con te nella
placeta, dissi prendendole le mani tra le mie.
Poi Anita sorrise.






lunedì 27 settembre 2021

La placeta

 


En el pueblo donde yo nací hay una plazuela detrás de la iglesia. Todos la llaman placeta, pero su verdadero nombre es Plaza Pau Casals. Antiguamente se llamaba San Antonio Abad, santo protector de los animales, caballos y carruajes. El día de la festividad, el diecisiete de enero, en la placeta bendecían a los caballos.

Era un pueblo de labradores, a pesar de que se hallara a orillas del mar no había muchos pescadores. Recuerdo que por las calles cruzaban caballos tirando carros. 

En aquel entonces, en una de las calles que desemboca en la plazuela, no había viviendas, solo salidas de vehículos o carruajes o puertas traseras de las casas, era un cul de sac. Por eso no tenía nombre. En los años setenta el Ayuntamiento compró la grande casa, ubicada en el fondo de la callejuela, para derrumbarla y darle salida a la calle. Fue entonces cuando los vecinos empezaron a construir viviendas en la parte trasera de los jardines o patios. Aquella callejuela de carros y de vados permanentes se convirtió en una verdadera calle. Sin mucha imaginación le pusieron el nombre de San Antonio Abad. Durante algunos años calle y plaza tuvieron el mismo nombre, más tarde se lo cambiaron, dándole a la plazuela el nombre del gran músico catalán, pero todo el mundo siguió llamándola placeta.

Hasta hace pocos años los cuatro matorrales que había en la placeta daban lástima de lo secos que estaban, las jardineras se habían estropeado, en fín todo el conjunto estaba bastante descuidado. Sin embargo tras la reforma que hizo el Ayuntamiento, cambiando la pavimentación y arreglando los parterres, con plantas nuevas, césped y flores, la placeta cambió de cara.

Plantaron árboles nuevos, pusieron cinco bancos y un aparcabicicletas con cuatro soportes metálicos. En la esquina, tocando a la iglesia, metieron seis contenedores soterrados de basura, que  no son del todo eficaces, porque cuando están llenos la gente deja los desperdicios afuera.

En invierno la plaza Pau Casals está bastante desierta, sólo la pueblan los escolares, que van o salen del colegio y las amas de casa, que van o vuelven de la compra, arrastrando lentamente sus carritos. Son ellas las únicas que se detienen un rato para hablar o chismear. En verano está mucho más concurrida, a todas horas hay muchachos que juegan a pelota y niñas que saltan a la comba o juegan a rayuela. Pero es al atardecer cuando la gente sale a pasear por el casco antiguo del pueblo y la placeta se anima. Antes de cenar, algunos vecinos se sientan en los bancos a charlar un rato y a tomar el fresco.

Mi hermano y su mujer viven en una casa de la plaza Pau Casals, pero ellos llevan una vida bastante movida y no tienen tiempo para sentarse en los bancos de la plaza.

Cada verano mi marido y yo vamos a pasar unos días de vacaciones a mi pueblo. Una de las primeras cosas que hacemos es ir a visitar a mi hermano y a su mujer. Ha dado la casualidad que este verano varias veces hemos quedado para salir con ellos en frente de su casa, casi siempre hacia las ocho de la tarde. Ya la primera noche noté a cuatro personas que hablaban sentadas en un banco y no sé por qué me llenaron de ternura. Nos acercamos para saludarlos. Cuando mi hermano y su mujer salieron de casa nos los presentaron. Dos de ellos eran gente del barrio de toda la vida, yo los conocía de vista, pera la pareja de la silla de ruedas no la había visto nunca.

La segunda noche fui sola a ver a mi hermano y antes de entrar en su casa me demoré hablando con el grupo de vecinos. Empecé contándoles algo de mí: que desde hacía cuarenta y cinco años vivía en Florencia, que mi marido era italiano, que tenía dos hijos treintañeros, que pronto iba a ser abuela, que me acababa de jubilar y que pasaría más temporadas en el pueblo, etc. Ellos, día tras día, me fueron contando su vida.

- Me encanta coser a máquina. Estoy todo el día cosiendo, pero me cuido, no te creas: cada mañana, a las nueve, salgo de casa y voy a dar un largo paseo, en verano voy a la playa a bañarme. Pero hacia las diez me pongo a coser delante de la ventana. De vez en cuando levanto la vista y veo a la gente que cruza la plazuela. Como a las dos en punto y luego me echo en la cama para dormir un rato la siesta. Por la tarde sigo cosiendo hasta las siete, luego me pongo a regar las plantas del patio y arreglo un poco la casa. A las ocho salgo, primero doy unas cuantas vueltas alrededor de la placeta en mi caminador y luego me siento en un banco a tomar el fresco con los vecinos, me dijo Adela el primer día.

Adela es una mujer enjuta, ojos vivarachos y cabellos blancos recogidos en una moño. Su sonrisa y sus ganas de vivir hace que no se noten las arrugas de su cara. Acaba de cumplir noventa y cinco años. Nació en la casa de la plazuela donde aún vive. Se casó muy joven. Su marido, con la ayuda de un albañil, arregló como pudo los dos cuartos de la primera planta de la vieja vivienda de los padres de Adela. Sus padres murieron bastante jóvenes. Entonces Adela heredó la casa. Su marido que era un manitas, trasformó aquella casa lúgubre en una casita blanca y llena de luz. Él nació en Andalucía y le costó integrase en el pueblo, cuando llegó a los dieciocho años en busca de trabajo. Tuvo suerte encontrando un empleo en una fábrica de productos químicos, en donde al cabo de unos años pasó a ser capataz. Ella le hablaba catalán y él le contestaba siempre en castellano. Tuvieron dos hijos.

Adela todo el día cosía a máquina, haciendo encargos y reparaciones para toda la vecindad. Cuando murió su madre, su marido se ocupó de la comida y de la compra. Adela era dicharachera y alegre, pero no le gustaba estar sola. Cuando sus hijos se casaron, se sintió un poco desamparada, pero su rutina la ayudó a que su vida fuera más llevadera.

Cuando su marido se jubiló, empezó a ir cada tarde a la placeta a tomar el sol. Se sentaba en un banco, leía el periódico, charlaba con otros jubilados, pero se deleitaba estando solo, al contrario que su mujer. Le encantaba ir al mercado y guisar platos nuevos para su mujer. Cuando él falleció, Adela iba a cumplir noventa años. Entonces uno de sus hijos, que se acababa de separar, se fue a vivir con ella, remplazando al padre haciendo la compra y cocinando. De nuevo su vida rutinaria la ayudó a superar el luto.

- Echo de menos a mi mujer día y noche, pero me siento mejor cuando salgo a la placeta. Sentado en este banco me distraigo y dejo de pensar un ratito en ella, le dijo el segundo día Mario, casi sollozando.

Mario es un hombre gordito de unos ochenta años. Lleva siempre boina y camina muy lentamente pos sus achaques de artritis.

A él de joven le gustaba mucho viajar y divertirse. Cambiaba de empleo cada dos por tres y enloquecía por los coches deportivos. Sus padres estaban preocupados por lo derrochador que era y a menudo le amenazaban con que le iban a desheredar, pero él no les hacía ni caso. Mario a los cuarenta años, en un restaurante de Bristol, conoció a una camarera inglesa, cinco años mayor que él, con quien se casó, pocos meses después.

Los padres de Mario eran muy tradicionales y no les entusiasmó aquella boda, pero se quedaron más tranquilos porque creyeron que él iba a sentar la cabeza. Les arreglaron un apartamento independiente, en la parte lateral de la vieja casona que ocupaba media placeta.

Mario, tras perder su último empleo se puso a trabajar en la huerta de sus padres, pero sin ambición. Lo hizo porque se lo pidió su mujer. Él seguía saliendo a dar vueltas con su coche deportivo, eso era lo le hacía más feliz.

La mujer inglesa, era abierta y simpática y se adaptó a la vida monótona del pueblo. Cantaba mientras fregaba y tendía la ropa. La suegra se ocupaba de la cocina, pues a ella no le gustaba guisar. Pero las demás tareas domésticas las hacía sin rechistar. A ella, al atardecer, le gustaba sentarse en la terraza y mirar desde arriba la plazuela, no bajaba casi nunca, pero hablaba y bromeaba con los vecinos desde arriba.

Aprendió en seguida algunas palabras de catalán y de castellano y las mezclaba con el inglés. A lo largo de los años su español mejoró, sin embargo nunca perdió su acento anglosajón.

Era muy trabajadora y se puso enfrente de los negocios de sus suegros, cuando ellos se jubilaron. Llevaba las cuentas, pagaba los impuestos y cobraba los alquileres.

Los padres de Mario al fallecer le dejaron una buena herencia. Mario poco a poco dejó de cultivar los campos de su familia y dejó que su mujer se ocupara de todo para salir adelante. La pareja se llevaba bien. Pasaron los años, Mario empezó a engordar y a languidecer. Salía menos en coche a causa a sus achaques. En cambio ella seguía con su vitalidad llevando la casa y ocupándose de todo sin quejarse nunca, pero salía muy poco de casa, sólo para la compra. Tuvieron varios perros y vivieron felices a su manera hasta que una mañana ella cayó muerta en la cocina tras un ataque de corazón.

- ¿A qué te gusta la plazuela, Anita? Le preguntaba cada día Santiago a su mujer, sin que ella le respondiera nunca.

- Aunque ella no hable, entiende lo que le digo, sobre todo por la mañana cuando le doy el desayuno le cuento muchas cosas. A veces ella me sonríe. Su media sonrisa me da fuerzas para tirar adelante. Me dijo Santiago el tercer día.

Santiago y Anita son una pareja de unos setenta años. Ella nació en Barcelona y él en un pueblo de la Mancha, pero su familia emigró a Cataluña cuando él tenía ocho años. Santiago a los dieciséis años encontró trabajo en un hotel como botones, sin embargo al cabo de poco tiempo lo trasladaron al mostrador para que ayudara al recepcionista porque era listo y chapurreaba idiomas. Santiago conoció a Anita en el hotel, el verano en que ella fue a pasar unos días de vacaciones en el pueblo.

Empezaron a salir juntos y se casaron al cabo de poco, pues Anita vivía con una tía en Barcelona, tras la muerte de sus padres, a causa de un accidente de carretera. Gracias a la herencia que Anita recibió, los recién casados pudieron comprar un apartamento bastante grande, cerca de la placeta.

Ella tenía estudios de contabilidad y se atrevió a abrir una pequeña gestoría que se ocupaba de trámites burocráticos. Santiago en aquella época iba a comprar y Anita preparaba la comida. Cuando la gestoría empezó a ir bien Santiago dejó el hotel y se puso a trabajar con su mujer.

Regentaron durante muchos años la gestoría que estaba a dos manzanas de la plazuela.

Tuvieron un hijo y cuando el chico se casó y se fue de casa, Anita empezó a tener rarezas. No se acordaba de nada y sobre todo se cerraba mucho en si misma. 

Anita había sido una mujer guapa. Le gustaba arreglarse para ir al trabajo. Sin embargo a los sesenta años, empezó a descuidarse. Desde la tarde en que cayó en la plaza de la iglesia tuvo miedo de salir y se emperró en quedarse encerrada en su cuarto. Santiago la llevó a un neurólogo, quien le diagnosticó Alzheimer. Fueron años terribles pues ella día tras día iba perdiendo la cabeza. 

Tuvieron que traspasar la gestoría y Santiago logró la jubilación anticipada para su mujer. Él también se jubiló al cabo de poco para poder cuidarla. Llegó un momento en que Anita ya no reconocía a nadie, ni siquiera a su propio hijo. Sin embargo Santiago no se desanimó y siguió mimándola y haciéndole todo. Hasta que tuvo que comprarle una silla de ruedas para llevarla a pasear por la placeta.

Muchos días al atardecer pasamos adrede por la placeta para saludar a Adela, Mario, Anita y Santiago.

En esos días todos consuelan a Mario por la muerte de su mujer, que hace sólo dos semanas que enterraron. Animan a Adela para que siga yendo a bañarse a la playa y para que se agarre muy fuerte a la cuerda que los socorristas han puesto para que las personas mayores se puedan bañar. Y sobre todo se ocupan de Anita para que Santiago se sienta en otro banco y se distraiga, leyendo el periódico o escuchando la radio y deje de preocuparse unos minutos por ella.

Al atardecer del último día de vacaciones fuimos a despedirnos de mi hermano y de mi cuñada. Allí seguían sentados los cuatro vecinos de la placeta.

Después de saludarlos a todos, le pregunté a Anita:

- ¿Te gusta estar en la placeta?

- Si, me gusta mucho, lo dijo despacio pronunciando las palabras de forma empastada.

- Yo soy Mina, a mi me encanta esta placeta, le dije cogiéndole sus manos entre las mías.

Entonces Anita sonrió.





sabato 28 agosto 2021

Soltería

 

A las mujeres casadas de vez en cuando les gusta volver a la vida de soltera. Aunque la pareja se lleve bien ellas necesitan ir a su aire. Antes se decía que eran los hombres los que querían libertad, sin embargo ahora son las mujeres las que desean pasar una temporada sin maridos, solas o con amigas.

El confinamiento y las medidas de seguridad, que hubo que cumplir en tiempos de pandemia, no ayudadaron a planear viajes, sin embargo cuando llegó el verano 2021 todo el mundo empezó a escaparse de la ciudad.

Mina y Hugo a principios de julio se fueron, un fin de semana largo, a un pensión de la costa adriática. Era la primera vez que iban sin reservar hotel. Los primeros días fueron muy amenos y divertidos, los dos se compenetraron bien. Fueron a la playa, visitaron lugares preciosos y pasearon al atardecer. La última noche Mina, tras una pequeña discusión que tuvo con Hugo, cayó en la cuenta de que desde principios de la pandemia no se habían separado ni una sola noche y pensó en que un poco de soltería les iría bien a los dos.

Mina era una mujer organizada, solía siempre planear sus jornadas. Sin embargo aquel verano hizo pocos planes.

- Casi me desconozco a mí misma. Lo único que hemos decidido este año es ir de vacaciones en septiembre, a mi pueblo. Julio y agosto ya veremos, todo sobre la marcha. Les comentaba a sus amigas satisfecha.

Mina cada año en septiembre empezaba con entusiasmo el curso, pero el dichoso virus y las clases on-line le habían sacado energía e ilusión.

Tenía sesenta y cinco años y se acababa de jubilar, por eso se sentía más ligera, sin el agobio de tener que volver al trabajo. Sin embargo, tras escuchar las experiencias de algunas de sus antiguas compañeras de Instituto, que cayeron en depresión tras la jubilación, le daba un poco de miedo que ella también se aburriera, echando de menos su vida frenética de antaño.

Fue ella la que insistió para ir en septiembre a España, lo hizo para no añorar el principio de curso. Alquilaron un apartamento en el pueblo donde ella había nacido, en frente de la playa, donde pasarían cuatro semanas. Habían invitado a sus hijos. La mayor vivía en Madrid. Estaba embarazada de casi siete meses y tenía previsto trabajar on-line frente del mar. El pequeño vivía en Firenze, pero se había guardado unos días de vacaciones, pues le hacía ilusión ver a su hermana y a sus primas catalanas.

Fu una coincidencia que al cabo de unos días Mina recibiera la llamada de su amiga Stella, a quien veía poco, pues vivían a más de 100 km de distancia. Eran coetáneas y se conocían desde hacía más de treinta años, habían ganado oposiciones y les había tocado ir a enseñar en el mismo Instituto de Grosseto. En aquel entonces Hugo trabajaba en Firenze y Mina encontró un mini apartamento cerca del Instituto. En cambio Stella alquiló un piso al otro lado de la ciudad, mucho más bonito y moderno que el de Mina. Muchas tardes quedaban para ir de excursión por la la Maremma y por la noche a menudo salían juntas, iban al cine o al teatro.

Sin embargo a pesar de que ambas al terminar el curso se trasladaron a otros Institutos, más cerca de sus casas, nunca se perdieron de vista. Siguieron llamándose y viéndose de vez en cuando.

- Mamá no quiere moverse de la ciudad, el otro día cumplió noventa y cuatro años y como te puedes imaginar, ya no tiene ánimos para salir de viaje y coger el barco. Sólo se mueve en silla de ruedas. Además desde el año pasado la cuida una chica peruana que va estar con ella todo el verano. Mi hermana, con su marido y sus nietos, fueron a la isla en julio, yo me quedé en Livorno con mamá, en agosto haremos lo contrario. Yo a principios de agosto, cuando termine la reforma de la cocina, voy a ir a la isla. ¿Porqué no venís tú y Hugo conmigo? Le dijo Stella.

- Teníamos otros planes, pero podríamos ir a verte un fin de semana, ahora se lo digo a Hugo, creo que le va a encantar tu plan y puede que aproveche para dar una vuelta en bici por la isla.

- Demasiado poco, un fin de semana ¿Por qué no venís quince días? Quizás también venga mi amiga Marta, tú la conoces. ¿Te acuerdas que vinimos a verte a Firenze cuando nació tu segundo hijo? Pero no es seguro que venga, ya sabes que ella cambia de idea cada dos por tres.

Era una coincidencia que no hubiera nadie en agosto en la vieja casita con vistas al mar, Mina recordaba que cada año estaba a tope.

Cuando Mina le comentó a Hugo que Stella les había invitado a la isla d’Elba a pasar unos días en la casita de su abuela, él le contestó:

- Me parece una buena idea. La vuelta que queríamos dar por el centro de Italia en furgoneta, la podemos postergar. ¿No te parece?

- Vale,  en primavera podemos ir  a Abruzo, le contestó Mina.

- ¿Por qué no te vas tú sola a la isla, así podrás recrearte con tu amiga, yo te alcanzaré luego, al cabo de cuatro o cinco días, en bicicleta. Se lo voy a decir a Francisco, quizás tenga ganas de pedalear conmigo.

Mila se alegró mucho de que a su marido le entusiasmara ir a la Isla. Llamó en seguida a Stella y le dijo que sí, que irían.

Marta, era profesora en el mismo colegio que Stella, era un poco más joven que ella. Era atractiva y dinámica. Le encantaba tomar el sol como una lagartija. Su piel estaba bronceada casi todo el año.

Stella decidió que iban a salir las tres juntas el seis de agosto, que era viernes. Mila pensó que iba a ser complicado ajustarse las tres, pero no le llevó la contraria.

Hugo y Francisco planearon salir en bici de Firenze el lunes nueve de agosto y llegar a la isla el día siguiente, el día de San Lorenzo.

Mina vivía en Firenze, Stella en Livorno y Marta cerca de Pisa. La anfitriona decidió que iban a ir en su coche. Mila y Marta llegarían en tren a Livorno. Quedaron a las diez de la mañana en la estación. Luego las tres irían juntas a Piombino para embarcarse.

Sin embargo los planes no salieron como Stella planeó. A Marta le salió una pega y tuvo que quedarse en Pisa para resolver un problema burocrático, Mina también tuvo un imprevisto.

Mina el viernes seis de agosto se levantó temprano, llegó a la estación con larga antelación, como solía hacer siempre. Justo antes de la salida del tren, los altavoces anunciaron que la línea de Pisa estaba cortada por un accidente ferroviario.

Al cabo de unos diez minutos, que a ella se le hicieron eternos, pasó por el el pasillo el jefe de tren, una mujer uniformada que iba diciendo a los pasajeros que el retraso seguramente sería más largo de lo previsto. Mina se fijó en sus uñas largas y bien cuidadas.

No sabía que hacer, parecía que todo se iba a resolver al máximo en una hora, pero cada vez el tren iba acumulando más retraso. Consultó el móvil para buscar líneas de autocares directos para Livorno. Encontró un autobús un poco raro, que daba una gran vuelta y que tardaba tres horas para llegar a destinación.

Decidió ir personalmente a la estación de autobuses, con su maleta a cuestas, que pesaba mucho, pues llevaba su ropa y alguna prenda de Hugo. Le dijeron que acababa de salir uno y que luego había otro que iba a Grosseto, pero que la coincidencia para Livorno sería a las doce del mediodía. Demasiado tarde para ella.

Volvió a la estación un poco desanimada. Mientras cruzaba el vestíbulo, arrastrando la maleta, cuyas ruedas de vez en cuando se le frenaban, los altavoces anunciaron que el retraso del tren destino Pisa sería de dos horas y media.

- Qué mala suerte, pero al menos ahora sé a que hora voy a salir, se dijo pensativa.


Se sentó en el último vagón del tren. No tuvo tiempo para pensar en nada pues oyó otro anuncio que les comunicaba a los pasajeros para Pisa que tenían que cambiar de vía.

Hubo momentos de tensión y de ajetreo, pues todo el mundo que estaba en aquel tren tuvo que bajar corriendo e ir hacia otro andén.

A Mila le pesaba la maleta y le dolía la vejiga de la orina, de lo llena que estaba, pero tuvo que aguantarse un rato más y correr, siguiendo a la muchedumbre.

Tuvo suerte encontrado un asiento libre. Lo primero que hizo fue llamar a Stella para decirle que no la esperara más y que se fuera sola a Piombino. Luego se armó de paciencia sentada al lado de una mujer sudamericana que sonría, susurrando Madre de Dios y en frente a dos chicas cargadas con dos maletas enormes.

El hecho de que su amiga ya no la estuviera esperando la tranquilizó. Dejó la maleta a la mujer sudamericana y se fue al lavabo que estaba en la otra punta del tren. Mientras pasaba por los pasillos observaba a la gente amontonada por el suelo y en las plataformas, la mayor parte eran chicos jóvenes, enganchados en  su móvil. Algunos sonreían otros bostezaban. Cuando regresó a su asiento se sintió finalmente ligera y se puso a leer el libro que traía consigo en la mochila.

Mientras leía, le llegaban los susurros de la sudamericana y pedazos de conversación de las dos chicas. De vez en cuando levantaba la cabeza del libro e intercambiaba alguna palabra con las tres pasajeras. La sudamericana le dijo que iba a ver a su hermana que vivía en San Miniato, la dos chicas en cambio se dirigían a Piombino, a coger el barco para Cerdeña.

Se notaba que las dos chicas eran pareja. Una llevaba el pelo rapado por los lados y tatuajes en los brazos; era maciza, parecía un jugador de lucha libre. Llevaba una camiseta deportiva, unas bermudas y calzaba chanclas. Era la voz cantante, al principio era muy amable y cariñosa con la otra. pero luego perdió la paciencia con ella y le gritó que se tranquilizara. Tecleaba el móvil sin parar, buscando horarios e itinerarios alternativos.

La otra muchacha era más femenina, con el pelo largo y bien cuidado. Llevaba ropa a la moda, unos pantalones tejanos muy cortos, que le apretaban los muslos rellenos y una camiseta rosa de tirantes. Llevaba las uñas muy largas y pintadas de color fucsia. Llamó a su madre un par de veces para decirle que tenía miedo de perder el barco.

- ¿Y si no hay taxis en Campiglia Marittima, que haremos?

- Ya estoy harta de tu inseguridad, te he dicho que llegaremos al puerto a tiempo. Ahora llamo a un taxista y reservo un taxi, confía en mí, no perderemos el barco, le dijo enfadada la chica robusta.

Tras la llamada al taxista la chica del pelo largo se quedó tranquila y se durmió con la cabeza apoyada en el hombro de la otra.

La muchacha hombruna le contó a Mina que al llegar a Pisa cogerían un tren rápido. El único inconveniente era que no iba a parar en la estación de Piombino porto, donde tenían previsto su embarque, sino en la estación anterior, en Campiglia Marittima, en donde cogerían un taxi.

- ¿Quiere venir con nosotras? Le preguntó a Mina.

- No, gracias, prefiero coger el tren normal, el que va directo hasta Piombino. No me importa llegar más tarde, no tengo prisa como vosotras, hay muchos barcos para  la isla d'Elba, le contestó Mina.

Las dos chicas se apearon en Pisa, con sus grandes maletas y desaparecieron entre la muchedumbre.

Mina bajó del vagón despacio, observando el bullicio de gente. Su tren salía al cabo de una hora.

La estación de Pisa estaba muy concurrida. Todo el mundo corría y tenía prisa. Mina se fue a la taquilla para pedir información. Hizo un poco de cola, pero le valió la pena, ya que le devolvieron el coste del billete del tren retrasado y sacó otro para Piombino.


El tren ya estaba en la vía, subió al primer vagón, donde había poca gente y se puso a leer de nuevo. Mirando por la ventanilla comió la fruta, que por la mañana se puso en la mochila y bebió un poco de agua de su cantimplora. Mientras el tren recorría la costa toscana Mina se iba relajando.

Llegó al puerto de Piombino casi a las tres. Acababa de salir un barco para Rio Marina, el pueblo que estaba a dos kilómetros de la casita de Stella. El siguiente barco iba a salir al cabo de una hora. Se sentó en el único bar que había en el puerto y se puso a escribir en una libreta apuntes de aquel viaje que aún no había terminado.

A las cuatro menos cuarto Mina subió al barco, se sentó en un banco de madera de cubierta y se puso a contemplar el mar. Le pareció más azul que nunca. Llegó a Rio Marina al cabo de unos cuarenta y cinco minutos.

Stella estaba esperandola en el muelle. Había sido largo y complicado llegar a Rio Marina, sin embargo todo aquel cansancio había valido la pena. El color del mar y el cielo sin nubes le dieron a Mila una sensación de gran bienestar. Stella la recibió con los brazos abiertos. Su perrito juguetón también pareció contento de su llegada.

Antes de dirigirse a la casita, pasaron por el supermercado del pueblo para hacer la compra. La casita disponía de tres dormitorios, una cocina, un comedor, un sala de estar con un sofá cama y un pequeño cuarto de baño.

Stella dejó que Mina escogiera la habitación que más le gustara, ella escogió la que tenía la ventana con vistas al mar; deshizo la maleta y luego las dos amigas se sentaron en el porche. Se pusieron a hablar de sus cosas y sin darse cuenta empezó a oscurecer.

Mina escuchó con detenimiento las palabras de Stella.

- No se si darle la culpa al confinamiento, pero cada vez me vuelvo más solitaria. Salgo poco, sólo de vez en cuando voy a cenar con mis tres amigas, las de la universidad. Últimamente soporto menos cosas, a veces me harto de las locuras de mi madre, es tozuda, no quiere andar y podría hacerlo, solo lo hace con el fisioterapeuta, un chico que va a su casa una vez por semana. Pero reconozco que tuvimos suerte al encontrar a la cuidadora peruana, es ordenada, puntual y amable con mi madre.

- Hay que tener paciencia, recuerdo que mi padre también tenía sus rarezas. Y cambiando de tema ¿Hay hombres en tu horizonte? Le preguntó Mina a bocajarro.

- ¡De hombres nada chica!! Me estoy volviendo un anacoreta. El perrito es mi única compañía. Me conformo con mi rutina: trabajo, libros y series de televisión.

- No te digo que busques un novio, entiendo que cuando uno lleva tantos años viviendo solo, no es fácil convivir con otra persona, pero eso sí, tendrías que salir más: ir al cine, a exposiciones, a presentaciones de libros, etc, de esta manera podrías conocer a gente nueva. La vida da muchas vueltas, pero hay que ayudarla, le dijo Mina.

- ¡Me da pereza salir! A ver si cuando me jubile me animo un poco, pero lo veo difícil. Acabaré como, Anita la hermana de mi tatarabuela, que se encerró, tras la muerte de su prometido, en el caserón familiar y no quiso volver a salir nunca más, le dijo Stella aspirando profundamente el humo de su cigarrillo.

- Me das miedo cuando te comparas con tus antepasadas, deja de pensar en ellas.

- ¿Y tú que tal con Hugo? Le preguntó Stella.

- Nos llevamos bien, pero creo que esos pocos días que estaremos separados nos van a ir de maravilla a los dos. Me gusta añorarlo. Gracias por haberme invitado. Volviendo a ti ¿Pero qué es lo que no te deja salir?

- Siento pesadumbre y tristeza, pensando en lo que habría podido hacer y no hice. Los dos amores de mi vida se esfumaron y yo me quedé quieta sin dar un paso para recuperarlos. Estaba ofendida y mi orgullo no me dejó averiguar el porqué de mis fracasos amorosos. Nunca sabré porque me dejaron, dijo Stella, con una risa nerviosa.

- No digas eso, deja de pensar en el pasado, haz borrón y cuenta nueva. Esfuérzate. Perdona si insisto, yo no soy quien para darte consejos, pero creo que hablar con las amigas ayuda siempre, aunque no se solucione nada.

Stella, cambió de tema contándole anécdotas del pasado de su familia, le encantaba la historia de su abuela Rosalía, mujer independiente que sacó adelante a la familia, cuando quedó viuda, tras la muerte de su marido en alta mar. Y luego siguió hablándole de su abuelo Alejandro que era un gran marinero y el mejor pescador de pulpos de la isla.

Mina se entristeció, dándose cuenta de que a Stella le costaba hablar de si misma, solo le gustaba contar cosas de sus antepasados, no escuchaba lo que uno decía y le cortaba las frases a quien estuviera conversando con ella. Y para más inri había empezado a fumar de nuevo como un carretero.

Mina en seguida se sacó de la cabeza esos pensamientos tristes y se animó reconociendo que el hecho que Stella les hubiera invitado a ella y a Marta, era una buena señal.

No es que Mina fuera una cocinera excelente, pero no le costaba nada trajinar cacharros por la cocina. Le gustaba preparar platos en abundancia que luego reciclaba al día siguiente. No tiraba nada, disfrutaba inventando nuevas recetas con las sobras. Quizás por eso desde hacía tiempo, fuera donde fuera, a ella le tocaba hacer la comida para todos. Pero aquella noche estaba cansada y preparó una ensalada de atún. Cenaron en el porche, pues bajo la parra soplaba viento fuerte, encendieron dos velas y siguieron hablando hasta que cayeron rendidas.

A la mañana siguiente Stella no quiso bajar a la cala que había justo debajo de la casa. Dijo que hacía demasiado viento. Había que recorrer un tramo muy empinado por el bosque para llegar a la pequeña playa, entre rocas y agua cristalina.

Mina bajó a la cala, conocía bien aquel lugar solitario y le pareció raro que hubiera tanta gente. Sin embargo halló un pedacito de arena libre, en la sombra y allí  puso su toalla. Contemplando el mar, dejó de molestarle que hubiera tanta gente a su alrededor.

El sol, cada vez más alto, iba conquistando la playa, cuando desapareció totalmente la sombra que hacían las copas de los árboles, sintió la piel que se le quemaba, entonces se tiró al agua y disfrutó un rato nadando. Por la tarde fueron al puerto a recoger a Marta. En un bar donde fueron a comprar tabaco les dijeron que las playas de la zona estaban a tope porque se habían hecho famosas, saliendo en una guía.

Mina no se acordaba de Marta, pero en seguida le cayó bien. Marta era una mujer abierta y simpática, sin embargo algo en ella no le encajaba del todo. Stella le había contado que Marta estaba separada y que estaba obsesionada buscando novio.

₋ No sé como le ha salido un hijo tan serio, con lo loca y atrevida que es ella y no digamos del padre del niño, que aún está más pirado, le comentó Stella a Mina, antes de llegar al puerto.

Los primeros cuatro días en la casita fueron muy amenos, por la mañana iban a la playa.  No solían cocinar para el almuerzo, se las arreglaban con una ensalada, hacia las tres de la tarde. Los días que se quedaban en la playa hasta media tarde tomaban un poco de fruta. La cena la seguía preparando Mina.

Marta y Stella reían y reñían continuamente. Marta desesaba ir a recorrer la isla,  descubriendo nuevas playas, Stella quería quedarse en la cala cerca de casa.

- Toda la isla está abarrotada de gente. Además no me apetece coger el coche. Yo sólo estoy bien en mi playa, dijo Stella.

- Lo que digas tú, le contestó de mala gana Marta, pero te pierdes playas preciosas.

- En agosto no son preciosas, se vuelven una pesadilla cuando hay tanta gente, le contestó Stella.

- Vayamos a ver la playa de Cavo y así nos daremos cuenta de la situación de la carretera, aparcamientos, etc. Les dijo Mina, que no sabía que hacer para que se pusieran de acuerdo las dos amigas.

Era como una cuerda que cada día se iba rompiendo un poco más, Stella tiraba por un lado y Marta por el otro. Mina al principio intentó menguar la tensión entre las dos mujeres, pero al final se cansó, cogía su libro y no les hacía caso, pues se dio cuenta de que ellas muy pronto se olvidaban de sus peleas y como si nada, volvían a reír y a bromear.


Marta cada mañana madrugaba para ir al pueblo andando, pero por la tarde, al volver de la playa, se le notaba aburrida.

- Marta ¿Qué te pasa? ¿Por qué no sales a pasear ? Le preguntó Mina, el segundo día, mientras escribía debajo de la parra, viéndola, sentada en una tumbona, con cara de pocos amigos.

- Al atardecer tengo miedo de ir a caminar sola, me aterran los bichos.

El martes por la tarde llegaron los ciclistas y se acabó la soltería de Mina. Mientras abrazaba a su marido pensó que lo había echado de menos.

Los dos hombres dieron un impulso positivo a la rutina de las tres mujeres. Las comidas fueron más amenas, las sobremesas largas y divertidas e hicieron algunas excursiones por la zona, cosa que le encantó a Marta, pues ya estaba harta de estar quieta en aquella casa.

Las dos mujeres contrincantes se apaciguaron un poco. Marta por las noches se ponía vestidos y atuendos llamativos, sobre todo cuando fueron al pueblo a cenar.

Mina se sintió un poco incómoda, notando que Marta les llamaba mucho la atención a los hombres.

- Pero que me está pasando, no quiero estar celosa, se dijo riñiéndose.

Marta, una tarde que estaba sola con Mina en la playa, le contó su vida. A  Mina le pareció una película en la que los protagonistas masculinos eran muchos.

De joven, al terminar la carrera, vivió diez años con un chico del que estaba muy enamorada, pero un día la policía lo detuvo a él por tráfico de cocaína y estuvo una temporada en la cárcel. Ella no había sospechado nada, a pesar de que él tuviera tanto dinero, trabajando tan poco. Era el  gran amor de su vida, según ella.

Luego, desilusionada, dejó el trabajo y se fue a vivir a París, allí conoció a un músico africano que tocaba tambores por la calle. Vivieron unos meses juntos y ella se quedó embarazada. El niño salió muy guapo con la piel de color avellana y sobre todo muy tranquilo. La pareja muy pronto se peleó y se separó de mala manera.

Al cabo de dos años ella regresó a Italia con el niño y tuvo la suerte que se pudo incorporar de nuevo como profesora de Física en el  Instituto, donde antes trabajaba. En aquella época tuvo varios novios, pero todos los amoríos acabaron mal. A los cincuenta años, cuando su niño tenía diez, se fue a buscar al padre del hijo  a París, donde él seguía haciendo vida bohemia. Marta le convenció para que se fuera a Italia a vivir con ella. Ya desde el principio su convivencia fue un fracaso, pero ella no quiso darse cuenta, porque estaba convencida de que su hijo necesitaba a su padre.

Las cosa fueron de mal en peor, Marta un día llamó a la guardia civil y lo echó de casa, pero él volvió al día siguiente, pues no tenía a donde ir. Desde aquel entonces la situación fue volviéndose cada vez más tensa, el músico se fue a dormir en el sofá y cada uno se despreocupó del otro. Marta volvió a sus andanzas, saliendo casi cada noche a bailar y a ligar.

- Mira, esas son las fotografías de mis últimos ligues. ¿ Son guapos a que sí? Pero tengo mala suerte, me duran poco, le dijo, enseñándole su móvil, en donde aparecían imágenes de hombres treintañeros, la mayor parte negritos o mulatos.

Mina ya no estaba celosa de aquella mujer, al contrario sintió ternura y quizás un poco de pena por todos aquellos líos donde se había metido e intentó animarla:

- Verás que pronto encontrarás una persona ideal para ti, mientras tanto tienes que estar contenta de que tu hijo sea  un buen chico, con la vida ajetreada que has tenido, podía haber salido rebelde y conflictivo, le susurró Mina.

- No me quejo, lo que me pasa es que no soporto estar sola, necesito a un hombre a mi lado, pero mientras el padre de mi hijo esté todo el día tirado por mi casa, fumando porros, no hay solución. Tiene todos los papeles caducados y no trabaja, yo lo mantengo, pero ya estoy harta. Hace meses que no nos hablamos. No sé que hacer.

- Yo le arreglaría los papeles y le daría dinero para que volviera a París, ayúdale, quizás él tenga un depresión y no logre hacerlo. Le aconsejó Mina.

- Hay otra cosa que me provoca sufrimiento: no me quiero vacunar y por consiguiente no podré volver al trabajo, siguió diciéndole Marta.

- Madre mía, que vida tan complicada que tienes. Vacúnate ¡Así todo será más fácil! Le dijo Mina.

- Tengo miedo de  las vacunas, esperaré hasta octubre a ver si funciona la terapia de los anticuerpos monoclonales, le contestó convencida Marta.

Llegaron los demás a la playa y la pesadumbre de la historia de Marta se evaporó como el agua del mar y volvió la alegría entre ellos.

Francisco se marchó al cabo de dos días porque lo esperaba su mujer en Firenze, para salir de vacaciones a Sicilia. Hugo lo acompañó en bici al puerto.

Día tras día la convivencia de los cuatro empezó a funcionar, aunque fueran tan distintos entre ellos. Poco a poco iban aprendiendo a respetarse.

Todos se enriquecieron un poco en aquella casita con vista al mar. Stella dejó de hablar de su familia y a su manera se abrió un poco con las dos mujeres, a veces quejándose de su vida sentimental tan vacía y llena de telarañas, otras compartiendo con ellas sus ansiedades y alegrías. Marta se desahogó contando sus peripecias amorosas y descubrió las cualidades de la vida sedentaria y la rutina que reinaba en la casita.

Hugo se olvidó de los defectos de Mina y apreció muchas cosas de ella, le encantaron sus mimos eróticos en la penumbra de la cama, escuchando las olas del mar.

Mina también miró con otros ojos a su marido y se sintió más enamorada que nunca de él. Las ganas de soltería las guardó para más adelante.