martedì 16 luglio 2019

Festa di compleanno











Ogni volta, quando si avvicina il compleanno, Caterina, pensa e ripensa alla festa che vorrebbe per sé.
- Vorrei invitare tutti gli amici a casa nostra. Che ne dici? Gli domandò un giorno al marito.
- Non complicarti la vita, sei tu la festeggiata, non metterti a cucinare. Possiamo invitare gli amici fuori, in un bar o al ristorante, tagliò corto lui.
- Forse hai ragione c'è tanto da lavorare, poi sicuramente sarà troppo caldo e i due ventilatori non basteranno, ma farlo in una trattoria mi sembra una cosa insipida, rispose lei.
Caterina era nata in piena estate. La città in quel periodo era rovente e molti degli amici erano già partiti per le vacanze, quindi negli ultimi venti anni era riuscita a festeggiare con loro solo un paio di volte.
Due settimana prima del compleanno, Caterina e il marito erano andati a cena da amici. Mangiarono in giardino dove l'amica aveva apparecchiato una bella tavola per quattro, stettero proprio bene a  chiacchierare fino a tardi. Mentre la brezza notturna, ancora calda, accarezzava la sua pelle, Caterina ripensò alla festa che tanto desiderava e disse loro:
- Tra quindici giorni siete invitati a casa nostra, voglio festeggiare il mio compleanno, sarete in città?
- Sei sicura di voler organizzare una cena al chiuso in una delle giornate più calde dell'anno? Perché non la fai all'aperto, vi mettiamo a disposizione il nostro giardino, le disse l'amico.
- Le ripeto in continuazione di non fare la cena a casa, ma Caterina è molto testarda, disse il marito.
- Anche a me sembra una buona idea, quella di farla all'aperto, disse l'amica.
- Grazie tante per i vostri suggerimenti, ci penserò, disse lei.
Caterina rimuginò per una settimana, ma era sempre più indecisa sul daffare.
La domenica successiva lei e il marito andarono a passeggiare lungo il fiume e scoprirono un barettino, aperto da poco, con un gran terrazza, dove si poteva, bere, mangiare, ascoltare la musica e addirittura nelle sedie sdraio, prendere il sole.
Si guardarono e pensarono la stessa cosa:
- Questo è il posto ideale per festeggiare.
Decisero di invitare il giorno stabilito, che era sabato, diversi amici, molti dei quali quell'anno, a causa del tempo instabile, ancora erano in città. L'appuntamento sarebbe stato verso le nove, prima avrebbero mangiato e poi a mezza notte era previsto il brindisi.
Ma venerdì Caterina dovette spostare la prenotazione al giorno successivo perché erano previste delle piogge intense per sabato sera. In realtà ci furono dei tuoni e lampi ma niente precipitazioni.
La domenica Caterina si alzò presto, guardò dalla finestra della cucina e vide un cielo coperto, subito temette per la sorte dell'incontro di quella sera.
- Forse non dovevo ascoltare nessuno e fare la festa a casa come pensavo all'inizio, tanto adesso l'aria è più fresca, si diceva, un po' sconsolata.
Il sole appariva e spariva in continuazione e Caterina soffriva.
Verso le sette, mentre stavano andando dove avevano fissato, videro verso i monti un cielo così nero da non augurare niente di buono.
- Come faremo se comincia a piovere? Disse Caterina al marito.
- Andremo sotto gli ombrelloni, non preoccuparti, le disse accarezzandole il viso, mentre camminavano lungo l'Arno.
- Hai ragione, non pensiamoci più, sarà quel che sarà, gli disse all'orecchio, contenta delle carezze affettuose del marito.
Gli amici arrivarono alla spicciolata, così marito e moglie ebbero tempo di parlare con ognuno di loro. Dovevano essere in quattordici, ma alla fine erano dodici, perché una coppia aveva avuto un problema in famiglia, la madre novantenne di lui era caduta e si era rotta il femore, quindi erano dovuti correre in ospedale.
Invece di sistemarsi nel tavolo vicino alla pista da ballo, quello che era stato assegnato loro, misero dei tavolini vicino al fiume, dove la musica caraibica arrivava più attutita.
Il tramonto fu spettacolare, dato che le nuvole che si erano diradate piano piano, avevano creato sul ponte uno sfondo di colori rossi e gialli da sembrare un paesaggio dipinto.
Caterina si rilassò vedendo che suo marito si dava un sacco daffare per organizzare la distribuzione delle bevande e il cibo che ognuno aveva scelto.
Tutti erano felici di aver scampato la tormenta, che sembrava si fosse spostata all'interno della regione. Le risate non mancavano. Alcuni di loro si conoscevano poco, ma Caterina vedeva che stavano parlando tra di loro.
Ogni tanto marito e moglie si guardavano e si sorridevano.
Arrivarono dopo cena altri due amici che  non aspettavano, perché erano andati al mare a passare il fine settimana e prevedevano di arrivare molto più tardi, dovendo accompagnare a casa una anziana zia che abitava dall'altra parte della città e che spesso faceva capricci, ma quella sera era andato tutto liscio. Con loro il gruppo diventò ancora più festoso.
I due nuovi arrivati amavano molto ballare e quando sentirono i ritmi de La Habana, si lanciarono verso la pista da ballo.
- Dai Caterina vieni con me, la festeggiata deve danzare. Le disse l'amico arrivato dal mare.
- Ma io non so ballare
- Tu segui me e lasciati andare.
Caterina non aveva idea di come bisognava muoversi al ritmo cubano e non avrebbe mai pensato di farlo, invece quella sera ballò. Poi altri si unirono a loro.
Caterina non ci poteva credere, ognuno muoveva le anche seguendo la musica, magari non erano bravi, ma si divertivano tanto.
Dopo un po' si erano di nuovo seduti vicino al fiume, alcuni avevano ordinato bevande fresche, altri fumavano una sigaretta, ma la maggior parte parlava e guardava i cellulare con le foto e i video che erano stati scattati ai ballerini.
A un certo punto uno del gruppo, disse:
- Ho sentito che martedì sera ci sarà un concerto di un musicista cubano molto bravo, ci andiamo?
Quasi tutti accolsero con entusiasmo la proposta.
Caterina guardava verso il fiume quando sentì qualcosa sulla nuca, erano delle labbra carnose  che sfioravano la sua pelle.
In quella manciata di secondi pensò:
- Chi può essere? Lui è davanti a me. Non è uno dei mie figli, la grande  è a Madrid e l'altro  adesso lavora, forse è un mio studente, ma cosa sto dicendo, un alunno non mi avrebbe baciata con tutto questo affetto.
Dopo un attimo si accorse che era suo figlio quello che la baciava.
- Che sorpresa, ma non eri col tassi fino a mezzanotte?
- C'era poca gente in giro e poi volevo farti gli auguri personalmente.
Lo abbracciò e gli disse che le aveva fatto un regalo bellissimo con quel bacio. Mezz'ora dopo  il figlio salutò tutti e se ne andò.
Verso le undici gli amici cominciarono a congedarsi. Era oltre mezza notte quando Caterina e il marito rientrarono a casa, mentre si dicevano che la festa era stata un successo, Caterina guardò il cielo e vide che stava diventando sempre più scuro, erano sparite la luna e le stelle. 
Dopo poco udirono cadere delle gocce, prima lentamente, poi all'improvviso  venne giù uno scroscio d'acqua.
Mentre guardavano l'acquazzone dalla finestra, il marito disse ridendo:
- Questa volta l'abbiamo scampata bella.





sabato 13 luglio 2019

Rh negativo - Rh negatiu


Risultati immagini per dipinto di un parto

Una noche sentada en la cama, mientras hojeaba un libro de Biología, mis ojos cansados se fijaron en el párrafo que decía:

"Rh e incompatibilidad: Si la sangre de una mujer es Rh negativa, si la del niño que lleva en el vientre es Rh positiva y si anteriormente tuvo un hijo con sangre Rh positiva, puede que el feto o el recién nacido tenga una enfermedad hemolítica o que a la madre se le presente un parto prematuro”.

Yo ya sabía esas cosas y se las había repetido mil veces a mis alumnos durante las clases a lo largo de los años, pero hasta entonces nunca pensé que tuvieran relación con mi nacimiento.
Inmediatamente llamé a mi padre, que me confirmó que la sangre de mi madre pertenecía al grupo Rh negativo; luego llamé a mi hermana, la mayor de los tres hijos, que me informó que su sangre era Rh positiva. No me lo podía creer. Siendo mi grupo sanguíneo también Rh positivo, deduje que seguramente durante el segundo embarazo de mi madre en su sangre se le formaron anticuerpos capaces de destruir mis glóbulos rojos a través de la placenta.
Hubiera podido nacer con patologías graves o incluso morir, en cambio nací sana. Se suponía que yo iba a venir al mundo a fines de agosto, pero un atardecer a mediados de julio, mientras mi madre estaba sentada en la calle frente a la casa, charlando alegremente con las vecinas, tuvo retortijones de tripas. Llamaron de urgencia al anciano doctor Rossinyol, que descartó que pudieran ser dolores de parto, más bien pensó que debía ser un problema de intestinos y le hizo un lavado intestinal, pero de nada le sirvió pues el dolor siguió aumentando cada vez más.
Entonces la abuela, muy sabiamente, llamó a Anita, la vieja comadrona. Muchos años atrás llegó al pueblo de quien sabe dónde con su esposo, que era barbero. Era una mujer bajita y rechoncha, estaba siempre  muy seria y era de pocas palabras, pero cuando nacía un niño no paraba de reír. 

Nací al amanecer de un día caluroso, era diminuta, pesaba sólo dos kilos y siempre dormía. Todo el mundo, sobre todo el médico y la comadrona, temía que yo muriera. Como en aquel entonces en el pueblo no había incubadoras, me abrigaron con ropa de lana para mantenerme caliente. Mi padre cada tres horas me ponía gotitas de colirio en los ojos para despertarme, pues tenía que comer y crecer. Afortunadamente, empecé a mamar bien y poco a poco fui engordando.

Cuando cada año volvía a ver a mi familia mi padre me recordaba el día de mi nacimiento y me decía con una especie de cantilena:

- Eras molt maca,
 la pell clara i els cavells negres ,
 el cap rodonet i el cos molt petitet.
 Dormias sempre,
 pero quan jo et posava les gotetes
 els teus ulls eran com dues estrelletes.

Con aquel libro entre mis las manos, iba entendiendo el porqué de mi nacimiento prematuro e imaginándome que debía de sentirme débil en el vientre materno, sin embargo por suerte algo me impulsó a salir antes de que los anticuerpos de mi madre destruyeran mi glóbulos rojos. Reconocí en ese impulso la fuerza que todavía hoy me queda y las ganas que tengo de seguir adelante. Acaricié de nuevo el libro y le agradecí que me hubiera hecho caer en la cuenta de que soy una mujer afortunada que luchando con ahínco logró nacer.



Rh negativo

L'altra sera mentre davo uno sguardo rapido a un libro di Biología, per caso, i miei occhi si sono soffermati sul paragrafo Rh e incompatibilità e ho letto:


Può verificarsi una malattia emolitica nel feto o nel neonato se il sangue di una donna è Rh negativo, se porta in grembo un bambino Rh positivo e se, in precedenza, ha avuto un figlio con sangue Rh positivo.

Per il lavoro che faccio, queste cose le sapevo già e le avevo ripetute per anni ai miei studenti, ma fino a quel momento non le avevo mai collegate alla mia nascita. 
Chiamai immediatamente mio padre, il quale mi confermò che il sangue di mia madre apparteneva al gruppo Rh negativo, poi chiamai mia sorella, la prima di tre figlila quale mi comunicò che il suo sangue è Rh positivo.

Non ci potevo credere. Dato che anche il mio è Rh positivo, durante la seconda gravidanza di mia madre, nel suo sangue si erano sicuramente formati degli anticorpi in grado, attraverso la placenta, di distruggere i mie globuli rossi. Sarei dovuta nascere con delle patologie gravi o addirittura morire. Invece sono nata sana, ma prematura.

Dovevo venire al mondo alla fine di agosto, ma una sera di metà luglio, mentre prendeva il fresco seduta davanti a casa, chiacchierando allegramente con le vicine, mia madre ha avuto delle coliche molto dolorose. Chiamato d'urgenza, il vecchio dottor Rossinyol escludeva che potessero essere doglie, pensava piuttosto si dovesse trattare di un problema intestinale e, per questo, le fece somministrare alcune lavatives1. Ma i dolori di mia madre aumentavano sempre di più.
Allora mia nonna, molto saggiamente, chiamò Anita, la vecchia llevadora2 del paese.
Anita era una donna bassina e non molto bella, era molto seria e riservata ma, appena nasceva un bambino non smetteva di ridere. Un giorno, era arrivata in paese da non si sa dove con suo marito barbiere.

Sono nata all'alba di una giornata torrida. Ero minuta, pesavo solo due chili. Dormivo sempre. Tutti, compresi il Dottore e la levatrice, temevano che morissi. Dato che negli anni cinquanta, nel mio paese, non c'erano incubatrici, per tenermi al caldo mi hanno coperto con vari strati di vestitini di lana. 

Poi mio padre mi metteva delle goccioline di collirio per svegliarmi all'ora giusta, dovevo mangiare e crescere. Sembra che mi sia attaccata con facilità al seno di mia madre e abbia cominciato subito ad aumentare di peso.

Tutte le volte che tornavo in Catalogna a trovare la mia famiglia mi padre  mi ricordava sempre di quando  ero nata dicendomi:

- Eras molt maca,
 la pell clara i els cavells negres ,
 el cap rodonet i el cos molt petitet.
 Dormias sempre,
 pero quan jo et posava les gotetes
 els teus ulls eran com dues estrelletes 3

Con il libro di Biologia in mano mi è stato chiaro il perché della mia nascita prematura:
dovevo stare male nel grembo di mia madre, ero debole ma sentivo un impulso che mi spingeva fuori, dovevo uscire prima che gli anticorpi distruggessero i mie giovani globuli rossi. Ho riconosciuto in quell'impulso la forza che c'è ancora in me, la voglia che ho di andare avanti.
Ho ripreso il libro e, accarezzandolo, l'ho ringraziato per avermi fatto capire che sono una donna fortunata  che avevo lottato per poter nascere e c'ero riuscita.

1 Clistere
2 Levatice
3  Eri molto bella, la pelle chiara e i capelli neri, la testina rotonda e il corpo molto piccolo. Dormivi sempre, però quando ti mettevo le goccioline i tuoi occhi erano come due stelline.



Rh negatiu

L'altra dia, abans d'anar a dormir vaig  obrir un llibre de Biologia i per  casualitat els meus ulls varen caure sobre un capitol que deia: Rh i incompatibilitat.  I Vaig llegir:

El nadó o el fetus poden tenir una malaltía o fins i tot poden morir, si la sang de la mare es Rh-negatiu, si el fills que porta a les entranyes es Rh-positiu i si abans habia tingut un altre nen amb sang Rh-positiu.

Tot això ja ho sabia, però mai ho havia relacionat amb el meu neixament. Vaig telefonar deseguida al meu pare, ell em va dir que la meva mare tenia la sang del grup Rh-negatiu. 
Després vaig trucar a la meva germana gran, que es la primera filla. Ella em va dir que el seu grup era Rh-positiu. No m'ho podia creure. 

Jo soc la segona filla i tinc la sang del grup Rh-positiu, per lo tant havia d' haver tingut una malaltía greu o havia d'haver mort, ja que durant el segon embaràs de la meva mare segurament s'havien format anticossos que destrossaven els meus globuls vermells. En camvi vaig nèixer sana però prematura.

Jo tenia que nèixer a finals d' agost. Una nit de mitjans de juliol, la meva mare, mentres prenia la fresca sentada en el portal de casa, parlant alegrament amb les veines, va sentir unes punxades molt fortes a la part baixa de la panxa. Van telefonar al metge del poble. El vell doctor Rossinyol li va dir que no era res relacionat amb el part, eren només dolors intestinals. Li va fer una lavativa i se'n va anar a casa seva, pero els dolors cada vegada eren mes forts, llavors la meva avia, que era molt sabia, va anar a buscar a la llevadora del poble.
La llevadora, es deia Anita, era baixeta i gruxiuda, sempre estava seriosa, però quan neixia un nen parava de riure.

Vaig nèixer a la matinada d'un dia molt càlid. Era molt petita nomès pesava dos kilos. Dormia sempre. Tothom, tenia por que em morìs, doncs en els anys cinquanta no hi habien incubadores i em van abrigar  amb roba de llana per escalfarme.

El meu pare de tant en tant em posava unes gotetes als ulls per despertar me. Tenia de menjar i creixer per poder me salvar. Diuen que em vaig enganxar deseguida al pit de la meva mare i que vaig començar molt aviat a aumentar de pes.  
Cada vegada que  anava a Catalunya  el meu pare, em parlava del meu naixement dient me:
Eras molt maca
la pell clara i els cavells negres
el cap rodonet i el cos
molt petitet
dormies sempre
pero quan jo et posava les gotetes
els teus ulls eren com dues estrelletes 

Amb el llibre de Biologia a la ma he vist clar el perque del meu neixament prematur: 
Segurament que no hi estava bè dins del ventre de la meva mare, em sentia débil, però un impuls molt fort em tirava cap en fora; tenia de sortir abans que els anticossos de la meva mare eliminessin els meus globuls vermells. 
He recunegut en aquest impuls la força que tinc a dintre meu i les ganes de tirar sempre endavant. He acariciat el llibre  i li he donat les gràcies per haber-me fet comprendre que soc una dona afortunada que vaig lluitar per néixer i ho vaig aconseguir.













martedì 2 luglio 2019

Empleadas de hogar

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Cada martes hacia las nueve Kandy  abre nuestra casa con la llave que le dejo  dentro del paragüero del descansillo;  la llave de la puerta del portal del edificio, se la di el primer día y la lleva siempre consigo. 
Le pongo una nota encima de la mesa con la lista de las tareas que quisiera que hiciera.
Kandy es de Sri Lanka, tiene unos treinta años, sin embargo su edad es difícil de adivinar pues su piel es lisa, casi como la de su hija de ocho años. Su marido es el casero de una villa rural de una familia inglesa, una pareja bastante joven con dos hijos pequeños. Los dueños van a la casa rural a pasar las vacaciones. Kandy y su marido cuidan de la casa cuando los dueños están ausentes y viven en ella todo el año.
Los caseros viven un departamento, que hicieron en la antigua caballeriza de la  villa, es tan pequeño, que ni siquiera les cabe la mesa para comer, pero no se quejan, pues al no tener que pagar el alquiler por el alojamiento pueden ayudar a su familia, quienes viven en una región muy  pobre de Sri Lanka.
- Cada mes les enviamos dinero a mis padres y a mis suegros para que se vayan haciéndose una cocina dentro de la casa, pues aún siguen guisando los manjares, como antaño, en un hornillo en el patio, me dijo un día Kandy.
 Otro inconveniente es que cuando su marido no la puede llevar en coche, ella tiene que coger tres autobuses para llegar a nuestro barrio. 
Hace tres o cuatro semanas le escribí en la nota lo siguiente:
- Hay que limpiar los cristales de las ventanas del salón.
Kandy me envió un mensaje, diciendo que lo sentía mucho, pero que había llegado tarde por culpa de los autobuses y que no podía hacer todas las tareas encomendadas. La semana siguiente pasó lo mismo.
La última vez que vino, en lugar de enviarme un mensaje, me llamó por teléfono, diciéndome:
- Hoy quería lavar  los cristales,  pero no puedo, si abro las ventanas la casa se va a calentar demasiado.
En eso tenía razón la chica, pero los cristales seguirían sucios.
A veces pienso que quizás, siendo bajita, tiene miedo de encaramarse en la  escalera plegable.
- ¿Kandy, no te acuerdas? Hace tres semanas  o más que tenías que limpiar las ventanas, entonces no hacía tanto bochorno. Pero ¡Qué le vamos a hacer! Se limpiarán en septiembre, le contesté yo.
A veces me gustaría ser más exigente con ella, pero, pensando en su vida de sacrificios y en su hijita, quien se pasa todo el verano  encerrada en casa, no le doy importancia a la cosa y le digo:
- Bueno, limpia los cajones de la cocina.
A veces tengo ganas de encontrar a otra empleada de hogar, sobre todo cuando Kandy me deja plantada.
Eso pasó hace pocos días y yo le dije un poco enfadada:
- Podrías haberme avisado antes, no es necesario que me digas  vas a recuperar otro día; mira lo que te digo, esta semana no vengas, voy a limpiar yo.
Pensé en el refrán que le gustaba tanto a mi padre,  el que dice, no hay mal que por bien no venga, al  descubrir que el plantón que me dio Kandy me trajo cosas buenas. 
Se se me aparecieron imágenes de  treinta años  atrás y recordé los primeras veces que yo y mi marido nos encargábamos de la limpieza de nuestro apartamento recién estrenado.
Mientras iba fregando las baldosas, me vi embarazada de tres meses y sentí un poco de añoranza.
Nuestra vida de pareja había empezado algunos años atrás en un departamento de alquiler, pero aquel piso nuevo era como volver a empezar, ya que nos sentíamos fuertes y unidos, después de haber superado dos desgracias: la muerte de nuestro bebé prematuro, tras nueve días en la incubadora y luego la quiebra de la empresa que había reformado el apartamento que nos estábamos comprando con  hipoteca.
Conseguimos que un abogado nos diera la llaves del piso, que siguió oliendo a nuevo durante varios meses. Vacío parecía más grande. Pusimos pocos muebles, sólo los indispensables: una mesa, cuatro sillas, una cama y un armario. En uno de los cuartos teníamos numerosas cajas de cartón llenas de libros y de trastos. Las cajas nos fueron útiles, poco a poco algunas se convirtieron en una mesa, otras en sillas. Por supuesto sin cachivaches el suelo se limpiaba en un satiamén. Él se ocupaba del aspirador y yo de la fregona.
Nació nuestra hija y los dos seguimos aseando la casa una vez por semana, al cabo de dos años nació nuestro hijo y entonces lo hacíamos  a deshora, deprisa y corriendo. 
Al no disponer de abuelos para que nos ayudaran con los niños cogí todos los permisos de maternidad que me dieron en el Instituto donde daba clases. Mi marido fue uno de los primeros padres que obtuvo excedencia  de paternidad en su oficina y de esta manera luego pude volver a trabajar. Pero cuando los dos nos incorporamos, tuvimos que apuntar a los niños  en la guardería. 
Algunos días cuando salía del Instituto intentaba  hacer la compra y arreglar la casa, pero en seguida me di cuenta de que necesitaba a alguien que nos ayudara.
- Hay que buscar  a una mujer para que nos eche una mano, le dije a mi marido.
- Nunca he tenido asistenta, me sentiré un poco raro con una sirvienta en casa. Dijo él.
- A mi tampoco me gusta explotar a la gente, pero nosotros no lo haremos, le vamos a pagar lo que nos pida y la trataremos con respeto. He hablado de ello con Marcos y Vicente, los vecinos del bloque de en frente, me han dicho que tienen a una muchacha filipina muy eficiente. Yo ya me ocuparé de hablar con ella.
- Vale, yo no no tengo tiempo, contesó él.
La filipiana vino solo unos meses, hablaba poco italiano, por lo que entendí estaba empleda en muchos hogares y no daba abasto con todo. Desapareció de la noche a la mañana. Marcos y Vicente me contaron que había dejado todos sus empleos a horas,  porque  un viudo la había contratado para que se ocupara de su hogar todos los días de la semana, sin embargo a ellos no los había abandonado del todo,  iba  una tarde cada quince días. 
Después de ella siguieron, Lucía y María, dos muchachas italianas  de unos treinta años, a quienes conocí en el parque público cerca de casa. Las dos tenían un niño que jugaba en los jardines donde yo iba a pasear con el cochecito, primero contraté a una y luego a la otra, tres horas por semana. Eran amas de casa, pero necesitaban ganar algún dinerillo, pues el sueldo del marido no les llegaba a finales de mes. Lucía era más bien callada, en seguida se encariñó con nuestros hijos, pero desafortunadamente al cabo de un año nos dejó al ganar oposiciones como bedel en una escuela. María, quien suplió a Lucía era más abierta, hablaba por los codos de su marido e hijo y a menudo se quejaba  de dolor de barriga,  decía que padecía una enfermedad inflamatoria intestinal.   Esa era su escusa las varias  veces  que  nos fallaba. Tampoco era puntual y siempre se iba un poco antes de la hora establecida. La tuve que despedir muy pronto, pues un día yo volví a casa antes de lo previsto y ella se había marchado una hora antes sin avisar. Luego me confesó que tenía otro trabajo y que por eso salía antes.
Después de mucho buscar encontramos a Darem, una mujer eritrea. Su tez negrita era fina, pero en su pelo rizado, recogido en un moño, resaltaban algunas canas. Ni ella misma sabía su edad, nos dijo más tarde, que en sus documentos le habían puesto una fecha de nacimiento que no le correspondía, pero que esta equivocación le había dado la posibilidad de obtener antes la jubilación. Era alta e iba tiesa, enfundada en una falda estampada, un poco desteñida y una camiseta de mercadillo de color verde claro.
- Hace mucho que vivo en Italia y ahora tengo un permiso de residencia que me caduca cada cinco años. Soy una profesional, de joven en mi país hice un curso para aprender las tareas del hogar. Por lo tanto le aseguro que trabajaré bien, pero quiero ganar un poco más de lo que  normalmente cobran las empleadas domesticas y  quiero hacer seis horas por semana, lunes y miércoles, de una a cuatro de la tarde,  me dijo de un tirón.
- Tengo que comentárselo a mi marido, pues nuestra intención era que  usted trabajara para nosotros sólo un día por semana y por las mañanas. Le dije yo.
- Ah! Se me olvidaba, no quiero que me coticéis la seguridad social, pues me sacarían la pensión que recibo, si  se enteraran que trabajo, pero exijo que me paguéis tres semanas de vacaciones al año, me dijo con altivez.
- Vamos a echar cuentas, lo que nos pide sale un poco de nuestro presupuesto, pero a ver si podemos ponernos de acuerdo. Podría empezar haciendo un día de prueba. ¿Este lunes? ¿Qué le parece? Le contesté yo.
- Llevo conmigo todo lo necesario, puedo empezar hoy mismo. Mientras lo decía se puso un delantal que traía en un bolso raído y sacó de él unas zapatillas que se calzó antes de que yo le indicara donde estaba el aspirador, el cubo, las bayetas y todo los detergentes necesarios para el aseo de la casa.
- ¿Tiene hijos? Le pregunté mientras le enseñaba todos los cuartos de la casa.
- Tengo una hija de once años, no estoy casada, el padre de la niña me abandonó cuando supo que estaba embarazada, pues tenía otra esposa en Eritrea, donde se marchó y pienso que allí siga viviendo. No he sabido nada más de él. Por eso  he de  intentar  ahorrar, para que Miriam pueda estudiar. Se le iluminaron los ojos, diciéndome que Miriam era muy buena estudiante.
- Ahora, mientras usted limpia, voy a hacer un recado y luego iré a recoger a los niños: tenemos dos, el pequeño tiene cinco años y va a párvulos, la mayor tiene siete y hace segundo de primaria. Empiece por la cocina y luego siga en el salón. Voy a llegar dentro de dos horas.
- Muy bien, pero a las cinco en punto tengo que irme, debo volver antes que Miriam. Vivimos en  una casa-familia de una comunidad religiosa. Tengo que organizarme bien para poder preparar la cena en la cocina común. Nos van echar dentro de pocos meses, pues siguen recogiendo a muchas madres solteras y ya no cabemos todas. Al cumplir los hijos doce años, tenemos que abandonar la residencia.
Cuando volvimos nos quedamos boquiabiertos al ver las baldosas que brillaban como nunca y a Darem sonriendo. Fue cariñosa con los niños, me ayudó a prepararles la merienda y a sacar la compra de la bolsas y disponerla en la despensa y en la nevera. Luego se sacándose el delantal me dijo que iba a llamarme al cabo de dos días para saber si podía empezar a trabajar.
La llamé para que comenzara la semana siguiente, pues la noche anterior mi marido y yo decidimos emplearla, aunque eso nos suponía un gran esfuerzo económico. 
Darem, sacaba el polvo  de los muebles, puertas y ventanas, pasaba el aspirador, cambiaba las sábanas de las camas, limpiaba los cristales de las ventanas, ponía el lavavajillas y la lavadora, tendía la ropa y la planchaba, en fin lo hacía todo. Estábamos encantados con ella.
Darem desde el principio fue muy cumplidora. Al cabo de unas semanas empezamos a tutearnos y a hacernos favores: ella  de  tarde en tarde  nos guardaba los niños,  yo cada año le regalaba a Miriam los libros de la escuela, pues a mí las editoriales me hacían mucho descuento, mi marido le ayudó a rellenar la solicitud de vivienda social  para las personas con menos recursos.  
Recuerdo  que cuando tuvo que dejar la casa-familia pasó una mala temporada, primero se  alojó en casa de una señora donde ella trabajaba por las mañanas,  pero no sé lo que pasó porqué  la señora la echó de casa, luego  vivió unos meses en un edificio ocupado, pero al final  por suerte el ayuntamiento le dio una vivienda protegida.
Pasaban los años y los niños crecían. Miriam a veces caía por nuestra casa y jugaba con los niños. Cuando empezó el bachillerato, ya no la veíamos tanto, pero de vez en cuando venía a que la ayudara a resolver problemas de química.
Un día le dije a Darem que Rafaela, una compañera mía del instituto, buscaba una asistenta. Al cabo de pocos días empezó a trabajar para ella.
Nunca tuvimos problemas con Darem, al contrario  cada dos años sin que ella nos lo pidiera le  íbamos aumentando el sueldo.
Llevaba ya unos cinco años en casa cuando una tarde me dijo muy seria que tenía que hablar conmigo:
- Quiero que me subáis el sueldo, lo dijo con soberbia, con el mismo tono de voz del primer día en que la conocí.
- Pero Darem, si ya te subimos el año pasado. ¿Qué te pasa? ¿Tienes problemas?
- No, no necesito vuestra ayuda. Solo os pido que me subáis y nada más. O lo hacéis o me marcho, me dijo.
- Tengo que hablar con mi marido, pero yo te digo por adelantado que no nos lo podemos permitir, quizás el próximo año.
- Pues aquí te dejo las llaves y diciendo eso se fue sacando el delantal y  nos dejó plantados a mi hijo y a mí en medio del salón.
Se marchó tan deprisa que no tuve tiempo de darle el dinero que le correspondía.
Me quedé pasmada, casi sin creerme lo que había oído, esperaba que de un momento a otro sonara el timbre. Pero ella no apareció.
 Al día siguiente le puse el dinero que le debía en un sobre y se lo di a Rafaela.
Unos dos años después la encontré por la calle, la llamé y le pedí explicaciones, me dijo que  por aquel entonces se sentía explotada por Rafaela, que se aprovechada de ella, encomendándole tareas agotadoras y que además nunca salía puntual de su casa, por eso había decidido pedirnos a las dos la  subida de sueldo.
- ¿Te das cuenta de que, por culpa de Rafaela, lo has  echado todo  a perder? Los niños se habían encariñado contigo, tu eras muy cumplidora y te apreciábamos mucho. Yo sólo me siento culpable por haberte presentado a Rafaela, pero ahora ya no hay nada que hacer. ¿Cómo está Miriam? Le dije al final.
- Está terminando bachillerato y luego quiere ir a estudiar a Inglaterra.
- Dale muchos recuerdos de mi parte, espero que todo os vaya bien y mientras me despedía de ella me dijo:
- Aún sigo en casa de Rafaela. Adiós, recuerdos a los niños y al marido.
- Hasta luego, le dije, pensando en que, desde que Rafaela había pedido el traslado a otro Instituto,  la había perdido de vista.
Al quedarnos sin señora de limpieza, lo más fácil para encontrar a otra fue preguntar por el barrio.
La lechera me dijo que conocía a una señora viuda de unos setenta años que buscaba empleo.
Me parecía bastante mayor, pero la llamé, pues  la necesitábamos urgentemente. Quedamos en que empezaría en seguida
Llevaba  una bata floreada y de su cara solo recuerdo los ojos  saltones detrás de  unas  gafas muy  graduadas.  Laa pobre veía poco. La viuda no tenía ni idea de lo que era un aspirador, barría y volvía a barrer con la escoba, dejando sin querer polvo por toda la casa. 
- Menos mal que  al conocerla dejé claro que  iba a ser sólo  una prueba,  me dije  para mis adentros,  cuando dándole una escusa, le cominiqué  que no volviera.  
Al día siguiente pregunté en la sala de profesores del colegio:
- ¿Quién conoce a una empleada de hogar que esté libre un día por semana?
En seguida una de mis compañeras me dijo:
- Hace poco que he contratado a una chica peruana, se llama Mónica, me parece  seria.
- ¿Me puedes dar su número de teléfono?
Por suerte la muchacha peruana tenía algunos días libres.
Mónica era muy trabajadora y de pocas palabras. No fallaba nunca, pero al cabo  de un par de años se quedó embarazada  y  me dijo que no podía seguir trabajando para nosotros.
A pesar de que  fuera una chica taciturna aquella mañana me contó  muchas cosas de su vida:
- Nací en un pueblecito del interior, a los catorce años fui a Lima a trabajar para una señora rica, que tenía parientes en el pueblo. Allí conocí a mi futuro marido. Él tenía un primo que había emigrado  a  Italia y en seguida me engatusó, para que  me marchara a Europa con él. Yo le dije que fuera  primero él y que  luego, cuando tuviera un empleo,  iría yo; así lo hicimos, pero a mí me costó mucho encontrar trabajo y ambientarme. Ahora con el bebé ya no podemos seguir viviendo  en el  apartamento que en este momento estamos compartiendo con otros seis compatriotas. ¡Ojalá pudieramos alquilar  un departamento para nosotros solitos, pero es imposible! Por eso nos vamos a ir a vivir a un pueblo de la costa. Mi marido se ha empleado de  vigilante nocturno en un camping, donde nos ofrecen una pequeña vivienda. Dentro de un mes nos mudaremos.
Me supo mal que nos dejara, pero estaba contenta por ella.
- ¿Y ahora qué hago? Me dije, por suerte se me apareció la cara risueña de la chica cingalesa que había visto el día anterior entrando en el piso de abajo.
Fui corriendo a ver a la vecina, ella me dijo que ya se lo diría a la muchacha, pero me aconsejó que fuera al día siguiente para hablar directamente con ella.
La chica cingalesa era guapa y bien plantada, con un porte casi aristocrático
Al cabo de unas semanas me presentó a su hermana, Narica, diciéndome que iba a sustituirla unos días, pero  con la excusa de que  estaba muy ocupada, no volvió más.
Recuerdo que era otoño cuando comenzó a trabajar Narica. Era alegre como su hermana, pero más gordita y sobre todo más habladora. En seguida, viendo que tenía mucho nervio y ganas de trabajar, le encargué que quitara el polvo de la librería que tenemos en el pasillo.
- Hay que sacar todos los libros, pero lo podemos hacer las dos juntas, pues hoy no tengo clases, le dije.
Mientras montaba en la escalera de tijera, Narica me contó que le hubiera gustado que sus dos hijos adolescentes pudieran estudiar en Europa. Mientras tanto tenían que vivir en Sri Lanka con los abuelos, en un pueblecito del interior. Estaba muy orgullosa de ellos cuando me decía:
- Cada semana les escribo una carta en inglés y ellos me contestan  también en inglés. Les echo mucho de menos, pero las cartas me ayudan  a superarlo.
Narica sacaba los libros, me los pasaba y luego ella con un trapo limpiaba los anaqueles. Yo con un plumero les  iba quitando la sutil capa de polvo. A menudo encontraba  dentro una tarjeta postal o una carta, que guardaba para leerla  cuando ella se marchaba.
Narica a finales de primavera logró que sus hijos emigraran a Italia  y les arregló los papeles para que les concedieran la residencia. En septiembre los apuntó en una escuela pública. Un día Narica me dijo:
- Mis hijos están aprendiendo italiano, pero el mayor quiere que nos vayamos a Inglaterra, dice que el Bachillerato sería mejor empezarlo en inglés. Tengo una hermana que vive en Bristol, quizás el año que viene vayamos nosotros y luego  ya nos alcanzará mi marido
- ¿Eso harías por tus hijos? ¿Dejarías a tu marido solo en Italia?
- Si, yo pienso solamente en el futuro de mis hijos, mi marido está acostumbrado a vivir solo, lo hizo durante  casi  siete años, antes de que yo llegara a Italia.
En septiembre Narica decidió marcharse a Inglaterra con sus hijos. El último día en que vino a limpiar trajo a Kandy para darle instrucciones. Kandy me estrechó la mano cuando Narica nos presentó.
Por su manera de expresarse entendí que no hacía mucho tiempo que vivía en Italia.
Aquella noche pensando en el apretón de manos de Kandy, recordé su mano floja y le  comenté a mi marido:
- Creo que Kandy tiene miedo, quizás sea la primera vez que limpie un apartamento, pero parece que tenga ganas de aprender, por eso me gustaría darle una oportunidad.
- Ya que la chica necesita trabajar y que a nosotros, ahora mismo, nos hace falta una asistenta, te digo, trato hecho.
Desde entonces, cada martes Kandy, introduce su mano en el  paragüero del descansillo, saca  la llave y abre la puerta de nuestra casa.