C’è
un rumore insolito sulla strada, è un giorno di festa, ma gli operai
di un cantiere vicino lavorano senza tregua.
La
sera prima, mentre marito e moglie erano a tavola sentirono un
frastuono improvviso, sembrava che un trapano perforasse la strada.
Si affacciarono alla finestra, ma non videro anima viva. Prima si
guardarono perplessi e poi il marito disse:
-
Ci sarà una emergenza forse per la rottura di un tubo del gas o di
dell’acqua nell'angolo della strada che non riusciamo a vedere.
Subito,
come facevano sempre quando l’acqua cominciava ad arrivare con poca
pressione, riempirono dal rubinetto di cucina alcune bottiglie di
scorta.
Il
rumore cessò per un ora, ma dopo ricominciò di forma intermittente.
La donna andò a letto quasi a mezzanotte, ma prima lesse qualche
pagina di un libro che aveva iniziato il giorno prima, un po’ un
romanzo, un po’ un diario. La lettura da una parte la turbò,
dall'altra le diede allegria.
Era
una storia densa, ma anche leggera, che prendeva spunti dal passato
per lanciarsi verso il futuro ignoto, toccando diversi temi come la
morte dei genitori, il fallimento del matrimonio e il complesso
rapporto con i figli.
Quando
il marito si coricò domandò alla moglie:
-
Come mai sei ancora sveglia?
-
Mi ero addormentata, ma credo che il rumore del trapano mi abbia
svegliata.
-
Adesso è tutto calmo. Dormi tranquilla, vedrai che gli operai presto
riusciranno a riparare l’eventuale guasto.
La
donna lo abbracciò da dietro e si riaddormentò.
Dopo
poco la svegliò di nuovo il trapano della strada, stette a lungo
immobile ad ascoltare, mentre i pensieri che le frullavano in testa
cominciarono a ingarbugliarsi. Sentiva il suo corpo rigido, si girò
lentamente per non svegliare il marito, ma immagini e parole,
mescolate col rumore alieno di fuori, non smettevano di urtare e
interferire tra loro.
Nel
dormiveglia le apparve il volto della bella e sfortunata Caterina,
una compagna di scuola. Rabbrividì, mentre le venivano in mente le
parole dell’amica, allora ventenne, il giorno in cui l’aveva
incontrata casualmente in un parco pubblico:
-
Ero a letto con un uomo che non mi piaceva nemmeno, quando è suonato
il telefono. Era mia madre, che mi annunciava la morte improvvisa di
mio padre, colui che odiavo con tutto il mio cuore. Le sue regole e
il suo fanatismo religioso mi annientavano, ma la sua morte mi
sconvolse così tanto che d’allora ho paura di tutto, anche di a
fare l’amore e esagero con le droghe.
Cercò
di cacciare via quella parola: paura. Si assopì e sognò la madre
morta da qualche anno che al telefono le diceva:
- È morta
Caterina, poverina. Non potrai venire, abiti così lontano,
troppo lontano, andrò io al funerale al posto tuo.
La
donna si alzò dal letto, entrò a tentoni nel suo studio, accese la
luce, prese un quaderno e scrisse:
Cara
mamma,
indossavo
un cappotto nero di lana seduta sul treno che mi
portava verso la città
dove eri stata
ricoverata; leggevo distratta un libro e ogni
tanto avvicinavo il pollice
sinistro alle labbra per strapparmi una pellicina, poi guardavo
immobile il paesaggi che scorreva veloce, come se fosse lontano da me
diversi anni luce. Avevo paura di non arrivare in tempo da
te.
Avevo
scelto quel capotto nero perché sapevo che ti sarebbe
piaciuto.
Sono
arrivata in ospedale di sera, appena ho aperto la porta della stanza,
ho visto i tuoi capelli bianchi intorno al tuo viso imprigionato
dalla maschera d'ossigeno, poi ho notato il colore giallognolo del
tuo corpo magro, coperto appena da un camice verde e infine ho
scoperto le tue braccia inerti da cui ti entravano ed uscivano
diverse sonde; avevi però una mano libera.
Accanto
al letto c'era un comodino con delle garze e una bottiglia d’acqua.
Quasi nascosto spuntava il tuo braccialetto preferito, ricordo che lo
indossavi il sabato per andare dal parrucchiere a farti i capelli. Ho
aperto l'armadio dove erano appesi i vestiti che indossavi il giorno
in cui sei caduta.
Mi
sono seduta sull'unica sedia della stanza, ho preso la tua mano tra
le mie.
Al
medico che era entrato nella stanza poco dopo il mio arrivo avevo
domandato:
-
Può sentirmi mia madre? Sembra che muova le palpebre quando le
chiedo qualcosa.
-
Non è possibile che le arrivino stimoli esterni perché è in stato
vegetativo, cioè in coma, anche se apre gli occhi sono solo
riflessi, mi rispose lui, in forma un po' sbrigativa.
Quella
notte sono rimasta da sola con te, hai aperto diverse volte gli
occhi, ma avevi uno sguardo perso e spaventato.
-Non
avere paura, mamma, ci sono io, ti ho detto stringendoti forte la
mano.
A
un certo punto hai rilassato i muscoli del viso, forse ti sei
addormentata. Mentre avevi gli occhi chiusi ti ho guardata a lungo e
ti ho detto:
- Sei cambiata
da quando noi figli, uno dopo l'altro, siamo andati
via di casa, finalmente hai smesso di preoccuparti per
tutti noi; come per magia, sono
spariti i sintomi della tua malattia polmonare, forse
per questo il tuo carattere si è addolcito.
Prima non ti piacevano né baci né abbracci, ma negli
ultimi anni nel
congedarti, quando tu e il babbo mi
accompagnavate all'aeroporto,
mi stringevi forte forte.
Poi
ti ho preso dolcemente la mano e ti ho detto delle parole che no
avevo mai osato pronunciare:
-
Voglio ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me.
Mi
sono accorta che avevi mosso le dita, come se volessi dirmi qualcosa:
- Adesso
che sei arrivata me
ne posso andare tranquilla, ho detto io per te.
-
Mi senti, mamma? Ti domandai.
Tu
hai smesso di muovere la mano, ma io ho continuato a
parlare con te.
-
Ricordo ancora quando ti alzavi presto per accendere la stufa a legna
affinché trovassi la cucina calda per studiare nei giorni prima
degli esami, poi quando sono partita contro la tua volontà non
mi hai fatto pesare la mia scelta audace, mi hai sempre
aiutata. Conservo sempre le lettere
che mi hai scritto ogni settimana per
più di venti anni, mi accompagneranno sempre.
Non
hai più aperto gli occhi: ho pensato che tu fosse caduta in un sonno
profondo. Anch'io senza rendermi conto mi sono addormenta. Mi sono
svegliata dopo poco tutta infreddolita, ho preso il cappotto
dall'attaccapanni e me lo sono messo addosso. Prima che entrasse il
dottore seguito da una l’infermiera, ho camminato verso di te e ti
ho domandato:
-Ti
piace il mio cappotto nero?
La
donna spense la luce dello studio e tornò a letto. Nello scrivere quelle poche righe, piano piano la paura in
lei era sparita. Abbracciò il marito da dietro e si
addormentò profondamente.
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