sabato 8 febbraio 2020

La lettera scritta di notte


C’è un rumore insolito sulla strada, è un giorno di festa, ma gli operai di un cantiere vicino lavorano senza tregua.
La sera prima, mentre marito e moglie erano a tavola sentirono un frastuono improvviso, sembrava che un trapano perforasse la strada. Si affacciarono alla finestra, ma non videro anima viva. Prima si guardarono perplessi e poi il marito disse:
- Ci sarà una emergenza forse per la rottura di un tubo del gas o di dell’acqua nell'angolo della strada che non riusciamo a vedere.
Subito, come facevano sempre quando l’acqua cominciava ad arrivare con poca pressione, riempirono dal rubinetto di cucina alcune bottiglie di scorta.
Il rumore cessò per un ora, ma dopo ricominciò di forma intermittente. La donna andò a letto quasi a mezzanotte, ma prima lesse qualche pagina di un libro che aveva iniziato il giorno prima, un po’ un romanzo, un po’ un diario. La lettura da una parte la turbò, dall'altra le diede allegria.
Era una storia densa, ma anche leggera, che prendeva spunti dal passato per lanciarsi verso il futuro ignoto, toccando diversi temi come la morte dei genitori, il fallimento del matrimonio e il complesso rapporto con i figli.
Quando il marito si coricò domandò alla moglie:
- Come mai sei ancora sveglia?
- Mi ero addormentata, ma credo che il rumore del trapano mi abbia svegliata.
- Adesso è tutto calmo. Dormi tranquilla, vedrai che gli operai presto riusciranno a riparare l’eventuale guasto.
La donna lo abbracciò da dietro e si riaddormentò.
Dopo poco la svegliò di nuovo il trapano della strada, stette a lungo immobile ad ascoltare, mentre i pensieri che le frullavano in testa cominciarono a ingarbugliarsi. Sentiva il suo corpo rigido, si girò lentamente per non svegliare il marito, ma immagini e parole, mescolate col rumore alieno di fuori, non smettevano di urtare e interferire tra loro.
Nel dormiveglia le apparve il volto della bella e sfortunata Caterina, una compagna di scuola. Rabbrividì, mentre le venivano in mente le parole dell’amica, allora ventenne, il giorno in cui l’aveva incontrata casualmente in un parco pubblico:
- Ero a letto con un uomo che non mi piaceva nemmeno, quando è suonato il telefono. Era mia madre, che mi annunciava la morte improvvisa di mio padre, colui che odiavo con tutto il mio cuore. Le sue regole e il suo fanatismo religioso mi annientavano, ma la sua morte mi sconvolse così tanto che d’allora ho paura di tutto, anche di a fare l’amore e esagero con le droghe.
Cercò di cacciare via quella parola: paura. Si assopì e sognò la madre morta da qualche anno che al telefono le diceva:
- È morta Caterina, poverina. Non potrai venire, abiti così lontano, troppo lontano, andrò io al funerale al posto tuo.
La donna si alzò dal letto, entrò a tentoni nel suo studio, accese la luce, prese un quaderno e scrisse:

Cara mamma,
indossavo un cappotto nero di lana seduta sul treno che mi portava verso la città dove eri stata ricoverata; leggevo distratta un libro e ogni tanto avvicinavo il pollice sinistro alle labbra per strapparmi una pellicina, poi guardavo immobile il paesaggi che scorreva veloce, come se fosse lontano da me diversi anni luce. Avevo paura di non arrivare in tempo da te.
Avevo scelto quel capotto nero perché sapevo che ti sarebbe piaciuto.
Sono arrivata in ospedale di sera, appena ho aperto la porta della stanza, ho visto i tuoi capelli bianchi intorno al tuo viso imprigionato dalla maschera d'ossigeno, poi ho notato il colore giallognolo del tuo corpo magro, coperto appena da un camice verde e infine ho scoperto le tue braccia inerti da cui ti entravano ed uscivano diverse sonde; avevi però una mano libera.
Accanto al letto c'era un comodino con delle garze e una bottiglia d’acqua. Quasi nascosto spuntava il tuo braccialetto preferito, ricordo che lo indossavi il sabato per andare dal parrucchiere a farti i capelli. Ho aperto l'armadio dove erano appesi i vestiti che indossavi il giorno in cui sei caduta.
Mi sono seduta sull'unica sedia della stanza, ho preso la tua mano tra le mie.
Al medico che era entrato nella stanza poco dopo il mio arrivo avevo domandato:
- Può sentirmi mia madre? Sembra che muova le palpebre quando le chiedo qualcosa.
- Non è possibile che le arrivino stimoli esterni perché è in stato vegetativo, cioè in coma, anche se apre gli occhi sono solo riflessi, mi rispose lui, in forma un po' sbrigativa.
Quella notte sono rimasta da sola con te, hai aperto diverse volte gli occhi, ma avevi uno sguardo perso e spaventato.
-Non avere paura, mamma, ci sono io, ti ho detto stringendoti forte la mano.
A un certo punto hai rilassato i muscoli del viso, forse ti sei addormentata. Mentre avevi gli occhi chiusi ti ho guardata a lungo e ti ho detto:
- Sei cambiata da quando noi figli, uno dopo l'altro, siamo andati via di casa, finalmente hai smesso di preoccuparti per tutti noi; come per magia, sono spariti i sintomi della tua malattia polmonare, forse per questo il tuo carattere si è addolcito. Prima non ti piacevano né baci né abbracci, ma negli ultimi anni nel congedarti, quando tu e il babbo mi accompagnavate all'aeroporto, mi stringevi forte forte.
Poi ti ho preso dolcemente la mano e ti ho detto delle parole che no avevo mai osato pronunciare:
- Voglio ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me.
Mi sono accorta che avevi mosso le dita, come se volessi dirmi qualcosa:
- Adesso che sei arrivata me ne posso andare tranquilla, ho detto io per te.
- Mi senti, mamma? Ti domandai.
Tu hai smesso di muovere la mano, ma io ho continuato a parlare con te.
- Ricordo ancora quando ti alzavi presto per accendere la stufa a legna affinché trovassi la cucina calda per studiare nei giorni prima degli esami, poi quando sono partita contro la tua volontà non mi hai fatto pesare la mia scelta audace, mi hai sempre aiutata. Conservo sempre le lettere che mi hai scritto ogni settimana per più di venti anni, mi accompagneranno sempre.
Non hai più aperto gli occhi: ho pensato che tu fosse caduta in un sonno profondo. Anch'io senza rendermi conto mi sono addormenta. Mi sono svegliata dopo poco tutta infreddolita, ho preso il cappotto dall'attaccapanni e me lo sono messo addosso. Prima che entrasse il dottore seguito da una l’infermiera, ho camminato verso di te e ti ho domandato:
-Ti piace il mio cappotto nero?

La donna spense la luce dello studio e tornò a letto. Nello scrivere quelle poche righe, piano piano la paura in lei era sparita. Abbracciò il marito da dietro e si addormentò profondamente.













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