sabato 25 gennaio 2020

Lucia davanti allo specchio




Lucia si lava il viso con acqua fredda. Si strofina vigorosamente la pelle con le mani in modo che le cellule della cute siano stimolate, poi si da dei colpetti con le dita intorno gli occhi.

E’ sabato, Lucia non lavora, per questo si lava con calma. Appena uscita dalla doccia, prima d’indossare l'accappatoio, si guarda a lungo allo specchio.
Si accorge che assomiglia sempre di più alla madre anziana. E pensare che tutti, parenti e amici, fino a pochi anni prima, le dicevano:
- Sei identica a tuo padre.
Si avvicina allo specchio, nonostante abbia dimenticato gli occhiali sopra il tavolo di cucina, non le sfuggono le rughe e le macchie della pelle del viso e i cambiamenti del suo corpo.
- Il mio seno è cadente, la pancia è diventata flaccida e il cespuglio della vulva è più diradato e ingrigito, ma sono sempre io. Mi piaccio lo stesso, dice allo specchio sorridendo, tirando la pancia indietro e raddrizzando il corpo.
Prende una boccetta di olio di mandorle e si massaggia lentamente il corpo, poi chiude gli occhi e l’odore dolce dell’unguento la trasporta indietro nel tempo:

Era un una mattina afosa di inizio luglio. Era nuda davanti lo specchio, si stava spalmando olio di mandorle sulla pancia per ammorbidire la pelle ed evitare le smagliature, così le aveva consigliato di fare l’ostetrica. Era felice col suo pancione. Era ingrassata circa sette chili in sette mesi. La ginecologa le aveva detto che il bambino era sano, anche se un po' più piccolo della norma.
In quel periodo gli ormoni, che avevano invaso il suo corpo, erano responsabili di aver trasformato la sua ansia cronica in sicurezza.
Alcune donne, che aveva incontrato nel corso di preparazione al parto, temevano che i loro figli potessero avere delle malformazioni. Alcune addirittura erano così spaventate che non escludevano che il parto potesse significare la morte del bambino.
Lucia non si sentiva superiore alle altre donne, ma non aveva perso quella umiltà innata che di solito la caratterizzava. Sentiva una forza interiore che la riempiva di ottimismo.
Era orgogliosa e felice di aspettare un figlio.

- Avremo un bel bambino, ripeteva quasi ogni sera al marito.
- Assomiglierà a te, diceva lui.
- Ma avrà anche molto di te: il corpo esile e i capelli ricci, che ti donano un tocco di eleganza; i piedi tozzi che amo accarezzare; il naso maestoso che spesso desidero mordere e gli occhi vispi, che mi hanno fatto innamorare il giorno in cui ci siamo incontrati, gli diceva Lucia, mentre faceva solletico al marito.
- Non esagerare! Io non voglio che nostro figlio abbia il naso grande come il mio, rispondeva lui ridendo.

Dopo essersi preparata si recò a piedi all'ambulatorio. L’ecografista era un dottore paraplegico. Lucia pensò che quell'uomo sicuramente aveva sofferto alla nascita, ricordando ciò che da poco aveva letto in un libro: i parti difficili possono avere conseguenze nefaste per neonati.
- Ora queste cose non succedono! Né forcipe né ventosa vengono più utilizzati per far nascere i bambini, disse a se stessa.
In sala d'attesa una donna incinta, seduta accanto a lei, le aveva detto che quel dottore aveva studiato negli Stati Uniti e che rientrando in Italia era diventato uno dei migliori specialisti nel campo della diagnostica prenatale.
Il corpo del dottore era contorto, come lo era il suo viso e la sua bocca. Lucia immaginò che fosse stata la sua enorme esperienza professionale a dargli la sicurezza che dimostrava. Sembrava quasi volesse far vedere al mondo il suo essere storto, anziché nasconderlo. La prima cosa che fece fu indossare dei guanti di lattice bianchi, poi mise un po’ di gel freddo sul addome di Lucia e ci appoggiò la sonda ecografica
Il rumore del battito del cuore del bambino sembrava quello di un cavallo al galoppo, la mano bianca dell’ecografista si muoveva lentamente tracciando piccoli cerchi. Il dottore era concentrato sullo schermo e rispondeva a malapena alle domande di Lucia.
L’espressione cupa del dottore e il fatto che la sessione fosse durata più a lungo del solito la preoccuparono. Alla fine della visita l’infermiera le comunicò che doveva ritornare nel pomeriggio a prendere il referto.

Era la prima volta che non le consegnavano subito il responso. Era un po' strano, ma mentre s’incamminava verso casa cercò di tirarsi su dicendo:
- L'attesa sarà dovuta al fatto che il dottore deve scrivere più cose, essendo una delle ultime ecografie.
A metà pomeriggio ritornò all'ambulatorio. La mano floscia dell'infermiera non le consegnò la busta che lei attendeva ma le indicò di aspettare nella sala accanto.
Seduta da sola in quella stanza spoglia e triste cominciò a sospettare che qualcosa non andasse bene. Dopo un tempo che a lei sembrò infinito, il medico la ricevette nel suo ufficio. Le disse senza mezzi termini che il feto aveva il cuore malformato, il ventricolo destro comunicava con quello sinistro.
- Non potrebbero operarlo alla nascita? Gli domando Lucia, quasi strillando dalla disperazione.
- Dovranno cercare di farlo perché la sua patologia è piuttosto grave, rispose il dottore.
- Non posso crederci! Ci deve essere un errore! La gravidanza era andata sempre bene e il bambino era sano, così mi dicevano. Che cosa sta accadendo? Disse Lucia con la voce spezzata.
Il dottore sembrava non aver ascoltato le sue parole.
Le consegnò la busta bianca che lei non avrebbe mai voluto ricevere e le disse:
- Il mio mestiere è quello di eseguire e di interpretare le ecografie. Vada subito dal suo ginecologo e porti con sé questi risultati. Sarà lo specialista a rispondere alle sue domande.
Poi la congedò frettolosamente.

Appena lasciò l'edificio ebbe delle vertigini. Guardò in alto e vide che il cielo azzurro diventava oscuro. Per un attimo le sembrò che tutto ruotasse intorno a lei. Si sedette in una panchina per non cadere e dopo esserci ripresa cominciò a correre. Mentre correva le lacrime scendevano dal suo viso.
Entrò in casa, andò di corsa in bagno e scoppiò a piangere davanti allo specchio. Il pianto rimbombò sugli alti soffitti della casa. Lucia non poteva smettere di piangere. Gli occhi, il naso e le guance arrossate le facevano male. La sua bocca non riusciva ad assorbire le lacrime che scorrevano come corsi d'acqua in piena. Lucia pianse fino a quando non rientrò il marito dal lavoro. Lui la trovò distesa sul pavimento del bagno. Tra singhiozzi Lucia le raccontò del cuore malformato del bambino. Abbracciati davanti lo specchio piansero insieme.

Lucia riapre gli occhi, prende l’accappatoio, ma prima di indossarlo si guarda la cicatrice che ha nella parte bassa dell’addome. Mentre si veste pensa che nonostante la morte del figlio e altri grossi dispiaceri, lei ama la vita che scorre e il corpo che invecchia e non rimpiange la giovinezza. Adesso si sente una donna più forte e sicura: porta con se un bagaglio di esperienze vissute, alcune positive altre negative, ma tutte ugualmente importanti.






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