martedì 12 marzo 2024

Cap .12 La tenuta Esperanza ( in italiano)

 


Un giorno, alla fine dell'estate del 1883, giunse alla tenuta Esperanza la notizia della scomparsa di Joan Defaus Moragas. Quando Mariano lesse il telegramma che annunciava la morte del fratello, cadde in uno stato di tristezza e disperazione che spaventò Ángel e Nieves.
- Joan aveva solo 23 anni, perché è dovuto accadere? Non posso accettarlo. E i miei genitori, poverini, saranno sconvolti, devo andare a consolarli
e ad aiutarli... ma d'altro canto non posso lasciarvi soli, con tutto quello che resta da fare nella fattoria, disse Mariano.
- Non
pensare a noi, fai ciò che ritenete più opportuno.
-
Mi trovo a un bivio, non so cosa fare.
- Lascia passare qualche giorno e vedrai che prenderai la decisione più saggia, rispose Ángel.
- Pensa al fatto che il viaggio è molto lungo, anche se ti imbarcassi domani,
sempre che ci sia una nave in partenza per le Canarie, arriveresti a Barcellona dopo circa otto settimane. Due o tre giorni in più o in meno non faranno alcuna differenza - Nieves tacque per un attimo e un'ombra di tristezza le attraversò il viso - Ángel ha ragione, decidi senza fretta, concluse con tenerezza.
Mentre si arrovellava a pensare alla cosa migliore da fare, arrivò un altro telegramma della madre che gli comunicava che suo fratello Francisco aveva
lasciato gli studi e aveva preso in mano l'azienda di famiglia. Mariano si sentì sollevato nel leggere la notizia. Qualche settimana dopo ricevette una lettera in cui la madre gli diceva che stavano pensando di proporre a Francisco di sposare Teresita, ma che sarebbe stato complicato, dato che essendo cognati dovevano aspettare il permesso del vescovo.

Domandò il suo parere e Mariano nella sua lettera gli rispose che, se Teresita e Francisco erano d'accordo, lui credeva che fosse un'ottima soluzione.
Teresa non disse a Mariano che suo padre, aveva già parlato con Teresita e che, seguendo il consiglio del sacerdote, le aveva proposto di sposare Francisco, ma a condizione che lei dimostrasse di essere fertile. A Teresa questo patto non piaceva, perché, se si metteva nei panni della vedova, si vergognava e si sentiva in imbarazzo.
- Come può un sacerdote proporre una cosa del genere a quella povera ragazza? Disse al marito.
- Il parroco dice che una vedova non può vivere sotto lo stesso tetto di Francisco, devono sposarsi, rispose José.
- Lo capisco, ma perché devono esserci delle condizioni?
- Perché lei non è rimasta incinta l'anno in cui è stata sposata con Joan e ora non possiamo rischiare che a Francisco succeda la stessa cosa e che quindi la nostra stirpe scompaia, esclamò José un po' contrariato.
- Non consideri gli altri due figli maschi, Mariano e Isidro? E le femmine, Marieta e le piccole? Domandò decisa Teresa.
- I nostri due figli maggiori sono lontani, non possiamo contare su di loro. L'unico che può darci discendenza è Francisco. La terra, come tu sai, passa attraverso i maschi, rispose José.
- Alla fine sono sempre gli uomini a decidere il destino delle donne. Non voglio essere presente quando tu e il prete proporrete questa cosa orribile a Teresita, aggiunse in un tono duro.
- Ma cosa vuoi, buttarla fuori da casa nostra e restituirla a suo padre?
- No, vorrei che lei restasse con noi.
- Lascia che me ne occupi io, disse José, chiudendo la conversazione.
Mariano, dopo aver letto la lettera della madre, si calmò. Quella sera parlò con Ángel e Nieves e disse loro che avrebbe rimandato il viaggio in Spagna all'anno successivo, alla fine della semina del grano, segale e mais su tutti gli appezzamenti della fattoria. Ma le cose andarono diversamente e un anno dopo, quando Ángel si ammalò, Mariano smise di pensare di andare a trovare i suoi genitori.

Dopo pochi giorni le campane suonarono a morto nella chiesa di Las Ovas, prima un suono forte ma grave, poi un piccolo scampanio. I rintocchi furono tre, a indicare che il defunto era un uomo.
Ángel fu sepolto, secondo la sua volontà, ai margini della spianata che costeggiava la villa, il luogo dove lui domava i puledri. Aveva lasciato detto di non volere essere seppellito accanto ai genitori e al fratello al cimitero di Llopí, di Pinar del Rio. Fu recintato un pezzo di terreno con una staccionata di legno e furono seppellite le persone che erano morte dall’inizio dell’epidemia di vaiolo. La tomba di Ángel Hernández era semplice come le altre: una lastra di pietra bianca con inciso il nome e le date di nascita e di morte.

Il lutto alla tenuta Esperanza durò due settimane, dopo le quali ricominciarono le attività ordinarie, ma la fattoria perse il suo splendore, era come se, oltre che le persone, anche le piante e gli animali avessero perso la loro vitalità a causa della morte del padrone: i colori dei fiori erano diventati spenti, le foglie degli alberi avevano perso il verde intenso, le piume dei pavoni erano meno vivaci, il pelo degli animali e le criniere dei cavalli erano sbiaditi e il cielo non aveva quell’azzurro intenso di prima.
La sofferenza che Nieves provava la teneva nascosta e solo quando nessuno la vedeva piangeva. Ma cercava di occuparsi di mille cose, per alleviare la pesantezza e l'intenso dolore al petto che sentiva ogni mattina quando si alzava dal letto, dopo aver dormito ben poco. La cosa che le dava più sollievo era accendere il forno e mettersi al lavoro. Quando dal cortile Mariano sentiva il profumo del pane appena sfornato e l'odore del lievito madre, lasciava da parte il suo lavoro, entrava nel porticato dove c’era il forno, che tutti chiamavano panadería, e guardava Nieves mentre sistemava abilmente le pagnotte sugli scaffali e toglieva con uno straccio le briciole e la polvere di farina dal tavolo.
Un giorno le disse:
- Mi piace guardarti mentre levi le pagnotte dal forno. La tua maniera di fare mi ricorda la fornaia che mi regalava sempre un panino quando da piccolo andavo a comprare il pane
- Ángel aveva ragione quando diceva che il grano avrebbe salvato la mia vita, ma purtroppo non ha salvato la sua, rispose Nieves, con tristezza.
In quel momento Mariano avrebbe voluto dirle qualcos'altro, ma non osò. Angelito aveva quasi tre anni quando perse il padre e per i primi mesi continuò a chiamarlo e a cercarlo.
- Papà, papà, dove sei? gridava, correndo per il cortile.
Durante quelle settimane di lutto, Mariano lasciò gran parte del lavoro che svolgeva nelle mani di un uomo di fiducia e si dedicò anima e corpo al piccolo Ángel. Fu allora che gli venne l’idea di organizzare una scuola rurale per insegnare a leggere e scrivere a tutti i bambini della fattoria.
Nieves aiutò Mariano a imbiancare e sistemare una grande stanza al piano terra, per trasformarla in aula. Costruirono insieme banchi e prepararono il materiale didattico. Questo nuovo compito le diede pace.
Mariano si prendeva cura di Angelito come se fosse suo figlio e si accorgeva che ciò era molto apprezzato da Nieves.
Un giorno Nieves gli disse:
- Sono così sollevata di sapere che sarai sempre al nostro fianco.
- Non ti lascerò mai, rispose Mariano.

Nell'autunno del 1884 due figli di Teresa Moragas e José Defaus si sposarono: il 26 novembre Mariano con Nieves a Pinar del Río e il 19 dicembre Francisco con Teresita a Malgrat. Il destino era stato crudele con la famiglia Defaus Moragas, entrambe le spose erano rimaste vedove dopo la morte prematura del giovane marito, ma tutti speravano che le disgrazie fossero finite e che fosse iniziato un periodo di bonaccia.
In quell'occasione Teresa scrisse una lunga lettera al figlio, descrivendo i dettagli del matrimonio di Maria. Mariano la lesse più volte, perché aveva la sensazione che sotto sotto si nascondesse qualcosa.
- Forse mi sbaglio, ma credo che ci sia qualcosa di strano sul matrimonio di mia sorella che mia madre non vuole dirmi, forse il vescovo ha messo degli impedimenti, disse Mariano.
- Che te ne importa del matrimonio, ciò che conta è che si amino. Il vescovo può dire quello che vuole, disse Nieves

- Ma nei paesini ci sonno molti pettegolezzi su due che vivono insieme senza essere sposati.
- Tu non pensarci più. Tua madre ti ha detto che sono sposati e che lei è incinta, quindi basta.
Mariano avrebbe voluto inviare una fotografia di Nieves a sua madre, ma il giorno del matrimonio il fotografo che lui aveva chiamato non si presentò, poi si scoprì che era caduto dall’albero mentre raccoglieva le prugne e portato in ospedale. Il povero fotografo era paralizzato su una sedia a rotelle. Il suo era l'unico studio fotografico di Pinar del Rio e, da quando era stato chiuso, gli utenti dovevano recarsi a L'Avana per farsi fotografare. Nieves si rifiutò categoricamente di intraprendere un viaggio così lungo per farsi fare una fotografia. Teresa e José dovettero immaginare la bellezza di Nieves attraverso le descrizioni nelle lettere del figlio.
Mariano usciva raramente dalla tenuta, una volta alla settimana andava a Las Ovas o a Pinar de Río a seconda della necessità e ogni due mesi, come aveva promesso ai tre fratelli, si recava a L'Avana per controllare la contabilità del negozio. Finché un giorno disse ai bottegai:
- È tempo che io lasci la vostra azienda, non avete più bisogno di me.
I tre fratelli accettarono la sua proposta, ma gli promisero che sarebbero andati a trovarlo ogni anno in estate, per trascorrere qualche giorno con lui e Nieves. E così fecero per il resto della loro vita.

Le lettere di Teresa Moragas continuarono ad arrivare regolarmente alla tenuta Esperanza e Mariano non smise mai di scrivere alla madre.
Le lettere che Teresa scriveva al figlio nella brutta stagione erano più lunghe di quelle scritte quando c’era bel tempo. Nell'ultima lettera di quell'inverno menzionò più volte il figlio Isidro, confessando a Mariano di essere angosciata perché aveva poche notizie di lui, poi gli raccontò con gioia che la gravidanza di Teresita stava seguendo il suo corso naturale e che tutti erano impazienti di sapere se era maschio o femmina. Gli disse anche che il raccolto era andato piuttosto male, ma che la vendita di semi era stata migliore e concluse lamentandosi del brutto tempo e delle forti mareggiate.
Quando rilesse l'ultima parte a Mariano tornò in mente la frase che suo nonno, Mariano Defaus Segarra, era solito pronunciare con enfasi quando in inverno il mare grosso lo spaventava.
- Se l'acqua salata dovesse arrivare fino ai nostri campi, saremmo persi per sempre.
Il piccolo Mariano più di una notte aveva sognato onde giganti che raggiungevano il villaggio e si svegliava sudato e spaventato da quell'incubo.

Nelle lettere che Mariano scrisse alla madre durante quei lunghi mesi, le raccontava aneddoti della vita quotidiana nella fattoria, di quanto fosse felice di aver sposato Nieves e fortunato di avere Ángel, il suo figlioccio, che amava come se fosse suo vero figlio. Tuttavia, non le parlò mai del suo ritorno in Spagna, né lei ne fece cenno.
Alla fine dell'estate del 1885 Mariano ricevette un telegramma dalla madre con una buona notizie e due cattive:
Teresita ha partorito una bambina. La scarlattina ci ha portato via Luisa e Rosa. Agustí è morto a Cuba.
Pochi giorni prima della nascita della bambina, Agustí, il marito di Marieta, morì dopo un’imboscata, in un campo militare vicino a Santiago de Cuba e le bambine, Rosa e Luisa, si erano ammalate di scarlattina. Il medico disse di mettere dei cataplasmi e di non far salire la febbre, ma la febbre salì a quaranta gradi e non ci fu modo di farla scendere. Luisa e Rosa, a diciassette e quindici anni, morirono a poche ore di distanza l'una dall'altra.
Mariano decise di tornare in Spagna, ma poche ore dopo rinunciò, pensando a Nieves e al suo figlioccio. Dopo qualche settimana, ricevette una busta contenente la l’annuncio funebre delle due sorelle e una fotografia di Francisco e Teresita con la neonata in braccio, che chiamarono Teresa, come la madre e la nonna.

In quella lettera, Teresa Defaus Moragas disse nuovamente a Mariano di non preoccuparsi: che stavano tutti bene, che Teresita, Francisco e Marieta si stavano occupando di tutto, che la bambina era molto vivace e che dava loro tanta gioia dopo tutte quelle disgrazie.
Nieves consolò il marito come meglio seppe fare. Ogni sera gli preparava un infuso di camomilla, affinché potesse riposare bene. Nieves e Mariano dormivano in stanze separate, non volendo consumare il matrimonio per rispetto al defunto. In un momento in cui le disgrazie sembravano non avere fine, entrambi capirono che tra loro c'era qualcosa di più di un'amicizia, ma nessuno dei due osava confessare all'altro i propri sentimenti.
I giorni alla fattoria Esperanza passavano di nuovo velocemente, la routine e gli impegni quotidiani davano alla coppia una sensazione di prosperità e benessere: al mattino Mariano insegnava a leggere e scrivere ad Angelito e agli altri bambini della fattoria. Mariano si sentiva bene in mezzo ai bambini. Gli piaceva passare davanti ai banchi dei suoi alunni per vedere come avevano svolto gli esercizi. Ricordava la scuola elementare di Malgrat e applicava con cura le buone tecniche di insegnamento del suo vecchio maestro.
Il giorno in cui andò a L'Avana per chiudere il contratto che aveva con i tre bottegai, comprò un libro di pedagogia che lesse in treno con grande fervore. Quando arrivò alla fattoria disse a Nieves:

- Sento una grande soddisfazione nell'aiutare i bambini a risolvere un problema o a scrivere un tema o una poesia.
- Ammiro quello che stai facendo. Sono sicura che tu sei stato un alunno modello.
- Da piccolo mi piaceva andare a scuola, ma a dodici anni ho dovuto lasciare i libri per iniziare a lavorare. Per fortuna il mio maestro mi impartiva lezioni private nel pomeriggio, in quegli anni ho imparato molto da lui. Al mattino aiutavo mio padre nei campi, ma non mi piaceva zappare la terra, avrei voluto viaggiare e lasciare il paesino. La sera andavo fuori con un gruppo di ragazzi che ogni tanto si mettevano nei guai e finivamo in scaramucce.
- Sono sicura che andavate dietro alle ragazze, raccontami le tue marachelle di quando avevi quattordici o quindici anni. A pensarci bene so ben poco di te, mi hai detto solo che sei scappato dalla Spagna a causa della guerra.
- Un giorno ti racconterò, disse Mariano con un'espressione di disaggio, perché parlare di quell'argomento lo metteva in imbarazzo.
- Mamma, dove sei? Urlò il bambino, correndo verso di loro.
Quella sera, Mariano fu sollevato dall'inquietudine che provava al ricordo dei suoi anni giovanili. L'arrivo del bambino lo aveva salvato, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto rivelare a Nieves il suo segreto.
D'altra parte, anche Nieves aveva ripreso a sfornare pagnotte e a cuocere vasi di terracotta. Un giorno iniziò a dipingere piatti di colori vivaci: arancione col bordo blu, viola e giallo e verde e rosso.

- Perché non vendi questi piatti, sono bellissimi? Gli disse Mariano.
- Hai ragione, a casa abbiamo un sacco di stoviglie.
- Il negoziante del bazar El siglo di Pinar del Río potrebbe essere il tuo primo acquirente.
Nieves seguì il consiglio di Mariano e i suoi piatti iniziarono a vendersi bene.
La fattoria Esperanza progrediva, ma né Nieves, né Mariano avevano intenzione di ingrandirla. I profitti non erano molti, ma erano sufficienti sia per i padroni che per i lavoratori. Sapevano dall’inizio che i cereali da soli non sarebbero bastati a farli diventare ricchi, ma non era questo il loro obiettivo.
- Impastare il pane e sentire il profumo delle pagnotte appena sfornate mi rende felice, ma anche dare forma e colore ai mie vasi, confessò Nieves, sorridendo un giorno a Mariano.
- Ed io sono ancora più felice accanto a te, rispose Mariano, guardandola intensamente.
Né l’uno né l’altro parlarono più del viaggio in Spagna che lui avrebbe voluto fare e la vecchia valigia di cartone, quella che aveva attraversato l'Atlantico nel 1873, fu sistemata in soffitta e per lunghi anni dimenticata.











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