Quel giorno alle sei in punto del pomeriggio siamo andati dal notaio per firmare il contratto.
Avevamo
comprato un vecchio locale a pochi metri da casa nostra. Il signor
Tinelli aveva rilegato libri in quella bottega durante molti anni.
Ogni mattina mi salutava con un sorriso mentre alzava il rumoroso
bandone di ferro. Nella parte anteriore c'era un lungo tavolo
rettangolare, sul quale spiccavano, tra dozzine di pile di carta
stampata e cartelle colorate, una pressa e una macchina per tagliare
la carta. Nel retrobottega aveva una specie di salottino, dove
leggeva.
Il
signor Tinelli era molto fiero del suo piccolo locale. Quando l'anno
scorso gli dissi
che volevamo comprare un fondo per mettere le biciclette e per usarlo
come ripostiglio, mi rispose
che come il suo non ce
n’era un altro
in tutta Firenze. Lodava il suo ambiente artigianale, perché oltre
che al bagno c'era un ampio cortile, che permetteva alla luce di
entrare. Era contento di aver affittato da giovane quel locale, dove
aveva trascorso gran parte della sua vita rilegando libri.
I
mesi passavano e noi non riuscivamo a trovare nessun posto adatto da
comprare: alcuni fondi erano troppo piccoli, altri erano in pessimo
stato e quelli ce erano più grandi e belli erano troppo cari per
noi.
Un
giorno ho visto il rilegatore a braccetto con sua moglie. Sembrava
molto debole e mi ha detto che aveva avuto una brutta influenza.
Dopo
poche settimane, vedendo che il laboratorio del Signor Tinelli era
sempre chiuso, ho chiesto di lui e mi hanno detto che era morto.
- Ancora era giovane per morire, non aveva più di settant’anni, pensai.
- Ancora era giovane per morire, non aveva più di settant’anni, pensai.
- Povero rilegatore! Disse U.
quando gliel’ho
raccontato.
La
moglie e la figlia vuotarono il locale e lo lasciarono, perché per
loro era troppo doloroso conservare quel posto, che era diventato
triste e senza vita. Il Signor Tinelli con la porta sempre aperta,
per fare entrare clienti, amici e ragazzi del quartiere, lo teneva
vivo. I proprietari, un'anziana vedova e due figli,
decisero di venderlo.
A
causa della crisi economica il cartello che annunciava la vendita
rimase appeso per molti mesi, fino a
che un giorno mi
accorsi che un'agenzia
immobiliare vendeva il fondo a un prezzo molto più basso di quello
che ci aveva chiesto uno dei padroni.
L'offerta
fatta all'agenzia fu subito accettata dai proprietari perché erano
stanchi di aspettare.
Il
pomeriggio in cui siamo andati a firmare il contratto era piovoso e
siamo entrati nello studio del notaio bagnati fradici. La segretaria
era molto gentile e ci ha accompagnati
in una bella sala
d'attesa, dove i padroni del locale e i responsabili dell'agenzia
immobiliare erano già seduti. Dopo poco ci hanno chiamato per
eseguire l'atto notarile.
Il
Notaio, era un uomo distinto, che aveva circa cinquant’anni. Si
vedeva che faceva il proprio lavoro con passione, perché ci raccontò
minuziosamente l'atto ufficiale che stavamo firmando. Non avevo mai
visto un Notaio così comunicativo. Era una persona un po' bizzarra,
si capiva dall'arredamento del suo studio, che era tappezzato da
immagini di civette: statuine, quadri, cornici, tagliacarte,
portamatite, timbri, ecc. Ci disse che era un fervoroso sostenitore
della contrada della
civetta di Siena,
dove aveva trascorso la sua giovinezza.
Mentre
aspettavamo la registrazione dell'atto, abbiamo cominciato a parlare
della bottega del rilegatore e abbiamo finito il discorso parlando
degli ospedali della mia terra, dato che il Notaio aveva un figlio
che studiava psichiatria in Catalogna.
Alla
fine ci siamo salutati scambiandoci i nostri indirizzi di posta
elettronica.
Quella
stessa notte ho dormito molto bene, ma alle cinque in punto del
mattino mi sono svegliata.
La
mia testa era piena di emozioni: atti notarili, firme, pile di libri
rilegati, assegni bancari e tante civette.
Sono
andata in cucina e ho guardato dalla finestra, ancora non era uscito
il sole e ho pensato che il signor Tinelli non avrebbe più rilegato
libri, ma che noi avremmo ben custodito insieme alla bottega il
ricordo del suo antico mestiere.
Questo
pensiero mi ha rilassato e sono tornata al letto.
Ho
sognato di essere nel mio paese natale della costa catalana. Era
sera e stavo telefonando alla mia amica Inès. Avevo molta voglia di
vederla. Ho fatto con lei le scuole superiori e durante i primi anni
universitari ci siamo frequentate molto. Era
più di trenta
anni che ci scrivievamo, forse era più esatto dire che io le scrivevo,
lei con tutte le sue occupazione mi avrà scritto una decina di
lettere in tutta la sua vita, ma mi telefonava spesso.
La
mia amica viveva vicino a Barcelona, era molto attiva, aveva energia
per fare un sacco di cose: girava in macchina per tutta la Spagna per
lavoro, andò fino a Mosca per adottare due bambini che erano
così vivaci da sfiancare qualsiasi persona dopo una giornata
trascorsa con loro, superò con grande coraggio una grave malattia,
allevò due cagne molto giocherellone che le distrussero i mobili
della sua bella casa, si occupava dei suoi anziani genitori e di una
zia vecchia e naturalmente amava molto suo marito.
Avevo
avuto fortuna, Inés era in paese, perché era andata a trovare i
suoi genitori, come di solito faceva tutti i mercoledì, per questo
ho pensato che quel giorno era mercoledì.
Ci siamo date un appuntamento vicino all'antico cimitero, che si trova
dietro la chiesa del paese.
Arrivò
puntuale e mi chiese il perché di quel luogo:
- È un
posto molto solitario, qui possiamo passeggiare e parlare
tranquillamente, le dissi.
- Toppo deserto, andiamo lungo
la strada che porta alla cappella del convento delle carmelitane,
aggiunse lei.
Abbiamo
camminato lentamente, seguendo la ripida strada, verso la parte alta
del paese, che sembrava viva come un villaggio in festa. Si vedevano,
nonostante la tarda ora della notte, tutte piccole finestre
illuminate.
Inés
era felice perché non si sentiva più smarrita.
Abbiamo
visto che la torre del convento era caduta. Ai lati della strada
c'era uno strato di terra bianca che sembrava neve.
Ci
siamo accorti che quella polvere bianca non era altro che calce e
macerie degli edifici bombardati.
Ho
preso un pezzettino di specchio che luccicava tra montagne di rovine.
Noi due amiche ci siamo viste riflesse circondate dagli orrori della
guerra: scoppi, spari, crolli, urla, sangue, fumo, polvere, ma
soprattutto tanta paura.
Sono
arrivati due camion con molti giovani soldati, che ci chiedevano da
bere e da mangiare. Alcuni avevano ancora la forza di ringraziarci
facendoci dei complimenti. Uno di loro fischiava una melodia che
sembrava una habanera1
triste .
Una
donna è scesa da un carro e mi ha messo un neonato tra le braccia.
Di corsa ci siamo rifugiati in una cantina, il piccolo non smetteva
di piangere, perché aveva fame. Io volevo avvicinarlo al mio seno ma
non riuscivo a trovarlo. Inès mi ha preso il bambino e lo ha
attaccato al suo petto gonfio di latte.
Dopo
poco Inés e il bambino si sono addormentati. Ho sentito un gran
benessere guardando la mia amica con il neonato tra le braccia. La
sua immagine mi riempiva di speranza, nonostante le lotte e i tumulti
che c'erano per le strade.
Mentre
provavo quelle belle sensazioni, ho sentito suonare la sveglia di U.,
che quella mattina doveva alzarsi presto perchè i muratori dovevano sistemare un vecchio
pozzetto nel cortile del rilegattore. Erano le sette in punto del mattino.
Ero
contenta di essermi svegliata presto, perché prima di andare al
lavoro potevo prepararmi un bella colazione, trascrivere quanto
avevo sognato e soprattutto finire di rileggere l'ultimo capitulo di La plaça del diamant, l'ultimo che mi aveva rilegato il
Signor Tinelli.
1
è un tipo de canzone di ritmo lento che ebbe origine a Cuba alla
fine del secolo XIX
El
notario y el sueño
Ese dia a
las seis en punto de la tarde fuimos a la notaría para firmar unas
escrituras.
Habíamos
comprado un viejo local artesanal a pocos metros de distancia de nuestra casa.
El Signor
Tinelli había encuadernado libros en aquel taller durante muchos
años. Cada mañana me saludaba
contento mientras abría la ruidosa puerta de hierro. En la parte
anterior había una mesa rectangular muy larga, sobre la cual
sobresalían, entre decenas de pilas de hojas imprimidas y
cartones de bonitos colores, una prensa y una máquina para cortar
papel. En la trastienda tenía una especie de cuarto de estar,
donde leía.
El signor
Tinelli estaba muy orgulloso de su pequeño laboratorio. Hace un
par de años cuando le dije que queríamos comprar un local para
poner las bicicletas y para usarlo como trastero, me dijo que como
el suyo no había ninguno en toda Firenze. Alabó su taller porque
además de poseer un cuarto del baño, tenía un patio muy amplio
que daba mucha luz. Estaba contento de haber alquilado, desde que era
muy jovencito, ese lugar donde había pasado toda su vida encuadrenando
libros.
Pasaron
los meses y no dimos con ningún local, algunos eran demasiado
pequeños, otros eran destartalados y estaban en malas condiciones
y los grandes y bonitos eran demasiado caros para nosotros.
Un día vi
al encuaderndor de bracete con su mujer, parecía muy débil, me dijo
que había pasado una gripe muy fuerte. Al cabo de
unas semanas, notando que el taller del Signor Tinelli siempre estaba cerrado, pregunté por él y me dijeron que había muerto.
- Era joven aún para morirse, no tenía más de seteinta años, pensé.
- Era joven aún para morirse, no tenía más de seteinta años, pensé.
- Pobre
encuadernador! dijo U., cuando se lo contè.
Su hija de
unos cuarenta años y su mujer todavía joven, vaciaron el taller y
dejaron de pagar el alquiler, porque era demasiado doloroso para ellas
conservar aquel lugar, que había quedado abandonado y sin vida.
El Signor Tinelli dejando la puerta abierta, para que entrara la gente y
los chiquillos del barrio, lo tenía siempre vivo. Los dueños del
local decidieron venderlo entre particulares. A causa de la crisis económica el cartel se quedó colgado muchos meses, hasta que un
día vi un anuncio nuevo; una agencia inmobiliar lo ponía en venta, a un precio mucho más bajo con respecto al que nos había pedido al principio uno de los dueños.
Los tres propietarios, dos hermanos de unos sesenta años y la madre viuda, aceptaron en seguida nuestra oferta, pues estaban
cansados de esperar.
La tarde
que fuimos a firmar las escrituras era lluviosa y entramos en la
notaría chorreando de agua. La secretaria fue muy amable con nosotros
y nos acompañó a la sala de espera, donde había un grupo de
personas, los dueños del taller y los gestores de la agencia
inmobiliar, simpáticas y cordiales. Al cabo de poco
tiempo nos llamaron para empezar el acta notarial.
El Notario
tenía unos cincuenta años y se notaba que le gustaba su trabajo,
pues nos contó detenidamente el acta oficial que estabamos firmando.
Nunca había conocido a un Notario tan comunicativo. Era un hombre
especial, pues tenía todo el despacho tapizado de buhos:
estatuillas, cuadros, marcos, lápices, plumas, sellos etc. Nos dijo que era
un fervoroso aficionado de la contrada della civetta 1
de Siena , donde había pasado toda su juventud.
Mientras
esperábamos el registro de las escrituras,empezamos hablando del
taller del encuadernador y acabamos alabando los hospitales de mi
tierra, pues el Notario tenía un hijo que estudiaba psiquiatría en
Cataluña.
Al final
nos despedimos intercambiándonos nuestro correo electrónico.
Esa noche
dormí muy bien, sin embargo a las cinco en punto de la madrugada me
desperté.
Mi cabeza
estaba llena de emociones: escrituras, firmas, cheques, buhos. Fui
a la cocina y miré por la ventana. Aún no había salido el sol y
pensé en que el signor Tinelli, ya no habría encuadernado más
libros, pero que nosotros habríamos custodiado, junto a su taller, el recuerdo de su antiguo oficio.
Este
pensamiento me relajó y volví a la cama.
Soñé y
soñé que estaba en el pueblo de la costa catalana donde nací, era
de noche y estaba llamando a mi amiga Inés. Tenía muchas ganas de
verla. Estudié con ella el Bachillerato y durante los años
universitarios salíamos juntas muy a menudo. Hacía más de treinta años que nos
carteábamos, mejor dicho yo le escribía, ella con todos sus
ocupaciones, no tenía mucho tiempo para hacerlo, pero siempre me telefoneaba.
Mi amiga vivía cerca de Barcelona, era muy activa, le sobraba
energía para hacer miles de cosas: daba vueltas por la península en
coche trabajando, a raíz de su deseo de adoptar
un hijo, fue a Moscú a buscar a dos niños tan vivarachos, que mataban de cansancio, superó con gran valor una
grave enfermedad, crió a dos perras muy juguetonas que le
destrozaron los muebles de su casa, se ocupaba de tres viejecitos de su
familia y naturalmente amaba mucho a su marido, un hombre muy pausado.
Había
tenido suerte, encontré a Inés en el pueblo, ya que había ido a
visitar a sus padres, ya viejecitos, como hacía cada miércoles, de allí
deduje que era miércoles.
Le di una
cita cerca del antiguo cementerio, que estaba detrás de la la
iglesia del pueblo.
Llegó
puntual y me preguntó el porqué de aquel lugar.
- Es un
sitio solitario, aquí podremos pasear hablando tranquilamente, le dije.
- Demasiado
desierto, vayamos por la cuesta hasta la capilla del convento de
las carmelitas, añadió ella.
Andamos
muy despacio siguiendo un trecho empinado, hacia la parte alta del
pueblo, que parecía vivo como una aldea de fiesta, pues a pesar de
las altas horas de la noche, las ventanas pequeñas de las casas se
estaban iluminado.
Inés
estaba contenta, pues ya no se sentía tan desemparada.
Vimos que
el convento estaba derrumbado. A los lados de la calle había una
capa de tierra blanca que parecía nieve.
Nos dimos
cuenta de que aquel estrato blanco estaba formado por cal y ruinas
de los edificios que habían sido bombardeados.
Cogí un
trocito de espejo que brillaba entre los montones de desperdicios.
Las dos nos vimos reflejadas y a nuestro alrededor descubrimos los horrores de la guerra: estallidos, humo, bombas, sangre, polvo y sobre todo tanto miedo.
Llegaban
camiones con muchos soldados jóvenes, quienes nos pedían de comer y
de beber.
Algunos
tenían la fuerza para echarnos piropos. Uno de ellos silbaba una
habanera triste.
Bajó una
mujer de un carro y puso en mis brazos un recien nacido.
Nos
refugiamos en una taberna, el pequeño seguía llorando, porque
tenía hambre. Yo quise darle de mamar, pero no lograba encontrar mis
penzones. Inés me cogió el bebé y se lo puso en su pecho,
hinchado de leche.
Al cabo de
poco Inés y el niño se durmieron plácidamente. Sentí un gran
bienestar mirando a Inés dormida con el recién nacido en sus
brazos. Su imagen me llenaba de esperanza, a pesar de las luchas y
de la violencia que habíamos visto por las calles.
Mientras
estaba saboreando el placer de aquel momento, oí el despertador
de U., quien aquella mañana tenía que levantarse temprano para que los albañiles pudieran arreglar las alcantarillas del patio del encuadernador. Eran las siete en punto de la mañana.
Estaba
contenta por haber madrugado, porque antes de ir a trabajar tendría tiempo para prepararme un buen desayuno, para tomar apuntes de aquel sueño tan raro y sobre todo
para terminar de leer el último capítulo de la plaça del diamant, uno
de los últimos libros que me había encuadernado el signor Tinelli.
1 El
barrio del Buho es uno de los muchos sectores en los que se
divide la ciudad de Siena para jugar al Palio, juego medieval que
consiste en una carrera de caballos alrededor de la plaza del
campo.
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