martedì 16 gennaio 2024

Cap. 10 - Nieves Herrera (in italiano)

 


Nieves Herrera rimase incinta all'età di vent'anni, pochi mesi dopo il suo arrivo a Cuba. Quando Ángel Hernandéz scoprì che la moglie aspettava un figlio, si precipitò a L'Avana in cerca di un collaboratore per avviare il progetto che aveva in mente da tempo.
Ritornò da L'Avana felice e quando entrò in casa disse alla moglie:
- Un catalano, un certo Mariano Defaus, ha accettato la mia proposta. E’ un intenditore di cereali e con lui mi sento in grado di trasformare la fattoria. Voglio che nostro figlio, quando nascerà, veda campi di grano e non piantagioni di tabacco.
- E io potrò fare pappe di grano macinato per il piccolo e zuppe di pane per noi, come quelle che mi preparava mia madre, disse Nieves, sorridendo.
A Nieves piacque subito Mariano e anche se era un uomo di poche parole, si sentiva a suo agio con lui, le ricordava Rafael, uno dei suoi fratelli, il più timido e taciturno di tutti. Piano, piano Mariano entrò in confidenza con Nieves e divenne più comunicativo, le raccontò aneddoti della sua infanzia nel suo paese, ma soprattutto lei scoprì le qualità di Mariano quando nacque Angelito, suo figlio. Mariano fin da subito diventò affettuoso con il neonato.
- Tenere in braccio e giocherellare col tuo bambino mi ricorda i momenti che trascorrevo con i miei fratelli. Ero il più grande, eravamo in otto. Me ne andai di casa a diciassette anni, Mariona ne aveva quindici, Joan tredici, Isidro undici, Francisco nove, e le piccole Rosa e Luisa tre e cinque. Sono passati otto anni, ma mi mancano ancora tanto.

- Perché hai lasciato il tuo paese da così giovane?
Mariano rimase senza parole, pensando alla promessa fatta a José Sarrá, ma quella ragazza di Madrid gli infondeva fiducia e mentre cullava il bambino le confessò che era un disertore.
Nieves ascoltò ammutolita le sue disavventure.

- A me mancano molto mia madre e i mie fratelli e pensa che sono a Cuba da poco tempo, invece tu che sei lontano dalla famiglia da otto anni come fai a resistere? Gli domandò lei.

- Mia madre mi scrive una lettera ogni due settimane
- E anche tu le scrivi così spesso?
- Non ogni quindici giorni, ma almeno una volta al mese, non manco mai di farlo.
- Piacerebbe anche a me avere una fitta corrispondenza con mia madre, ma io so a malapena scrivere e lei non sa leggere. Tuttavia, quando è nato nostro figlio, mio marito ha scritto una lettera a mia madre, o meglio al prete della chiesa dove lei va abitualmente a messa, perché lui gliela leggesse. Il sacerdote ancora legge a mia madre le lettere che mio marito via via gli spedisce, ma lui risponde molto brevemente.
- Posso insegnarti io a scrivere.
- So scrivere il mio nome e poco più.
- Sei andata a scuola?

- No, ma una signora della parrocchia che suonava l'organo mi ha insegnato, mi faceva cantare l'alfabeto e su una lavagnetta mi diceva di scrivere le lettere e il mio nome, tutto questo nella sacrestia, mentre aspettavo che mia madre finisse di confessarsi. Da quando Rafael, uno dei miei fratellini, era morto, mia madre si inginocchiava davanti al confessionale due o tre volte la settimana. Le parole del sacerdote placavano il suo dolore, lei doveva inventarsi peccati perché lui la prendesse in considerazione.
- Mi sembra buffo che si sia inventata dei peccati.
- Ti sembrerà strano, ma ciò le faceva tanto bene: quando usciva dal confessionale non parlava più di Rafael, anzi sorrideva e mi elencava a sottovoce i suoi peccati veniali.
- Quali erano i peccati inventati, se si può sapere ?
- Beh, i soliti: bugie, invidia, gelosia, mancanza di pazienza e così via. E poi altri più bizzarri, come aver messo una lucertola a pezzetti nel piatto della suocera brontolona, aver gettato un vaso da notte pieno di orina nel giardino di una vicina di casa che le stava antipatica, aver dato uno schiaffo a una signora arrogante che entrava spesso in negozio, che toccava tutto e non comprava niente, aver messo uno scarafaggio in faccia a mio padre quando faceva un pisolino troppo lungo, aver legato noi bambini disobbedienti a un albero con una corda ... e tante altre cose che non ricordo.
- Che repertorio! Tua madre aveva molta fantasia, ma è stata lei a scegliere il tuo nome?
- Sì, mi ha chiamato Nieves, perché quando sono nata ha visto la mia pelle così bianca che ha subito pensato al racconto di Biancaneve… - Si fermò qualche secondo per poi continuare - Anch'io ho amato questa fiaba, soprattutto la parte finale che conosco a memoria e ti vorrei recitare:

Biancaneve morse la mela e cadde. I nani, allertati dagli animali del bosco, arrivarono alla loro casetta mentre la regina cattiva stava fuggendo. Con grande tristezza, misero Biancaneve in un'urna di vetro. Tutti speravano che la bella fanciulla si svegliasse prima o poi, ma fortunatamente un bel principe che stava attraversando la foresta sul suo cavallo, vide la bella fanciulla nell'urna di cristallo e attratto dalla sua bellezza, le diede un bacio, l'incantesimo fu spezzato e la ragazza si svegliò. Biancaneve e il principe si sposarono e vissero per sempre felici e contenti.

- Questo racconto in catalano si chiama Blancaneus, mia madre lo raccontava alle mie sorelline! Tacque per un attimo e un sorriso gli attraversò il viso - Ángel è il principe che ti ha portato nel Nuovo Mondo!
- Che sciocchezza, io non credo ai principi! Stavo benissimo a Lavapiés con la mia famiglia, Ángel non ha rotto nessun incantesimo.
- Non ti arrabbiare, stavo solo scherzando, disse Mariano.
- Io non ho tanta fantasia come mia madre, sono più realista, assomiglio più a mio padre. Lei, invece, oltre a assumersi la colpa di peccati che non ha commesso, amava inventare storie, osservando e ascoltando la gente della strada. A volte le sue narrazioni prendevano spunto dai racconti della nonna, ma il più delle volte si trattava di pura immaginazione.

- Beh, tua madre ha un buon carattere, da quello che dici, ha trovato il modo di tirarsi su dopo aver perso un figlio. Non so se mia madre sarebbe riuscita a riprendersi da una simile disgrazia.
- Ognuno affronta il lutto come meglio può. Io tendo a buttarmi nel lavoro per non cadere in depressione, rispose Nieves.
- Quando Rafael è morto, tu già lavoravi?
- Sì, fino a dieci anni mi sono occupata dei miei quattro fratelli, anch’io sono la più grande, ma molto presto mi è toccato andare in bottega per aiutare i miei genitori a modellare, cuocere, dipingere e vendere vasellame. Mia sorella, che ha un anno meno di me, cominciò allora a prendersi cura dei più piccoli.
- Ti piace il mestiere di vasaio?
- Sì, molto. Nella bottega ho conosciuto Ángel. Un giorno lui è entrato per comprare una brocca, è ritornato il giorno dopo e quello dopo ancora, mi ha corteggiato per diversi mesi. A Natale ha chiesto a mio padre la mia mano. Lui ha accettato subito, perché Ángel gli assicurava un buon futuro per me. Abbiamo abitato per un anno in una casetta che lui aveva comprato, molto vicina a quella dei miei genitori, finché non è arrivato il telegramma con quella brutta notizia e siamo stati costretti a imbarcarci per Cuba. Da allora non ho mai più cotto un coccio.
- Anche nel mio paese ci sono diversi vasai, in catalano ollers, Io abitavo in via Ollers, ma i miei genitori non erano vasai, bensì agricoltori.

- Quando sarà avviata la coltivazione dei cereali, Ángel mi ha promesso di costruire un forno accanto alla villa e se tu vorrai ti posso insegnare a modellare vasi con il tornio e a cuocere, vasi, brocche, tegami, piatti, piastrelle e qualsiasi altro oggetto che tu vorrai.
Ángel e Mariano
lavorarono instancabilmente per due anni. Ebbero molti imprevisti e problemi, ma insieme cercarono di risolverli, scoprendo che andavano d’accordo e che il progetto di Ángel non era così inverosimile come sembrava. Durante il primo anno riorganizzarono la fattoria, acquistarono animali e attrezzi per lavorare la terra, la semina e il raccolto e costruirono un mulino per macinare il grano e un forno per cuocere il pane. Dopo cercarono acquirenti nei dintorni e soprattutto a L'Avana, dove la vendita di farina era assicurata, grazie alla presenza di molti europei, dato che il pane era il primo alimento che mancava agli spagnoli, francesi e portoghesi quando arrivavano a Cuba.
Nieves era una ragazza allegra e gioviale.
Amava il marito e all'inizio le andava bene qualsiasi cosa lui decidesse, ma accettò mal volentieri il fatto di dover lasciare la sua città e la sua famiglia, poiché aveva sempre sognato una vita tranquilla nel quartiere madrileno di Lavapiés, dove era nata. Quando arrivarono a Cuba, dovette adattarsi a così tante cose nuove che non ci pensò più alla sofferenza che all’inizio aveva sentito per essersi allontanata da genitori e fratelli.

Divenne la signora Hernández, ma lei rimase la ragazza di Lavapiés. Due donne la aiutavano in cucina e nelle faccende domestiche, fu con loro che iniziò a sfornare pagnotte per tutto il personale della fattoria.
Da quando Mariano
era arrivato alla tenuta Esperanza, scriveva meno lettere alla madre, ma quando vedeva che era passato un mese dall'ultima, cercava di farlo. Gli capitava spesso di iniziare una lettera e di lasciarla a metà per il giorno successivo. Anche se ogni sera si sedeva per finire la lettera, non riusciva a scrivere quasi niente, si addormentava da quanto era stanco. Non gli piaceva scrivere lettere brevi alla madre, ma si consolava mentre si diceva che sarebbe stato peggio non scrivere affatto. Una sera, dopo una giornata difficile, in cui uno dei lavoratori si era ferito a un piede con l'aratro e dovette essere portato all’ospedale di Pinar del Rio per fermare l'emorragia, era insonne e iniziò a scrivere una lunga lettera alla madre. L'adrenalina scorreva ancora nel suo sangue e mentre scriveva gli tornò in mente la scena del poveretto che urlava e si disperava, poiché la ferita era molto profonda e avevano dovuto amputargli il piede.

Las Ovas 20 ottobre 1881
Cara madre,
spero che quando lei leggerà questa lettera, tutti in famiglia stiate bene. Anch'io, grazie a Dio, sono in buona salute. Come vi ho detto nella mia ultima lettera, adesso, oltre a essere in società con i tre bottegai di Barcelona, lavoro in una fattoria vicino a Pinar del Rio; mi hanno assunto per la semina del grano. Non dovete pensare che io debba lavorare la terra, devo solo gestire un gruppo di braccianti, non che sia facile comandare tanti uomini e donne, la maggior parte sono neri, ma non sono schiavi. Ángel, il mio padrone, molto tempo fa, diede loro la libertà. Mi occupo anche della contabilità, perché il mio padrone non ne capisce nulla di conti. Il mio lavoro si basa più sulla coordinazione che sulla fatica fisica e finora tutto sta andando bene.
Ángel e Nieves, sua moglie, sono molto gentili con me. Vivo in una piccola cas
etta bianca accanto alla villa. I genitori di Ángel erano molto ricchi, avevano piantagioni di tabacco, ma da quando lui è andato a studiare a Madrid, dove ha conosciuto Nieves, non ha più voluto avere a che fare con il tabacco. Abbiamo diviso la proprietà in piccoli appezzamenti dove coltiviamo cereali a rotazione. Ángel venne a sapere della rotazione quando era in Europa, lui dice, e ha assolutamente ragione, che la terra si impoverisce se si coltivano sempre le stesse piante, bisogna cambiare ogni quattro anni. 
È un lavoro che mi piace molto, perché Ángel mi ha dato carta bianca per il rinnovo delle colture.

Nieves è di Madrid e, come me, sente la mancanza della Spagna. Parliamo spesso del nostro Paese. Ha ventitré anni e un figlio piccolo molto vivace, con cui spesso giocherello dopo cena e mi tornano in mente i miei fratelli.
Il clima
di Pinar del Rio è simile a quello de L'Avana, ma grazie a Dio è più ventilato e si sente meno l'afa. Mangiamo molto bene, abbiamo un orto dove abbiamo piantato melanzane, carote, peperoni, lattughe e pomodori. A volte io preparo una "escalibada" come quelle che faceva lei e mentre la assaporo mi ricordo di voi tutti seduti a tavola in cucina.
Vorrei
ritornare a Malgrat, lo farò appena possibile, forse tra un paio d'anni, adesso che la guerra è finita tutto sarà più facile. Ma, come lei può capire, in questo momento non posso lasciare un lavoro così buono. Devo cogliere l'attimo. Allego alla lettera una foto che mi sono fatta fare a L'Avana. Vi penso sempre. Mi saluti mio padre e i miei fratelli. Ho nostalgia di Malgrat, della nostra casa e di tutti voi. Non so cosa darei per passare un po' di tempo con voi.
Un abbraccio da vostro figlio che vi
vuole bene.
Mariano Defaus Moragas

Nel secondo anno costruirono un forno non solo per i vasi di terracotta, ma anche per la produzione di tegole e mattoni. Gli uomini si occupavano di procurare l'argilla e la legna e di accendere il fuoco, le donne di modellare e cuocere il vasellame. Furono costruite nuove stalle, demolite le baracche e costruite nuove casette per i braccianti, piantarono alberi di alto fusto e seminarono, oltre al grano, mais e patate e quando iniziarono a raccogliere i frutti di quell'intenso lavoro, Ángel Hernández si ammalò.

- Mariano, sto morendo, promettimi che ti prenderai cura di mia moglie e di mio bambino, gli disse Ángel.
- Il medico ha detto che
stai guarendo, che la tua malattia non è sempre mortale, inoltre sappiamo che negli Stati Uniti stanno producendo un vaccino, disse Mariano, per incoraggiarlo.
- Mariano, ho studiato medicina in Europa, anche se non ho mai esercitato, so che molte malattie, soprattutto quelle che
gli spagnoli hanno portato a Cuba, sono mortali. Il vaiolo è una di queste.
- Non
essere così pessimista.
- Il vaccino contro il vaiolo non è ancora pronto a Cuba, lo stanno sperimentando, non prendiamoci in giro, rispo
se Ángel determinato.
- La speranza è l'ultima a morire,
sarà per questo che i tuoi antenati diedero il nome di Esperanza alla fattoria, non credi?
Nieves era molto
preoccupata per la malattia del marito e non riusciva a immaginare una vita senza di lui al suo fianco. Era molto impegnata con il neonato e lasciò che Mariano, l'unico dei lavoratori della fattoria che aveva avuto il vaiolo da bambino, rimanesse al capezzale del marito.
Il vaccino americano non arrivò
in tempo e Ángel morì all'inizio del 1884, sei mesi prima della produzione e distribuzione del vaccino antivaioloso da parte del Centro General de la Vacuna de Cuba. Nella fattoria, il vaiolo provocò anche la morte di un caposquadra, di quattro braccianti, del cuoco e di una manciata di bambini.
La morte di Ángel fu un duro colpo
sia per Nieves che per Mariano. Erano entrambi affranti da quella perdita, ma dopo due settimane, che furono eterne per loro, Nieves reagì e disse a Mariano:
- È inutile piangere e disperarsi, dobbiamo
portare a termine il progetto di Ángel, io devo farlo per mio figlio.
- Ti aiuterò, non ti abbandonerò. Ma i vicini della
fattoria e i conoscenti di Pinar del Río cominceranno a mormorare sulla nostra situazione: una vedova e il socio del defunto marito che vivono sotto lo stesso tetto.
- Non mi è mai importato quello che la gente dice, ma se sei d'accordo, tra dieci mesi potremo sposarci, così nessuno
sparlerà di noi.
Mariano rimase senza parole, non si aspettava che Nieves
gli proponesse il matrimonio. Arrossì e disse:
- Darei la mia vita per te e per il piccolo Ángel. Se pensi che sia la cosa migliore per
voi e per la fattoria, io sono disposto ad accettare tutto ciò che vorrai.
-
Sarà una cerimonia semplice e non siamo obbligati a condividere lo stesso letto.
- Nieves,
io ti voglio bene come una sorella, la mia intenzione è quella di proteggere te e tuo figlio e di realizzare il progetto di tuo marito.

All'inizio dell'autunno del 1884 Nieves Herrera e Mariano si sposarono. Nieves si recò da Mosén Lluís, un sacerdote catalano della chiesa della Consolación del Sur di Pinar del Rio, che conosceva bene la famiglia del marito, per chiedergli di celebrare il matrimonio. Invitarono allo sposalizio tutti i lavoratori della fattoria e alcuni amici. I tre bottegai chiusero per la prima volta il loro negozio de L’Avana e si recarono alla tenuta Esperanza due giorni prima del matrimonio. Anche Miguel e il capitano, sbarcati a L'Avana qualche giorno prima, riuscirono a partecipare. María Plana e Ramón Valls, suo marito, arrivarono all’alba con un carro pieno di carne di vitello e di toro, la migliore della loro azienda, che lasciarono in cucina per l’arrosto del banchetto. Poche ore prima del matrimonio arrivò anche Isabel. Felipe y Olivia sbucarono fuori al momento della cerimonia.

Nieves e Mariano erano felici, avevano riunito tutti i loro amici del Nuovo Mondo, mancava solo la loro famiglia di Malgrat e quella di Madrid. I braccianti della fattoria indossarono i loro abiti migliori per partecipare alla cerimonia, ma molti dovettero rimanere fuori, poiché la cappella era sovraffollata. Nel giardino della tenuta furono allestiti i tavoli e le sedie per il banchetto. Per prima cosa furono cotte alle brace grandi quantità di carne, pesce, verdure, pannocchie di mais e banane, e furono sfornate decine di pagnotte di pane, diverse pentole di fagioli, ceci e riso, poi affettarono formaggi, prosciutti e diversi tipi di frutta tropicale, che venne sistemata in grandi vassoi di terracotta. 

Quando cominciarono ad arrivare gli ospiti furono stappate numerose bottiglie di vino e di rum. I tre bottegai non smisero di bere e di intrattenere gli ospiti con le loro solite battute e fecero tanta baldoria. I lavoratori e la servitù organizzarono canti e balli cubani per gli sposi e per prima volta, dopo l’arrivo della piaga, nella fattoria Esperanza regnò di nuovo il buon umore.




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