giovedì 25 maggio 2023

La traversata atlantica - Cap. 3 (in italiano)

 


Varcarono lo Stretto di Gibilterra col mare grosso. Il vento soffiava forte, le onde erano grandi con creste di schiuma bianca. La maggior parte dei passeggeri lasciò il ponte per proteggersi dalla pioggia.

Per molti passeggeri la traversata stava diventando insopportabile e la cabina era l’unico luogo per non farsi vedere in quella brutta situazione. Quelli di prima classe, nei giorni di tempesta, nonostante sapessero che stare rinchiusi all'interno della nave era un modo sicuro per intensificare gli effetti del mal di mare, uscivano raramente dai loro confortevoli alloggi. Quelli di seconda e soprattutto quelli di terza, che dormivano ammucchiati nelle cuccette, invece salivano ogni tanto sul ponte per prendere una boccata d'aria fresca e quindi soffrivano meno di mal di mare e senza dubbio la sala da pranzo della nave era il luogo dove fraternizzare con gli altri viaggiatori e con il Capitano. In quei giorni di pioggia, il farmacista Sarrá e il Capitano conversarono a lungo con Mariano Defaus Moragas, seduti intorno a un tavolo.

Mariano era un ragazzo di bella presenza, non molto alto, di capelli rossicci e con gli occhi azzurri. Nonostante le continue burrasche, trascorreva molto tempo a guardare il mare, protetto dal suo lungo cappotto.
Ci vollero alcuni giorni per raggiungere le Isole Canarie. Nel porto di Santa Cruz de La Palma Mariano vide un gruppo di bambini che stava pescando e che ogni tanto buttava delle pietre e prendeva a calci dei grandi pesci.
- Che tipo di pesci sono? Sono squali? Domandò Mariano al farmacista.
- Non saprei, gli squali stanno lontani dalla costa e cercano sempre di nuotare in acque profonde e aperte, ma di tanto in tanto si avvicinano ai porti.
- E sono pericolosi?
- Non avere paura, è difficile essere attaccati da uno squalo. Quelli lì mi sembrano innocui, potrebbero essere pesci martello.

Appena ormeggiati sul porto di Santa Cruz, il capitano tornò a casa per trascorrere un paio di giorni con moglie e figli e lasciò il comando della nave nelle mani di Miguel Gutiérrez Marín, il giovane primo ufficiale. Prima della partenza, Miguel ottenne un permesso di qualche ora per visitare la madre che viveva in una casupola vicino al molo.
Mariano non scese dalla nave, rimase immobile sul ponte alcune ore, osservando l'andirivieni delle navi nel porto. Passò le lunghe giornate a parlare con Miguel, dato che la maggior parte dei passeggeri, dopo il trambusto del mal di mare, aveva lasciato la nave in modo da godersi la terraferma.
- Come mai trasportano così tante cassette di cipolle?

- Le cipolle vengono coltivate sull'isola da diversi anni e per questo motivo ne vengono trasportate grandi quantità alle Antille spagnole, dove il loro consumo è notevole, rispose Miguel.
- Non avrei mai immaginato un commercio così intenso tra La Palma e Cuba.
- Questo commercio non solo avviene legalmente, ma lascia anche la porta aperta a un po' di contrabbando, in genere la merce viene imbarcata o sbarcata nei piccoli porti del nord dell'isola, ma non dire al capitano che ti ho raccontato tutto questo.
- Non si preoccupi, terrò la bocca chiusa. Suppongo che a Cuba ci siano diversi abitanti provenienti dalle isole Canarie, vero?
- Cuba è zeppa di persone originarie delle Canarie e ti dirò di più, i cubani parlano come noi. Se La Palma è la nostra terra d'origine, Cuba è per molte famiglie di queste isole una patria amata. Lì abbiamo genitori, fratelli e sorelle e amici, che condividono le nostre gioie e i nostri dolori e un sentimento simile si risveglia nei nostri cuori, rallegrandoci per la prosperità di quella terra lontana e rattristandoci per le sue disgrazie.

- Miguel, lei parla molto bene, è un grande oratore.
- Ti prego dammi del tu. Da ragazzo lavoravo per un giornale di La Palma, El grito del pueblo. Sono entrato come fattorino, ma per fortuna dopo un po’ mi hanno dato l'opportunità di scrivere alcuni articoli. Il quel periodo mio padre, che faceva parte dell'equipaggio di questa nave, è morto in un'imboscata dei pirati. Il capitano, gli ufficiali, l'equipaggio e alcuni passeggeri combatterono coraggiosamente e salvarono la nave, ma purtroppo alcuni di loro morirono. Il capitano pregó l'armatore di assumermi. Ho dovuto lasciare il mio umile lavoro nel giornale e, come puoi vedere, ora sto navigando per il mondo.
- Non ci posso credere che ci siano ancora dei pirati.
- Ne sono rimasti pochi, non ti preoccupare. C'erano anche pirati e corsari delle Canarie, ma non dire nemmeno questo al Capitano.
- Vai d'accordo col capitano?
- Sì, anche se sembra scontroso, è una bravissima persona. Sa comandare, senza essere cattivo. Mio padre gli parlava sempre di me e dei miei fratelli. Si stimavano e rispettavano, per questo quando sono rimasto orfano mi ha procurato questo lavoro con cui mi guadagno da vivere e aiuto mia madre, la quale vende pesce in una bancarella con i miei zii, ma stenta a crescere i miei quattro fratelli.
Mariano raccontò a Miguel le sue sventure e da quel giorno diventarono amici. Un pomeriggio, in cui gli alisei soffiavano forte e la nave navigava spedita, Mariano disse al farmacista di aver confidato al giovane ufficiale di essere un fuggiasco.

- Ormai la cosa è fatta, ma non dire più a nessuno che sei fuggito dalla Spagna per non andare in guerra. Non si sa mai!
Mariano gli promise che non ne avrebbe
parlato con nessun altro, né sulla nave né arrivati a Cuba.
Pedro, il più giovane dei tre fratelli con cui Mariano
condivideva la cabina, il giorno stesso in cui si lasciarono alle spalle le Isole Canarie, gli domandò:
- E tu, Mariano, perché non scendi mai dalla nave?
- Mi vergogno a dirtelo...
È che per adesso non ho un soldo, ma quando arriverò a Cuba riscuoterò una certa somma da uno dei creditori di mio padre, gli disse Mariano, arrossendo un po' per la bugia che stava dicendo.
- Perché non me l'hai detto
prima? Ti avrei anticipato dei soldi per sbarcare a Santa Cruz, dove tutto è a buon mercato. Abbiamo dormito in una pensione vicino al porto, i cui padroni sono persone molto gentili. L’oste è un'ottima cuoca, ci ha preparato una sopa di picadillo, un maialino arrosto e il giorno dopo abbiamo mangiato vari tipi di pesce prelibato, con patatas arrugadas e ci siamo rimpinzati di banane cotte. Ah, dimenticavo, il vino rosso de La Palma è molto buono. Cosa ti sei perso, ragazzo mio! A proposito, che farai quando arriverai a Cuba?
- Il s
ignore Sarrá vuole che diventi il suo aiutante di farmacia, ma io vorrei cercare di inserirmi nel mondo del commercio.
-
Abbiamo un appuntamento all’Avana con un bottegaio di Mataró, cugino di un nostro vicino di casa di Barcellona, il quale vuole vendere la licenza del suo negozio perché ha deciso di ritornare nella sua città natale, sembra che i Tropici non facciano bene alla sua salute. La sua è una bottega di generi alimentari, ma si occupa anche della vendita di cereali da semina. Speriamo che non prendere una fregatura!
- Se è un cugino del
vostro vicino di casa, non credo che voglia truffarvi, disse Mariano.
- I miei fratelli dicono che bisogna stare attenti. Sono pi
uttosto sospettosi e per adesso non hanno intenzione di entrare in società con nessuno. Io invece mi fido di te, abbiamo trascorso diverse settimane insieme e sono sicuro che sarai all’altezza quando si tratterà di fare affari. Giocando con te a carte ho notato che sei sveglio e che non imbrogli mai. Se concludiamo un buon affare con il bottegaio di Mataró, cercherò di convincere i miei fratelli a farti diventare socio della nostra attività.
- Ti sono molto grato, Pedro. Ho un po' di esperienza nel commercio delle sementi, dato che mio padre
da diversi anni gestisce una piccola azienda commerciale che porta il suo nome, Semillas José Defaus Ballesté. Beh, fatemi sapere se avete bisogno di un socio.
Mentre Mariano e Pedro
stavano sognando un futuro prospero, il secondo ufficiale arrivò gridando:
-
Al ladro, al ladro!
- Ma
cosa sta succedendo? Dissero insieme.
- S
embra che ci siano dei clandestini a bordo. Hanno rubato nella cabina dei signori Valls. Controllate tutti i vostre averi per essere sicuri di non essere stati derubati.
Mariano cominciò a sudare, pen
sando alle sue monete d'argento, che stanco di portarle appresso, qualche giorno prima le aveva nascoste in una fessura dellarmadio della cabina, ma non poteva dirlo a Miguel in presenza di Pedro.
In pochi secondi i suoi piani si sgretolarono ed egli ricordò
il racconto della lattaia, quello che Teresa Moragues Gibert, sua madre, gli raccontava da piccolo:

La giovane lattaia uscì dalla fattoria per andare a vendere il latte appena munto, prese la strada più breve per la città. Andava a passo spedito e la sua mente non smetteva mai di rimuginare. Continuava a pensare a come avrebbe investito il denaro che avrebbe ricavato dalla vendita del latte.
- Comprerò una dozzina di uova, quando i pulcini
nasceranno li scambierò con un maialino di latte, lo alleverò e diventerà un maiale enorme che scambierò con un vitello e poi .......
La ragazza era così assorta che non si accorse che c’era un sasso in mezzo al sentiero, inciampò e cadde. La sua brocca si ruppe in mille pezzi, il latte si rovesciò e i suoi sogni svanirono.

Mariano deglutì e, sforzandosi di sembrare calmo, disse all'ufficiale:
-
Ti aiuterò a dare la caccia ai ladri.
- Andiamo a cercar
li in cantina dove potrebbero essere nascosti.
-
Verrò anch’io con voi, ma prima voglio andare in cabina per avvertire i miei fratelli e controllare se siamo stati derubati, disse Pedro.
-
Ti aspettiamo giù.
Mentre scendevano, Mariano pregò Miguel di aiutarlo a recuperare le monete d'argento.
- È l'unica
risorsa che ho per iniziare la mia nuova vita.
- Non preoccuparti, li
acchiapperemo, ma che stupidi questi ladri, rubare durante la traversata è come chiudersi in gabbia e buttare via la chiave! Di solito i furti avvengono quando attracchiamo nei porti.
- Anche a me sembra una cosa stupida, ma forse quando si è disperati e si muore di fame si fanno
sciocchezze gli disse Mariano.
- Segui
mi e non ti preoccupare, troveremo i briganti.
- Miguel, una volta recuperato il bottino, promettimi che i ladri
non saranno uccisi, lo pregò Mariano.
- Non
temere, li chiuderemo nella gattabuia, disse Miguel.
Dopo pochi minuti arrivarono di corsa il capitano, il farmacista Sarrá e il signor Valls.
- Abbiamo trovato la cassa
forte, mia moglie l'aveva nascosta senza dirmelo. Mi dispiace di aver dato l'allarme, disse il signor Valls quasi senza respiro.
-
Era da immaginarselo, per quanto mi ricordi non c'è mai stata una rapina durante la traversata, sarebbe una follia, commentò il capitano.
I tre
fratelli raggiunsero il gruppo facendo un gran chiasso e dicendo di non essere stati derubati.

Il capitano, felice di aver evitato il peggio, invitò Mariano e i suoi compagni di cabina a cena al suo tavolo. Tutti si divertirono chiacchierando, scherzando e ridendo al ricordo della faccia spaventata del signor Valls quando scoprì che il suo cofanetto era scomparso, ma quelli che si divertirono di più furono i tre negozianti di Barcellona che mangiarono, bevvero e cantarono come mai in vita loro.
Andarono tutti a letto un po’ alticci, i tre fratelli si addormentarono subito, ma Mariano non riusciva a prendere sonno, pensava continuamente a come avrebbe dovuto fare per guadagnarsi da vivere.
Prese un foglio di carta, una penna e un calamaio per scrivere una lettera alla madre, ma prima di farlo compilò un elenco:

Uno, devo stare più attento al mio denaro, devo portarlo sempre con me e quando arriverò all'Avana devo depositarlo in banca.
D
ue, sarebbe auspicabile riconoscere le persone fidate ed evitare i truffatori.
Tre, dovrei bere poco, un ubriaco dice sempre delle sciocchezze e si può mettere nei guai.
Quattro, bisogna stare attenti e tenere gli occhi ben aperti durante le risse.
Cinque, devo cercare di imparare dalle persone che stimo.

Sei, non voglio perdere le buone amicizie che ho fatto sulla nave.
Sette, sarebbe meglio procedere con cautela prima di mettersi in affari con altri.
Otto, dovrei smetterla di sognare continuamente di investire le mie monete.
N
ove, non voglio dimenticare la mia famiglia .........

Mentre scriveva l'ultima frase gli si stavano chiudendo gli occhi. Si alzò e decise che avrebbe scritto la lettera a sua madre il giorno successivo. Si sdraiò di nuovo sulla branda, un po’ più rilassato. Quella notte non ebbe bisogno di coprirsi le orecchie con la sciarpa per non sentire il russare di Pedro e dei suoi fratelli, dopo pochi minuti si addormentò.
Le ultime settimane di navigazione attraverso l'Atlantico furono più tranquille di quanto tutti si aspettassero. Non ci furono grandi tempeste e arrivarono all'Avana un giorno prima del previsto.










lunedì 15 maggio 2023

La travesía atlántica - Cap. 3 ( en español)

 


Cruzaron el estrecho de Gibraltar con mar gruesa. El viento soplaba a ráfagas, las olas eran grandes con crestas de espuma blanca. La mayor parte de los pasajeros fue dejando la cubierta para protegerse de la lluvia.

La travesía para muchos viajeros se iba volviendo insoportable, el camarote era el sitio ideal para que nadie los viera vomitar. Los pasajeros de primera clase durante los días de tormenta, a pesar de que supieran que estar enjaulados dentro del barco era una manera segura de intensificar los efectos del mareo, salían poco de sus aposentos. En cambio, los de segunda y sobre todo los de tercera, que dormían amontonados en literas, subían de vez en cuando a la cubierta para tomar un poco de aire fresco, mareándose mucho menos. Todos compartían una categoría, los de primera nunca se mezclaban con las clases inferiores. Sin lugar a dudas, el comedor del barco era el lugar donde confraternizar con los otros viajeros y con el capitán. En aquellas jornadas de lluvia, el farmacéutico Sarrá y el Capitán entablaron largas conversaciones con Mariano, sentados alrededor de una mesa.

Mariano era un muchacho bien plantado, no muy alto, de pelo rojizo y de profundos ojos azules. A pesar del viento y del grande oleaje, transcurría mucho tiempo mirando el mar, resguardado por su abrigo negro.

Tardaron algunos días en llegar a las islas Canarias. En el puerto de Santa Cruz de La Palma, Mariano vio a un grupo de niños que pescaba. De vez en cuando daban patadas o tiraban piedras a unos peces muy grandes, y le preguntó al farmacéutico:

- ¿Qué tipo de peces son? ¿Son tiburones?

- No sé, los tiburones se mantienen alejados de la costa, en aguas abiertas y profundas. Pero de vez en cuando se acercan a los embarcaderos.

- ¿Y son peligrosos?

- No temas, es difícil ser atacado por un tiburón. Esos me parecen inofensivos, quizás sean peces martillo.

Cuando amarraron en el puerto de Santa Cruz, el Capitán volvió a su casa para pasar dos días con su esposa e hijos y dejó el mando del navío en manos de Miguel Gutiérrez Marín, el joven primer oficial. Miguel, antes de partir, obtuvo un permiso de algunas horas para ir a visitar a su madre, que vivía en una casucha cerca del muelle.

Mariano no se bajó del barco, se quedó largas horas en la cubierta observando embobado las idas y venidas de los navíos del puerto. Pasó aquellos días hablando con Miguel, pues la mayor parte de los pasajeros, después de tanto ajetreo y mareos, había dejado el barco para disfrutar la tierra firme.

- ¿Cómo es que cargan tantas cajas de cebollas?

- Hace ya varios años que en la isla se cultivan cebollas y la mayor parte son para las Antillas españolas, le contestó Miguel.

- Nunca me habría imaginado tanto tráfico comercial entre La Palma y Cuba.

- Este comercio no solamente se produce de manera legal, sino que también deja abierta la puerta a cierto contrabando. Generalmente, la mercancía se embarca o desembarca en los puertos pequeños del norte de la isla, pero no se lo digas al capitán que te he contado todo eso.

- No se preocupe, tendré la boca cerrada. Supongo que hay muchos canarios en Cuba, ¿no?

- Sí, Cuba está abarrotado de canarios y te voy a decir más, los cubanos hablan como nosotros.

Miguel se alejó un poco del parapeto y dijo gesticulando:

Si la Palma es nuestro suelo natal, Cuba es para muchas familias de estas islas elhogar querido. Allí tenemos padres, hermanos y amigos que participan de nuestras alegrías lo mismo que de nuestros sinsabores y un sentimiento análogo se despierta en nuestros pechos, alegrándonos con las prosperidades de aquel suelo lejano y entristeciéndonos con sus desgracias.

- Miguel, usted habla muy bien. Es todo un orador.

- Por favor, tutéame. Cuando era chiquillo estuve trabajando en un periódico palmero, El grito del pueblo. Al principio era el muchacho de los recados, pero poco a poco me dejaron escribir algún que otro artículo, que todavía me los sé de memoria.

Mientras cenaban, Miguel le contó que su padre era un miembro de la tripulación de aquel buque. Murió en una emboscada pirata. El capitán, los oficiales, la maestranza, y algunos pasajeros lucharon con valentía y salvaron el velero, pero desgraciadamente algunos de ellos murieron. Fue el capitán quien le pidió al armador de la embarcación que lo contratara.

- Siento lo de tu padre. ¡Malditos piratas!

- No te preocupes. Ya quedan pocos. También había piratas y corsarios canarios, pero eso tampoco se lo digas al Capitán.

- ¿Te llevas bien con el Capitán?

- Sí, aunque parezca hosco, es muy buena persona. Sabe mandar, sin ser malo.

- Eso está bien.

- Sí, además gano bastante bien y puedo enviarle dinero a mi madre. La pobre se las apaña vendiendo pescado. Pero no da abasto. Tiene que dar de comer a mis cuatro hermanos.

Mariano le contó a Miguel sus desventuras y desde aquel día se hicieron amigos. Una tarde en que soplaban con fuerza los vientos alisios y el barco navegaba con furor, Mariano le comentó al farmacéutico que le había revelado al joven oficial que era un fugitivo.

- Ahora ya está hecho. ¡Miguel me parece un chico de fiar! Pero no le cuentes a nadie más que huiste de España. ¡No se sabe nunca!

Mariano le prometió que no hablaría jamás de ello con nadie, ni en el barco ni en Cuba.

Pedro, el menor de los tres hermanos con los que Mariano compartía camarote, justo el día en que dejaron las islas Canarias atrás, le preguntó:

- ¿Y tú Mariano, por qué no te bajas nunca del buque?

- Me da vergüenza decírtelo... es que... hoy por hoy no tengo ni un duro. Pero cuando llegue a Cuba voy a cobrar una cierta cantidad de un acreedor de mi padre, le contestó Mariano, enrojeciendo un poco por la mentira que estaba diciendo.

- ¿Por qué no me lo dijiste? Yo te hubiera adelantado un poco de dinero para desembarcar en Santa Cruz de la Palma. Allí todo era muy barato. Dormimos en una pensión humilde, pero los hosteleros eran gente muy maja. La dueña era una excelente cocinera, nos hizo una sopa de picadillo y un cochinillo asado buenísimos. Al día siguiente comimos pescado con papas arrugadas, todo estaba riquísimo. ... y nos hartamos de plátanos cocidos. ¡Ah! Se me olvidaba el buen vino tinto palmero. ¡Lo que te perdiste, muchacho! ¿Por cierto, qué vas a hacer cuando llegues a Cuba?

- El señor Sarrá quiere que sea su ayudante de farmacia, pero yo quisiera dedicarme al comercio.

- Cuando lleguemos a La Habana, mis hermanos y yo tenemos una cita con un tendero de Mataró, un primo de un vecino nuestro de Barcelona, para que nos traspase su tienda de comestibles, pues él quiere volver a su ciudad natal, dice que no le prueba el Trópico. Es un colmado donde se vende de todo, incluso semillas para la siembra. ¡Esperemos que no haya gato encerrado!

- ¡Un primo de vuestro vecino no os va a timar! Le sentenció Mariano.

- Mis hermanos dicen que hay que andar con los pies de plomo. Ellos son más desconfiados que yo y por ahora no hablan de añadir socios. Yo, en cambio, confío en ti, hemos pasado varias semanas juntos y estoy seguro de que no te va a temblar el pulso a la hora de negociar. Jugando a las cartas he notado que eres listo y que no haces trampas. Si cerramos un buen trato con el tendero de Mataró, intentaré convencer a mis hermanos.

- Te lo agradezco mucho, Pedro. Tengo un poco de experiencia en el comercio de semillas, mi padre hace varios años fundó una pequeña empresa comercial llamada Granos y semillas José Defaus Ballesté. Bueno, ya me avisarás si sale algo.

Mientras Mariano y Pedro soñaban con un futuro próspero, llegó el segundo oficial gritando:

- ¡Al polizón, al polizón!

- ¿Pero qué ocurre, Miguel?

- Hay polizones a bordo. Han robado en el camarote de los señores Valls. Registrad vuestras talegas para ver si los rateros os han desplumado.

Mariano empezó a sudar, pues pensó en las monedas de plata que le habían entregado sus padres, cansado de llevarlas encima, pocos días antes las escondió en una grieta del armario del camarote. No podía decírselo a Miguel mientras Pedro estuviera allí.

En pocos segundos sus proyectos se desmoronaron y recordó el cuento de La lechera, el que a menudo le contaba su madre:


La joven lechera salió de la granja para ir a vender la leche recién ordeñada, tomando el camino más corto para el pueblo. Iba a paso ligero y su mente no dejaba de trabajar. No hacía más que darle vueltas a cómo invertiría las monedas que iba a conseguir con la venta de la leche.

- Compraré una docena de huevos, cuando nazcan los pollitos los cambiaré por un lechón, criaré un cerdo enorme que cambiaré por una ternera y luego...

Tan ensimismada iba la muchacha que se despistó y no se dio cuenta de que había una piedra en medio del camino, tropezó y cayó de bruces al suelo. Su cántaro se rompió en mil pedazos, la leche se desparramó y sus sueños se volatizaron.


Mariano tragó saliva y, esforzándose para parecer tranquilo, le dijo al oficial:

- Te voy a ayudar a cazar a los ladrones.

- Vayamos a registrar la bodega donde quizás se escondan.

- Iré con vosotros, pero primero voy a pasar por nuestro camarote, para ver si nos han robado y avisar a mis hermanos, les dijo Pedro.

- Te esperamos en la quilla.

Mientras bajaban, Mariano le rogó a Miguel, que lo ayudara a recuperar sus monedas de plata.

- Es lo único que tengo para empezar mi nueva vida.

- No te preocupes, los vamos a detener. ¡Pero qué tontos que son esos ladrones! ¡Robar durante la travesía, es cómo encerrarse en una jaula y tirar la llave! Hay robos sólo cuando atracamos en el muelle.

- A mí también me parece una estupidez, pero quizás cuando uno está desesperado y muerto de hambre comete tonterías, le dijo Mariano.

- Sígueme, vamos a encontrar a esos desgraciados.

- Miguel, una vez recuperado el botín, prométeme que no mataréis a los rateros, le suplicó Mariano.

- No temas, no les haremos nada, los encerraremos en el calabozo, dijo Miguel.

Al cabo de pocos minutos llegaron corriendo el Capitán, el farmacéutico Sarrá y el señor Valls.

- Hemos encontrado el cofre, lo había escondido mi mujer, sin avisarme. Siento haber dado la alerta, dijo sofocado el señor Valls.

- ¡Ya me parecía a mí! Que yo recuerde, jamás se ha cometido un robo durante la travesía, sería una cosa descabellada, comentó el Capitán.

Pau, Pepe y Pedro, los tres tenderos, alborotados, alcanzaron al grupo, diciendo que a ellos no les faltaba nada.

El Capitán, contento de que se hubiera evitado aquel percance, invitó a Mariano y a sus compañeros de camarote a cenar en su mesa. Se lo pasaron muy bien charlando, bromeando y riendo al recordar la cara de espanto del señor Valls, cuando descubrió que había desaparecido su caja de caudales. Sin embargo, los que más disfrutaron fueron Pau, Pepe y Pedro que cantaron, comieron y bebieron como nunca.

Se acostaron todos alegres. Los tres hermanos se durmieron enseguida, en cambio, Mariano no lo conseguía, le daba vueltas y más vueltas a cómo podía ganarse la vida.

Cogió una hoja de papel, pluma y tintero y se dispuso a escribir una carta a su madre; sin embargo, antes hizo una lista:


- Tengo que tener más cuidado con mi dinero, he de llevarlo siempre encima y al llegar a La Habana ingresarlo en el banco.

- Voy a ir despacio en los asuntos de negocios. Sería mejor que dejara de soñar, no quiero que me pase como a la lechera.

- He de reconocer a la gente de fiar y evitar a los cantamañanas. Al principio es mejor que les deje hablar y que yo esté callado.

- Hay que beber poco, un borracho siempre hace tonterías. Y hay que estar alerta y con los ojos bien abiertos cuando hay barullo y peleas.

- He de procurar aprender de las personas que aprecio.


Y mientras escribía la última frase, se le iban cerrando los ojos. Se levantó, se dijo que la carta a su madre la iba a escribir al día siguiente y guardó el papel y la pluma. Se echó de nuevo en la litera, ya más sosegado. Aquella noche no necesitó taparse con la bufanda las orejas para no oír los ronquidos de los tres hermanos, pues se durmió inmediatamente.

Cuando les faltaba una semana para llegar a Cuba, Mariano se armó de valor y una noche después de cenar le pidió a María una cita para verse a solas, María aceptó y al día siguiente se encontraron en la cubierta. Pasaron toda la noche hablando y antes de despedirse, Mariano le dio la dirección de la farmacia Sarrá y ella la de la finca de sus dueños y prometieron escribirse.
Los últimos días de navegación por el Atlántico fueron más tranquilos de lo que todo el mundo se esperaba. No hubo grandes tormentas y llegaron a La Habana un día antes de lo previsto.











venerdì 12 maggio 2023

L'imbarco - Cap. 2 (in italiano)

 


Mariano era arrivato a Barcellona alle otto di sera, era andato a piedi dalla stazione di Francia al Port Vell. Sebbene il suo bagaglio fosse leggero, di tanto in tanto si fermava a cambiare la valigia di mano. Raggiunse il Paseo Isabel II prima del previsto e si sedette su una panchina davanti al ristorante Les set portes. Stette a lungo a guardare la facciata e ogni volta che si apriva una delle porte dava un'occhiata all'arredamento del moderno ristorante. Alle nove in punto si fermò davanti al ragazzo un uomo sulla quarantina, vestito con un abito grigio in modo impeccabile e disse:
- Tu sei Mariano Defaus Moragas, vero?
- Sì signore, sono il figlio maggiore di José Defaus Ballesté di Malgrat. Lei è José Sarrá Catalá?
- Proprio io. Entriamo, ho prenotato un tavolo. Senti, puoi lasciare la valigia al capo sala così te la tiene lui.
- Grazie per tutto quello che sta facendo per me. Vorrei pagarle subito il biglietto della nave e restituirle la somma di denaro che ha dovuto tirare fuori per sistemare i miei documenti, disse Mariano al signore con barba e occhialini.
- Non ti preoccupare sulla nave avremo molto tempo per mettere a posto i nostri conti. Questa mattina sono andato alla caserma della Guardia Civil, lì ci lavora un ufficiale che ho conosciuto durante il servizio militare, il povero uomo da quando è rimasto storpio è diventato un umile impiegato. Mi ha aiutato in tutto ciò che ha potuto. Voglio che tu sappia che non ho corrotto nessuno e che non è stato falsificato alcun documento. Ecco qua il tuo salvacondotto e il tuo biglietto.
- Le sono molto grato.
- Ti ha salvato il fatto che hai appena compiuto diciassette anni, in caserma stamattina avevano solo la lista dei soldati richiamati dai diciotto anni in su.
- Significa che oggi posso viaggiare e che forse domani non avrei potuto?
- Sì, ce l'abbiamo fatta per un soffio. Da domani sarai un disertore, ma noi saremo già in mare.
- Spero che tutto vada bene.
- Non essere in pena! Non ti succederà niente al mio fianco. La tua cabina è di seconda classe, la mia è di prima, ho dovuto fare così perché non sospettassero di noi, ricordati che d’ora in avanti tu sarai il garzone della farmacia Sarrá dell'Avana.
Scelsero un tavolo vicino a una delle porte. Mariano rimase estasiato guardando i mobili, le lampade e il pavimento a scacchi. Di sera quel posto gli sembrava ancora più bello della volta in cui c’era stato a pranzo con suo padre un anno prima.
Mariano si sentiva come ubriaco per tutte quelle emozioni. Si imbarcarono alle undici e mezza, ma la nave partì con più di un'ora di ritardo, era quasi l’una quando una piccola imbarcazione a vapore li trascinò fuori dal porto. Mariano trascorse gran parte della notte in piedi sul ponte, nonostante il freddo non voleva farsi sfuggire nemmeno un minuto di quel viaggio. Finché il farmacista Sarrá non andò a cercarlo.
- Vieni a dormire, adesso c’è poco vento, il mare è calmo, ma non sarà sempre così, alcune volte sarà in tempesta. Prima di andare a letto prendi queste pillole contro il mal di mare, una al giorno, per una settimana, vedrai come il tuo corpo si abituerà alle onde giganti dell'Atlantico. Invece dovrai prendere queste altre pillole quando arriveremo a Cuba così non ti ammalerai di febbri tropicali.
- Quante volte lei ha fatto questo viaggio?
- Quattro o cinque volte. Mia moglie si è ammalata la prima volta che ha messo piede sull'isola, non le fa bene vivere ai Tropici, per questo adesso si è stabilita a Barcellona, a casa dei suoi genitori. Di tanto in tanto io ritorno in Catalogna per qualche mese e mi trasferisco con moglie e figli nella casa che abbiamo a Malgrat, dove mio padre gestisce la farmacia. Per fortuna mio cugino si occupa di quella che abbiamo all'Avana. Come puoi vedere, non sto mai fermo.
- A lei piace abitare all'Avana?
- Mi piace molto, è una bella città, ma con tante contraddizioni. Un ristretto numero di abitanti, discendenti di europei di seconda o terza generazione, sono molto ricche e vivono in palazzi lussuosi, altri, sempre di pelle bianca, come i bottegai e i mercanti, se la cavano abbastanza bene, ma la maggior parte della popolazione è di pelle nera o mulatta ed è molto povera. Gli indios sono quasi spariti. Nonostante che la schiavitù sia stata abolita, alcuni bianchi ancora oggi si arricchiscono con la tratta degli schiavi. Conosco due o tre catalani che sono diventati ricchissimi col commercio di schiavi africani. Io non sono d'accordo e vorrei che i nostri compatrioti si guadagnassero da vivere senza sfruttare nessuno. È una vergogna che gli esseri umani possano ancora essere venduti.
Mariano rimase senza parole, aveva visto persone di pelle nera solo in alcune illustrazioni di un libro che un giorno il suo maestro aveva mostrato agli alunni, poi disse:
- Non sapevo che esistessero ancora schiavi. E non immaginavo che ci fossero così tanti neri a Cuba. Ma anche all'Avana ci sono schiavi?
- No, all'Avana non ci sono schiavi, però le famiglie ricche hanno molti servi: maggiordomi, domestici, bambinaie, cameriere, cuoche o donne delle pulizie e in genere tutta la servitù è di pelle nera o mulatta. Invece, gli schiavi lavorano nelle piantagioni di tabacco e canna da zucchero, i proprietari terrieri li comprano, li sfruttano e li vendono quando non servono più.
- E non si può fare nulla per porre fine a tutto questo?

- Sarà un processo lento, perché i ricchi non vogliono perdere i loro lauti profitti e nonostante la legge lo vieti, quelli del governo chiudono un occhio. Ma ora parliamo delle cose belle della città, ti piacerà e ti abituerai presto alle persone allegre e disponibili, al cibo esotico e alla frutta tropicale, alla musica cubana e ai balli sensuali, al caldo e all'umidità.
Mariano seguì il consiglio del signor Sarrá e prese le pasticche per evitare il mal di mare. Ogni giorno cercava di non annoiarsi leggendo, guardando il mare, parlando con il farmacista, il Capitano e gli altri passeggeri che a poco a poco cominciava a conoscere.
Una mattina il farmacista gli chiese di copiare alcune prescrizioni di medicinali e vedendo che aveva una bella calligrafia, cominciò a dettargli rimedi omeopatici e allopatici.
- Devi sapere che la Farmacia Sarrá è famosa per la preparazione di medicinali unici e a prezzi molto buoni. Nel seminterrato dell'edificio abbiamo scoperto una sorgente di acque vergini. L'acqua è molto importante per preparare le medicine, ma mi piace pensare che l'onestà e il desiderio di aiutare le persone abbia fatto diventare famosa la nostra farmacia e così richieste le nostre medicine, gli disse il farmacista uno dei primi giorni.
Mariano iniziò a fare amicizia con quasi tutti i passeggeri e con l'equipaggio, amava farsi raccontare le loro storie. Molte volte aiutava i marinai a issare o ammainare le vele.
Gli faceva bene navigare, la sua pelle chiara era diventata sempre più abbronzata e il suo corpo acquistava robustezza, tuttavia di notte gli riusciva difficile dormire. I suoi compagni di cabina, tre fratelli di Barcellona di cui il maggiore aveva quarant'anni e il più giovane trentacinque, gli raccontarono che erano figli e nipoti di bottegai, ma che a causa delle rivolte e dei disordini pubblici avevano dato fuoco al loro negozio di alimentari e che avevano perso i genitori nell'incendio. Un vicino di casa aveva detto loro che a Cuba i bottegai si guadagnavano bene da vivere e che all'Avana c'erano molti catalani. Senza pensarci troppo, raccolsero le loro quattro cose e si imbarcarono. Lo fecero anche perché temevano che prima o poi sarebbero stati reclutati.
Erano tre uomini alti e robusti, a cui piaceva mangiare, bere, giocare a carte e chiacchierare con gli altri passeggeri per ingannare il tempo. Mariano ci stava bene con i tre fratelli, ma il guaio è che russavano di notte. Sembravano un'orchestra stonata. Mariano con delicatezza cercava di farli sdraiare su un fianco, ma dopo un po' si giravano e ricominciavano a russare.
Dopo qualche giorno trovò il modo di rendere più sopportabile il chiasso notturno dei tre fratelli. Si legò una sciarpa in testa per coprirsi le orecchie e mentre li ascoltava russare chiudeva gli occhi e immaginava di essere sdraiato sul letto della casa dove era nato. Anche suo padre russava, ma lui e i suoi fratelli, Juan, Isidro e Francisco, dormendo in un'altra stanza sentivano i rumori attutiti. La notte in cui suo padre non russava sembrava che gli mancasse qualcosa, forse perché quei rumori gli facevano compagnia, effettivamente la stessa cosa gli stava accadendo con le tre bocche che tremavano all'unisono nella sua cabina.
Una notte, con la sciarpa sulle orecchie e la coperta sulla schiena, iniziò a scrivere una lettera alla madre.

Cara madre,
come promesso, vi scriverò una lettera ogni quindici giorni. Spero che stiate tutti in perfetta salute. Navighiamo da più di una settimana e grazie a Dio e al farmacista Sarrá sto bene, senza sintomi di mal di mare. Di notte fa freddo, per fortuna mi avete dato una coperta, vi ringrazio anche per le provviste che mi avete messo in valigia. Finora non ci hanno dato pane fresco, solo pane secco, pesce e carne salata e un po' di frutta, però non posso lamentarmi, ho un ottimo appetito e mangio di tutto. Quando ci siamo fermati a Valencia, il capitano ha fatto caricare diverse cassette di arance, meloni, angurie e altri prodotti dell'orto, da allora la nostra dieta è migliorata. Per cena ci danno una minestra poco sostanziosa. Chiudo gli occhi e sogno la zuppa di pane e aglio che voi cucinavate per noi a Malgrat.
Come stanno i miei fratelli?
Potete essere orgogliosa di loro, Juan è un grande lavoratore, Isidro invece sembra che stia bene nel collegio dei gesuiti e  Francisco è molto sveglio
E le ragazze come stanno? Siamo fortunati che María ami prendersi cura di Luisa e Rosa, le piccoline della famiglia!

Quando arriveremo a Cadice consegnerò questa lettera a un marinaio perché la porti all'ufficio postale. Non posso rischiare di scendere dalla nave, potrebbero arrestarmi come disertore. Sarà emozionante attraversare lo Stretto di Gibilterra verso le Isole Canarie, dove ci fermeremo per qualche giorno.
Non scorda
tevi di me. Ogni notte penso a tutti i miei fratelli e a voi, i miei cari genitori che mi avete sempre aiutato e sostenuto. Mi manca tutta la famiglia. I miei compagni di cabina sono brave persone. Il signor Sarrá mi tratta come un figlio e mi insegna tante cose della farmacia. Spero che mio padre abbia ringraziato il sindaco anche da parte mia. Prendetevi cura di voi.
Mariano Defaus Moragas








martedì 2 maggio 2023

El embarque -Cap. 2 (en español)

 


Llegó a Barcelona a las ocho de la tarde, se fue andando desde la estación de Francia hasta el Port vell. A pesar de que su equipaje fuera ligero, de vez en cuando Mariano se paraba y cambiaba la maleta de mano. Alcanzó antes de lo previsto el Paseo Isabel II y se sentó en un banco en frente del restaurante Les 7 Portes. Se entretuvo mirando la fachada y cada vez que se abría una de las puertas echaba un vistazo a la decoración del moderno restaurante. A las nueve en punto se paró delante de él un hombre de unos cincuenta años, impecablemente vestido con un traje gris, y le dijo:

- ¿Tú eres Mariano Defaus Moragas, no?

- Sí, señor, soy el hijo mayor de José Defaus Ballesté de Malgrat. ¿usted es José Sarrá Catalá?

-El mismo. Entremos, he reservado una mesa. Mira, puedes dejar la maleta al encargado para que te la guarde.

- Gracias por todo lo que está haciendo por mí. Tengo que pagarle el pasaje del navío y devolverle la cantidad de dinero que usted ha necesitado para arreglar mis papeles, le dijo Mariano al señor con barba y quevedos.

- No te preocupes, en el barco tendremos mucho tiempo para pasar cuentas.

Aquella mañana, José Sarrá fue al cuartel de la guardia civil, a pedir ayuda a un empleado que había hecho el servicio militar con él.

- Quiero que sepas que yo no he sobornado a nadie, ni falsificado ningún papel. Toma tu salvoconducto y tu billete.

- ¡Cuánto se lo agradezco!

- Mira, esta mañana en el cuartel sólo tenían la lista de los quintos de diecisiete años para arriba. Aunque hayas recibido la notificación del sorteo, aún no se sabe cuándo tendrás que alistarte... te ha salvado que aún no hayas cumplido diecisiete años.

- ¿Eso quiere decir que hoy puedo viajar y que quizás más adelante ya no podría?

- Sí, lo hemos conseguido por un pelo. Dentro de poco podrías ser un desertor, pero nosotros ya estaremos en alta mar o en Cuba.

- Ojalá salga todo bien.

- ¡No temas! No te va a pasar nada a mi lado. Tu camarote es de segunda clase, el mío es de primera. Así no sospecharán de nosotros. Recuerda que tú de ahora en adelante vas a ser el mozo de la farmacia La Reunión de La Habana.

Escogieron una mesa cerca de una de las puertas. Mariano se quedó quieto mirando los muebles y las lámparas. Le encantó el suelo ajedrezado. De noche aquel local le pareció todavía más bonito que un año atrás, cuando fue a comer allí con su padre. Estaba como borracho por aquellas emociones.

Se embarcaron antes de medianoche, pero el buque salió con más de una hora de retraso. Mariano, a pesar del frío, se pasó gran parte de la noche de pie en la cubierta, pues no quería perderse ni un minuto de la travesía. Hasta que José Sarrá fue a buscarlo.

- Ve a dormir, ahora sopla poco viento y el mar está manso, pero ya verás cuando esté revuelto. Ah, me olvidaba… antes de acostarte, tómate estas pastillas contra el mareo, una cada día, durante una semana. Verás que tu cuerpo se irá acostumbrando a las olas gigantes del Atlántico. En cambio, esas otras píldoras amarillas son para cuando lleguemos a Cuba, te salvarán de las fiebres tropicales.

- ¿Usted, cuántas veces ha emprendido ese viaje?

- ¡Uy, muchas! No las he contado. Emilia, mi mujer, la primera vez que pisó la isla se puso mala. No le prueba vivir en el Trópico, por eso ahora se ha establecido con las niñas en Barcelona. Yo de vez en cuando vuelvo a Cataluña para estar unos meses con ellas.

- ¿Y la farmacia?

- Mis dos sobrinos, Josep e Ignasi, se ocupan de ella... Como ves, no paro de dar vueltas. - ¡Qué suerte, poder viajar! Mi padre me dijo que en Malgrat, usted tiene familia.

- Sí, seguro que conoces a mi padre, el médico del pueblo, y a mi tío, el farmacéutico.

- Sí, claro que los conozco... ¿Pero a usted le gusta vivir en La Habana?

- Me encanta, es una ciudad preciosa, pero con muchas contradicciones.

El farmacéutico se apoyó en el baluarte del barco y le contó que los ricos, generalmente europeos de segunda o tercera generación, vivían en mansiones lujosas. Los tenderos y los comerciantes, también blancos, vivían bastante bien. En cambio la mayor parte de la población, era de piel negra o mulata y era muy pobre.

- ¿Sabes que algunos blancos se dedican a la trata de negros? Y eso que muchos países han abolido la esclavitud.

- ¿No me lo puedo creer?

- Conozco a dos o tres catalanes que se han hecho ricos traficando esclavos africanos. ¡Es una vergüenza que aún se permita vender a seres humanos!

Mariano se quedó pensativo, sólo había visto personas de piel negra en unas ilustraciones de un libro que su maestro un día le mostró.

- ¡No sabía que aún hubiera esclavos! Y no me podía imaginar que en Cuba hubiera tantos negros. ¿En La Habana hay esclavos?

- Sí que los hay, los ricos en sus maravillosas mansiones aún tienen esclavos negros para los trabajos más humildes. No se sabe cuántos son, pues están mezclados con la servidumbre libre.

- ¿Y qué hacen?

- De todo sin ser pagados. Las mujeres son magníficas niñeras y cocineras. Sin embargo, la mayor parte de los esclavos trabaja en las plantaciones de tabaco y caña de azúcar. Los dueños los compran, los explotan y los venden cuando no los necesitan más.

- ¿Y no se puede hacer nada para que termine todo eso?

- Va a ser un proceso lento, pues los ricos no quieren perder sus lautas ganancias.

- Recuerdo que nuestro maestro nos dijo que se había acabado la esclavitud en Estados Unidos.

- Sí, hace relativamente poco.

El farmacéutico se sentó en una butaca de la cubierta y le contó al muchacho que en 1863, tras el fin de la guerra, Abrahan Lincoln liberó a todos los esclavos, mientras que en Inglaterra el tráfico de esclavos se prohibió mucho antes, en 1807 y la esclavitud se abolió en 1833. También le dijo que en Francia la propiedad sobre personas se suspendió en 1848 y que el gobierno español todavía no había promulgado una verdadera ley contra la esclavitud.

- Esperemos que en España salga una ley, le dijo Mariano, pensativo.

- ¡Ojalá! Lo estoy esperando desde que descubrí esos tráficos inhumanos... pero ahora pensemos en lo bonito de Cuba. Te va a encantar y enseguida te vas a acostumbrar a la gente alegre y servicial y... a la comida exótica. La fruta tropical es buenísima. Y no hablemos del ritmo de la música y de los bailes sensuales. ¡Uf! Y del calor y de la humedad.

Mariano siguió los consejos de José Sarrá y antes de acostarse se tomó una pastilla para no marearse. Cada día se distraía, leyendo y mirando el mar. También hablaba con el farmacéutico y demás pasajeros que poco a poco iba conociendo.

Una mañana el farmacéutico le pidió que le copiara algunas recetas de medicamentos y viendo que tenía muy buena letra, empezó a dictarle remedios homeopáticos y alopáticos. El señor Sarrá disfrutaba hablando con aquel muchacho curioso. Una tarde, sentados en la cubierta, le contó que la Farmacia Reunión era famosa por la preparación de remedios únicos y baratos. En los bajos del edificio, situado en la calle Teniente Rey, había un manantial de aguas puras. El agua era muy importante para preparar los medicamentos, pero al farmacéutico le gustaba pensar que la honradez y las ganas de ayudar a la gente eran lo que había hecho popular a su farmacia. A lo largo de los años compraron un edificio lindante, en la calle Compostela, y se fueron ensanchando.

Mariano empezó a mezclarse con todos los pasajeros y con la tripulación. Disfrutaba escuchando sus historias. Muchas veces ayudaba a los mozos a izar o a arriar velas. María, la criada de la señora Valls, estaba muy asustada por el largo viaje y el mal carácter de su ama, pero cuando la señora se mareaba y se quedaba en la cama, salía a cubierta a tomar el aire. Mariano una tarde vio a la doncella de la rica señora, apoyada en la barandilla de la cubierta, y se acercó, sintiendo curiosidad por conocerla. La muchacha, bastante tímida, le contó que los Valls eran comerciantes de reses e iban a Cuba para fundar una hacienda ganadera.

A él el barco le probaba bien, su piel clara iba volviéndose cada vez más morena y curtida y su cuerpo adquiría robustez, sin embargo, por la noche le costaba dormir. Sus compañeros de camarote eran tres hermanos de Barcelona, Pau, el mayor, tenía cuarenta años, Pepe treinta y ocho y Pedro treinta y cinco. Le contaron que eran hijos y nietos de tenderos, pero que a raíz de las revueltas y de los desórdenes públicos les habían incendiado la tienda de ultramarinos y que en el incendio habían perdido a sus padres. Un vecino les había contado que en Cuba los tenderos se ganaban bien la vida y que había muchos catalanes en La Habana. Ellos, sin pensarlo mucho, recogieron sus cuatro trastos y se embarcaron.

Eran tres varones altos y robustos, a quienes les gustaba comer y beber. A menudo jugaban a cartas y charlaban con otros pasajeros para engañar el tiempo. A Mariano le caían bien los tres hermanos, pero lo malo es que por la noche roncaban. Parecían una orquesta desafinada. Mariano los tocaba e intentaba hacerles dormir de lado, pero ellos al poco rato se daban la vuelta y empezaban de nuevo a roncar.

Al cabo de unos días encontró el modo de que el alboroto nocturno fuera más llevadero. Se ató una bufanda en la cabeza para taparse las orejas y, mientras escuchaba los ronquidos, cerraba los ojos y se imaginaba que estaba echado en la cama de la casa donde nació. Su padre también roncaba, pero a él y a sus hermanos, Juan, Isidro y Francisco, durmiendo en otro cuarto, les llegaban los chasquidos sin vigor. La noche en que su padre no roncaba, él se sentía como si le faltara algo, pues aquellos ruidos en realidad lo acompañaban y quizás lo mismo le estaba pasando con las tres bocas que temblaban unísonas en su camarote.

Una noche, con la bufanda en las orejas y la manta en la espalda, empezó a escribir una carta a su madre.


Mar Mediterráneo, 5 de febrero de 1873.

Estimada madre,

como le prometí, le voy a escribir una carta cada quince días. Espero que todos estén en perfecta salud. Llevamos más de una semana de navegación y gracias a Dios y al farmacéutico Sarrá estoy bien, sin síntomas de mareo. Por las noches hace frío, suerte que me llevé el abrigo negro y una manta, le agradezco también las provisiones que me puso en la maleta. Hasta ahora no nos han dado pan fresco, sólo pan seco, pescado y carne salada y un poco de fruta, sin embargo no me puedo quejar, tengo un apetito excelente y me lo como todo. Cuando nos paramos en Valencia, el capitán hizo cargar varias cajas de naranjas, melones y otros productos de la huerta, desde entonces nuestra dieta mejoró. Para cenar nos dan una sopa bastante “aigualida”. Cierro los ojos y sueño con la sopa de pan y ajo que usted nos preparaba en Malgrat.

¿Cómo están mis hermanos? Ya pueden estar contentos de Juan, que es un muchacho muy serio y cumplidor, vale mucho para el campo, y también de Isidro, que dentro de poco podrá ir a estudiar a Girona, y no digamos de Francisco, que es muy espabilado. ¿Cómo están las niñas? ¡Qué suerte que a María le encante cuidar a Luisa y a Rosa, las pequeñas de la familia!

Cuando lleguemos a Cádiz voy a entregarle esta carta a un marinero para que la lleve a la oficina de correos. Yo no puedo arriesgarme bajando del barco, podrían detenerme por desertor. Será emocionante cruzar el estrecho de Gibraltar rumbo a las islas Canarias, donde nos pararemos unos días.

No se olviden de mí. Yo cada noche pienso en mis hermanos y en ustedes. Les agradezco mucho que me hayan ayudado y apoyado siempre. Añoro a toda la familia. Mis compañeros de camarote son buena gente. El señor Sarrá me trata como a un hijo y me enseña muchas cosas de la farmacia. También he conocido en el barco a María, una chica catalana que es la doncella de una señora muy rica. Espero que padre le haya dado las gracias al alcalde también de parte mía. Cuídense mucho. Su hijo que les quiere.

Mariano Defaus Moragas