venerdì 2 marzo 2018

Da sola














Avevo cambiato il mio turno di lavoro con una compagna, quindi sarei stata a casa quattro giorni di seguito. Negli ultimi tempi sentivo un malessere strano e quando arrivava il fine settimana era scoraggiata e stanca. Dimenticavo o meglio scansavo tutto quello che avrei voluto fare: uscire con mio marito, andare a vedere un film, chiamare un'amica o passeggiare lungo il fiume.
Il primo giorno senza di lui sono rimasta a letto fino a tardi a leggere un libro, poi ho ascoltato musica e ho scritto una lettera a un amica lontana. La giornata mi è volata. L'indomani però non riuscivo a concentrarmi sulla lettura e quel non decidersi ad alzarsi era diventato per me un incubo.
- Almeno combinassi qualcosa, invece di stare a rimuginare sotto le coperte, mi dicevo.
Mi feci forza e lasciai il letto, ma sempre in camicia da notte passavo dalla poltrona al divano e viceversa. Non ero riuscita a farmi la doccia a un'ora decente, quindi verso mezzogiorno e mezzo mi ero vestita in fretta e furia ed ero uscita.
Da tempo sognavo di stare qualche giorno da sola senza marito e figli eppure, adesso che i ragazzi erano andati a vivere per conto proprio e che lui era fuori città per qualche giorno, mi sentivo un po' abbandonata.
- Perché non so godermi le giornate libere? Riesco solo ad occuparmi delle altre persone, di me stessa non ne sono capace. Mi tormento pensando a quello che potrei fare e poi quando ho la possibilità di agire rimango immobile. Come mai? Mi domandavo.
Mentre camminavo cercavo di scrollarmi di dosso le ansie e le paure, ma non ci riuscivo. Lasciai indietro il giornalaio e ritornai lentamente a casa senza guardarmi intorno, ma a un certo punto mi venne in mente il mazzo di chiavi:
- Devo andare a farne una copia, per nasconderla da qualche parte in cantina, ho paura di rimanere prima o poi chiusa fuori di casa, mi dissi mentre mi incamminavo verso il ferramenta del quartiere.
Nel negozio c'erano diverse persone. Mi misi in fila ad aspettare. Quando toccò a me era purtroppo l'ora di chiusura, il commesso mi fece sapere che ci voleva troppo per fare la chiave della porta blindata, quindi mi invitò a ritornare nel pomeriggio.
Per strada vidi una donna di mezza età che trascinava due borse strapiene. Era magra e ben proporzionata, nonostante una certa trascuratezza era ancora bella.
- Chissà cosa le sarà successo? Mi domandai pensierosa.
La donna delle borse si sedette in una panchina di piazza San Ambrogio e appoggiò il suo ingombrante bagaglio per terra. Muovendo delicatamente le ditta si raccolse le ciocche di cappelli grigio-biondastri, che le erano scivolate via dal fermaglio, in una piccola crocchia, poi da una borsa tirò fuori un libriccino.
Ero incuriosita da quella donna e mi sedetti nella stessa panchina a leggere il giornale.
- E' stato un inverno molto freddo, pensai guardando la pelle screpolata del viso e le mani coperte da geloni della donna accanto.
Dopo qualche minuto ruppi il silenzio dicendole:
- Come si sta bene oggi al sole.
La donna sorrise e cominciò a parlare con me, come se mi conoscessi da tutta la vita. Lodò la fortuna di poter stare all'aria aperta e dopo aver respirato profondamente un paio di volte mi raccontò la sua storia.
Anastasia, così si chiamava quella strana donna, era rimasta vedova pochi giorni dopo aver compiuto sessanta anni, il marito soffriva di cuore da parecchio tempo, ma quella morte era stata inaspettata. La donna sospettava che lui avesse ingoiato diverse pasticche per dormire, ne trovò una boccetta vuota nascosta nel cassetto del comodino. Non era del tutto convinta della sua supposizione, ma quando venne a sapere che il marito era pieno di debiti, capì il suo gesto estremo, anche se i dottori parlavano di infarto fulminante.
In pochi messi perse tutto: la casa fu ipotecata e poi pignorata, i conti in banca prosciugati. Anastasia dipendeva totalmente dal marito. Ogni mattina, essendo molto pigra e senza entusiasmo per quello che succedeva fuori delle loro quattro mura, rimaneva in camicia da notte fino a mezzogiorno davanti al televisore. Non avendo figli sbrigava velocemente le faccende domestiche nel primo pomeriggio, puliva, lavava, stirava mentre guardava un programma televisivo e poi un altro ancora; la sera preparava una bella cenetta e aspettava seduta sul divano il marito, il quale rientrava piuttosto tardi perché lavorava fuori città
Usciva solo per comprare verdure fresche da un fruttivendolo vicino. Per la grande spesa, il marito l'accompagnava al supermercato in macchina, una volta alla settimana.
Non si sentiva infelice, la routine le dava sicurezza, le sue giornate erano scandite dai programmi televisivi, soprattutto le telenovelle erano quelle che maggiormente la allontanavano dalla realtà.
Appena morto il marito e perso l'appartamento si era trasferita dalla sorella, ma aveva presto capito che non era ben accolta dal cognato, quindi dopo pochi mesi inventò la storia che una amica d'infanzia, vedova da poco, le aveva chiesto di andare a vivere con lei per farle compagnia. La sorella credette alle sue parole, anche perché Anastasia la chiamava una volta la settimana e le diceva che era contenta della nuova sistemazione. Fu allora che cominciò a passare la notte nel dormitorio popolare del comune, quello per i senza tetto. Ogni mattina doveva lasciare la brandina per poter rientrare di nuovo verso le sette di sera e dormire un'altra notte. Faceva la doccia nei bagni pubblici e passava la maggior parte del tempo all'aperto.
Siamo rimaste in silenzio qualche minuto, poi ha domandato quale fosse il mio mestiere:
- Faccio l'insegnante, mi piace andare a scuola, ma ultimamente mi sento stremata. Volevo tanto restare da sola, ma adesso che è partito mio marito mi sento smarrita, non riesco a reagire, rimango chiusa in casa e non faccio altro che rimuginare per tutto il giorno. Non so cosa mi stia succedendo.
- La posso capire. Anch'io mi sentivo abbandonata la prima volta che mi sono trovata da sola, ma questo non era niente in confronto a quello che ho sentito il primo giorno in cui ho dormito nel ricovero popolare. Ogni tanto mi ritorna lo sconforto, ma cerco di reagire pensando che tra qualche mese mi arriverà la pensione, che insieme alla piccola indennità, che adesso lo stato mi passa, potrò pagare una stanza in affitto.
Ascoltando quelle parole ho pensato a una delle mie vicine di casa. Dopo poco ci siamo salutate e mi sono incamminata verso via San Giuseppe, ma a un certo punto, ho voltato a destra. Mentre i miei piedi si muovevano non pensavo più al mazzo di chiavi, bensì alla donna che avevo incontrato. L'ansia in me era sparita e nella mia testa maturava l'idea di andare a parlare con la mia dirimpettaia, una simpatica signora anziana, che viveva da sola in un enorme appartamento e che qualche giorno prima mi aveva detto che voleva affittare una stanza.
Senza sapere nemmeno io il perché, invece di tornare a casa, ho cominciato a gironzolare, poi mi sono seduta in un tavolino di un caffè a mangiare un tramezzino.
- Era tanto che non passeggiavo da sola per la città, pensai guardando la gente passare.
Rientrando a casa, la prima cosa che ho fatto è stato chiamare mio marito al quale ho raccontato l'incontro che avevo fatto quella mattina e nel congedarlo gli ho detto che lo amavo e che non vedevo l'ora di riabbracciarlo, poi ho inviato un messaggino affettuoso ai figli. Dopo ho telefonato la mia vicina, ma ho dovuto lasciarle un messaggio nella segreteria telefonica, perché, essendo questa piuttosto sorda, la sera alza il volume del televisore, quindi non sente il suono del telefono o del campanello. Le ho lasciato detto che sarei andata a trovarla l'indomani verso le undici. Quella sera ho messo in ordine la casa, ho preparato delle verdure e un risotto e finalmente ho fatto la doccia.
Il giorno dopo mi sono svegliata presto e sono andata a fare una passeggiata lungo il fiume. Mentre camminavo guardavo la gente, gli alberi e le case e non mi sentivo più abbandonata.










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