Nella
terrazza dello storico caffè Zurich di Barcelona, città dove
abitavo con altre tre studentesse in un appartamento vicino alla
stazione ferroviaria di Sants, ho conosciuto U. L' autunno del '76 è
stato un po' anomalo, le giornate sono state soavi come quelle
settembrine. Dopo tre settimane insieme, lui è rientrato in Italia,
ma da subito abbiamo cominciato a scriverci lettere d'amore. Per
dieci mesi non abbiamo mai smesso di telefonarci, inviarci missive e
intraprendere viaggi avventurosi per incontrarci. A fine estate ho
deciso di lasciare la mia terra e andare a vivere a Firenze con lui.
I
mie genitori erano dispiaciuti di questa mia decisione, ma giacché
avevo compiuto da poco ventuno anni, non mi hanno impedito di
partire.
Mia
madre piangeva e mi faceva promettere in continuazione che le avrei
scritto una lettera alla settimana. Mio padre non voleva che
lasciassi Barcelona e nei giorni prima della partenza mi ripeteva:
-
Dato che a luglio hai raggiunto
la maggiore età sono d'accordo che tu decida da sola, ma credo che
stia commettendo un grave errore.
Aveva
paura che facessi una brutta fine e il giorno della mia partenza mi
accompagnò alla stazione e nel salutarmi mi disse:
-
Ti vedo inginocchiata pulendo i pavimenti delle scale di un Ministero
con due bambini aggrappati alle tue spalle.
Non
so come mai per lui fallimento voleva dire andare a pulire le scale
di un edificio pubblico, forse perché aveva in mente qualche film
del Neorealismo italiano visto in gioventù.
U.
abitava con altri studenti in un appartamento in città, ma al mio
arrivo abbiamo deciso di cambiare casa. Dopo alcuni traslochi abbiamo
trovato una stanza a Lucca, da Giovanna, la fidanzata di un amico di
U. In quel periodo mi sono sentita per prima volta libera, ero
lontana dalla famiglia, che in certi momenti mi soffocava e non avevo
granché impegni di studio o di lavoro, finalmente mi ero lasciata
andare a osservare tutto ciò che accadeva intorno a me. Avrei voluto
iscrivermi all'Ateneo fiorentino, ma non è stato possibile perché mi mancava un documento del consolato italiano.
Ho
frequentato come uditrice alcune lezioni del corso di paleontologia
all'Università Pisa. In verità capivo poco di quello che diceva il
professore, ma mi trovavo bene in in quell'ambiente ristretto di
pochi studenti, essendo abituata, come ero, ad ascoltare i professori
nelle immense aule a semicerchio dell'Università di Barcelona.
La
casa, dove Giovanna abitava con la figlia di dieci anni, era grande e
luminosa ed era frequentata da un gruppo di femministe che
s'incontravano ogni venerdì. Qualche volta ho partecipato ai loro
incontri. Erano donne sulla trentina, quasi tutti sposate o separate,
a volte portavano alle riunioni i loro figlioletti. Le ricordo
festose mentre preparavano tazze di tè fumante e distribuivano
pezzetti di castagnaccio. Con sedie, poltrone o sgabelli si
disponevano a cerchio e parlavano, oltre che di politica, di temi
sociali: l'aborto, il divorzio, il rapporto di coppia e la condizione
della donna in quella città.
Mi
sfuggivano molte cose, sia per la mia scarsa conoscenza della lingua,
sia perché ero cresciuta nella Spagna franchista, dove le donne
erano poco emancipate. Alla fine dell'inverno da quei incontri
femminili è nato un gruppo teatrale. Giovanna, la regista e
fondatrice del gruppo, mi prestava i suoi libri, che spesso non
riuscivo a finire per fatica, ma con pazienza, piano piano ho dimenticato che stavo leggendo in un'altra
lingua.
In
quella cittadina di provincia alle otto in punto di sera non girava
più nessuno per le strade. Ben presto notai che gli abitanti erano
un po' diffidenti verso gli stranieri, forse per questo non riuscivo a trovare lavoro. U. frequentava la facoltà di architettura
e il fine settimana lavorava come fotografo a Viareggio: aiutava un
amico a scattare foto nei matrimoni. In primavera inoltrata ci siamo
trasferiti di nuovo a Firenze, dove ho cominciato a impartire
lezioni private di spagnolo.
Il mio primo alunno è stato uno studente iraniano, sono andata nel suo appartamento di Via del Corno, ricordo che era buio e con un odore inconfondibili di aria viziata, tipica di molte case di studenti:
- Voglio tradurre con te alcuni capitoli del Don Quijote de la Mancha, mi disse.
- Ma prima bisogna cominciare con testi più facili, gli risposi io, porgendogli un libro di racconti di un famoso scrittore argentino.
Le volte successive ci siamo incontrati in facoltà, ma lui insisteva nel volere a tutti costi leggere il libro di Cervantes.
Una delle mie alunne preferite era una signora anziana, piuttosto benestante che si era separata da poco dal marito. Abitava in una casa piena di gatti con la sorella nubile. Una volta alla settimana andavo a prendere il tè da lei, facevamo conversazione in lingua spagnola e poi leggevamo una poesia, quasi sempre di Antonio Machado, autore che lei adorava.
Mi sentivo bene di fronte a lei mentre avevo in mano una tazza di porcellana bianca, nonostante l'ambiente decadente, i mobili accatastati, il disordine e i gatti chiusi in bagno, forse perché la mia anziana allieva mi trasmetteva curiosità e voglia di vivere.
Il mio primo alunno è stato uno studente iraniano, sono andata nel suo appartamento di Via del Corno, ricordo che era buio e con un odore inconfondibili di aria viziata, tipica di molte case di studenti:
- Voglio tradurre con te alcuni capitoli del Don Quijote de la Mancha, mi disse.
- Ma prima bisogna cominciare con testi più facili, gli risposi io, porgendogli un libro di racconti di un famoso scrittore argentino.
Le volte successive ci siamo incontrati in facoltà, ma lui insisteva nel volere a tutti costi leggere il libro di Cervantes.
Una delle mie alunne preferite era una signora anziana, piuttosto benestante che si era separata da poco dal marito. Abitava in una casa piena di gatti con la sorella nubile. Una volta alla settimana andavo a prendere il tè da lei, facevamo conversazione in lingua spagnola e poi leggevamo una poesia, quasi sempre di Antonio Machado, autore che lei adorava.
Mi sentivo bene di fronte a lei mentre avevo in mano una tazza di porcellana bianca, nonostante l'ambiente decadente, i mobili accatastati, il disordine e i gatti chiusi in bagno, forse perché la mia anziana allieva mi trasmetteva curiosità e voglia di vivere.
Abbiamo
trovato, dopo un periodo ospiti a casa di amici, una sistemazione in una casa colonica a circa quindici
chilometri da Firenze. I nostri coinquilini erano studenti stranieri
che frequentavano una scuola di restauro, due svizzeri, un' americana
e una tedesca. La nostra camera era la più grande del primo piano,
ma anche le altre stanze erano spaziose con i soffitti molto alti. In
cucina avevamo un grande camino, con due panche dentro, dove ci
sedevamo a chiacchierare dopo cena. Sebbene in ogni camera da letto
ci fosse una stufa a legna una mattina abbiamo trovato l'acqua dello
sciacquone del bagno gelata. Quel inverno nonostante avessi le mani
piene di geloni, i soldi contati e una cinquecento che ogni tanto mi lasciava a piedi, mi sentivo realizzata,
forse perché stavo bene in quel casolare, avevo cominciato a fare amici in facoltà e ho trovato
lavoro in una accademia di lingua, dove tre sere la settimana
insegnavo spagnolo ad adulti.
Arrivate
le feste pasquali i miei decisero di venire a trovarmi a Firenze
portando con loro zia Margarita e suo marito. Zio Emilio era un uomo
a cui, a differenza di mio padre, piaceva leggere, giocare a scacchi
e andare in chiesa. Un'altra passione di zio Emilio era guidare
l'automobile, che però usava raramente non avendo molte occasioni di
viaggiare, dato che mia zia non amava uscire dal paesino. Credo che
durante il loro lungo viaggio verso l'Italia abbia guidato sempre
lui, indossando il suo cappello grigio che portava di solito in
inverno.
I
mie genitori si vergognavano di avere una figlia che conviveva con un
ragazzo senza essere sposata. Mia madre aveva un piano per non fare
sapere a zio Emilio che U. ed io dormivamo insieme: non lo avrebbe
fatto entrare nella nostra camera e quindi il letto matrimoniale
sarebbe rimasto nascosto per sempre.
Abbiamo
trovato un albergo in città per ospitare i mie parenti, ma arrivato
il terzo giorno abbiamo dovuto far vedere loro la nostra casa.
Prima
di pranzare abbiamo passeggiato in giardino e sono entrati in tutte
le stanze del pianterreno, ma mio zio, essendo molto curioso ha
voluto veder anche il piano superiore, non sapendo nulla della
stratagemma di mia madre, l'abbiamo accontentato.
Arrivati
di fronte alla nostra camera, mentre aprivo, mia madre ha richiuso la
porta con forza dicendo:
-
Andiamo, andiamo che è tardi e non abbiamo tempo di vedere tutte
queste stanze.
Tutto
a un tratto mia madre è diventata pallida e quasi svenuta. Senza
pensarci due volte l'abbiamo sistemata nel lettone. Tremava tutta,
era forse un attacco d'ansia, ma ci siamo molto spaventati perché
lei era da sempre stata delicata di salute. Per fortuna dopo poco si
è ripresa e via via calmata, nel vedere zio Emilio che sorrideva
guardando i nostri libri che coprivano tutta una parete della stanza.
Dopo lo zio con molta tranquillità ha detto ai mie genitori:
-
Vostra figlia ha avuto una gran
fortuna nel trovare un ragazzo a cui piace leggere.
Zio
Emilio era felice di vedere tanti libri nella stanza di due giovani e
non gli importava più il fatto che nella camera ci fosse o meno un
letto matrimoniale.
Quel
giorno ho capito che i libri avevano salvato la vita a mia madre e
soprattutto la mia.
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