lunedì 5 marzo 2018

Lo zio che amava i libri














Nella terrazza dello storico caffè Zurich di Barcelona, città dove abitavo con altre tre studentesse in un appartamento vicino alla stazione ferroviaria di Sants, ho conosciuto U. L' autunno del '76 è stato un po' anomalo, le giornate sono state soavi come quelle settembrine. Dopo tre settimane insieme, lui è rientrato in Italia, ma da subito abbiamo cominciato a scriverci lettere d'amore. Per dieci mesi non abbiamo mai smesso di telefonarci, inviarci missive e intraprendere viaggi avventurosi per incontrarci. A fine estate ho deciso di lasciare la mia terra e andare a vivere a Firenze con lui.
I mie genitori erano dispiaciuti di questa mia decisione, ma giacché avevo compiuto da poco ventuno anni, non mi hanno impedito di partire.
Mia madre piangeva e mi faceva promettere in continuazione che le avrei scritto una lettera alla settimana. Mio padre non voleva che lasciassi Barcelona e nei giorni prima della partenza mi ripeteva:
- Dato che a luglio hai raggiunto la maggiore età sono d'accordo che tu decida da sola, ma credo che stia commettendo un grave errore.
Aveva paura che facessi una brutta fine e il giorno della mia partenza mi accompagnò alla stazione e nel salutarmi mi disse:
- Ti vedo inginocchiata pulendo i pavimenti delle scale di un Ministero con due bambini aggrappati alle tue spalle.
Non so come mai per lui fallimento voleva dire andare a pulire le scale di un edificio pubblico, forse perché aveva in mente qualche film del Neorealismo italiano visto in gioventù.
U. abitava con altri studenti in un appartamento in città, ma al mio arrivo abbiamo deciso di cambiare casa. Dopo alcuni traslochi abbiamo trovato una stanza a Lucca, da Giovanna, la fidanzata di un amico di U. In quel periodo mi sono sentita per prima volta libera, ero lontana dalla famiglia, che in certi momenti mi soffocava e non avevo granché impegni di studio o di lavoro, finalmente mi ero lasciata andare a osservare tutto ciò che accadeva intorno a me. Avrei voluto iscrivermi all'Ateneo fiorentino, ma non è stato possibile perché mi mancava un documento del consolato italiano.
Ho frequentato come uditrice alcune lezioni del corso di paleontologia all'Università Pisa. In verità capivo poco di quello che diceva il professore, ma mi trovavo bene in in quell'ambiente ristretto di pochi studenti, essendo abituata, come ero, ad ascoltare i professori nelle immense aule a semicerchio dell'Università di Barcelona.
La casa, dove Giovanna abitava con la figlia di dieci anni, era grande e luminosa ed era frequentata da un gruppo di femministe che s'incontravano ogni venerdì. Qualche volta ho partecipato ai loro incontri. Erano donne sulla trentina, quasi tutti sposate o separate, a volte portavano alle riunioni i loro figlioletti. Le ricordo festose mentre preparavano tazze di tè fumante e distribuivano pezzetti di castagnaccio. Con sedie, poltrone o sgabelli si disponevano a cerchio e parlavano, oltre che di politica, di temi sociali: l'aborto, il divorzio, il rapporto di coppia e la condizione della donna in quella città.
Mi sfuggivano molte cose, sia per la mia scarsa conoscenza della lingua, sia perché ero cresciuta nella Spagna franchista, dove le donne erano poco emancipate. Alla fine dell'inverno da quei incontri femminili è nato un gruppo teatrale. Giovanna, la regista e fondatrice del gruppo, mi prestava i suoi libri, che spesso non riuscivo a finire per fatica, ma con pazienza, piano piano ho  dimenticato che stavo leggendo in un'altra lingua.
In quella cittadina di provincia alle otto in punto di sera non girava più nessuno per le strade. Ben presto notai che gli abitanti erano un po' diffidenti verso gli stranieri, forse per questo non riuscivo a trovare lavoro. U. frequentava la facoltà di architettura e il fine settimana lavorava come fotografo a Viareggio: aiutava un amico a scattare foto nei matrimoni. In primavera inoltrata ci siamo trasferiti di nuovo a Firenze, dove ho cominciato a impartire lezioni private di spagnolo.
Il mio primo alunno è stato uno studente iraniano, sono andata nel suo appartamento di Via del Corno, ricordo che era buio e con un odore inconfondibili di aria viziata, tipica di molte case di studenti:
- Voglio tradurre con te alcuni capitoli del Don Quijote de la Mancha, mi disse.

- Ma prima bisogna cominciare con testi più facili, gli risposi io, porgendogli un libro di racconti di un famoso scrittore argentino.
Le volte successive ci siamo incontrati in facoltà, ma lui insisteva  nel volere a tutti costi leggere  il libro di Cervantes.
Una delle mie alunne preferite era una signora anziana, piuttosto benestante che si era separata da poco dal marito. Abitava in una casa piena di gatti con la sorella nubile. Una volta alla settimana andavo a prendere il tè da lei, facevamo conversazione in lingua spagnola e poi leggevamo una poesia, quasi sempre di Antonio Machado, autore  che lei adorava.
Mi sentivo bene di fronte a lei mentre avevo in mano una tazza di porcellana bianca, nonostante l'ambiente decadente, i mobili accatastati, il disordine e i gatti chiusi in bagno, forse perché la mia anziana allieva mi trasmetteva curiosità e voglia di vivere.
Abbiamo trovato, dopo un periodo ospiti a casa di amici, una sistemazione in una casa colonica a circa quindici chilometri da Firenze. I nostri coinquilini erano studenti stranieri che frequentavano una scuola di restauro, due svizzeri, un' americana e una tedesca. La nostra camera era la più grande del primo piano, ma anche le altre stanze erano spaziose con i soffitti molto alti. In cucina avevamo un grande camino, con due panche dentro, dove ci sedevamo a chiacchierare dopo cena. Sebbene in ogni camera da letto ci fosse una stufa a legna una mattina abbiamo trovato l'acqua dello sciacquone del bagno gelata. Quel inverno nonostante avessi le mani piene di geloni, i soldi contati e una cinquecento che ogni tanto mi lasciava a piedi, mi sentivo realizzata, forse perché stavo bene in quel casolare, avevo cominciato a fare amici in facoltà e ho trovato lavoro in una accademia di lingua, dove tre sere la settimana insegnavo spagnolo ad adulti.
Arrivate le feste pasquali i miei decisero di venire a trovarmi a Firenze portando con loro zia Margarita e suo marito. Zio Emilio era un uomo a cui, a differenza di mio padre, piaceva leggere, giocare a scacchi e andare in chiesa. Un'altra passione di zio Emilio era guidare l'automobile, che però usava raramente non avendo molte occasioni di viaggiare, dato che mia zia non amava uscire dal paesino. Credo che durante il loro lungo viaggio verso l'Italia abbia guidato sempre lui, indossando il suo cappello grigio che portava di solito in inverno.
I mie genitori si vergognavano di avere una figlia che conviveva con un ragazzo senza essere sposata. Mia madre aveva un piano per non fare sapere a zio Emilio che U. ed io dormivamo insieme: non lo avrebbe fatto entrare nella nostra camera e quindi il letto matrimoniale sarebbe rimasto nascosto per sempre.
Abbiamo trovato un albergo in città per ospitare i mie parenti, ma arrivato il terzo giorno abbiamo dovuto far vedere loro la nostra casa.
Prima di pranzare abbiamo passeggiato in giardino e sono entrati in tutte le stanze del pianterreno, ma mio zio, essendo molto curioso ha voluto veder anche il piano superiore, non sapendo nulla della stratagemma di mia madre, l'abbiamo accontentato.
Arrivati di fronte alla nostra camera, mentre aprivo, mia madre ha richiuso la porta con forza dicendo:
- Andiamo, andiamo che è tardi e non abbiamo tempo di vedere tutte queste stanze.
Tutto a un tratto mia madre è diventata pallida e quasi svenuta. Senza pensarci due volte l'abbiamo sistemata nel lettone. Tremava tutta, era forse un attacco d'ansia, ma ci siamo molto spaventati perché lei era da sempre stata delicata di salute. Per fortuna dopo poco si è ripresa e via via calmata, nel vedere zio Emilio che sorrideva guardando i nostri libri che coprivano tutta una parete della stanza. Dopo lo zio con molta tranquillità ha detto ai mie genitori:
- Vostra figlia ha avuto una gran fortuna nel trovare un ragazzo a cui piace leggere.
Zio Emilio era felice di vedere tanti libri nella stanza di due giovani e non gli importava più il fatto che nella camera ci fosse o meno un letto matrimoniale.
Quel giorno ho capito che i libri avevano salvato la vita a mia madre e soprattutto la mia.










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