Alcuni
giorni prima era arrivato a casa l'avviso di una raccomandata.
Dovevamo andare a ritirarla in un ufficio postale vicino a Piazza
delle Cure.
Quella
mattina ero libera, quindi ho preso la bicicletta e mi sono
incamminata verso la posta. Senza pensarci troppo ho pedalato verso
piazza D'Azeglio, e poi ho seguito la stessa strada che facevo
diversi anni prima, quando andavo a casa della Signora Angelica.
L'aria
della città era quasi calda e ogni pedalata mi riportava tanti
ricordi. All'inizio degli anni ottanta avevo conosciuto la Signora
Angelica in una accademia di lingue, dove insegnavo spagnolo. Ero
contenta di aver trovato quell'impiego, perché lavoravo solo tre
pomeriggi la settimana e questo mi permetteva la mattina di seguire
le lezioni all'Università. I miei allievi erano adulti e studiavano
lo spagnolo, per lavoro, per viaggiare, per curiosità o come la
Signora Angelica per passione.
La
trovai seduta al primo banco di una piccola aula, quando il primo
giorno di lezione arrivai timorosa, per la mia inesperienza. Occupava
da sola un banco doppio, perché doveva sistemare nella sedia accanto
l'elegante cappotto di lana e sul tavolo il bizzarro cappello.
Aveva diversi cappelli, uno per ogni stagione ed io m'incantavo a
contemplarla tutte le volte che se li toglieva o se li metteva con
una cura quasi maniacale.
Era
una donna alta e robusta, ma di portamento aristocratico. I capelli
bianchi erano raccolti in una crocchia ben pettinata. Il volto
paffutello e le fazioni delicate le davano un aria gentile e
trasognata, ma gli occhi chiari e vispi dallo sguardo risoluto
mostravano la sua vera indole. Era molto curiosa, voleva sapere tutto
e conoscere il mondo prima di diventare troppo vecchia, per questo
aveva tanto interesse a imparare nuove lingue.
Di
solito indossava una pacata gonna nera con sopra delle larghe giacche
chiare, ma i colorati foulard di seta fine, che sfoggiava intorno al
collo, le davano un'eleganza quasi esotica. Aveva da poco superato la
settantina, ma la gran voglia d'imparare la ringiovaniva.
Durante
le mie lezioni era quasi l'unica ad alzare la mano per chiedere delle
spiegazioni e il significato di alcune parole.
A
volte portavo dei libri e leggevo alcuni brani. Allora per segnare le
pagine dei testi piegavo l'angolo superiore, cosa che ora detesto.
Lei vedendo quelle “orecchiette” si innervosiva e facendo una
risatina isterica mi consigliava di trattare meglio i libri.
Quell'anno
a giugno, finiti i corsi, mi chiese il numero telefonico. Verso
l'inizio di settembre mi chiamò e mi chiese di farle delle lezioni
private. Ogni martedì dalle dieci alle undici e mezzo mi recavo in
bicicletta a casa sua, che si trovava nella zona delle Cure.
Ricordo
che la prima volta che andai da lei, appena entrata nel vecchio
appartamento al pianterreno, piuttosto buio e pieno di mobile
antichi, mi raccontò che la sua era stata una famiglia benestante,
suo padre aveva una piccola fabbrica di profumi. Abitavano in una
casa signorile in piazza Savonarola, ma dopo la morte del padre, la
ditta aveva avuto delle difficoltà e la moglie insieme alle due
figlie ventenni, si erano dovute trasferire in quel lugubre
pianterreno delle Cure.
La
madre morì dopo una decina d'anni e nella casa delle Cure rimase da
sola Maria, la sorella più piccola, la quale non si era mai sposata
e per mantenersi impartiva lezioni private di pianoforte. La signora
Angelica si era ritrasferita dalla sorella dopo la separazione dal
marito, ma questo me lo aveva raccontato nelle settimane successive.
Il
pianoforte a coda si trovava nell'unica sala luminosa della casa,
che si affacciava in un grande giardino.
Sono
andata dalla Signora Angelica diversi anni e mentre vedevo
invecchiare le due sorelle, ricostruivo ogni settimana un pezzetto
della storia della loro giovinezza.
Suonavo
il campanello, due o tre volte, giacché erano entrambe un po' sorde.
Mentre aspettavo sentivo i passetti della Signora Angelica. Nei
primi tempi, udivo in lontananza il ticchettio rapido delle sue
scarpe nere a tacco basso, negli ultimi anni arrivava strascicando
le ciabatte.
La
prima cosa che faceva era offrirmi una tazza di tè. Mentre aspettavo
seduta, che lei preparasse l'infusione, mi sentivo bene circondata
da quei pesanti mobili antichi, che quasi mi parlavano
raccontandomi le storie dei loro vecchi proprietari. La mia
immaginazione correva fino a che a un tratto sentivo la sorella in
cucina che borbottava qualcosa ai gatti.
-
Micio, micio, micio, come sei diventato grasso e bello.
Maria
era snella e sembrava fragile con il suo sguardo miope. Mi si
avvicinava e mi salutava, a volte mi raccontava strane storie di
gatti abbandonati, poi andava nel salone e suonava della musica
meravigliosa.
Le
tazze e la teiera facevano parte di un servizio buono, del quale la
Signora Angelica ne era molto orgogliosa. Il tempo passava veloce
sedute in quel tavolo troppo lungo per quella piccola stanza.
Chiacchieravamo di fronte alla tazza di tè, o meglio parlava lei
raccontandomi di quando era giovane, dopo andavamo nella sua camera,
dove vicino alla finestra, aveva una scrivania. Leggevamo e
traducevamo poesie di autori spagnoli o sudamericani. Un giorno
mentre recitava un poema di Antonio Machado
mi raccontò la storia
del suo innamoramento:
Una sera piovosa, quando aveva quasi trent'anni,
all'uscita del teatro, aveva conosciuto un quarantenne bello, ricco e
intelligente che le offriva riparo sotto il suo grande ombrello.
Nacque da subito una gran passione. Angelica era così felice, che
non voleva capire che il suo innamorato dipendeva totalmente dalla
madre e dalle due sorelle nubili. Il futuro marito le promise che
dopo un anno del loro matrimonio sarebbero andati a vivere da soli in
una villetta, nella zona di Poggio Imperiale, che possedeva la
famiglia, ma che in quel momento era affittata. Angelica era molto
innamorata e aveva creduto nelle parole del fidanzato.
Le nozze furono austere per il volere della suocera, ma
l'indomani della cerimonia la famiglia di Angelica organizzò in
campagna, in un podere che possedevano vicino alla Consuma, una festa
che tutti ricordarono per anni. Dopo alcuni mesi Angelica rimase
incinta. Il marito, con la scusa, dell'aiuto che madre e le sorelle
potevano darle per accudire il neonato, non volle trasferirsi nella
villetta, che nel frattempo si era liberata. Angelica ne era molto
dispiaciuta, ma dato che non voleva rovinare il meraviglioso evento
che sarebbe la nascita del suo primo figlio ci passò sopra. Nei
primi anni di matrimonio il marito era molto affettuoso con
Angelica, quindi lei non insistette più di tanto sul fatto di
andare ad abitare da soli.
Gli anni passavano e la suocera e le due cognate
diventavano sempre più gelose di Angelica. Il secondo figlio arrivò
dopo dieci anni di matrimonio. Angelica era felice allevando i suoi
figli, ma non sopportava l'intromissione delle tre donne.
Quando, dopo poco, morì la madre del marito, le due
cognate, libere di agire, l'umiliavano quando potevano. Una volta
mentre tutti i membri della famiglia stavano parlando con i cugini,
che erano arrivati dall'America, Angelica si mise in un angolino del
salotto ad allattare il suo bambino. Le due donne cominciarono a
tirare fuori dei fazzoletti per coprirle il seno e la fecero andare
in cucina. Suo marito, che era presente, quel giorno non ebbe il
coraggio di difenderla e dopo, quando lei gli ricordò la promessa
che le aveva fatto di andarsene insieme da quella casa, le confessò
che lui mai avrebbe abbandonato le due sorelle.
Quella notte, Angelica mentre piangeva si fece una
promessa:
- Appena si sarà sposato il mio secondo figlio, me ne
andrò da questa casa, con o senza marito.
Aveva mantenuto la sua promessa separandosi dal marito
il giorno dopo le nozze del secondogenito. A più di settanta anni,
traslocò nella casa delle Cure e cominciò una nuova vita.
Ero andata ogni martedì in bicicletta a casa della
Signora Angelica per quasi dieci anni, fino a quando alla fine degli
anni ottanta dovetti interrompere perché aspettavo un figlio.
La Signora Angelica aveva continuato a chiamarmi di
tanto in tanto, ma ogni anno per le feste di Pasqua mi chiedeva di
passare a ritirare dei dolci per i bambini e così facendo
trascorrevamo qualche ora insieme.
L'ultima volta sono andata a trovarla con mio secondo
figlio, allora undicenne. Mi aprì una badante un po' scorbutica e un
odore pungente di gatti penetrò nelle nostre narici, ma ben presto
arrivò la Signora Angelica, che camminava a stento aiutata da un
bastone. Era felice di vederci e mi diede un abbraccio così
affettuoso che ancora me ne ricordo come se fosse ieri.
Non poteva più muoversi di casa, i suoi viaggi erano da
diversi anni un lontano ricordo, ma ancora amava la vita e si
emozionava leggendo il suo poeta preferito.
Mi raccontò che sua sorella aveva perso totalmente la
testa e viveva solo per i gatti. Aveva animali in tutta la casa.
Soprattutto in bagno c'è ne erano più di dieci che curava come se
fossero bambini.
Maria era quasi ceca e non suonava più il pianoforte,
voleva sempre essere accompagnata ai giardini e campi vicini per
salvare tutti i gatti malati che trovava.
La situazione era considerata dai figli della Signora
Angelica insostenibile, per questo volevano trasferire le due donne
in una casa di cura. Lei si opponeva, ma d'altra parte non desiderava
che i figli soffrissero a causa loro. Ancora non aveva deciso il da
farsi, mi promise però che presto mi avrebbe chiamata per dirmi come
avevano risolto.
Passarono le settimane e presa dai mille impegni
dimenticai le due sorelle. Una mattina tornando dal lavoro, la
ragazza che mi aiutava a fare le pulizie, mi disse che aveva chiamato
un signore con una voce molto triste.
Chiamai subito il figlio maggiore della Signora
Angelica, il quale mi raccontò che, la mattina in cui era previsto
il trasferimento della madre e della zia in una casa di riposo, la
badante, la quale la sera prima aveva aiutato le due anziane a
coricarsi, aveva trovato entrambe le donne senza vita.
La pianista giaceva su un tappetto nel mezzo del salone
circondata dai suoi gatti. I medici dicevano che era stata morte
naturale, forse dovuta a un malore improvviso, ma nessuno capiva
perché non avesse chiesto aiuto.
La Signora Angelica fu trovata accasciata sul letto,
sopra il suo comodino, stranamente sgombro di libri, c'era solo una
tazza vuota del servizio buono, che nessuno sapeva come fosse
arrivata in quel posto.
Da molto tempo quelle tazze erano state impacchettate
con la carta velina in uno scatolone e sistemate in uno scaffale del
ripostiglio, troppo alto per esser raggiunto da una donna anziana. La
badante, che dormiva in una brandina nella camera di Maria,
continuava a ripetere che quella notte non aveva sentito nessun
rumore e di non saperne niente della tazza del servizio buono.
- Cosa era successo quella notte? Mi chiedevo mentre
pedalavo verso Piazza delle Cure.
Mi piaceva immaginare che la signora Angelica, grazie
alla sua tenacia e perseveranza, fosse andata oltre il possibile, addormentandosi placidamente per sempre.
Le mie gambe sapevano a memoria quella strada perché
senza rendermi conto arrivai di fronte alla vecchia casa delle
Cure, lasciando indietro l'ufficio postale e la raccomandata.
Che storia stupenda Fina, grazie!
RispondiEliminaGrazie per leggere i miei racconti.Besitos
EliminaBellissima storia, un piacere e un'emozione leggerti!
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