sabato 17 marzo 2018

Angelica oltre il possibile

















Alcuni giorni prima era arrivato a casa l'avviso di una raccomandata. Dovevamo andare a ritirarla in un ufficio postale vicino a Piazza delle Cure.
Quella mattina ero libera, quindi ho preso la bicicletta e mi sono incamminata verso la posta. Senza pensarci troppo ho pedalato verso piazza D'Azeglio, e poi ho seguito la stessa strada che facevo diversi anni prima, quando andavo a casa della Signora Angelica.
L'aria della città era quasi calda e ogni pedalata mi riportava tanti ricordi. All'inizio degli anni ottanta avevo conosciuto la Signora Angelica in una accademia di lingue, dove insegnavo spagnolo. Ero contenta di aver trovato quell'impiego, perché lavoravo solo tre pomeriggi la settimana e questo mi permetteva la mattina di seguire le lezioni all'Università. I miei allievi erano adulti e studiavano lo spagnolo, per lavoro, per viaggiare, per curiosità o come la Signora Angelica per passione.
La trovai seduta al primo banco di una piccola aula, quando il primo giorno di lezione arrivai timorosa, per la mia inesperienza. Occupava da sola un banco doppio, perché doveva sistemare nella sedia accanto l'elegante cappotto di lana e sul tavolo il bizzarro cappello. Aveva diversi cappelli, uno per ogni stagione ed io m'incantavo a contemplarla tutte le volte che se li toglieva o se li metteva con una cura quasi maniacale.
Era una donna alta e robusta, ma di portamento aristocratico. I capelli bianchi erano raccolti in una crocchia ben pettinata. Il volto paffutello e le fazioni delicate le davano un aria gentile e trasognata, ma gli occhi chiari e vispi dallo sguardo risoluto mostravano la sua vera indole. Era molto curiosa, voleva sapere tutto e conoscere il mondo prima di diventare troppo vecchia, per questo aveva tanto interesse a imparare nuove lingue.
Di solito indossava una pacata gonna nera con sopra delle larghe giacche chiare, ma i colorati foulard di seta fine, che sfoggiava intorno al collo, le davano un'eleganza quasi esotica. Aveva da poco superato la settantina, ma la gran voglia d'imparare la ringiovaniva.
Durante le mie lezioni era quasi l'unica ad alzare la mano per chiedere delle spiegazioni e il significato di alcune parole.
A volte portavo dei libri e leggevo alcuni brani. Allora per segnare le pagine dei testi piegavo l'angolo superiore, cosa che ora detesto. Lei vedendo quelle “orecchiette” si innervosiva e facendo una risatina isterica mi consigliava di trattare meglio i libri.
Quell'anno a giugno, finiti i corsi, mi chiese il numero telefonico. Verso l'inizio di settembre mi chiamò e mi chiese di farle delle lezioni private. Ogni martedì dalle dieci alle undici e mezzo mi recavo in bicicletta a casa sua, che si trovava nella zona delle Cure.
Ricordo che la prima volta che andai da lei, appena entrata nel vecchio appartamento al pianterreno, piuttosto buio e pieno di mobile antichi, mi raccontò che la sua era stata una famiglia benestante, suo padre aveva una piccola fabbrica di profumi. Abitavano in una casa signorile in piazza Savonarola, ma dopo la morte del padre, la ditta aveva avuto delle difficoltà e la moglie insieme alle due figlie ventenni, si erano dovute trasferire in quel lugubre pianterreno delle Cure.
La madre morì dopo una decina d'anni e nella casa delle Cure rimase da sola Maria, la sorella più piccola, la quale non si era mai sposata e per mantenersi impartiva lezioni private di pianoforte. La signora Angelica si era ritrasferita dalla sorella dopo la separazione dal marito, ma questo me lo aveva raccontato nelle settimane successive.
Il pianoforte a coda si trovava nell'unica sala luminosa della casa, che si affacciava in un grande giardino.
Sono andata dalla Signora Angelica diversi anni e mentre vedevo invecchiare le due sorelle, ricostruivo ogni settimana un pezzetto della storia della loro giovinezza.
Suonavo il campanello, due o tre volte, giacché erano entrambe un po' sorde. Mentre aspettavo sentivo i passetti della Signora Angelica. Nei primi tempi, udivo in lontananza il ticchettio rapido delle sue scarpe nere a tacco basso, negli ultimi anni arrivava strascicando le ciabatte.
La prima cosa che faceva era offrirmi una tazza di tè. Mentre aspettavo seduta, che lei preparasse l'infusione, mi sentivo bene circondata da quei pesanti mobili antichi, che quasi mi parlavano raccontandomi le storie dei loro vecchi proprietari. La mia immaginazione correva fino a che a un tratto sentivo la sorella in cucina che borbottava qualcosa ai gatti.
- Micio, micio, micio, come sei diventato grasso e bello.
Maria era snella e sembrava fragile con il suo sguardo miope. Mi si avvicinava e mi salutava, a volte mi raccontava strane storie di gatti abbandonati, poi andava nel salone e suonava della musica meravigliosa.
Le tazze e la teiera facevano parte di un servizio buono, del quale la Signora Angelica ne era molto orgogliosa. Il tempo passava veloce sedute in quel tavolo troppo lungo per quella piccola stanza. Chiacchieravamo di fronte alla tazza di tè, o meglio parlava lei raccontandomi di quando era giovane, dopo andavamo nella sua camera, dove vicino alla finestra, aveva una scrivania. Leggevamo e traducevamo poesie di autori spagnoli o sudamericani. Un giorno mentre recitava un poema di Antonio Machado mi raccontò la storia del suo innamoramento:
Una sera piovosa, quando aveva quasi trent'anni, all'uscita del teatro, aveva conosciuto un quarantenne bello, ricco e intelligente che le offriva riparo sotto il suo grande ombrello. Nacque da subito una gran passione. Angelica era così felice, che non voleva capire che il suo innamorato dipendeva totalmente dalla madre e dalle due sorelle nubili. Il futuro marito le promise che dopo un anno del loro matrimonio sarebbero andati a vivere da soli in una villetta, nella zona di Poggio Imperiale, che possedeva la famiglia, ma che in quel momento era affittata. Angelica era molto innamorata e aveva creduto nelle parole del fidanzato.
Le nozze furono austere per il volere della suocera, ma l'indomani della cerimonia la famiglia di Angelica organizzò in campagna, in un podere che possedevano vicino alla Consuma, una festa che tutti ricordarono per anni. Dopo alcuni mesi Angelica rimase incinta. Il marito, con la scusa, dell'aiuto che madre e le sorelle potevano darle per accudire il neonato, non volle trasferirsi nella villetta, che nel frattempo si era liberata. Angelica ne era molto dispiaciuta, ma dato che non voleva rovinare il meraviglioso evento che sarebbe la nascita del suo primo figlio ci passò sopra. Nei primi anni di matrimonio il marito era molto affettuoso con Angelica, quindi lei non insistette più di tanto sul fatto di andare ad abitare da soli.
Gli anni passavano e la suocera e le due cognate diventavano sempre più gelose di Angelica. Il secondo figlio arrivò dopo dieci anni di matrimonio. Angelica era felice allevando i suoi figli, ma non sopportava l'intromissione delle tre donne.
Quando, dopo poco, morì la madre del marito, le due cognate, libere di agire, l'umiliavano quando potevano. Una volta mentre tutti i membri della famiglia stavano parlando con i cugini, che erano arrivati dall'America, Angelica si mise in un angolino del salotto ad allattare il suo bambino. Le due donne cominciarono a tirare fuori dei fazzoletti per coprirle il seno e la fecero andare in cucina. Suo marito, che era presente, quel giorno non ebbe il coraggio di difenderla e dopo, quando lei gli ricordò la promessa che le aveva fatto di andarsene insieme da quella casa, le confessò che lui mai avrebbe abbandonato le due sorelle.
Quella notte, Angelica mentre piangeva si fece una promessa:
- Appena si sarà sposato il mio secondo figlio, me ne andrò da questa casa, con o senza marito.
Aveva mantenuto la sua promessa separandosi dal marito il giorno dopo le nozze del secondogenito. A più di settanta anni, traslocò nella casa delle Cure e cominciò una nuova vita.
Ero andata ogni martedì in bicicletta a casa della Signora Angelica per quasi dieci anni, fino a quando alla fine degli anni ottanta dovetti interrompere perché aspettavo un figlio.
La Signora Angelica aveva continuato a chiamarmi di tanto in tanto, ma ogni anno per le feste di Pasqua mi chiedeva di passare a ritirare dei dolci per i bambini e così facendo trascorrevamo qualche ora insieme.
L'ultima volta sono andata a trovarla con mio secondo figlio, allora undicenne. Mi aprì una badante un po' scorbutica e un odore pungente di gatti penetrò nelle nostre narici, ma ben presto arrivò la Signora Angelica, che camminava a stento aiutata da un bastone. Era felice di vederci e mi diede un abbraccio così affettuoso che ancora me ne ricordo come se fosse ieri.
Non poteva più muoversi di casa, i suoi viaggi erano da diversi anni un lontano ricordo, ma ancora amava la vita e si emozionava leggendo il suo poeta preferito.
Mi raccontò che sua sorella aveva perso totalmente la testa e viveva solo per i gatti. Aveva animali in tutta la casa. Soprattutto in bagno c'è ne erano più di dieci che curava come se fossero bambini.
Maria era quasi ceca e non suonava più il pianoforte, voleva sempre essere accompagnata ai giardini e campi vicini per salvare tutti i gatti malati che trovava.
La situazione era considerata dai figli della Signora Angelica insostenibile, per questo volevano trasferire le due donne in una casa di cura. Lei si opponeva, ma d'altra parte non desiderava che i figli soffrissero a causa loro. Ancora non aveva deciso il da farsi, mi promise però che presto mi avrebbe chiamata per dirmi come avevano risolto.
Passarono le settimane e presa dai mille impegni dimenticai le due sorelle. Una mattina tornando dal lavoro, la ragazza che mi aiutava a fare le pulizie, mi disse che aveva chiamato un signore con una voce molto triste.
Chiamai subito il figlio maggiore della Signora Angelica, il quale mi raccontò che, la mattina in cui era previsto il trasferimento della madre e della zia in una casa di riposo, la badante, la quale la sera prima aveva aiutato le due anziane a coricarsi, aveva trovato entrambe le donne senza vita.
La pianista giaceva su un tappetto nel mezzo del salone circondata dai suoi gatti. I medici dicevano che era stata morte naturale, forse dovuta a un malore improvviso, ma nessuno capiva perché non avesse chiesto aiuto.
La Signora Angelica fu trovata accasciata sul letto, sopra il suo comodino, stranamente sgombro di libri, c'era solo una tazza vuota del servizio buono, che nessuno sapeva come fosse arrivata in quel posto.
Da molto tempo quelle tazze erano state impacchettate con la carta velina in uno scatolone e sistemate in uno scaffale del ripostiglio, troppo alto per esser raggiunto da una donna anziana. La badante, che dormiva in una brandina nella camera di Maria, continuava a ripetere che quella notte non aveva sentito nessun rumore e di non saperne niente della tazza del servizio buono.
- Cosa era successo quella notte? Mi chiedevo mentre pedalavo verso Piazza delle Cure.
Mi piaceva immaginare che la signora Angelica, grazie alla sua tenacia e perseveranza, fosse andata oltre il possibile, addormentandosi placidamente per sempre.
Le mie gambe sapevano a memoria quella strada perché senza rendermi conto arrivai di fronte alla vecchia casa delle Cure, lasciando indietro l'ufficio postale e la raccomandata.








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