En aquellos días grises
de diciembre miraba muy a menudo por la ventana y veía tantas luces
que serpenteaban por la calzada. Eran cadenas largas de coches que
no cesaban de pasar. Vistas al atardecer desde lo alto de la planta
número catorce del Hospital de Barcelona, parecían cenefas de
varios colores que me distraían durante aquellas horas tan
lentas. Esas lucecitas me
daban un poco de alegría pues me recordaban el árbol de Navidad.
El ventanal
de la habitación del hospital donde estaba ingresado mi padre se
asomaba a la Avinguda Diagonal. Casi todos los edificios de aquella
zona rica de Barcelona eran rascacielos muy bien
construidos. A lado del hospital estaba la sede de la casa editora
Planeta, con unos jardines colgantes formando terrazas preciosas.¡Cuántos libros Planeta había leído en toda mi juventud! Aún
recuerdo el olor que desprendía el papel recién salido de la
imprenta cuando echada en la cama doblaba la primera página de la
nueva novela que empezaba a leer.
- Me
gustaría entrar un día en la editorial, pensé.
El Hospital
de Barcelona era un edificio acristalado de unos veinte pisos, que se
divisaba muy bien desde lo lejos.
Llegué
sonámbula a Barcelona con mi pequeña maleta y
desde la boca del metro apareció ante mí aquel prisma de cristales
majestuoso y melancólico. A finales de los años setenta se había
construido para destinarlo a un hotel de lujo. Dicen que la sociedad
dueña del hotel quebró y éste nunca se inauguró. Al poco tiempo
una mutua privada lo compró y sus habitaciones fueron adaptadas
para el gran hospital.
Entrando en
el edificio me dio la sensación de estar pisando una alfombra del
hotel de cinco estrellas que tenía que ser, pero en seguida llegó
a mi nariz el olor intenso del polvo sutil que flotaba en el aire
y que había ido penetrando año tras año en los poros de los
sofás, sillones, muebles y demás objetos de la inmensa sala de
espera.
Aquel aroma
me distrajo de la ansiedad que había acumulado durante toda la noche
anterior, en la que había dormido muy poco, sea por los nervios sea por el madrugón, y a lo largo de todo aquel día interminable
en el que había viajado sin parar. Había cogido primero un autobús,
luego un autocar de línea, después un avión, seguí en tren y terminé tomando el metro. Mis pasos eran
lentos pero a la vez decididos. Miré mis zapatos negros cómodos pero elegantes y me di
cuenta de que eran los mismos que llevaba algunos años atrás cuando
entré en el hospital donde falleció mi madre.
Las caras
tristes de la gente que entraba y salía me llevaron de nuevo a la
realidad.
La planta
catorce era un lugar especial, pues en ella estaban ingresados los
enfermos terminales.
Allí era
donde estaba mi padre, quien al cabo de pocos días iba a cumplir noventa y cuatro años, en una cama de las que suben y
bajan eléctricamente y su cuerpo estaba lleno de tubos y goteros.
Una
ambulancia lo había salvado de un ataque al corazón, pero bien
mirando quizás lo había condenado pues si aquella mañana, en que
la cuidadora lo encontró sin sentido, lo hubieran dejado en su cama
habría muerto sin tener luego que sufrir tanto.
Los tres
hermanos estábamos muy apenados y hacíamos piña para ayudarnos
mutuamente. Hacía varios días que no nos movíamos de su cabezal
donde nos alternábamos todos los miembros de la familia.
El seguía
sin sentido en aquella habitación con la vista tan hermosa. La
ciudad desde allá se desplegaba hacia la parte antigua terminando en
el puerto que a él tanto le gustaba. Muchos años atrás cuando era
pequeña con mi padre solíamos dar una vuelta por el muelle,
mirando con detenimiento todos los barcos, cada vez que llegábamos a
la estación de Cercanías con demasiada antelación. Para
mí era un acontecimiento ir a Barcelona y siempre que me lo
permitían acompañaba a mi padre, sin embargo recuerdo una vez en la
que de ningún modo quería ir, por el miedo que les tenía a los médicos del
hospital en el que debían ingresarme para que me extirparan las amígdalas.
El día de la operación, de lo asustada que estaba, me mareé en el tren que nos llevaba a la ciudad y en el hospital cuando iban a
ponerme una enorme inyección para hacerme dormir, saqué todas mis
fuerzas y agallas para impedirlo. Creo que aquella pataleta mis
padres la recordaron toda su vida.
Mientras
miraba los coches que seguían serpenteando por la Avenida caí en
la cuenta de que solo faltaban tres días para Navidad.
Quattordicesimo
piano
In quei giorni grigi di dicembre spesso guardavo fuori
dalla finestra e vedevo tante luci che serpeggiavano attraverso la
strada. Erano lunghe code di automobili che si muovevano senza fine.
Al tramonto, viste dall'alto del quattordicesimo piano
dell'ospedale di Barcellona, mi sembravano nastrini colorati che mi
accompagnavano durante quelle ore lente; quelle luci mi davano un
po' di allegria perché mi ricordavano l'albero di Natale.
Dalla finestra della stanza di mio padre, che si affacciava sulla Avinguda Diagonal, ho scoperto l'insegna luminosa della casa editrice Planeta, tra giardini pensili e belle terrazze. Quanti libri editi da Planeta avevo letto nella mia giovinezza! Ricordo ancora l'odore che emetteva la carta fresca di stampa, quando a letto aprivo la prima pagina del romanzo che stavo per iniziare.
- Mi piacerebbe un giorno entrare nella sede di quella casa editrice, ho pensato.
Dalla finestra della stanza di mio padre, che si affacciava sulla Avinguda Diagonal, ho scoperto l'insegna luminosa della casa editrice Planeta, tra giardini pensili e belle terrazze. Quanti libri editi da Planeta avevo letto nella mia giovinezza! Ricordo ancora l'odore che emetteva la carta fresca di stampa, quando a letto aprivo la prima pagina del romanzo che stavo per iniziare.
- Mi piacerebbe un giorno entrare nella sede di quella casa editrice, ho pensato.
Ero arrivata in città, rintontita dal viaggio, con la mia piccola valigia; uscendo dalla metropolitan l'ospedale era subito apparso davanti a me come un prisma maestoso di cristallo di venti
piani.
Alla fine degli anni settanta quel edificio era stato
costruito da destinare a un albergo di lusso. Dicevano che la
società che gestiva l'hotel era fallita, quindi non era mai stato
inaugurato. Una mutua privata lo aveva acquistato e in seguito le
camere erano state riadattate ad uso ospedaliero.
All'entrata c'era un lungo tappeto rosso, che camminandoci sopra mi era sembrato di trovarmi nell'albergo a cinque stelle che avrebbe dovuto essere, ma poi vedendo i volti tristi delle persone che entravano ed uscivano e sentendo l'odore intenso di polveri sottili che proveniva dai pori dei divani, sedie, mobili e altri oggetti della vasta sala d'attesa, sono ritornata alla realtà. Quell'aroma mi fece dimenticare l'ansia che avevo accumulata durante la notte, in cui avevo dormito poco, sia a causa della mia angoscia sia dal pensiero di dover alzarmi presto, e nella lunga giornata in cui avevo tanto viaggiato senza mai fermarmi. Aveva preso prima un bus, dopo un pullman, poi un aereo, in seguito il treno e per finire la metropolitana. I miei passi erano lenti ma determinati. Ho guardato le mie scarpe nere, comode ma eleganti e mi sono accorta che erano le stesse che indossavo alcuni anni prima, quando sono entrata nella clinica dove stava morendo mia madre.
Il quattordicesimo piano era un posto speciale perché ospitava i malati terminali. Lì c'era mio padre in un letto di quelli che premendo un bottone andavano su e in giù; dal suo corpo, che aveva quasi novantaquattro anni, uscivano dei tubicini ed entravano delle flebo.
Un'ambulanza aveva salvato mio padre da un attacco di cuore, ma pensandoci bene, forse lo aveva condannato, perché se quella mattina, nella quale la badante lo aveva trovato incosciente, lo avessero lasciato nel suo letto sarebbe morto, senza dover poi soffrire così tanto.
I tre figli eravamo addolorati e quella improvvisa disgrazia ci aveva molto uniti. Per diversi giorni non ci eravamo mossi dal suo capezzale dove ci alternavamo con altri membri della famiglia.
Da qualche giorno mio padre giaceva in uno stato comatoso in quella bella stanza con vista. La città da lì scendeva fino al vecchio al porto, quello che lui tanto aveva amato. Molti anni prima, da piccola con mio padre, quando rientravamo nel paese della costa catalana dopo una giornata passata in città, andavamo, ogni volta che arrivavamo alla stazione ferroviaria troppo in anticipo, a fare una passeggiata sul molo e ci soffermavamo a guardare con attenzione tutte le navi attraccate. Per me era sempre un evento straordinario andare a Barcellona e ogni volta che mi era permesso accompagnavo mio padre a sbrigare i suoi affari in città; però ricordo un periodo in cui in nessun modo volevo andarci, perché avevo paura di incontrare i medici che avevano programmato di togliermi le tonsille. Quella volta dell'operazione ero talmente spaventata che addirittura ho avuto mal di mare in treno e mentre un medico e una infermiera erano intenti farmi un enorme puntura per addormentarmi, ho lottato con tutte le mie forze e coraggio per impedirlo. Penso che i miei genitori hanno ricordato tutta la vita quella giornata per la mia insolita ostinazione.
Mentre guardavo le vetture che serpeggiavano lungo il viale mi sono reso conto che mancavano solo tre giorni a Natale.
All'entrata c'era un lungo tappeto rosso, che camminandoci sopra mi era sembrato di trovarmi nell'albergo a cinque stelle che avrebbe dovuto essere, ma poi vedendo i volti tristi delle persone che entravano ed uscivano e sentendo l'odore intenso di polveri sottili che proveniva dai pori dei divani, sedie, mobili e altri oggetti della vasta sala d'attesa, sono ritornata alla realtà. Quell'aroma mi fece dimenticare l'ansia che avevo accumulata durante la notte, in cui avevo dormito poco, sia a causa della mia angoscia sia dal pensiero di dover alzarmi presto, e nella lunga giornata in cui avevo tanto viaggiato senza mai fermarmi. Aveva preso prima un bus, dopo un pullman, poi un aereo, in seguito il treno e per finire la metropolitana. I miei passi erano lenti ma determinati. Ho guardato le mie scarpe nere, comode ma eleganti e mi sono accorta che erano le stesse che indossavo alcuni anni prima, quando sono entrata nella clinica dove stava morendo mia madre.
Il quattordicesimo piano era un posto speciale perché ospitava i malati terminali. Lì c'era mio padre in un letto di quelli che premendo un bottone andavano su e in giù; dal suo corpo, che aveva quasi novantaquattro anni, uscivano dei tubicini ed entravano delle flebo.
Un'ambulanza aveva salvato mio padre da un attacco di cuore, ma pensandoci bene, forse lo aveva condannato, perché se quella mattina, nella quale la badante lo aveva trovato incosciente, lo avessero lasciato nel suo letto sarebbe morto, senza dover poi soffrire così tanto.
I tre figli eravamo addolorati e quella improvvisa disgrazia ci aveva molto uniti. Per diversi giorni non ci eravamo mossi dal suo capezzale dove ci alternavamo con altri membri della famiglia.
Da qualche giorno mio padre giaceva in uno stato comatoso in quella bella stanza con vista. La città da lì scendeva fino al vecchio al porto, quello che lui tanto aveva amato. Molti anni prima, da piccola con mio padre, quando rientravamo nel paese della costa catalana dopo una giornata passata in città, andavamo, ogni volta che arrivavamo alla stazione ferroviaria troppo in anticipo, a fare una passeggiata sul molo e ci soffermavamo a guardare con attenzione tutte le navi attraccate. Per me era sempre un evento straordinario andare a Barcellona e ogni volta che mi era permesso accompagnavo mio padre a sbrigare i suoi affari in città; però ricordo un periodo in cui in nessun modo volevo andarci, perché avevo paura di incontrare i medici che avevano programmato di togliermi le tonsille. Quella volta dell'operazione ero talmente spaventata che addirittura ho avuto mal di mare in treno e mentre un medico e una infermiera erano intenti farmi un enorme puntura per addormentarmi, ho lottato con tutte le mie forze e coraggio per impedirlo. Penso che i miei genitori hanno ricordato tutta la vita quella giornata per la mia insolita ostinazione.
Mentre guardavo le vetture che serpeggiavano lungo il viale mi sono reso conto che mancavano solo tre giorni a Natale.
Planta número catorze
En aquells dies grisos de desembre mirava molt sovint per la finestra i veia
tantes llums que serpentejaven per la calçada. Eren cadenes llargues de cotxes
que no cessaven de passar. Vistes al capvespre des de dalt de la planta número
catorze de l'Hospital de Barcelona, semblaven sanefes de diversos colors, que
per sort em distreien durant aquelles hores tan lentes. Aquestes llumetes em
donaven una mica d'alegria ja que em recordaven l'arbre de Nadal.
El finestral de l'habitació de l'hospital on estava ingressat el meu pare donava a l'Avinguda Diagonal. Gairebé tots els edificis d'aquella zona rica de Barcelona eren alts gratacels, però molt ben construïts. A costat de l'hospital hi havia la seu de la casa editora Planeta, amb uns jardins penjants formant terrasses precioses. ¡Quants llibres Planeta havia llegit en tota la meva joventut! Encara recordo l'olor, que desprenia el paper acabat de sortir de la impremta, quan estirada al llit passava la primera pàgina de la nova novel·la que començava a llegir. - M'agradaria un dia entrar en aquella editorial, vaig pensar. L'Hospital de Barcelona era un edifici envidriat d'uns vint pisos, que es veia molt bé des de lluny. Vaig arribar somnàmbula a Barcelona amb la meva petita maleta, ja des de la boca del metro, em va aparèixer davant meu aquell prisma de vidres majestuosos i malenconiosos. A finals dels anys setanta s'havia construït per destinar-lo a un hotel de luxe. Diuen que la societat propietària de l'hotel va fer fallida i aquest mai es va inaugurar. Al poc temps una mútua privada el va comprar i les seves habitacions van ser adaptades per al gran hospital. Entrant a l'edifici em va donar la sensació d'estar trepitjant una catifa de l'hotel de cinc estrelles que havia de ser, però de seguida va arribar al meu nas l'olor intens de la pols subtil, que surava en l'aire i que havia anat penetrant any rere any en els porus dels sofàs, butaques, mobles i altres objectes de la immensa sala d'espera. Aquell aroma em va distreure de l'ansietat que havia acumulat durant tota la nit anterior, en què havia dormit molt poc, sigui pels nervis sigui per el fet de haver-me llevat de matinada, i durant tot aquell dia interminable en què havia viatjat sense parar. Havia agafat primer un autobús, després un autocar de línia, després un avió, vaig seguir amb tren i vaig acabar prenent el metro. Els meus passos eren lents però alhora decidits. Vaig mirar les meves sabates negres còmodes però elegants i em vaig adonar que eren les mateixes que portava alguns anys enrere quan vaig entrar a l'hospital on va morir la meva mare. Les cares tristes de la gent que entrava i sortia em van portar de nou a la realitat. La planta catorze era un lloc especial, ja que en ella estaven ingressats els malalts terminals. Allà era on estava el meu pare, que al cap de pocs dies hauria complit noranta-quatre anys, en un llit de els que pugen i baixen elèctricament. El seu cos estava ple de tubs i goters. Una ambulància l'havia salvat d'un atac de cor, però ben mirat potser l'havia condemnat, doncs si aquell matí, en què la cuidadora el va trobar sense sentit, l'haguessin deixat en el seu llit hauria mort sense haver després de patir tant. Els tres germans estàvem molt apesarats i fèiem pinya per ajudar-nos mútuament. Feia diversos dies que no ens movíem del seu capçal on ens alternàvem tots els membres de la família. Ell seguia sense sentit en aquella habitació amb la vista tan bonica. La ciutat des d'allà es desplegava cap a la part antiga acabant al port, que a ell tant li agradava. Molts anys enrere quan era petita amb el meu pare solíem fer una volta pel moll, mirant amb deteniment tots els vaixells, cada vegada que arribàvem a l'estació de Rodalies amb massa antelació. Per a mi era un esdeveniment anar a Barcelona i sempre que m'ho permetien acompanyava al meu pare, però recordo una vegada en la qual de cap manera volia anar-hi, per la por que els tenia als metges de l'hospital, en el qual havien de ingressar per que m 'extirpessin les amígdales. També recordo el dia de l'operació, de lo espantada que estava, em vaig marejar al tren que ens portava a la ciutat i a l'hospital quan anaven a posar-me una enorme injecció per fer-me dormir, vaig treure totes les meves forces i coratge per impedir-ho. Crec que aquella rebequeria meus pares la van recordar tota la vida. Mentre mirava els cotxes que seguien serpentejant per l'Avinguda vaig em vaig donar compte que només faltaven tres dies per Nadal. |
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Josefina: Tus palabras emanan dolor pero evocan las luces en la oscuridad, de esas de las que nos cojemos fuerte para atemperar el golpe y disfrutar con el recuerdo. Me gustó mucho!!! ¡Un beso grande!
RispondiEliminaCarla, amiga de tu sobrina María a quien le has recomendado este post.
Carla: me ha hecho mucha ilusión que hayas leído mi relato y estoy encantada que te haya gustado. Recuerdo que aquel verano en el que nos conocimos, mi padre estaba muy contento cuando hablaba contigo en la "Pensió"y se ve en las fotos que nos tiraste. Te decía que eras muy guapa y dulce.Y tenía mucha razón. María de vez en cuando me pone al corriente de tu vida. Enhorabuena por tu pareja y por tu hija, que debe ser bellisima.
EliminaUn abrazo
Cara Fina, dal ricordo doloroso degli ultimi giorni di tuo padre emerge la completezza delle sensazioni e dei ricordi che ti legano a lui. Condivido le tue considerazioni si certe forme di "accanimento terapeutico" che sono comprensibili quanto meno per rimandare lo shock di una perdita improvvisa, sia pure in tarda età, ma che veramente rischiano di prolungare le sofferenze di chi ci lascia. Ti abbraccio fortissimo. Annalisa Massari
RispondiEliminasi è vero, il racconto è triste, ma è un momento della vita che più o meno abbiamo passato tutti noi, e il ricordo che ne rimane è dolce..baci, Anna
RispondiEliminaGrazie Fina di avermi fatto condividere la tua soria. Ti auguro un gioioso 2014. Concita
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