La nostra cucina si trova inserita in una grande sala con quattro finestre. Un giorno mio marito, in piedi di fronte a quello che era il nostro angolo cottura, mi disse:
- Questi mobili cadono a pezzi, è arrivata l'ora di cambiarli.
Sentendo
queste parole ho avuto un tuffo al cuore. Ho ricordato i lavori
interminabili delle cuina1
della mia casa natale, dove
ho trascorso l'infanzia e la giovinezza. La vecchia cucina era in
muratura, l'avevano rinnovata negli anni trenta i miei nonni. Era
molto bella e ancora oggi la ricordo, aveva i fornelli a carbone e un
focolare a legna dove d'inverno ci riscaldavamo.
Mia
madre però desiderava i mobili di formica, come andavano negli anni
sessanta, e diceva a mio padre, al quale non importava niente delle
cucina:
-Vull una cuina nova. La meva, serà la cuina mes maca del poble.2
-Vull una cuina nova. La meva, serà la cuina mes maca del poble.2
Dopo
tanto insistere, mio padre cedette e verso la fine di giugno del
1966, iniziarono i lavori. Los albañiles3,
un muratore catalano di mezza età e il suo aiutante andaluso un po'
più vecchio di lui, fecero un buon lavoro. Ricordo con piacere i
cibi consumati insieme a loro nel patio4
di casa, intorno a un fornello a gas. Il manovale, era molto loquace
e sempre di buon umore, nonostante la sua vita difficile da
emigrante. Per noi bambini, era una gran novità avere degli ospiti,
in una casa dove non c'è n'erano mai stati, come stava lì a
dimostrare la nostra sala da pranzo, mai rinnovata.
I
problemi arrivarono dopo. Per i lavori di falegnameria, mia madre si
vide obbligata a chiamare Joanet el fuster5,
un suo cugino. Il padre di Joanet, ormai vecchio, era stato un buon
falegname, il figlio invece non amava il lavoro a cui la famiglia lo
aveva costretto, aveva in mente solo la sua bicicletta, era come una
malattia.
Joanet
in quei giorni era distratto da altri pensieri, mentre lavorava era
nervoso e guardava continuamente l'orologio. Ma quando, prima del
tramonto, finito di segare l'ultimo pezzo di legno, saliva sulla sua
vecchia bicicletta da corsa, allora lo si vedeva felice. Dicono che
pedalasse per ore, l'imbrunire accarezzava la sua schiena e il buio
era la sua più dolce compagnia.
Joanet,
faceva solo polvere, non gli tornavano mai le misure, passava la
giornata a segare il legno per rimediare agli errori del giorno
prima. Fu così che i lavori durarono quasi tutta l'estate. Mia madre
era disperata, si lamentava continuamente con noi bambini, io da una
parte ero attratta dalla cuina nova6
ma dall'altra la rifiutavo perché, in quella torrida estate, era
fonte di infelicità.
Alla
fine d'agosto, dopo la festa major7
del paese, Joanet aveva finalmente finito di riempirci la
casa di polvere. La nuova cucina di formica azzurra era venuta un
po' sbilenca, alcuni sportelli erano storti, ma a me piaceva lo
stesso, ero felice di vederla finita, mi mancava solo il focolare
della vecchia cucina. Invece, mia madre non era contenta del
risultato, per colpa del cugino Joanet la sua tanto desiderata cucina
non sarebbe stata la più bella del paese.
Dopo
molti anni, quando ormai mi ero trasferita in Italia, mia madre
convinse mio padre a cambiare nuovamente la cucina. Questa volta non
si sentì costretta a chiamare il cugino Joanet, anche perché nel
frattempo, per fortuna di tutti, era andato in pensione e girellava
felice in bicicletta dall'alba al tramonto. La nuova cucina
prefabbricata, color legno, che gli operai montarono in un giorno,
per mia madre era finalmente la cuina mes maca del poble.
Ancora
oggi, quando torno a trovare mio padre novantenne, rimasto vedovo da
poco, apro e chiudo gli sportelli scuri, ormai consumati e tristi,
della cucina che era stata l'orgoglio di mia madre. Mentre li osservo
ricordo e rimpiango un po' la vecchia cuina di formica
azzurra, forse un po' sbilenca ma piena di storia e di luce.
Pensavo
a tutto questo, mentre mio marito mi illustrava il suo progetto con la chiarezza
di chi ha elaborato un'idea da tempo ed io invece, sorpresa, provavo
il disagio di chi sta per rivivere un evento non de tutto felice del
passato come fu, per me il rinnovo della cucina della mia infanzia.
Naturalmente,
anch'io vedevo che gli sportelli non si chiudevano più
perfettamente, la vernice bianca era qua e là scrostata, lo
scolapiatti era arrugginito, il piano di lavoro era tagliuzzato,
insomma nell'insieme era una cucina vecchia e malconcia. Ma il
progetto che lui stava illustrando prevedeva non solo il cambio dei
mobili e degli elettrodomestici, ma anche una loro diversa
disposizione nella stanza e questo avrebbe richiesto l'intervento di
muratori ed elettricisti. Immersa nei miei ricordi, lì per lì
l'unica cosa che sono riuscita a dire è stato che almeno si facesse
una cosa rapida.
L'impresa avrebbe dovuto iniziare alla fine di luglio ma all'ultimo momento c'era stato un cambiamento: i muratori sarebbero arrivati una settimana prima del previsto, periodo
che coincideva con un mio viaggio a casa di mio padre, del quale
avevo già prenotato il biglietto. Di seguire i lavori si sarebbe
occupato mio marito.
Quando
sono tornata, dopo due settimana, la casa era piena di polvere e dato
che i lavori si erano prolungati per un imprevisto, c'erano ancora
gli operai.
Qualche
giorno dopo, i muratori per fortuna avevano finito e arrivarono i
falegnami. Era di sabato quando un omone di nome Pietro, insieme ad
un aiutante magrebino, cominciarono a scaricare la cucina dal camion.
Alcuni pezzi erano troppo lunghi, non entravano in ascensore e non
passavano dalle scale, quindi andavano segati a misura prima: si
cominciava male, pensai.
Come
Joanet allora, anche Pietro era distratto e nervoso, sudava e si
asciugava la fronte con un grande fazzoletto. Anche a lui non
tornava niente. A un certo punto ci disse che non ne poteva più. Ma
subito si scusò aggiungendo che era un brutto periodo per lui, dato
che si stava separando dalla moglie e che inoltre suo figlio
adolescente non voleva continuare gli studi. Pensai che come quelli
della cucina anche i pezzi della sua vita non si incastravano.
Dopo
alcune telefonate con il responsabile del negozio che ci aveva
venduto la cucina, fu chiaro che la colpa non era di Pietro, ma di
chi aveva costruito alcuni pezzi sbagliando le misure. A quel punto,
Pietro ed il suo aiutante montarono le parti indispensabili della
cucina per permetterci di utilizzarla e se ne andarono promettendo
che sarebbero tornati presto. Nel corso dei mesi successivi, dopo
alcuni tentativi mai conclusivi, in una giornata torrida, dopo più
di un anno da quel sabato infelice, Pietro arrivò conteno, si mise
al lavoro e finalmente finì di montare la cucina, questa volta tutti
gli incastri tornavano, anche nella sua vita le cose si erano piano piano sistemate. Suo
figlio maggiore, con molto entusiasmo, lo aiutava.
La
cucina finita è stata una gran allegria per noi, guardandola ho
pensato che era proprio bella, mia madre vedendola avrebbe detto es
la cuina mes maca del poble.
1Cucina
2
Voglio
una cucina nuova, la mia sarà la più bella del paese
3Gli
operai muratori
4Cortile
5Il
falegname
6Nuova
cucina
7Festa
del patrono
anche in casa mia da piccola mi ricordo della cucina rinnovata ...fu un avvenimento perchè ci fu messo anche il frigo. Mi sembrava enorme ma ero così felice che andavo sempre a aprirlo...grazie fina dei bei momenti passati a leggere i tuoi racconti
RispondiEliminaleti