venerdì 16 febbraio 2024

Epílogo (en español)

 


Felipe, siguiendo las voluntades de Mariano, a quien le gustaba la música y el baile, contrató a un trío de músicos y les envió una tarjeta a todos los familiares, amigos y conocidos de Mariano, comunicándoles la muerte de su amigo e invitándoles a una merienda en el jardín de la finca Esperanza para el sábado siguiente. Gabriel y Lucas colocaron varias mesas bajo la parra, donde los racimos de uva colgaban maduros, a punto de ser recogidos. Gabriel cortó alguno de ellos y los dejó sobre los manteles de las mesas que Lucas iba poniendo.

Felipe, Olivia y Nieves se engalanaron con su mejor ropa y subieron a la tarima, donde los músicos estaban preparando los instrumentos.

- Damas y caballeros, habéis tenido la suerte y el honor de conocer a Mariano Defaus Moragas. Ahora juntos vamos a despedirlo, dijo Felipe.

- Hablaremos de él, pero no con pena, dijo Olivia, leyendo el texto de un papel doblado que sacó de su bolsillo.

- Hablaremos de sus gustos, de las personas que quería, de las que no quería, de lo que hacía y de lo que sentía, pero nunca con pena, agregó Nieves.

- Y poco a poco Mariano será tan nuestro que no será necesario que hablemos de él para recordarlo, él será un gesto, una palabra, un gusto, una mirada que fluye, exclamó Felipe.

En aquel momento explotaron los fuegos artificiales y los músicos con sus guitarras, maracas y percusiones empezaron a tocar un son, la música popular cubana que más le gustaba a Mariano.

Gabriel y la cocinera sirvieron buena comida y bebida para todos, les ayudó Lucas, que reía y lloraba a la vez. Los nietos de Mariano correteaban por el patio, mientras Nieves, Felipe y Olivia hablaban de él con cada uno de los invitados.

Aquella fiesta fue recordada durante mucho tiempo, pues los que asistieron se despidieron del difunto de una forma poco habitual: en lugar de apenarse, cantaron y bailaron, para darle, entre sonrisas y lágrimas, el último adiós.





domenica 11 febbraio 2024

Cap.11 Teresa Moragas Gibert ( in italiano)

 


Quel giorno d'inverno del 1873, ferma accanto al portone, Teresa Moragas Gibert guardò con tristezza il marito e il figlio maggiore che uscivano di casa per andare alla stazione, ma non poteva immaginare cosa stesse macchinando il marito. I due scomparvero mentre giravano l’angolo della strada che sfociava nella piazza della chiesa. José Defaus Ballesté aveva in mano la valigia e Mariano sulle spalle lo zaino. Durante il tragitto a piedi parlarono poco. José accompagnò il figlio al binario del treno per Barcellona. Mentre aspettavano, il padre consegnò al ragazzo una busta contenente un documento ufficiale e gli disse con serietà:
- Ho dovuto nascondere questa vergogna.
Mentre Mariano leggeva il documento, José continuò a dire:
- Il sindaco mi ha aiutato affinché nessuno sappia della denuncia. Come ben saprai coloro che vengono estratti a sorte per il servizio militare vengono chiamati a scaglioni, secondo il sindaco la tua chiamata arriverà quest’estate, ma per tutta la gente del paese tu adesso sei scappato per non arruolarti e per nessun altro motivo, capito?
- Mi dispiace, padre, non avevo osato dirvi che sono stato denunciato dall'ufficiale giudiziario.
- Ti metti sempre nei guai! Devi promettermi che sarai più prudente.
Appena il treno arrivò la conversazione fu troncata, ma durante tutto il viaggio Mariano pensò ai guai che aveva combinato con Pepito, il suo miglior amico, e promise a se stesso che d'ora in avanti sarebbe stato più giudizioso.

Ne era passata di acqua sotto i ponti da quella mattina in cui Teresa aveva salutato Mariano. Con il trascorrere dei giorni, lei si rendeva conto che non avrebbe rivisto suo figlio così presto come aveva sperato. Teresa non era una donna timorosa e sottomessa, anzi, sarebbe stata coraggiosa se avesse avuto l'opportunità di andare via dal paesino, ma a quei tempi le donne dovevano tacere e fare ciò che il padre aveva stabilito per loro. Sposò José Defaus Ballesté senza quasi conoscerlo. Prima del matrimonio, lo aveva incontrato solo un paio di volte al ballo della festa del paese. Ma per fortuna José l'aveva sempre rispettata e, anche se a casa comandava lui, permetteva che alcune cose fosse lei a deciderle. Mariano le assomigliava, era gentile, sognatore, sensibile, coraggioso, fedele e affidabile.
- Da dove è uscito fuori Mariano con questo carattere? Le domandò, una sera all'inizio di quell'anno fatidico, il marito a bassa voce per non farsi sentire dai quattro figli che dormivano nella stanza accanto.
- Mariano è un ragazzo con grinta, gli disse Teresa.
- Speriamo che tutta questa grinta non lo porti fuori strada.
- Non esagerare. È un bravo ragazzo, ribadì Teresa.
- Gli piacciono troppo i treni e le navi. Ho paura che se ne vada via lontano.
- Anche a me dispiacerebbe tanto, ma sarà quello che Dio vorrà, osò dire Teresa.
- Non credo che ci abbandonerà, lo dicevo solo per dire, ma quello che adesso mi preoccupa di più è che venga chiamato a fare il militare. Ci sono voci che a causa della carenza di volontari nell'esercito saranno reclutati anche i diciassettenni.
- Non preoccuparti José, Mariano non ha ancora compiuto diciassette anni. Non toccherà a lui, gli disse la moglie, non del tutto convinta.
Teresa quella notte dormì poco e male, poiché temeva che il figlio prima o poi sarebbe stato chiamato alle armi, ma si alzò presto come al solito e preparò la colazione per tutta la famiglia. Mentre prendeva una tazza di latte caldo, dove inzuppava pezzettini pane raffermo, raccontò al marito di aver fatto un sogno molto strano:
- Il cortile era invaso dall'acqua, pioveva a dirotto, tutte le piante stavano morendo affogate e all'improvviso delle grosse rane saltavano fuori dalle pozzanghere ed entravano in casa. Chi sa cosa potrebbe significare questo sogno?
- I sogni non hanno nessun significato. L'unica cosa che mi
viene in mente è che oggi potrebbe piovere, disse José, ridendo.
Teresa sorrise, ma non osò dirgli che quella notte non aveva chiuso occhio dalla paura di perdere Mariano.

Dopo qualche giorno, il postino portò un avviso ufficiale per Mariano. Con quella busta sigillata in mano, Teresa crollò e scoppiò a piangere. Quando arrivò il marito, lei e i bambini piangevano, nel vederlo cercò di calmarsi, ma non ci riuscì e singhiozzando, gli porse la lettera. Mentre José la leggeva, dovette sedersi. Mariano era un po’ più indietro, ma vedendo il volto teso del padre, capì che erano arrivate brutte notizie. Quando José si riprese, abbracciò Mariano e gli disse che la famiglia Defaus era benvoluta in paese e che sicuramente qualcuno li avrebbe aiutati.
Teresa lasciò che il marito andasse dal sindaco, ma non credeva che quel brav'uomo potesse aiutarli:
- Mariano non è figlio di vedova e non ha difetti fisici, non potrà in nessun modo essere riformato, si disse.
Singhiozzò di gioia e di dolore quando seppe che Mariano poteva fuggire a Cuba, sotto le ali del farmacista Sarrá.
Le prime settimane dopo la partenza di Mariano furono molto difficili per Teresa, che per
non farsi vedere piangere doveva nascondersi nel lavatoio.
La casa dei Defaus era antica, costruita da un trisavolo di José Defaus Ballesté a metà del XVIII secolo. Al piano terra c'erano due stanze, la prima luminosa, con una finestra che si affacciava sulla strada ed era il luogo dove le donne si sedevano a cucire ogni pomeriggio, l’altra era piuttosto buia, con una finestrina alta che dava sulle scale e veniva usata come ripostiglio. Le camere da letto si trovavano al primo piano, raggiungibile con una scala piuttosto ripida. Nella sala da pranzo c'era una credenza, un tavolo di legno
scuro con gambe tornite e sei sedie tappezzate, dove si sedevano i pochi ospiti che entravano in casa. Dopo la sala da pranzo c'era una stanza di passaggio che portava alla grande cucina, la quale si affacciava sul cortile attraverso una porta finestra. In cucina c'erano dei fornelli a legna e un grande focolare, dove la famiglia trascorreva la maggior parte del tempo in inverno. Nel cortile c'erano il pozzo, il lavatoio e il gabinetto, che veniva chiamato comuna. La comuna consisteva in una tavola di legno con un buco al centro dove ci si poteva sedere per urinare e andare d’intestino. Appesa alla parete del lavatoio c'era una grande bacinella per fare il bagno. Teresa si prendeva cura delle piante e dei fiori che aveva sistemato nel cortile in grandi vasi. Più in là del cortile c'erano la stalla per il cavallo, il gallinaio, il porcile e atri recinti per animali.

Prima che arrivasse il foglio di reclutamento, José spiegò alla moglie come aveva fatto affinché né lei né gli abitanti del paese scoprissero che Mariano era stato convocato dal tribunale di Arenys.
Il sindaco lo aveva avvertito e lui era riuscito a nascondere l’arrivo della prima richiesta giudiziaria. In un primo momento Teresa si era offesa perché il marito non si era fidato di lei, ma quando, poco dopo, Mariano fu richiamato all’esercito per arruolarsi, accettò l'astuto piano del marito.
Poche settimane dopo la fuga di Mariano, arrivò il secondo avviso del tribunale, per Teresa fu un altro duro colpo.
- Non essere in pena per questo nuovo richiamo, mi presenterò io stesso, vedrai che risolverò tutto, le disse José.
- Non smettono di arrivare brutte notizie, disse lei singhiozzando.
Ma quando Teresa ricevette la prima lettera di Mariano, cominciò a sorridere di nuovo. La mostrò a tutti quanti e smise di andare a piangere nello stanzino del lavatoio. Per lei, anche se non voleva ammetterlo, Mariano era il suo figlio prediletto. Ogni volta che riceveva una sua lettera, le sembrava di averlo accanto. Da quando si era imbarcato, impazziva di gioia quando arrivava una lettera, nel leggerla le pareva di averlo vicino e rispondeva subito, pareva che vivesse solo per quello.
- Come sei esagerata! Smettila di pensare a Mariano e goditi i figli che hai ancora accanto a te, le diceva il marito, quasi ogni sera prima di addormentarsi.
- Non ci riesco. Ho bisogno di sapere della sua vita e leggendo le sue lettere è come se anch'io fossi a Cuba. Inoltre, ho il presentimento che lui tornerà presto, nel frattempo non voglio che si senta solo, così nelle mie lettere gli racconto tutte le vicende della nostra famiglia, per farlo sentire vicino a casa.
- Povero postino, ogni mattina lo tartassi domandandogli se c’è posta per te, disse José, il quale dopo un paio di sbadigli, troncò la conversazione, spegnendo la luce.
Gli anni passavano e Teresa aveva sempre più paura di non rivedere suo figlio, ma non lo confessava a nessuno, anzi, diceva a tutti che Mariano sarebbe tornato presto.

In una lettera del 15 maggio 1877 Teresa raccontò a Mariano i dettagli del matrimonio di Maria, la seconda figlia, la quale veniva chiamata da tutti Mariona. Lei aveva diciannove anni e il fidanzato, Agustí Riera Nualart, un ragazzo di Malgrat, ne aveva ventuno. Agustí era il figlio più giovane di una famiglia di contadini. Sapendo che la terra del padre sarebbe stata ereditata dal fratello maggiore, cercò un impiego fuori dal paese. Trovò da lavorare come guardiano di una grande casa colonica e il podere annesso, in un piccolo villaggio vicino a Girona. Mariona non voleva lasciare la sua terra natale e andò a piangere dalla madre. Teresa dovette convincerla a partire con Agustí.
- Se restate a Malgrat morirete di fame, le disse con fermezza e dolcezza allo stesso tempo.
Ma a Mariano non raccontò niente di tutto ciò. Teresa non era d'accordo con la legge sull'eredità che vigeva in Catalogna, secondo la quale la maggior parte dei beni andavano all'erede, di solito il figlio maggiore e gli altri figli ricevevano la legittima che era una parte piuttosto piccola dell’eredità. Sapeva di non poter cambiare le regole stabilite dai suoi antenati, ma quando scriveva a Mariona le inviava del denaro per rimediare quelle disuguaglianze.
Mariona non amava scrivere, preferiva che il marito la portasse tre o quattro volte all'anno in carrozza a Girona, per poi poter prendere la diligenza che l’avrebbe condotta a casa dei genitori.
Anche Isidro aveva un'indole avventuriera, come Mariano, ma era più impulsivo e spesso agiva senza cautela. Teresa aveva sentito dire che aveva una relazione con una donna poco raccomandabile.
- Isidro, ricordati che una donna buona e fedele è un vero tesoro, le disse un giorno Teresa.
- Perché mi dice così, madre? Non ho ancora una moglie, rispose Isidro.
- Te lo dico perché quando ne avrai una, vorrei che
pensassi alle mie parole.
Teresa non disse tutta la verità a
l marito, ma solo che temeva che Isidro prendesse una brutta strada. José decise che il figlio si sarebbe imbarcato come marinaio in uno dei battelli ancorati nel cantiere navale di Malgrat. Isidro, prima del suo sedicesimo compleanno, in una giornata grigia di inizio inverno, fu costretto a imbarcarsi su una nave che commerciava col sud della Francia.
Teresa pensava che sarebbe impazzita con la perdita di un altro figlio, ma non soffrì molto perché sapeva che avrebbe rivisto Isidro ogni due o tre mesi e che
al figlio avrebbe fatto bene allontanarsi da quella donna di dubbia reputazione.
Una sera, mentre marito e moglie si stavano coricando, Teresa parlò dell'ultima lettera che aveva scritto a Mariano:
- Gli ho raccontato della partenza di Isidro di qualche settimana fa e di quanto poco lo vedremo d'ora in poi. Prima che tu ti addormenti vorrei leggerti un pezzettino della mia lettera.
- Me la leggerai domani, ora ho molto sonno, rispose lui.
José leggeva volentieri le lettere che arrivavano da Cuba, ma evitava con ogni scusa che la moglie gli leggesse quelle che lei scriveva a Mariano, perché si commuoveva per tutto quello che Teresa gli raccontava di lui e dei figli e si vergognava di farsi vedere dalla moglie mentre piangeva.
Joan, il loro secondogenito, fu chiamato alle armi all'inizio del 1878, quando aveva appena compiuto diciotto anni. Erano passati cinque anni da quando Mariano era fuggito a Cuba e tutti soffrivano
di quella lontananza, così Teresa e José non cercarono di trattenerlo e lasciarono che le cose seguissero il loro corso naturale.
Nelle lettere di quel periodo, Teresa gli raccontava poco di Joan, perché non voleva rattristarlo. Per molti mesi ebbero poche notizie del soldato, finché Joan non tornò con una ferita alla gamba e una malattia polmonare. Dal suo ritorno dal fronte era diventato più taciturno e passava molte ore da solo in campagna, seduto sotto un albero a meditare. Suo fratello Francisco, più giovane di lui di quattro anni, per lunghi periodi dovette lasciare il seminario dove studiava, per occuparsi della semina e dei raccolti. José e Teresa erano preoccupati per Joan, che sembrava intrappolato in un altro mondo da cui non riusciva a
uscire. Tuttavia, Teresita, la sua fidanzata, una ragazza di un villaggio vicino, non smise mai di incoraggiarlo e lui piano piano si riprese, ricominciando a lavorare la terra e a uscire con gli amici.
Fu allora che Teresa disse a Mariano che Joan stava molto meglio dalla sua malattia e che presto avrebbe sposato Teresita, era l’anno 1882. Quello stesso anno Mariano inviò una foto alla madre e le fece sapere di aver trovato un nuovo lavoro in una fattoria di Pinar del Rio.
Mentre Mariano aspettava con ansia la lettera in cui sua madre gli avrebbe descritto tutti i dettagli della cerimonia e della festa di matrimonio di Teresita e Joan, non poteva immaginare cosa si stavano dicendo i suoi genitori qualche sera prima.

- Ieri ho scritto una lunga lettera a Mariano e gli ho detto quanto ci piace la nostra nuora.
- Accidenti, quante lettere scrivi! rispose José.
- Ancora non sono andata alla posta per imbucarla, lo farò domani mattina, voglio che venga spedita il prima possibile. Ma adesso ti leggerò la prima pagina.
- Quanta fretta! Dai, leggimi solo la prima parte, sto morendo dal sonno.
Teresa iniziò a leggere:

Malgrat 1 dicembre 1882
Caro Mariano,
spero che quando tu leggerai questa lettera
godrai di buona salute. Grazie a Dio anche noi stiamo bene. Finalmente posso darti una buona notizia: il matrimonio di Joan e Teresita è stato un successo. Joan, che ancora è un po’ delicato di salute, si sentiva veramente bene ed era molto elegante. Lei era raggiante di allegria, indossava una mantiglia bianca, che faceva risaltare i suoi capelli neri e la sua pelle bruna e questo la rendeva ancora più bella.
Isidro ha potuto partecipare al matrimonio, per fortuna gli è stato dato un permesso. Anche Mariona è venuta col marito. Ero veramente felice, con tutti i figli a casa. Mancavi solo tu. Ma so che quando potrai ritornerai.

Non essere in pensiero per noi, stiamo bene. Il raccolto di quest'anno è stato buono, anche gli affari di tuo padre stanno andando bene, speriamo che adesso che la guerra è finita tutto vada per il meglio.
Joan è stato molto fortunato a sposare Teresita, è una brava ragazza e piena di entusiasmo, addirittura vuole imbiancare le pareti della cucina e spostare i mobili della sala da pranzo. Quando ho sposato tuo padre non mi è stato permesso di cambiare nulla in casa, mia suocera, tua nonna, comandava come un generale e anche tuo nonno tirava fuori il suo carattere quando si arrabbiava con lei. Forse
non ti ricorderai molto di loro, sono morti quando avevi dieci anni. Tua cognata Teresita, è una grande lavoratrice ed è una brava cuoca. È rimasta orfana quando era molto giovane e ha dovuto imparare ben presto a occuparsi della casa. Tuo padre e io siamo molto contenti di nostra nuora. Ci ha portato allegria e dovresti vedere il suo giardino, non lo riconosceresti, in pochi giorni ha piantato numerosi fiori e cespugli, donati dai vicini. Va molto d'accordo col vicinato. Ti ricordi Marcelina, la vecchia vicina brontolona? Beh, con lei si trova benissimo e non la sgrida mai.
Teresita è molto affettuosa con le piccole. Da quando Mariona si è sposata, cinque anni fa, Rosa e Luisa hanno dovuto arrangiarsi e crescere da sole, io la mattina mi occupo delle faccende domestiche e il pomeriggio dei lavori della fattoria, quindi non ho tempo di stare con loro, ma adesso che è arrivata lei, le bambine sono molto felici.

Francisco ha già compiuto diciassette anni e gli piace studiare. Seguendo i consigli del parroco e del maestro, come ti avevo scritto in un'altra lettera, Francisco, dopo le scuole elementari, è andato a studiare a Girona. Si alloggia nel seminario dove prima c’era stato Isidro, ma dice di non voler diventare prete. Ogni estate torna a casa per il raccolto. È un gran lavoratore, ma la sera non va al Caffè, come tutti gli uomini del paese, resta a casa a leggere, è timido e solitario. Tutto il contrario di Isidro, che non era mai a casa. Ormai Isidro lo vediamo poco, l'ultima volta che è venuto da noi mi sono arrabbiata con lui, perché ha avuto il coraggio di farsi un orribile tatuaggio sul braccio. Anche tuo padre è andato in collera, gli ha rinfacciato che nessuno della nostra famiglia aveva mai osato tatuarsi. Vedi, da una parte sono preoccupata per Francisco perché non esce molto di casa e dall'altra lo sono per Isidro perché è troppo impulsivo, ma devo accettare che ogni figlio ha il proprio carattere, non credi?
Mi piace ricevere le tue lettere e spero che il nuovo lavoro nella fattoria di Pinar del Río vada molto bene. L'altro giorno ho preparato il tuo piatto cubano preferito, "Moros y cristianos". All'inizio tutti hanno pensato che fosse un po' strano, ma mentre lo mangiavano hanno apprezzato la sua bontà.
Spero che tu possa ritornare presto, ma capisco che adesso tu deva concentrati sul nuovo lavoro. Forse tra un paio d'anni potrai ritornare. Mi piace la foto che ci hai inviato. Sei un uomo elegante. Che bel completo che indossi! Assomigli un po' a mio padre. I tuoi occhi azzurri sono della famiglia Moragas e la tua bocca carnosa è della famiglia Gibert..
.

Teresa guardò il marito, che giaceva accanto a lei con gli occhi chiusi. Saltò la pagina in cui aveva raccontato al figlio aneddoti divertenti della famiglia Moragas, della zia Gertrudis e delle cugine zitelle, e continuò a leggere la parte finale della lettera ad alta voce, pur sapendo che nessuno la stava ascoltando:

 Scusa se ti racconto tante cose, ma tu sai quanto mi piace parlare dei miei antenati e dei miei parenti. A tuo padre fa male la schiena, deve fasciarsela per poter lavorare nei campi, io gli dico di non fare i lavori pesanti e di lasciare che i ragazzi si occupino di tutto. Non esce molto, prima gli piaceva andare al Caffè, ma da quando è morto il veterinario, uno dei suoi migliori amici, è un po’ giù. 

Non voglio rattristarti parlandoti di malattie e morti. Ti aspetteremo sempre a braccia aperte. Tua madre che ti vuole molto bene.
Teresa Moragas Gibert

Teresa cominciò a piangere senza fare rumore e spense la luce, ma non riusciva ad addormentarsi e mentre tratteneva i singhiozzi non poteva immaginare che un anno dopo avrebbe spedito a Mariano una lettera che non avrebbe mai voluto scrivere.












Cap. 22 - La sabiduría llega con los años (en español)

 



Felipe siempre había sido un hombre activo. Cuando vivía en la Habana iba a menudo andando al puerto, llevando consigo una caja de acuarelas, un libro y un cuaderno: sin embargo, a medida que pasaban los años empezó a recortarse momentos de quietud hogareña. Después de su paseo matutino, se sentaba en el jardín, donde se sentía a sus anchas, a veces leyendo, otras contemplando las plantas y los árboles.

Una mañana, cerró los ojos y recordó el día en que Olivia y él fueron por primera vez a la finca Aguaviva. Los dos se quedaron paralizados mirando la fachada de la que iba a ser su casa. El portón de hierro estaba desvencijado, el jardín destrozado y lleno de maleza, la avenida que llevaba hasta la puerta de la casona completamente embarrada y con árboles caídos, que tuvieron que apartar para poder pasar. Algunos tallos leñosos estaban podridos, otros secos y los pocos que quedaban en pie estaban sofocados por las vigorosas plantas enredaderas que trepaban alrededor de la corteza, luchando para ganar el barlovento. De los establos y los corrales quedaban sólo tapias derruidas. Les costó abrir la puerta de la casa, que estaba desencajada por los porrazos de los soldados españoles, buscando independentistas. El zaguán olía a humedad y cuando entraron en el salón y en los cuartos de la planta baja se dieron cuenta de que todo estaba hecho una ruina: los vidrios de las ventanas rotos, los goznes de las puertas crujían, las paredes agrietadas y manchadas de humedad, los muebles apilados, la tapicería deslucida y las chimeneas ennegrecidas por las innumerables capas de hollín. En las escaleras faltaban peldaños, el tejado de las alcobas en algunos puntos se había derrumbado y los pocos muebles que quedaban estaban estropeados.

Cuando aquel día Felipe abrió de nuevo los ojos, tras contemplar las matas y los árboles que habían plantado Olivia y el jardinero, se levantó para abrazar el nogal. Eso de cerrar los ojos y abrazar a los árboles era un juego que hacía de pequeño con su padre. Luego cogió un ramito de romero, se lo acercó a la nariz y oliéndolo se dijo:

- ¿Por qué los humanos casi nunca nos paramos a mirar, oler y tocar lo bueno que hay a nuestro alrededor?

A veces se le acercaba uno de los gatos de la finca y él lo acariciaba. La primera vez que Mariano lo vio con un gato en el regazo, le dijo:

- ¡No me lo puedo creer! Tú jamás acariciabas a los gatos, los echabas.

- La sabiduría llega con los años, le comentó sonriendo Felipe.

Olivia, también disfrutaba en su morada, pero hacía varios meses que estaba rara, iba perdiendo la memoria del pasado reciente. Empezó a olvidar los quehaceres en la cocina y los nombres de las cosas. Ya no sabía cómo se llamaba el cartero, el tendero o el médico del pueblo. Cuando se daba cuenta de sus fallos, se enfadaba consigo misma. Su carácter dulce se fue agriando.

Un día, saliendo hacia el jardín, le suplicó a Felipe:

- Ayúdame a salir de aquí. Quiero irme a casa.

- Olivia, ¿adónde quieres irte? Ésta es tu casa.

- Lejos de aquí. Me están espiando.

- Ven acá, a mi lado. Yo te protegeré. Este jardín lo has creado tú desde cero. Esos árboles son tuyos. Abrázalos.

Olivia ciñó con sus brazos un árbol y poco a poco se apaciguó.

- Tenía pensado ir a la finca Esperanza para llevarles bananas y aguacates. ¿Me acompañas?

- Sí, quiero salir de aquí, le dijo ella.

- Vamos andando, si te apetece. ¿O prefieres ir en coche?

- Mejor andando. Espérame, voy a buscar mi sombrero de paja.

Desde los primeros síntomas de la enfermedad de Olivia, Felipe cada mañana intentaba llevarla a dar un paseo y al atardecer le dictaba trozos de un relato, para que escribiera, cada noche también le leía en voz alta un capítulo de una de sus novelas preferidas. A menudo por las tardes, después de la siesta, cuando Olivia abría el costurero y se sentaba en el patio para remendar calcetines y medias, Felipe volvía a salir de casa. Dejaba a su esposa con Fausta, una vieja mulata, viuda de guerra, a quien habían dado cobijo en su casa de la Habana. Era muy cariñosa con Olivia y se llevaba bien con los demás trabajadores de la finca. Ellos nunca habían tenido servidumbre, pero desde que vivían en el campo, contrataron a un jardinero y una cocinera que también se ocupaba de la limpieza.

A Felipe le hubiera gustado que Mariano saliera más, pues desde que había cumplido ochenta años lo notaba un poco triste, había perdido el entusiasmo por la tertulia de los catalanes y tenía menos interés por la política, por eso él lo iba a recoger en coche de caballos, lo llevaba a dar una vuelta y de regreso lo invitaba a merendar a su casa. Lo hacía también para que Olivia lo viera más a menudo y no se olvidara de él.

Mariano se dejaba llevar de paseo por su amigo y se relajaba sentado en el patio de la finca Aguaviva. La cocinera les servía siempre una taza de café con pastelitos y una bandeja de fruta, pero él prefería una limonada con azúcar.

- Anda, Olivia ve a buscar una limonada para Mariano.

Olivia les traía una jarra de limonada y volvía a sentarse con ellos.

- ¿Qué me cuentas hoy, Olivia? Le preguntaba Mariano.

Ella empezaba a hablar por los codos de hechos muy lejanos, recordando minuciosamente anécdotas de su infancia en las barracones de las plantaciones; sin embargo, a menudo repetía las mismas cosas.

Una tarde en que Olivia estaba entretenida recogiendo la ropa tendida al sol, les dijo a los dos hombres:

- Mi tía Paca me ha dicho que sobre las mujeres pesa un maleficio.

- ¿Qué mujeres?

- La señora Vila y sus hijas.

- ¿De qué maleficio hablas?

- Su crueldad y mezquindad hacia los esclavos negros les hará caer los cabellos y van a quedarse calvas, dijo Olivia.

- Tu tía Paca tenía razón, eran mujeres malvadas. ¿Paca cantaba muy bien, no? Anda, Olivia, háblanos de tu tía, le dijo Felipe.

- ¡Quiero irme a su barracón!

- Olivia, tu tía ya no está en el ingenio azucarero. Ahora todos vivimos aquí, ésta es nuestra casa... ¿Quieres que te ayude a doblar la ropa?

- No, ya terminé. Ahora se la voy a dar a… - se quedó unos segundos callada escudriñando en su cabeza el nombre de Fausta - ... a aquella mujer, para que me ayude a plancharla, le contestó Olivia entrando en casa.

Al cabo de pocos minutos oyeron que Olivia cantaba y se miraron contentos de que tarareara una canción de su infancia.

Luego los dos amigos escucharon la voz cariñosa de Fausta que le decía a Olivia:

- Mi Olivita, vamos a rematar la ropa y a ponerla en su lugar. ¿Me ayudas?

Felipe encendió la radio, el noticiero empezó dando la noticia de los combates de la primera batalla sangrienta de la guerra civil española, la batalla de Irún. Los dos permanecieron callados un buen rato, prestando atención a la radio y pensando en lo terrible que eran las luchas de casa en casa, matándose entre hermanos y vecinos. Al terminar el noticiero, Felipe apagó la radio y dijo:

- El Frente Popular es una coalición de izquierdas demasiado heterogénea. Aglutina partidos de muy distintos enfoques: republicanos, socialdemócratas, liberales, socialistas, comunistas y anárquicos… Todos comparten el espíritu antifascista, pero ya ves, los partidos más radicales y los conservadores se están empezando a tirar platos a la cabeza, como en un matrimonio.

- Solo faltaría que, a causa de las discordias entre los partidos del bando de los Rojos, ganaran la guerra los Nacionales. Sería un desastre, le contestó preocupado Mariano.

- Sí, a mí también me asustan las desavenencias de los Rojos, pero ahora lo que más me preocupa es el apoyo que Alemania e Italia están dando a los Nacionales.

- ¡Ya me estás alarmando! Felipe. ¡Ojalá las ayudas que los Rojos reciben de la Unión Soviética y de México sean suficientes! Además, he oído que les están llegando muchas unidades de voluntarios extranjeros, ¿no?

- Sí, las brigadas internacionales y las milicias civiles ayudan mucho. Es de admirar su coraje, pero los pobres luchan con armamento obsoleto. Yo sólo espero que entre todos logren salvar a España del fascismo, le contestó Felipe.

- La Segunda República española fue un intento ilusorio de superar el retraso de dos siglos en un tiempo récord. Las buenas intenciones iniciales toparon con la intransigencia de unos y la impaciencia de otros. Cataluña ha sufrido duramente las consecuencias de su fracaso. ¡Qué pena ! Y yo que soñaba con un Estado federal español, con dentro la República catalana, dijo Mariano.

- Sí, tienes razón. Cataluña ha sufrido un doble fracaso, pero no pienses más en ello. Llegará un día en que tu amada tierra conseguirá de nuevo la autonomía con elecciones libres, un gobierno propio, un Presidente de la Generalitat y mossos d’esquadra. Y además se volverá a enseñar catalán en las escuelas.

- Esperemos, dijo triste Mariano.

- Pero las guerras son largas, no sé si nosotros podremos ver cómo termina todo eso. En este o en el otro mundo, espero con toda mi alma festejar contigo la victoria de la democracia, le dijo Felipe sonriendo.

Otra tarde, mientras estaban tomando un refresco bajo la parra de la finca Esperanza, Mariano empezó a quejarse de sus achaques.

- No vendré a verte más si te quejas tanto, le dijo Felipe, regañándolo.

- ¿Quieres decir que me estoy lamentando demasiado?

- Sí, sobre todo cuando estamos en tu casa. En cambio, en el patio de Olivia, no recuerdo ningún lamento… Ya sé que te duele la espalda y que andas despacito, pero tienes que pensar en que tú y yo todavía estamos vivos y nos valemos por nosotros mismos, mientras que hay gente que a nuestra edad yace quieta en una cama o en el cementerio.

- Tú siempre tan optimista, le replicó Mariano.

- ¿Mariano, recuerdas mi filosofía de vida? Le preguntó Felipe.

- Sí, uno de los primeros días en que nos conocimos, me hablaste de ello. ¡A ver si me acuerdo de los puntos fundamentales de tu buen vivir!

- ¡Venga, que tu cabeza aún funciona bien!

- Uno: hay que apreciar lo que nos ha tocado, pero sin sentirnos inferiores al compararnos con los que son más ricos o con los que han tenido más suerte que nosotros - se quedó un momento pensando y retomó la lista - dos: tenemos que luchar de forma pacífica para que no haya tantas desigualdades a nuestro alrededor... y tres …

- Te ayudo, tres: debemos rodearnos de personas buenas, como tú, y alejarnos de las que son egoístas y malvadas, exclamó Felipe.

- No sé si he sido tan bueno. Pero ni siquiera malvado, eso creo, le contestó Mariano.

- Para mí, tú has sido el mejor amigo que he tenido. Eres una persona admirable.

- “No siguis pesat, noi, jo no soc tan bo com tu dius!” (¡No seas pesado, hombre, yo no soy tan bueno como tú dices!) Le contestó Mariano, sonrojándose un poco.

- Acuérdate de que yo entiendo el catalán, le aclaró Felipe.

- No fotis! (¡No me digas!), le contestó Mariano riendo.

- Yo añadiría el punto número cuatro: hay que ser humildes y aprender de los demás, sea directamente que a través de los libros. A mí los libros me han salvado la vida, sin ellos ya estaría muerto o sería un viejecito hastiado. La lectura nos hace superar, celos, envidias, odios, fracasos, egoísmos... desgracias, guerras, desigualdades, injusticias, lutos, enfermedades... y sobre todo el miedo de la muerte.

- ¡Qué exagerado eres! - y tras un minuto de silencio le preguntó -¿Tú tienes miedo a la muerte, Felipe?

- Sí, como todas las personas, pero más que miedo, siento curiosidad por saber cómo será el otro mundo.

- Realmente tengo miedo. Cada vez que voy a Las Ovas o a Pinar del Río, al oír las campanas que tañen por una defunción, suspiro aliviado y pienso en que afortunadamente no tocan para mí, exclamó Mariano.

- No te pongas pesimista. ¿Por qué no hacemos una cosa?

- ¿A ver qué te llevas entre manos esta vez?

- Dejemos escrito que, cuando muramos, nos entierren sin ceremonias. Que no toquen las campanas a muerte. Y que nos gustaría que se reunieran en nuestra finca las personas que nos han querido, para celebrar lo que hicimos juntos. Todo ello al aire libre, con música y buena comida y bebida.

- ¡Me sorprendes! Pero como siempre estoy de acuerdo contigo. Sería una buena despedida. Me lo voy a pensar, le dijo Mariano sonriendo.

Felipe murió un año más tarde que Mariano, sin embargo ninguno de los dos logró ver los acontecimientos políticos que tuvieron lugar en España y en Cuba durante los siguientes años. En 1939, la derrota del ejército Rojo fue colosal, las últimas ciudades españolas que apoyaban la República cayeron una tras otra. Francisco Franco tomó el poder, se instauró una dictadura y gran parte de los republicanos y sus familiares, tuvieron que huir al sur de Francia y a México. La represión, la derogación de los derechos y la falta de libertad en todos los campos, la censura, la abolición de los partidos políticos, la privación de elecciones libres y la prohibición del catalán, el vasco y el gallego, que se convirtieron en lenguas silenciadas, duró hasta la muerte del dictador, el 20 de noviembre 1975.

En Cuba, en 1940, en unas elecciones relativamente libres y justas, Batista fue elegido presidente. Durante su mandato oficial, aprobó diversas reformas sociales y comenzó a redactar la Constitución más liberal y democrática de Cuba hasta la fecha. Pero ni las reformas liberales ni el optimismo de Batista duraron mucho tiempo; él dimitió tras las elecciones de 1944 y entregó el poder a Ramón Grau San Martín; sin embargo, la corrupción y la incompetencia no tardaron en triunfar. Batista, consciente de su antigua popularidad, probablemente hizo un trato con la mafia estadounidense, prometiendo darles carta blanca en Cuba a cambio de un porcentaje de lo que ganaran con el juego y se preparó para regresar. El 10 de marzo de 1952, tres meses antes de las elecciones que parecía que iba a perder, Batista llevó a cabo un golpe militar. Duramente condenado por los políticos de la oposición dentro de Cuba, pero reconocido por los Estados Unidos, Batista pronto dejó claro que su segunda incursión en la política no iba a ser tan progresista como la primera: suspendió varias garantías constitucionales, entre ellas el derecho de huelga.

Tras el golpe de Batista, se formó un círculo revolucionario en La Habana en torno a la carismática figura de Fidel Castro, abogado de profesión y excelente orador, que iba a presentarse a las elecciones canceladas de 1952. Con el apoyo de su hermano menor Raúl y su fiel teniente Abel Santamaría, Fidel no vio más alternativa que el uso de la fuerza para liberar a Cuba de su dictador y el 1 de enero de 1959 derrocó la dictadura de Batista. Cuba se convirtió en un estado socialista y se llevaron a cabo nacionalizaciones y expropiaciones.

En los años sesenta, las fincas Esperanza y Aguaviva, como la mayor parte de las propiedades de la isla, fueron expropiadas.

Gabriel, el fiel servidor de Mariano y Olivia, fue un hombre longevo. Después de la muerte de sus amos, dejó la casita blanca y se fue a vivir a Las Ovas, tras comprar una vivienda con el dinero que le habían dejado Mariano y Nieves de herencia. Gabriel, a los setenta y cinco años, por primera vez se estableció fuera de la finca y empezó una nueva vida. Se casó con María del Rosario, una mujer mulata de Pinar del Río. Un día Gabriel tímidamente se le declaró y ella le saltó al cuello y lo llenó de besos. María del Rosario tenía quince años menos que Gabriel, era una mujer rechoncha y risueña, se conocían desde hacía largos años. Cuando se murió su marido, ella lo remplazó y empezó a traerles, cada mes, un carro de leña.

Cuando hacía buen tiempo solía ir, apoyado en un bastón, a la finca Esperanza, para visitar a los hijos y nietos de sus amos, a los que quería como si fueran suyos. Vivió plácidamente con María del Rosario hasta los noventa años, murió en su casa pocos años antes del golpe militar de Batista y de la Revolución de Fidel Castro.











sabato 3 febbraio 2024

Cap. 21- La amnistia (en español)

 


A principios del siglo veinte el progreso iba corriendo deprisa en todos los campos, sobre todo en Europa, Estados Unidos y en los territorios coloniales de las grandes potencias mundiales. A finales de los años veinte, al descubrir Alexander Fleming la penicilina, muchas enfermedades provocadas por las bacterias pudieron ser curadas y en pocos decenios la mortalidad se redujo. Se inventaron nuevos utensilios y máquinas para que el trabajo fuera más sencillo y la vida cotidiana menos dura. Todas esas mejorías ayudaron a olvidar un poco los horrores de la Grande Guerra. España se mantuvo neutral durante toda la Primera Guerra Mundial, sin embargo, en 1917 llegaron los ecos de la revolución rusa, estallando una crisis social que condujo al cierre de fábricas, quiebra financiera, incertidumbre política, movilizaciones proletarias, huelgas, etc. Y para más inri en 1918 se propagó rápidamente la pandemia de gripe española, llamada así porque los periódicos españoles fueron los primeros en hablar de ella, pues eran los únicos no sometidos a censura de guerra. La inestabilidad política, el descontento del ejército por los desastres de la guerra de Marruecos, la agudización de los conflictos sociales, la creciente crisis económica y el auge de los nacionalismos, llevaron en 1923 al golpe del Estado del General Miguel Primo de Ribera. El rey Alfonso XIII no se opuso al golpe y nombró al general sublevado jefe del gobierno y de las fuerzas militares. La dictadura autoritaria de Primo de Ribera duró hasta la proclamación de la Segunda República en 1931. En aquellos años en Cuba la Primera República también se caracterizó por una inestabilidad continua, además de una corrupción sistemática de sus gobernantes, una dependencia económica muy peligrosa sobre el azúcar y una intervención directa e indirecta por parte de Estados Unidos, Cuba no era dueña de sí misma. Sea el pueblo cubano que el español sufrieron duras penas.

El 15 de abril de 1931, el día siguiente de la proclamación de la Segunda República española, Mariano llamó por teléfono a su hermano Francisco. Aquella mañana, al oír la noticia en la radio, él y Felipe saltaron de alegría, pero Mariano pensó que era mejor no sacar el tema con su hermano, pues se había vuelto monárquico, detestando cada vez más a los republicanos.

- Hola, Francisco. ¿Cómo estáis todos?

- ¡Qué alegría, Mariano! Hace tiempo que no llamas. Estamos bien gracias a Dios. ¿Y vosotros?

- Nosotros también vamos tirando.

- ¿Te has enterado de lo que ha ocurrido en España… en las últimas elecciones? Ya te puedes imaginar lo irritado que estoy con la proclamación de la Segunda República y con la huida del rey Alfonso XIII a París. Espero que pase como en la primera República, que dure muy poco, dijo tajante.

- Yo sólo espero que no haya derramamiento de sangre, le contestó serio Mariano.

Los dos hermanos siguieron hablando un buen rato, se contaron los pormenores de sus labores de labranza y antes de despedirse pasaron a hablar de sus hijos y nietos.

- Estamos muy divertidos con nuestros nietos, no voy a nombrártelos todos, son más de veinte, le comentó Mariano, riendo.

- “¡Mare de Deu, vint nets!” (Virgen Santa, veinte nietos) Yo por ahora sólo tengo ocho, dos por cada hijo. Pero espero tener más, le contestó Francisco con una voz apagada, denotando un poco de envidia hacia su hermano.

- Lo importante no es el número de nietos sino que todos estén bien de salud. A nosotros se nos murieron dos niñitas. ¿Te acuerdas de que te lo conté en una carta?

- Sí, y lo siento mucho - contestó Francisco - calló unos segundos y de repente se animó a hablar de sus nietos - Teresa y Margarita, las niñas de Cisco, son preciosas. Joan, el chico de mi María, es muy inteligente. María, su melliza, está un poco delicada de salud... Y si tú vieras lo graciosos que son José y Teresita, los chiquillos de Pepet, mi hijo pequeño... En cambio, a Francisco y a Teresita, los muchachos de Teresa, mi hija mayor, los veo bien poco, pues viven cerca de La Bisbal.

- Todos tus nietos llevan los mismos nombres: José, Teresa, María, Francisco y Joan. ¡Qué lío me estoy haciendo! Le dijo Mariano, con voz jovial.

- ¿Ya no te acuerdas? En Cataluña es tradición darles a los niños los nombres de los padrinos de bautizo, que suelen ser los abuelos o los tíos.

- Claro que me acuerdo, yo también llamé a mi primogénito, Juan, el nombre de nuestro hermano, que en paz descanse. Al segundo le pusimos José y Teresa a la niña que vino después, para honrar a nuestros padres... Cuando nacieron las pequeñas, Nieves les quiso poner a una Ramona, como su madre, y a la otra Clotilde, como su abuela. Por cierto, ¿cómo está Marieta? Hace mucho que no sé nada de ella.

- Marieta, con la casa y el dinero que le dejó su difunto esposo, está de maravilla. Dentro de la desgracia tuvo suerte. Le hacen compañía las dos viudas que viven con ella. Son un poco estrafalarias, pero buenas personas, le dijo Francisco, con voz alegre.

- ¿Y sus hijos? ¡Ya deben de ser mayores!

- José y Engracia, están casados. El varón se fue a estudiar a la Escuela Náutica de Barcelona. Siguió las huellas de su padre y ahora es capitán en barcos de larga ruta. Engracia, en cambio, vive en el pueblo.

Antes de colgar. Francisco le dijo titubeante que Carmen, la esposa de Cisco, se había recuperado del trastorno que había sufrido, después de la muerte de Teresita, su primera hija.

- Perdona, no te he entendido bien. ¿Qué trastorno?

- Al fallecer la niña tras una gripe mortal, Carmen se puso mala, no quería levantarse de la cama. Fue tan horrible para todos perder a nuestra niña de dos años, tan bonita y cariñosa. Sin embargo, cuando mi nuera tuvo fuerzas, se levantó, pero no la dejábamos salir de casa. Parecía que había perdido el juicio y no queríamos que en el pueblo se supiera.

- No sabía nada. No me lo escribiste.

- Perdona, estábamos tan afligidos que no se lo dijimos a nadie.

- Yo creo que hubiera sido mejor para Carmen salir un poquito, para distraerse.

- Lloraba y solo sabía decir: La meva petita, la meva petitona! (Mi niña, mi niñita). Nos repetía sin cesar que se la habían robado. Por suerte ya todo ha pasado y ahora ella está mucho mejor... Estuvo delicada unos años, le costó quedarse de nuevo embarazada, pero lo consiguió... Todos sufrimos mucho en aquella época.

- ¿Por qué no me lo contaste? Yo os hubiera aconsejado ir a ver a un especialista de Barcelona.

-No te lo dijimos para no apenarte… El médico del pueblo la curó bien.

- Estoy contento de que ahora esté mejor.

- Sí, ahora todos esperamos que Carmen se quede de nuevo embarazada y que después de dos niñas tenga un varón.

Mariano, cuando colgó el auricular, pensó en la gente de Malgrat que vivía con miedo de que los demás descubrieran sus desgracias y por eso las escondía. Los cubanos, en cambio, no se avergonzaban de su mala racha, se contaban sus penas y parar ellos compartirlas era una forma de curarlas.

En 1933, tras un golpe de estado de oficiales del ejército cubano, Batista se hizo con el poder y fue abriéndose camino gradualmente en el vacío político entre las facciones corruptas de un gobierno agonizante. A partir de 1934, Batista ejerció como jefe del Estado Mayor. Mariano y Felipe estaban preocupados por aquel golpe de estado, pero esperaban que las cosas no fueran de mal en peor.

Una tarde, Felipe le dijo a Mariano que era un buen momento para arreglar sus cargos pendientes. Mariano le escribió una carta a su hermano, pidiéndole que se informara de sus cargos judiciales, pues se había enterado de que durante los primeros años de la Segunda República española hubo varias amnistías, para cargos políticos y civiles.

Al cabo de tres meses lo llamó para ver si se había enterado de algo:

- Mariano tengo buenas noticias para ti, estaba a punto de escribirte para decirte que ya no tienes penas pendientes. Ya puedes volver a Cataluña. Mi casa es tu casa, le dijo Francisco.

- Te lo agradezco, me gustaría volver, pero ya soy viejo para un viaje tan largo, sólo espero que al menos uno de mis hijos o de mis nietos algún día pueda ir a veros.

Felipe le dijo a Mariano que si quería lo acompañaría él a España, pero Mariano le contestó que ya no le quedaban ni fuerzas, ni ánimos para volver a su patria, pero que se lo agradecía de corazón.

Dos años más tarde, le llamó por teléfono su hermano Francisco, era el 18 de julio de 1936. Al oír la voz de la operadora, Mariano pensó que era bien raro recibir una conferencia de España, pues generalmente era él quien llamaba o quien escribía a su hermano. Le sabía mal admitirlo, pero desde que falleció su madre, los contactos con su familia catalana, poco a poco, iban menguando.

- Acaba de estallar la guerra civil, le dijo Francisco con voz preocupada.

- ¡Lo que menos le faltaba a España era una guerra civil! Le dijo Mariano, afligido.

Mariano se apenó de que la Segunda República hubiera durado pocos años y durante varios días le dolió la cabeza, de lo preocupado que estaba por aquel conflicto absurdo. Él, que había pasado más de una guerra y visto tantas calamidades, no lograba aceptarlo, sentía un dolor profundo, sufriendo por su patria y por su familia catalana. A partir de aquella noticia ya nadie más de la familia Defaus-Herrera volvió a hablar de emprender un viaje a España.

En aquellos días de congoja, Mariano transcurrió muchas horas de charla con Felipe, buscando el porqué de la guerra entre hermanos.

- Creo que la inestabilidad política y económica de España en los varios gobiernos de la Segunda República derive de las numerosas reformas liberales que pretendían cambiar la sociedad de manera tan radical. - Felipe dejó de hablar unos segundos y retomó su reflexión: - Para mí fueron demasiado rápidos los cambios propuestos por los republicanos.

- Sí, las reformas de los republicanos fueron traumáticas y, como tú dices, en gran medida fueron responsables del estallido de la guerra. Estoy pensando en la reforma agraria y también en la reforma militar, replicó Mariano.

- Sí, los latifundistas se opusieron con mucha fuerza al expropiar sus tierras y fueron apoyados por los burgueses conservadores, exclamó Felipe.

- Eso pasó sobre todo en el sur de España, donde había muchos latifundios. Pero por lo que me dijo mi hermano Francisco, lo que acarreó más protestas fue el tema religioso. Tanto los ricos como los pobres, y por supuesto los clérigos, se opusieron cuando le quitaron poder a la Iglesia.

- Los republicanos no contaron con que la mentalidad de la mayor parte de los españoles no estaba preparada para estas reformas extremamente liberales. Los matrimonios civiles, el divorcio, y la eliminación de la educación religiosa, fueron medidas que chocaron frontalmente con los principios de la moral católica, le comentó Felipe.

- También influyeron las reivindicaciones regionales de Cataluña, País Vasco y Galicia. Cuando la República les otorgó derechos de autogobierno, provocó encendidas críticas por parte de la derecha y de los militares. Vieron en esos derechos un principio de independencia de ciertas zonas del país y un riesgo de desmembración de España, dijo Mariano.

- ¿Has mencionado la reforma militar, no? Si no me equivoco, consistía en la reorganización de la antigua y complicada estructura jerárquica, con la eliminación, a través de la jubilación anticipada, de un gran número de oficiales. Eso no les gustó a los militares y creó una fuerte y peligrosa oposición contra el gobierno, le dijo Felipe.

- ¡No me hables de militares! Ten en cuenta que el ejército español siempre ha tenido mucho poder y tantos privilegios, exclamó Mariano.

- Bueno, dejemos de hablar de los defectos de la República y pensemos en que, a pesar de todos los obstáculos que se le presentaron y de su corta vida, dotó a España de una Constitución avanzada, otorgó el voto a las mujeres y construyó muchas escuelas. Además, inició un tímido reconocimiento de la pluralidad nacional e intentó disminuir las desigualdades sociales y la intervención militar, dijo Felipe sonriendo.

A mitad de los años treinta del novecientos, los dueños de las fincas, Esperanza y Aguaviva, estaban rondando los ochenta años y cada uno iba envejeciendo a su manera. Mariano se había vuelto más hogareño, sus hijos y sus capataces se ocupaban totalmente de la labranza y de la venta de la cosecha. A Nieves no le faltaba energía, no podía estar quieta, horneando pan o cociendo cacharros en la alfarería. Felipe aprendió a conducir y se compró un automóvil, pero no abandonó su carro de caballos, siguió cogiéndolo a menudo. Iba cada día a la escuela a leerles un cuento a los niños y a darles ánimos a los maestros para que siguieran aquella noble labor. Olivia, en cambio, hacía tiempo que no se acercaba al colegio, había ido perdiendo entusiasmo por los niños y salía poco de casa. Felipe, a media mañana, solía ir a recoger a Mariano para llevarlo a la tertulia del Café de Las Ovas o al Casal de Catalans de Pinar del Río. Allí se reunían con otros catalanes que se habían establecido en la zona. Sin embargo, cada dos o tres meses lo llevaba en automóvil a Consolación del Sur, donde vivía un tal José Prats Pla, un compaisano suyo, un poco más joven que él. Mientras iban en coche, Mariano solía contarle anécdotas de la familia Prats:

En 1830 los hermanos, Mariano y José Prats Roura, salieron de Malgrat hacia Cuba, con pocas monedas de plata en los bolsillos, pero no se sabe cómo lograron hacerse ricos invirtiendo sus cuatro chavos en plantaciones de tabaco. En 1860, cargados de dinero, decidieron volver a su pueblo natal donde se hicieron construir dos espléndidas mansiones. El mayor de los hermanos Prats, decidió quedarse en su tierra natal y se trajo a su familia y a dos criadas negras. El matrimonio Prats tuvo sólo niñas, cuatro en Cuba y dos en Cataluña, quizás por eso el hombre, viendo que no llegaba ningún varón, vendió su parte de la hacienda de Consolación del Sur a su hermano José y se quedó definitivamente en Malgrat. Su esposa, María de la Cruz Santana, era una criolla, de piel color avellana, con tupida cabellera rizada que se enroscaba alrededor de la cabeza y recogía en un moño. De su hermoso rostro destacaban sus vivarachos ojos negros y en sus orejas colgaban sus largos pendientes labrados de plata chapada que le daban un aire señorial.

Las mujeres del pueblo la miraban de reojo cuando pasaba, y al doblar ella la esquina murmuraban:

- ¡Esos pendientes son demasiados vistosos! Ni que fuera una marquesa. ¡Y no se los saca de encima! Decía una.

- No seas envidiosa. Ya os gustaría a vosotras ser tan guapas como ella, le replicaba la otra.

A la criolla y a sus dos criadas, les costó adaptarse al clima y a las costumbres españolas. Durante los primeros tiempos se las veía por el pueblo, abrigadas con gorros y bufandas y con la mirada perdida, como si estuvieran totalmente desubicadas.

Las mujeres ricas del pueblo empezaron a invitar al matrimonio Prats en las reuniones mundanas y Maria de la Cruz poco a poco fue acogida y respetada por la comunidad. En cambio, a Hilda y Lupe, las dos criadas, les costó ser aceptadas por la población, que las miraba de reojo cuando cruzaban deprisa y corriendo las calles para ir a comprar a las tiendas o al mercado. Lupita era la más asustadiza y de llanto fácil cuando se sentía rebajada por su color de la piel. Un día Lupe, enjugándose las lágrimas, le dijo a Hilda:

- Hildita, somos las únicas negras de la comarca. Durante mi vida he sufrido muchas humillaciones, pero la peor es la de ahora. ¡Me siento sucia entre la gente blanca! En las plantaciones todos los esclavos éramos negros o mulatos. ¡Cuánto extraño a mis negritos!

- No pienses en ello. Aquí comemos cada día, dormimos en un catre y vivimos en una linda casa a pocos pasos del mar. Además nuestra dueña nos trata bien.

- A veces nos grita.

- ¡Eso cuando está nerviosa! Lupita, tienes que mirar lo bueno y no lo malo, le contestaba Hilda, con una voz meliflua que infundía tranquilidad.

Los domingos las dos criadas negritas iban a la misa de las once con su ama, que se engalanaba tal como había visto que hacían las mujeres ricas del pueblo.

- ¿Para qué se emperifollan tanto esas mujeres, si el Mosén en los sermones nos dice que hay que ser sencillos y humildes? Le preguntaba Lupe a Hilda.

El cura empezó a encariñarse con ellas y las invitaba a recitar oraciones. Hilda y Lupe aprendieron a rezar y los feligreses, al ver aquellas chicas tan devotas, perdieron su desconfianza en ellas. Las dos criadas no se emparejaron, pues no les salió ningún pretendiente del pueblo, pero ellas nunca lo habían esperado y con los años se acostumbraron al nuevo país y siguieron cuidando a su dueña y a su familia hasta la muerte.

José Prats Roura, el hermano pequeño, enviudó muy pronto; su esposa, Antonia Pla, era una mujer enfermiza que no soportó el largo viaje y a los pocos meses de llegar a España se murió. El viudo Prats y sus dos hijos varones, José y Juan, iban y venían de Cuba cada dos por tres para ocuparse de sus negocios, que a partir del 1898, con la llegada de los americanos, empezaron a ir de mal en peor. Los dos muchachos Prats, no tuvieron tanta suerte como su padre, pues a causa de los desastres de la guerra, de la competencia de los financieros americanos y de varias calamidades naturales, las ganancias fueron cada vez más escasas. En los años veinte, Juan Prats se cansó de los viajes y vendió su parte de la hacienda tabaquera a su hermano José, que siguió haciéndose cargo de la empresa.

Cuando Mariano paraba de hablar, Felipe le decía, bromeando:

- ¿Vamos a Malgrat?

- No digas tonterías. ¡Yo no me aguanto de pie! Le contestaba él, riendo.

A Mariano le gustaba ir a la finca de José Prats Pla, para charlar y tener noticias de Malgrat, sobre todo iba a verle cuando acababa de llegar de Barcelona.

A finales de enero de 1934, estuvo impaciente por la llegada de su compaisano, pues quería que le contara el gran acontecimiento del 19 de noviembre de 1933, el domingo electoral más esperado de la historia, donde por primera vez el voto de las mujeres se unió al de los hombres en las segundas elecciones convocadas por la República. Sin embargo, a medida que pasaban los años, Mariano se dio cuenta de que se había hecho viejo para montar a caballo y esperaba, como agua de mayo, a que Felipe lo llevara en coche a Consolación del Sur.