Era l'una di notte del primo
sabato di luna piena, quando Felipe, mandò una carrozza a prendere
Mariano. Era guidata da un giovane mulatto, di nome Mauricio, il
braccio destro di Felipe. La carrozza si diresse verso Caimito,
che distava un'ora dalla fattoria in cui Felipe si
nascondeva.
Durante il tragitto Mauricio raccontò a Mariano che
la casa dove per il momento si nascondevano era disabitata, era stata
abbandonata dai padroni dopo la pandemia e loro, i rivoluzionari
pacifici, come li chiamava Felipe, vi si erano trasferiti.
- E
non avete paura di essere scoperti e di essere arrestati?
- Non
ci denunceranno, il padrone della fattoria si è unito a noi, nessuno
sa che siamo qui, ma cambiamo appostamento molto spesso in modo di
non essere trovati.
- Vedo che vi fidate di me. Non vi
denuncerò mai, gli disse Mariano.
- Felipe si fida ciecamente
di te, ma potrebbero arrestarti e usare metodi violenti per farti
parlare, per questo viaggiamo di notte per non farti capire dove
siamo diretti.
- Ma io non ho un grande senso dell'orientamento,
in questo momento non so da che parte stiamo andando.
- Non ti
preoccupare, abbiamo preso tutte le nostre precauzioni, disse
Mauricio.
- Spero che prima o poi riuscirete a porre fine alla
schiavitù.
- Speriamo che grazie
all'intelligenza, alla diplomazia, alla capacità di agire e alla
pazienza di Felipe e di tutti gli avvocati che lavorano con lui, si
raggiunga l'indipendenza di Cuba e l'abolizione della schiavitù,
cosa che porterebbe grossi miglioramenti alla società cubana.
Dovete sapere che alcuni proprietari terrieri stanno liberando gli
schiavi, ma ce ne sono tanti altri che continuano a comprarli e a
sfruttarli come animali.
- Ammiro gli indipendentisti che non
prendono le armi.
Mauricio tacque, perché temeva che prima o
poi le proteste e le cause legali avrebbero finito per coinvolgere i
rivoluzionari in sanguinose battaglie contro gli spagnoli. Mentre
stavano per arrivare, pensò a Céspedes, amico e compagno di lotta
di Felipe che, se all'inizio con la sua rivolta pacifica sperava di
ottenere una Cuba libera senza spargimento di sangue, alla fine
dovette armare i suoi seguaci e formare un esercito, ma purtroppo
cadde in battaglia nel 1874.
Felipe accolse Mariano con affetto
e allegria, lo abbracciò come faceva a L’Avana, dandogli pacche
sulle spalle. Parlarono, scherzarono come se si fossero incontrati il
giorno prima, in realtà erano passati sei anni dal loro ultimo
incontro.
Dopo due ore, Olivia, la donna mulatta che Felipe aveva liberato con molta fatica dalla schiavitù, entrò nella stanza dove al buio erano seduti i due uomini. Felipe aveva impiegato cinque anni a preparare il terreno per ottenere la libertà di Olivia. Riuscì a convincere una donna fidata a farsi assumere come serva nella fattoria, da cui lui proveniva e dove Olivia era una delle tante schiave che raccoglievano le foglie di tabacco. Quella donna gli spianò la strada, ma soprattutto l’epidemia di febbre gialla gli venne in aiuto. In quella fattoria, come in quelle vicine, ci furono molti morti, tra cui il padrone. La vedova, come il marito, odiava chiunque volesse liberare gli schiavi neri e non fu facile trovare un accordo con lei. La nuova padrona della piantagione di tabacco, detestava non solo Felipe, ma soprattutto il cognato, quello che aveva dato la libertà agli schiavi ereditati dal padre. Tuttavia, la vedova, dopo la morte del marito, a causa dei problemi economici che stava affrontando, cedette. Felipe, attraverso un intermediario, poiché lei non volle vederlo in faccia, riuscì a comprare Olivia.
La ragazza, da quando aveva acquisito la libertà, era così grata a Felipe, che lo seguiva ovunque andasse senza mai lamentarsi dei pericoli che correva insieme a lui.
Non mancava molto all’alba
quando Olivia uscì dal salotto e andò in cucina, per lasciare che i
due amici rimanessero da soli. Felipe e Mariano trascorsero il resto
della notte a parlare fitto fitto. Mariano gli raccontò dei suoi
progressi come socio del negozio dei tre fratelli e del fiorente
commercio di sementi. Felipe gli fece un riassunto di tutto ciò che
aveva fatto in quei cinque anni: aveva studiato, preparato e
presentato numerose petizioni al governo spagnolo per l'indipendenza
di Cuba e per l'abolizione della schiavitù.
Felipe e i suoi
collaboratori erano riusciti a far sì che il 18 febbraio 1880 il
Bollettino ufficiale dello Stato spagnolo emanasse una legge che
poneva fine allo stato di schiavitù a Cuba. Tuttavia, quella legge
conteneva una serie di condizioni che rallentavano l'effettiva fine
del regime schiavista. In altre parole, quella legge non trasformava
immediatamente gli schiavi in persone libere, ma li trasformava in
Libertos, i quali dovevano pagare una grossa somma di denaro
ai loro padroni per essere completamente liberi. Per i neri appena
liberati fu stabilito un periodo di patronato di otto anni, durante
il quale dovevano continuare a lavorare per i loro ex padroni in
condizioni molto simili alla schiavitù, essendo consentite le
punizioni corporali.
- Non siete soddisfatti di ciò che avete
ottenuto?
- Abbiamo ottenuto ben poco, rispose Felipe.
- È sempre qualcosa. Vedrai
che prima o poi la Spagna dovrà allinearsi alle leggi degli altri
Paesi.
- La libertà adesso ha un prezzo economico, questo non
può essere, stiamo lottando perché il Ministero degli affari Esteri
ponga fine a questo ridicolo sistema di Libertos.
- Ce la
farai, Felipe.
- Sono un po' stanco, Olivia ed io ancora
dobbiamo nasconderci, ma quando sarà abolita definitivamente la
schiavitù, potrò morire in pace.
- Non dire così Felipe, ce
la farai a migliorare la legge che abolisce la schiavitù e a
ottenere la libertà di Cuba senza spargimento di sangue.
- Sarà
difficile, ho fiducia in José Martí, come l’avevo in Carlos
Manuel de Céspedes, ma la memoria storica mi dice che la resistenza
pacifica alla fine sfocia sempre nelle armi. Ammiravo Céspedes,
oltre ad essere un uomo ricco e bello, che aveva vissuto in Europa e
parlava diverse lingue, era una persona colta e sensibile, un poeta,
con ideali molto nobili, capace di aggiornarsi sui progressi
scientifici e tecnici, sulle dottrine filosofiche e sui movimenti
artistici e letterari. Nella repubblica che voleva fondare, voleva
una legge che organizzasse l'istruzione primaria universale, bianchi
e neri insieme, con insegnanti itineranti e scuole con laboratori.
Per me era un amico, ma non lo seguii quando prese le armi e si
unì ad altri separatisti più bellicosi.
- Tuttavia, la rivolta di
Céspedes fu la miccia che accese la battaglia per
l'abolizione della schiavitù, non è vero?
- Sì, ma a un
prezzo molto alto: gli schiavi si unirono alle file dell'esercito
ribelle volontariamente o con la forza e nonostante il fatto che neri
e bianchi avessero combattuto dalla stessa parte per dieci anni ci fu
molta discriminazione razziale nelle truppe e i neri furono sempre
carne da cannone, disse Felipe.
- Si dice che da entrambe le
parti ci furono più di centomila morti, tra quelli caduti in
battaglia e quelli morti per le malattie tropicali. Molti giovani
soldati dell'esercito spagnolo appena arrivati a Cuba si ammalarono e
morirono senza andare in battaglia, rispose Mariano.
- Sì, ci
fu un vero e proprio massacro, dopo una breve pausa Felipe disse -
Ricordo che Céspedes scrisse: Tra i sacrifici che la Rivoluzione
mi ha imposto, il più doloroso per me è stato il sacrificio del mio
carattere. - Io non
mi sacrificherò, la libertà deve essere raggiunta senza
spargimento di sangue, se José Martí dichiarerà guerra alla Spagna
io mi ritirerò dall'organizzazione.
- Hai tutta la mia
ammirazione, ma è da troppi anni che stai scappando, forse è
arrivata l’ora di pensare di più a te stesso e a Olivia.
- Ci proverò. Non so quando
potremo rivederci, ma ti prometto che appena le cose andranno meglio
ti cercherò, gli rispose Felipe.
Appena spuntò l’alba si
salutarono e Mauricio riaccompagnò Mariano a L'Avana.
Alla fine del 1880, Ángel
Hernández, padrone di una fattoria vicino a Pinar del Rio, si
presentò al negozio dei tre fratelli.
- Mi hanno detto che un
certo Mariano Defaus lavora da voi.
- Si, vado a cercarlo, è
nel retrobottega, gli disse Pedro.
Pedro spostò la tenda e
chiamò Mariano.
- Hai visite, disse.
- Buongiorno, sono
Ángel Hernández, ho sentito parlare di lei come un grande
intenditore di semi di cereali.
- Non esageriamo, rispose
Mariano, soddisfatto dalle parole appena sentite.
- Io non me ne
intendo di cereali, da quando sono nato ho visto solo piantagioni di
tabacco intorno a me, disse il proprietario terriero,
sorridendo.
Angel Herrera continuò a fare altre domande a
Mariano e alla fine gli disse:
-
Voglio seminare il grano sulla terra che ho ereditato da mio padre e
sradicare
le piante di tabacco. Ho
bisogno che lei
lavori con me nella mia fattoria.
Angel, all'età di vent'anni,
aveva comunicato
a suo padre che voleva andare a studiare in Spagna.
Il padre non vedeva di buon occhio che il suo erede se
ne andasse lontano, ma,
essendo una persona
intelligente, alla fine gli
diede il permesso
e gli pagò gli studi di medicina. Il
fratello invece era rimasto col
padre ad
occuparsi della piantagione
di tabacco
Il primo giorno in cui Angel si
trovò in sala operatoria di
fronte a un'autopsia svenne.
Vedere
il sangue lo faceva stare
male, pensò
che col tempo si sarebbe
abituato,
ma in realtà
il suo malessere peggiorò.
Accettò di non essere
portato a fare il medico, ma
si laureò,
per non lasciare le cose a metà. A Madrid incontrò Nieves Herrera
un pomeriggio in cui si recò nel quartiere di Lavapiés a
comprare una brocca. Nieves
apparteneva a una famiglia di vasai,
modellava i pezzi
di terracotta e
li vendeva.
Quando Ángel entrò nel negozio, rimase affascinato guardando la
figlia del vasaio mentre sistemava gli
scaffali pieni di
cocci.
Da quel momento Ángel andò a trovare Nieves ogni pomeriggio e un
giorno le dichiarò il suo amore. Nieves aveva diciotto anni, Angel
ventidue quando si sposarono. Vissero
a Madrid per poco tempo,
fino a quando Ángel
dovette ritornare
a Cuba,
dopo la morte dei genitori e dell'unico fratello a
causa della febbre gialla.
Quel giorno Ángel
Herrera disse
a Mariano che nella sua
fattoria c’erano dei
bravi
capisquadra e numerosi
braccianti,
gli mancava solo uno esperto
coltivatore di cereali.
-
Le
offro un buon lavoro e se va
tutto bene e vediamo che
andiamo d'accordo, potremmo pensare
a diventare soci.
- E
perché vuole sostituire le piantagioni di tabacco con campi di
grano?
- Tutti mi
dicono che sono pazzo, che
il tabacco è molto più redditizio, ma io ho già consultato degli
agronomi esperti,
che dicono
che la mia terra è buona per i cereali e che la rotazione delle
colture le farebbe bene, perché per troppi anni sono
state coltivate
solo piante di tabacco. La terra è impoverita,
quindi voglio fare un cambiamento radicale nella fattoria. Inoltre,
aborro la schiavitù e non voglio guadagnarmi da vivere sfruttando in
modo disumano i neri. Il caso
mi ha portato a possedere una fattoria che doveva essere per mio
fratello, sono grato al mio destino, ma voglio cambiarlo. Ho dato la
libertà a tutti gli schiavi, ma molti di loro sono rimasti a
lavorare con me, guadagnando un salario. Nieves, mia moglie, mi
sostiene in questo progetto, che a
molti sembrerebbe
un po' folle.
- Ci
penserò. Grazie per la sua offerta, rispose Mariano, che
dall'emozione
non riuscì a dire altro.
-
Se accetterà la mia proposta, avrà un buon salario e anche una
percentuale del ricavato del raccolto. Ah, dimenticavo, c'è una
casetta per lei accanto alla nostra.
A Mariano era
piaciuto
quell’umile
proprietario terriero, che non aveva nulla a
vedere
con i
gli altri padroni
delle fattorie circostanti. Non ci
poteva credere che potesse
offrirgli così tanto, conoscendolo così poco.
Mariano si
sentiva in colpa ad
accettare
il nuovo
lavoro, dovendo
lasciare
i tre fratelli. Si era talmente abituato a loro che gli dispiaceva
abbandonarli.
Pablo, il fratello maggiore,
si era già ripreso dall'ictus che lo aveva colpito mesi prima e
aveva cominciato ad andare
in negozio,
a spedire gli ordini e
a tener
la contabilità.
Dopo
averci pensato per qualche giorno, fece
sapere ai
tre fratelli dell'offerta
che Ángel
Hernández gli aveva fatto.
- Continuerò a essere il
vostro socio, ma vi
metterò a fianco un
assistente che pagherò dalle
mie tasche e ogni due o tre
mesi verrò a
L'Avana
per aiutarvi.
- Mariano,
invece di correre dietro alle gonne ti
occupi
solo di
affari, sarei più
tranquillo se venissi
a sapere che hai perso la testa per una mulatta,
gli disse Pedro ridendo.
- Sono
contento che abbiano
bisogno di te in una
fattoria così importante, è
una grande opportunità per te e sono molto orgoglioso di come ci
sei riuscito da solo, disse
Pepe, il fratello mezzano,
quello più taciturno.
-
Ci mancherai, ti sono grato
per tutto quello che hai
fatto per noi,
disse Pablo con fatica
a causa della sua
la bocca storta.
- Vediamo se a Pinar de Rio troverai la moglie
che tanto desideri.
-
Non prendermi in giro, Pedro. Avrò tanto
da lavorare
che
non avrò tempo per correre
dietro alle
donne. Abbiate cura di voi e
non mettetevi nei guai, disse loro
Mariano, mentre
si congedava.
Il 4
febbraio 1881, Mariano si sedette in un vagone, aspettando che la
locomotiva partisse per San Cristóbal. Mariano, come suo padre, José
Defaus Ballesté, era un
uomo puntuale; era
solito recarsi alla stazione un'ora prima della partenza del treno.
Mentre guardava fuori dal
finestrino l'andirivieni della gente sui binari, pensò al suo primo
viaggio in treno a Barcellona, era il 1872.
- Come è cambiata
la mia vita da allora, si disse.
Mariano non vedeva l’ora di
trasferirsi nella tenuta di Ángel Hernández. Tuttavia, avvertiva un
leggero dolore nella pancia, lo stesso che aveva sentito il giorno in
cui era partito da Malgrat, il suo paese. Attribuì il leggero
malessere al fatto che si stava allontanando da L'Avana, dal porto
dove tante volte aveva immaginato di salpare per il ritorno in
patria.
Proseguì fino a Pinar del Rio con una diligenza, poiché la costruzione di quel tratto di ferrovia non era ancora stata completata, si dovette aspettare fino al 1894 per la fine dei lavori.
Mariano arrivò all'imbrunire
a Pinar del Rio, dove lo attendeva un carro guidato da un cocchiere
che lo portò alla fattoria di Ángel Hernández, chiamata Esperanza,
a pochi chilometri da Pinar del Rio, tra Las Ovas e Puerta
de Golpe.
- Esperanza sarà la mia casa. Mi piace questo
nome, si disse Mariano vedendolo scritto sopra il cancello.
I
due sposi lo stavano aspettando. Lo accolsero come se fosse uno di
famiglia e gli diedero subito le chiavi della casetta dove avrebbe
alloggiato. La prima cosa che Mariano fece nella sua nuova dimora fu
scrivere una lettera a Isabel.
Pinar del Rio 4 febbraio
1881
Cara Isabel,
ti invio il mio nuovo
indirizzo affinché tu possa scrivermi. Non vivo più a L'Avana.
Mi è stato offerto un buon lavoro in una fattoria chiamata
Esperanza, a pochi chilometri da Pinar del Rio.
Il
lavoro finalmente mi sta andando bene. Tuttavia, mi
dispiace di averti lasciato e sento il vuoto della tua assenza. Mi
pento delle mie indecisioni.
Maria, stanca di aspettarmi, ha sposato il vedovo Valls e ora, come
puoi capire, sono rimasto solo. I
proprietari della tenuta Esperanza sono molto gentili
con me. Sono stato fortunato.
Come stai? E tua zia? È da molto
tempo che non ricevo una tua lettera. Forse non riesci
a trovare qualcuno che te le scriva? Ti
auguro di trovare un uomo che ti ami e ti rispetti, te
lo meriti.
Un abbraccio dal tuo sincero amico
Mariano
Defaus Moragas
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