giovedì 14 dicembre 2023

Cap 9 - Pinar del Rio in italiano

 

Era l'una di notte del primo sabato di luna piena, quando Felipe, mandò una carrozza a prendere Mariano. Era guidata da un giovane mulatto, di nome Mauricio, il braccio destro di Felipe. La carrozza si diresse verso Caimito, che distava un'ora dalla fattoria in cui Felipe si nascondeva.
Durante il tragitto Mauricio raccontò a Mariano che la casa dove per il momento si nascondevano era disabitata, era stata abbandonata dai padroni dopo la pandemia e loro, i rivoluzionari pacifici, come li chiamava Felipe, vi si erano trasferiti.
- E non avete paura di essere scoperti e di essere arrestati?
- Non ci denunceranno, il padrone della fattoria si è unito a noi, nessuno sa che siamo qui, ma cambiamo appostamento molto spesso in modo di non essere trovati.
- Vedo che vi fidate di me. Non vi denuncerò mai, gli disse Mariano.
- Felipe si fida ciecamente di te, ma potrebbero arrestarti e usare metodi violenti per farti parlare, per questo viaggiamo di notte per non farti capire dove siamo diretti.
- Ma io non ho un grande senso dell'orientamento, in questo momento non so da che parte stiamo andando.
- Non ti preoccupare, abbiamo preso tutte le nostre precauzioni, disse Mauricio.
- Spero che prima o poi riuscirete a porre fine alla schiavitù.

- Speriamo che grazie all'intelligenza, alla diplomazia, alla capacità di agire e alla pazienza di Felipe e di tutti gli avvocati che lavorano con lui, si raggiunga l'indipendenza di Cuba e l'abolizione della schiavitù, cosa che porterebbe grossi miglioramenti alla società cubana. Dovete sapere che alcuni proprietari terrieri stanno liberando gli schiavi, ma ce ne sono tanti altri che continuano a comprarli e a sfruttarli come animali.
- Ammiro gli indipendentisti che non prendono le armi.
Mauricio tacque, perché temeva che prima o poi le proteste e le cause legali avrebbero finito per coinvolgere i rivoluzionari in sanguinose battaglie contro gli spagnoli. Mentre stavano per arrivare, pensò a Céspedes, amico e compagno di lotta di Felipe che, se all'inizio con la sua rivolta pacifica sperava di ottenere una Cuba libera senza spargimento di sangue, alla fine dovette armare i suoi seguaci e formare un esercito, ma purtroppo cadde in battaglia nel 1874.
Felipe accolse Mariano con affetto e allegria, lo abbracciò come faceva a L’Avana, dandogli pacche sulle spalle. Parlarono, scherzarono come se si fossero incontrati il giorno prima, in realtà erano passati sei anni dal loro ultimo incontro.

Dopo due ore, Olivia, la donna mulatta che Felipe aveva liberato con molta fatica dalla schiavitù, entrò nella stanza dove al buio erano seduti i due uomini. Felipe aveva impiegato cinque anni a preparare il terreno per ottenere la libertà di Olivia. Riuscì a convincere una donna fidata a farsi assumere come serva nella fattoria, da cui lui proveniva e dove Olivia era una delle tante schiave che raccoglievano le foglie di tabacco. Quella donna gli spianò la strada, ma soprattutto l’epidemia di febbre gialla gli venne in aiuto. In quella fattoria, come in quelle vicine, ci furono molti morti, tra cui il padrone. La vedova, come il marito, odiava chiunque volesse liberare gli schiavi neri e non fu facile trovare un accordo con lei. La nuova padrona della piantagione di tabacco, detestava non solo Felipe, ma soprattutto il cognato, quello che aveva dato la libertà agli schiavi ereditati dal padre. Tuttavia, la vedova, dopo la morte del marito, a causa dei problemi economici che stava affrontando, cedette. Felipe, attraverso un intermediario, poiché lei non volle vederlo in faccia, riuscì a comprare Olivia.

La ragazza, da quando aveva acquisito la libertà, era così grata a Felipe, che lo seguiva ovunque andasse senza mai lamentarsi dei pericoli che correva insieme a lui.

Non mancava molto all’alba quando Olivia uscì dal salotto e andò in cucina, per lasciare che i due amici rimanessero da soli. Felipe e Mariano trascorsero il resto della notte a parlare fitto fitto. Mariano gli raccontò dei suoi progressi come socio del negozio dei tre fratelli e del fiorente commercio di sementi. Felipe gli fece un riassunto di tutto ciò che aveva fatto in quei cinque anni: aveva studiato, preparato e presentato numerose petizioni al governo spagnolo per l'indipendenza di Cuba e per l'abolizione della schiavitù.
Felipe e i suoi collaboratori erano riusciti a far sì che il 18 febbraio 1880 il Bollettino ufficiale dello Stato spagnolo emanasse una legge che poneva fine allo stato di schiavitù a Cuba. Tuttavia, quella legge conteneva una serie di condizioni che rallentavano l'effettiva fine del regime schiavista. In altre parole, quella legge non trasformava immediatamente gli schiavi in persone libere, ma li trasformava in Libertos, i quali dovevano pagare una grossa somma di denaro ai loro padroni per essere completamente liberi. Per i neri appena liberati fu stabilito un periodo di patronato di otto anni, durante il quale dovevano continuare a lavorare per i loro ex padroni in condizioni molto simili alla schiavitù, essendo consentite le punizioni corporali.
- Non siete soddisfatti di ciò che avete ottenuto?
- Abbiamo ottenuto ben poco, rispose Felipe.

- È sempre qualcosa. Vedrai che prima o poi la Spagna dovrà allinearsi alle leggi degli altri Paesi.
- La libertà adesso ha un prezzo economico, questo non può essere, stiamo lottando perché il Ministero degli affari Esteri ponga fine a questo ridicolo sistema di Libertos.
- Ce la farai, Felipe.
- Sono un po' stanco, Olivia ed io ancora dobbiamo nasconderci, ma quando sarà abolita definitivamente la schiavitù, potrò morire in pace.
- Non dire così Felipe, ce la farai a migliorare la legge che abolisce la schiavitù e a ottenere la libertà di Cuba senza spargimento di sangue.
- Sarà difficile, ho fiducia in José Martí, come l’avevo in Carlos Manuel de Céspedes, ma la memoria storica mi dice che la resistenza pacifica alla fine sfocia sempre nelle armi. Ammiravo Céspedes, oltre ad essere un uomo ricco e bello, che aveva vissuto in Europa e parlava diverse lingue, era una persona colta e sensibile, un poeta, con ideali molto nobili, capace di aggiornarsi sui progressi scientifici e tecnici, sulle dottrine filosofiche e sui movimenti artistici e letterari. Nella repubblica che voleva fondare, voleva una legge che organizzasse l'istruzione primaria universale, bianchi e neri insieme, con insegnanti itineranti e scuole con laboratori.
Per me era un amico, ma non lo seguii quando prese le armi e si unì ad altri separatisti più bellicosi.

- Tuttavia, la rivolta di Céspedes fu la miccia che accese la battaglia per l'abolizione della schiavitù, non è vero?
- Sì, ma a un prezzo molto alto: gli schiavi si unirono alle file dell'esercito ribelle volontariamente o con la forza e nonostante il fatto che neri e bianchi avessero combattuto dalla stessa parte per dieci anni ci fu molta discriminazione razziale nelle truppe e i neri furono sempre carne da cannone, disse Felipe.

- Si dice che da entrambe le parti ci furono più di centomila morti, tra quelli caduti in battaglia e quelli morti per le malattie tropicali. Molti giovani soldati dell'esercito spagnolo appena arrivati a Cuba si ammalarono e morirono senza andare in battaglia, rispose Mariano.
- Sì, ci fu un vero e proprio massacro, dopo una breve pausa Felipe disse - Ricordo che Céspedes scrisse: Tra i sacrifici che la Rivoluzione mi ha imposto, il più doloroso per me è stato il sacrificio del mio carattere. - Io non mi sacrificherò, la libertà deve essere raggiunta senza spargimento di sangue, se José Martí dichiarerà guerra alla Spagna io mi ritirerò dall'organizzazione.
- Hai tutta la mia ammirazione, ma è da troppi anni che stai scappando, forse è arrivata l’ora di pensare di più a te stesso e a Olivia.

- Ci proverò. Non so quando potremo rivederci, ma ti prometto che appena le cose andranno meglio ti cercherò, gli rispose Felipe.
Appena spuntò l’alba si salutarono e Mauricio riaccompagnò Mariano a L'Avana.

Alla fine del 1880, Ángel Hernández, padrone di una fattoria vicino a Pinar del Rio, si presentò al negozio dei tre fratelli.
- Mi hanno detto che un certo Mariano Defaus lavora da voi.
- Si, vado a cercarlo, è nel retrobottega, gli disse Pedro.
Pedro spostò la tenda e chiamò Mariano.
- Hai visite, disse.
- Buongiorno, sono Ángel Hernández, ho sentito parlare di lei come un grande intenditore di semi di cereali.
- Non esageriamo, rispose Mariano, soddisfatto dalle parole appena sentite.
- Io non me ne intendo di cereali, da quando sono nato ho visto solo piantagioni di tabacco intorno a me, disse il proprietario terriero, sorridendo.
Angel Herrera continuò a fare altre domande a Mariano e alla fine gli disse:

- Voglio seminare il grano sulla terra che ho ereditato da mio padre e sradicare le piante di tabacco. Ho bisogno che lei lavori con me nella mia fattoria.
Angel, all'età di vent'anni,
aveva comunicato a suo padre che voleva andare a studiare in Spagna. Il padre non vedeva di buon occhio che il suo erede se ne andasse lontano, ma, essendo una persona intelligente, alla fine gli diede il permesso e gli pagò gli studi di medicina. Il fratello invece era rimasto col padre ad occuparsi della piantagione di tabacco
Il primo giorno in cui Angel
si trovò in sala operatoria di fronte a un'autopsia svenne. Vedere il sangue lo faceva stare male, pensò che col tempo si sarebbe abituato, ma in realtà il suo malessere peggiorò. Accettò di non essere portato a fare il medico, ma si laureò, per non lasciare le cose a metà. A Madrid incontrò Nieves Herrera un pomeriggio in cui si recò nel quartiere di Lavapiés a comprare una brocca. Nieves apparteneva a una famiglia di vasai, modellava i pezzi di terracotta e li vendeva. Quando Ángel entrò nel negozio, rimase affascinato guardando la figlia del vasaio mentre sistemava gli scaffali pieni di cocci. Da quel momento Ángel andò a trovare Nieves ogni pomeriggio e un giorno le dichiarò il suo amore. Nieves aveva diciotto anni, Angel ventidue quando si sposarono. Vissero a Madrid per poco tempo, fino a quando Ángel dovette ritornare a Cuba, dopo la morte dei genitori e dell'unico fratello a causa della febbre gialla.
Quel giorno
Ángel Herrera disse a Mariano che nella sua fattoria c’erano dei bravi capisquadra e numerosi braccianti, gli mancava solo uno esperto coltivatore di cereali.
-
Le offro un buon lavoro e se va tutto bene e vediamo che andiamo d'accordo, potremmo pensare a diventare soci.
- E perché vuole sostituire le piantagioni di tabacco con campi di grano?
- Tutti
mi dicono che sono pazzo, che il tabacco è molto più redditizio, ma io ho già consultato degli agronomi esperti, che dicono che la mia terra è buona per i cereali e che la rotazione delle colture le farebbe bene, perché per troppi anni sono state coltivate solo piante di tabacco. La terra è impoverita, quindi voglio fare un cambiamento radicale nella fattoria. Inoltre, aborro la schiavitù e non voglio guadagnarmi da vivere sfruttando in modo disumano i neri. Il caso mi ha portato a possedere una fattoria che doveva essere per mio fratello, sono grato al mio destino, ma voglio cambiarlo. Ho dato la libertà a tutti gli schiavi, ma molti di loro sono rimasti a lavorare con me, guadagnando un salario. Nieves, mia moglie, mi sostiene in questo progetto, che a molti sembrerebbe un po' folle.
- Ci penserò. Grazie per la sua offerta, rispose Mariano,
che dall'emozione non riuscì a dire altro.
- Se accetterà la mia proposta, avrà un buon salario e anche una percentuale del ricavato del raccolto. Ah, dimenticavo, c'è una casetta per lei accanto alla nostra.
A Mariano
era piaciuto quell’umile proprietario terriero, che non aveva nulla a vedere con i gli altri padroni delle fattorie circostanti. Non ci poteva credere che potesse offrirgli così tanto, conoscendolo così poco.
Mariano si sentiva in colpa
ad accettare il nuovo lavoro, dovendo lasciare i tre fratelli. Si era talmente abituato a loro che gli dispiaceva abbandonarli. Pablo, il fratello maggiore, si era già ripreso dall'ictus che lo aveva colpito mesi prima e aveva cominciato ad andare in negozio, a spedire gli ordini e a tener la contabilità.

Dopo averci pensato per qualche giorno, fece sapere ai tre fratelli dell'offerta che Ángel Hernández gli aveva fatto.
- Continuerò a essere
il vostro socio, ma vi metterò a fianco un assistente che pagherò dalle mie tasche e ogni due o tre mesi verrò a L'Avana per aiutarvi.
-
Mariano, invece di correre dietro alle gonne ti occupi solo di affari, sarei più tranquillo se venissi a sapere che hai perso la testa per una mulatta, gli disse Pedro ridendo.
- S
ono contento che abbiano bisogno di te in una fattoria così importante, è una grande opportunità per te e sono molto orgoglioso di come ci sei riuscito da solo, disse Pepe, il fratello mezzano, quello più taciturno.
- Ci mancherai,
ti sono grato per tutto quello che hai fatto per noi, disse Pablo con fatica a causa della sua la bocca storta.
- Vediamo se a Pinar de Rio troverai la moglie che tanto
desideri.
- Non prendermi in giro, Pedro. Avrò
tanto da lavorare che non avrò tempo per correre dietro alle donne. Abbiate cura di voi e non mettetevi nei guai, disse loro Mariano, mentre si congedava.
Il 4 febbraio 1881, Mariano si sedette in un vagone, aspettando che la locomotiva partisse per San Cristóbal. Mariano, come suo padre, José Defaus Ballesté, era
un uomo puntuale; era solito recarsi alla stazione un'ora prima della partenza del treno.

Mentre guardava fuori dal finestrino l'andirivieni della gente sui binari, pensò al suo primo viaggio in treno a Barcellona, era il 1872.
- Come è cambiata la mia vita da allora, si disse.
Mariano non vedeva l’ora di trasferirsi nella tenuta di Ángel Hernández. Tuttavia, avvertiva un leggero dolore nella pancia, lo stesso che aveva sentito il giorno in cui era partito da Malgrat, il suo paese. Attribuì il leggero malessere al fatto che si stava allontanando da L'Avana, dal porto dove tante volte aveva immaginato di salpare per il ritorno in patria.

Proseguì fino a Pinar del Rio con una diligenza, poiché la costruzione di quel tratto di ferrovia non era ancora stata completata, si dovette aspettare fino al 1894 per la fine dei lavori.

Mariano arrivò all'imbrunire a Pinar del Rio, dove lo attendeva un carro guidato da un cocchiere che lo portò alla fattoria di Ángel Hernández, chiamata Esperanza, a pochi chilometri da Pinar del Rio, tra Las Ovas e Puerta de Golpe.
- Esperanza sarà la mia casa. Mi piace questo nome, si disse Mariano vedendolo scritto sopra il cancello.
I due sposi lo stavano aspettando. Lo accolsero come se fosse uno di famiglia e gli diedero subito le chiavi della casetta dove avrebbe alloggiato. La prima cosa che Mariano fece nella sua nuova dimora fu scrivere una lettera a Isabel.

Pinar del Rio 4 febbraio 1881
Cara Isabel,
ti invio il mio nuovo indirizzo affinché tu possa scrivermi. Non vivo più a L'Avana. Mi è stato offerto un buon lavoro in una fattoria chiamata Esperanza, a pochi chilometri da Pinar del Rio.
Il lavoro finalmente mi sta andando bene. Tuttavia, mi dispiace di averti lasciato e sento il vuoto della tua assenza. Mi pento delle mie indecisioni. Maria, stanca di aspettarmi, ha sposato il vedovo Valls e ora, come puoi capire, sono rimasto solo. I proprietari della tenuta Esperanza sono molto gentili con me. Sono stato fortunato.
Come stai? E tua zia? È da molto tempo che non ricevo una
tua lettera. Forse non riesci a trovare qualcuno che te le scriva? Ti auguro di trovare un uomo che ti ami e ti rispetti, te lo meriti.
Un abbraccio dal tuo sincero amico
Mariano Defaus Moragas







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