domenica 26 novembre 2023

Maria Plana - Cap. 8 (in italiano)

 


Da quando Mariano frequentava Isabel, pensava meno a Maria, la ragazza catalana che aveva conosciuto sulla nave e aveva perso l'abitudine di sedersi fuori dalla farmacia ad aspettare con ansia l'arrivo del postino. Finché una mattina gli arrivò la lettera che da tanto attendeva. Strappò la busta e tirò fuori con impazienza i due fogli di carta velina. Lesse le prime righe con impazienza e apprese che Maria era stata molto male, si fermò e sospirò, ma poi, continuando a leggere, gli mancò il respiro e dovette sedersi.

La signora Valls fu la prima della fattoria ad essere contagiata e morì prima dell'arrivo del medico. Maria si ammalò qualche giorno dopo e trascorse diverse settimane tra la vita e la morte. Dopo aver seppellito la moglie nella parte più appartata del giardino, il signor Valls si prese cura di Maria, di giorno e di notte, e non volle che nessun altro si occupasse di lei. La curò con grande premura e per fortuna piano piano la ragazza si riprese.
Quando Maria fu completamente guarita, il signor Valls e Alfredo, il maggiordomo, si ammalarono uno dopo l'altro. I due uomini avevano vissuto sotto lo stesso tetto
lunghi anni, prima in Catalogna e poi a Cuba. Alfredo aveva visto nascere il suo padrone e gli era molto affezionato, avrebbe dato la vita per lui. Nonostante gli evidenti sintomi di febbre e itterizia, Alfredo si prendeva cura del suo padrone, fino a quando un giorno crollò. Alfredo delirava e tremava, da quanto era alta la febbre e da allora Maria cominciò a occuparsi di entrambi.

Di notte passava ore e ore al capezzale dei due uomini, mettendo stracci bagnati sulla loro fronte, dando loro acqua e sussurrando che presto sarebbero guariti. Maria pregava perché ciò accadesse. Durante il giorno si riposava per qualche ora, lasciando i due malati nelle mani di un servitore che era uscito indenne della malattia.
Il signor Valls, dopo una settimana di febbre alta, cominciò a stare meglio, ma dovette rimanere a letto ancora per qualche giorno, perché era molto debole e la sua pelle era così gialla che non si sapeva se sarebbe vissuto, ma alla fine si salvò. Alfredo, come la maggior parte della servitù, non ebbe la stessa fortuna, morì tra le braccia di Ramón Valls, che volle seppellirlo accanto a Eulalia, sua moglie, pur sapendo che lei lo detestava.

La febbre gialla causò molte morti, soprattutto nelle piantagioni dove gli schiavi vivevano in baracche affollate. Per più di due secoli (dal XVII al XIX) la febbre gialla è stata una malattia misteriosa che ha colpito le aree tropicali dell'America e dell'Africa causando epidemie devastanti. Nessuno sapeva da dove venisse quella peste, né come curarla.
Ci vollero alcuni anni prima che le Università iniziassero a occuparsi della pandemia. Tra il 1883 e il 1897, diversi scienziati pensarono di aver identificato l'agente che causava la malattia, ma le loro teorie non trovarono consenso. Qualche anno dopo, un gruppo di chirurghi e microbiologi cubani iniziò a lavorare su un'ipotesi: le zanzare fungevano da ospite intermedio al parassita della febbre gialla. All'inizio del XX secolo, diverse ricerche cercarono di individuare la causa della trasmissione, ma con metodi discutibili: alcuni medici e volontari, che si lasciarono inoculare i germi della malattia, diedero la loro salute e la loro vita per la scienza, e solo molti anni dopo si scoprì che quel parassita era un virus.
Dopo l'epidemia, la fattoria dei Valls cadde in disgrazia e i pochi servi e braccianti che si salvarono fuggirono. Molti capi di bestiame, cavalli, mucche, buoi e tori, furono rubati, alcuni morirono, altri scapparono. Anche Maria avrebbe potuto lasciare la fattoria, ma non ebbe il coraggio di farlo. Ogni tanto sentiva l’impulso di andare a cercare Mariano all'Avana, ma alla fine decise di rimanere lì, per aiutare il signor Valls che era rimasto solo. Maria, la ragazza gracile, che al suo arrivo a Cuba aveva paura di tutto, si occupò di tirare su l'allevamento di bestiame dei Valls.
I mesi passarono. Ramón Valls si riprese completamente e con l'aiuto di Maria iniziò a occuparsi delle faccende della fattoria. Comprarono altri bovini, cavalli, mucche, buoi, maiali, ecc., assunsero un nuovo cuoco, una manciata di domestici e una pattuglia di braccianti e rimisero in funzione la fattoria.
In quei giorni, il signor Valls non smetteva di ringraziare Maria, le diceva che era stata il suo angelo salvatore. Provava tenerezza e amore per quella ragazza fedele che aveva salvato la sua vita e la sua fattoria. Poche settimane dopo le chiese di diventare sua moglie. Dopo la morte della signora Valls, Maria si affezionò a Ramon Valls. Il fatto che si fossero presi cura l'uno dell'altra, nei giorni in cui la febbre gialla li aveva colpiti, li unì fortemente. Erano felici come due bambini a cui è stata data la libertà dopo una punizione, si sentivano a loro agio senza l'irascibile e impertinente signora Valls, che non aveva mai sopportato di vivere a Cuba e che si arrabbiava e litigava con tutti. Maria accettò senza esitazione la proposta di matrimonio del suo padrone.

Mariano lesse tre volte l'ultima parte della lettera, cercando di cogliere un barlume di speranza, ma senza successo.
...mi sentivo debole, ma dovevo resistere perché il personale della fattoria cadeva malato, uno dopo l’altro. Non ti puoi immaginare quanto sia stato orribile, non sapevamo dove seppellire i morti. Ma ora, grazie a Dio, tutto è finito. La lettera in cui mi chiedevi di essere tua moglie l'ho ricevuta solo qualche giorno fa, mi lusinga sapere che io sia importante per te, ma ho deciso di sposare Ramón Valls e non credo che se l’ avessi ricevuta prima non sarebbe cambiato niente. Ramón è stato molto buono con me, gli sono molto grata e sto cominciando ad amarlo. Anche io sulla nave mi sono sentita attratta da te, ma dopo siamo stati troppo tempo lontani. Ti ho aspettato per cinque lunghi anni, ma tutto è cambiato dopo la febbre gialla. Vorrei che tu venissi alla fattoria, Ramón sa che ci scriviamo e sarebbe contento di offrirti la nostra ospitalità. È una brava persona. Spero che tu stia bene e che riesca a realizzare i tuoi progetti.
Mi ricorderò sempre di te.
Maria Plana Tarradas

Mariano stette due giorni a pensare prima di rispondere a María, e quando lo fece le promise che a guerra finita avrebbe noleggiato un carro e due cavalli per andare a trovarla, ma non poteva farlo in quel momento, perché la situazione politica a Cuba stava peggiorando, invece di migliorare.

- Sto perdendo le persone che amo di più. Ci ho messo troppo tempo ad andare alla ricerca di María, avrei dovuto farlo prima, si disse sconsolato.
Tuttavia, dopo qualche settimana, riprese coraggio e decise che era giunto il momento di
ritornare in Catalogna.
- Devo preparar
mi bene per il mio ritorno a casa, si disse con convinzione, anche se temeva di essere arrestato al suo arrivo in Spagna.
Nel 1876, la terza guerra
carlista si era conclusa, ma in realtà, fino all'inizio del 1878, i combattimenti continuarono in Catalogna, soprattutto attraverso una sanguinosa guerriglia che causò centinaia di morti in entrambe le parti. Di conseguenza, Mariano dovette rimandare di un altro anno la sua partenza.
Continuò a lavorare in farmacia, ma
a malincuore, poiché non andava molto d'accordo con Pep, il nipote di José Sarrá. Mariano sentiva la mancanza del suo ex benefattore e amico, che alla fine del 1876 dovette tornare a Barcellona per occuparsi di Emilia, la moglie, gravemente malata, ma fu lui, e non Emilia, a morire d'infarto qualche mese dopo. Prima della morte di José Sarrá, Mariano gli scrisse alcune lettere, ma non gli accennò mai al cattivo carattere del nipote, perché non voleva metterlo in imbarazzo.
Pep era un uomo giovane e intelligente ma molto
agitato, dormiva poco e lavorava di notte alla ricerca di rimedi per le malattie tropicali. Girava sempre in camice bianco e non si levava mai i suoi occhiali da miope, era bravo come chimico farmaceutico, ma era una una frana nei rapporti umani, era scontroso e sempre imbronciato con tutti. Urlava e non aveva pazienza con nessuno, gli piaceva solo fare esperimenti nel suo laboratorio o pulire le gabbie dei suoi uccellini. Mariano a volte lo osservava e non riusciva a capire come mai un uomo così affettuoso con i suoi canarini potesse essere scontroso con i suoi dipendenti. Era uno scapolone che si arrabbiava ogni mattina con la cuoca, donna mulatta servizievole e piacevole.
Mariano
spesso sentiva i rimproveri che Pep faceva alla cuoca:

- Non capisco come mai tu non riesca a sfornare per bene le pagnotte e a servirmi un paio di fette di pane col pomodoro. Ti viene una schifezza e non dare la colpa alla farina o all'acqua dell'Avana, è solo che tu fai il pane malvolentieri.
Poi si calmava e le diceva senza urlare:
- Te lo dico da settimane, mettiti d'impegno, ma tu non mi ascolti.
Il nipote del signor Sarrá aveva cambiato la cuoca varie volte, ma era sempre insoddisfatto e si lamentava con tutte.
- Povere cuoche, che pazienza dobbiamo avere tutti con questo brontolone! si diceva Mariano ogni volta che sentiva la voce stridula del farmacista.
Pep parlava a Mariano in catalano e non lo sgridava mai; era soprattutto con i domestici che tirava fuori il suo brutto carattere.
Un giorno in farmacia Mariano sentì un cliente, un uomo di Reus, dire a Pep che stava cercando un contabile. Mariano non ci pensò due volte e il giorno dopo si recò al magazzino del commerciante catalano, che acquistava tessuti in Catalogna e li rivendeva a Cuba, per parlargli.
All'inizio del 1878, ottenne il lavoro nell'ufficio del signore di Reus e prese in affitto una piccola stanza in via San Ignacio.
Dopo alcune vicissitudini, riuscì a lasciare la farmacia, ma Pep gli fece capire che era molto seccato che lui se ne andasse.
- Che faccia tosta che hai! È così che ci ripaghi di tutto quello che i Sarrá hanno fatto per te, se esci da quella porta non potrai più varcarla, gli urlò Pep.

Mariano se ne andò sconvolto dalle parole del farmacista, dimenticando di aver nascosto le sue monete d'argento in una trave del retrobottega. Gli ci vollero alcuni mesi per recuperarle e dovette pagare un servitore, poiché Pep aveva ordinato ai domestici di non farlo entrare per nessun motivo.
Il panciuto uomo di Reus si rivelò anche lui un brontolone, ma Mariano resistette diversi mesi lavorando nel suo ufficio, poiché non voleva ammettere in alcun modo di aver commesso un errore lasciando la farmacia. Maria continuò a scrivergli lettere e lo invitò più volte alla fattoria, ma Mariano seguitò a rimandare la visita.
Il Re Alfonso XII, figlio di Isabella II, regnò in Spagna dopo il fallimento della Repubblica e nel 1878 pose definitivamente fine alla guerriglia carlista. Anche a Cuba il conflitto tra la madrepatria e i separatisti rimase stagnante per alcuni anni. Infine, nel febbraio del 1878, venne firmato un laconico patto tra spagnoli e separatisti, stremati dal conflitto, un accordo inutile che non risolveva nulla e concedeva ben poco alla causa dei ribelli. Indignato e disilluso, Maceo rese noto il suo dissenso nella protesta di Baraguá, ma dopo un breve tentativo abortito di riprendere la guerra nel 1879 (la cosiddetta Piccola Guerra), sia lui che Gómez scomparvero in un esilio prolungato.

Mariano, approfittando del periodo di pace in entrambi i Paesi, pensò che fosse arrivato il momento giusto per lasciare il suo lavoro di contabile e tornare in Spagna, ma le cose andarono diversamente. Mariano aspettava che Miguel e il capitano tornassero all'Avana per imbarcarsi sulla loro nave, ma una mattina Pedro si presentò nell'ufficio in cui Mariano lavorava per offrirgli la possibilità di entrare nell'azienda commerciale che aveva fondato anni prima con i suoi fratelli. Gli disse che c'era bisogno di lui perché Pablo, il fratello maggiore si era ammalato, un ictus gli aveva paralizzato il lato destro del corpo.
- Pepe e io sappiamo solo
fare i commessi, quindi abbiamo bisogno di te.
Pablo era quello che si era sempre occupato dell'acquisto delle merci e della contabilità. Mariano non poteva lasciarsi sfuggire quell'opportunità, così rimandò di nuovo il suo viaggio a Barcellona e si trasferì a vivere in via
Mercaderes, accanto al negozio dei tre fratelli. Era soddisfatto, poteva finalmente dedicarsi al commercio delle sementi.
Telegrafò a Miguel di portargli dei semi dalla Spagna. Quando Miguel e il
capitano arrivarono all'Avana, fu una grande gioia per lui abbracciarli e scaricare la merce che aveva ordinato. Pagò i sacchi di semi con le sue monete d'argento e li vendette immediatamente. In seguito commerciò anche con patate da semina e a poco a poco il negozio dei fratelli Barcelona cominciò a prosperare.
Nel 1880 ricevette una lette
ra di Felipe. Il postino la portò in negozio una mattina di primavera. Non la aprì subito, aveva paura, ricordava ancora la delusione che aveva provato quando aveva letto la lettera tanto attesa di Maria. La sera, da solo, aprì la busta e cominciò a leggerla.
Felipe
gli diceva che era nascosto in campagna, che non poteva dirgli dove, ma gli parlò con entusiasmo di José Martí.

...è arrivato il momento, abbiamo trovato l’uomo di cui avevamo bisogno. José Martí, semplice, generoso e intelligente, poeta, visionario e intellettuale (ha studiato a Cuba e in Spagna), è diventato una figura patriottica per tutti noi che vogliamo una Cuba libera. Si dedica totalmente alla causa della resistenza pacifica, scrive, parla, fa petizioni e organizza l'indipendenza di Cuba... Io lo aiuto e credo in lui. Spero che con lui non si arrivi mai più a prendere le armi...
Mi farò vivo presto, se tutto va bene verrà a prenderti una carrozza a due cavalli, la sera del primo sabato di luna piena.
Un abbraccio.
Felipe





giovedì 23 novembre 2023

El secreto - Cap. 16 (en español)

 


José Defaus Ballesté movió despacio hacia un lado su cabeza apoyada en la almohada y, tras un jadeo entrecortado, le susurró a su esposa:

- El párroco y yo recurrimos a una estratagema para conseguir que se celebrara a corto plazo la boda de Francisco y Teresita.

- ¡No te canses! Es agua pasada.

José estaba débil, pero reunió todas sus fuerzas, para sacarse el peso del secreto que le oprimía en el pecho desde hacía largos años; sin embargo, notó que mientras él hablaba, su esposa estaba tranquila, como si ya supiera lo que él le iba a revelar.

- Nadie tenía que saber que Teresita estaba embarazada. - hizo una pausa antes de explicarse - Pero la boda todavía no se podía celebrar... Por ser los novios cuñados. El obispo necesitaba tiempo para darles el permiso.

- ¿El matrimonio es válido, no? Pues no me importa cómo lo conseguiste y ahora deja de hablar.

- Claro que es válido. No hicimos ninguna trampa. - hizo una larga pausa para respirar - Se podían casar, la ley eclesiástica y civil lo permitía... ¡Pero no podíamos esperar tantos meses!

- José, descansa. Ya me lo contarás otro día.

- No, tengo que decírtelo ahora. Quiero limpiarme la conciencia. El párroco tuvo esa ocurrencia para salvar nuestra reputación. Pero sin cometer ningún sacrilegio.

- De verdad, no me importa lo que hicisteis. Lo que quiero es que te repongas. Y ahora no hables más. Anda, no seas testarudo, José.

- El acto matrimonial no se pudo registrar el día de la boda. Se hizo cuando la niña Teresa ya tenía tres meses. Una noche oscura, Francisco y Teresita fueron a firmar los papeles en la sacristía. - Miró a su mujer y escogiendo las palabras con cuidado, le dijo lentamente: - Perdona si te lo oculté.

- No hay nada que perdonar. Ya está todo arreglado. Ahora descansa e intenta dormir, le susurró su esposa, sin mostrar perplejidad.

Teresa confiaba en su marido y, aunque en algún momento sospechara algo, nunca quiso saber los tejemanejes que él tramaba para solucionar los asuntos familiares.

Los nietos del moribundo, Teresa, María, Francisco y Josep, correteaban por el patio sin saber bien lo que estaba sucediendo. Teresa, la mayor, lloraba de forma histérica, María intentaba consolarla. Josep, el pequeño, jugaba cantando un estribillo. Francisco, al que todos llamaban Cisco a pesar de tener ocho años, ordenó a sus hermanos que dejaran de gritar y armar jaleo.

- Quedaos aquí. Voy a ver lo que le pasa al abuelo. Y tú Teresa no llores, les ordenó Cisco.

El muchachito entró en el cuarto donde yacía José y se acercó a la cama. El enfermo parecía relajado, por eso Teresa le dijo a su nieto:

- Anda, despídete del abuelo, que está a punto de dormirse.

Cisco se acercó al moribundo, posó sus labios en la frente y le dijo a su abuela:

- La frente del abuelo está helada.

Teresa se dio cuenta de que la tez de su marido se había vuelto blanca, le tocó las manos y notó que estaban frías.

- Ayudadme. Mi José está muerto. Gritó sollozando Teresa.

José Defaus Moragas, aquel atardecer, se fue al otro mundo durmiendo y no llegó a saber que Cuba había dejado de ser española. Tampoco José Martí llegó a ver cómo sus luchas y sus versos llevaban a la independencia, aunque en realidad no se tratara de la independencia que él había soñado, puesto que Cuba se convirtió en una República tutelada por los Estados Unidos.

Mientras José Defaus, aquel día de finales de julio de 1898, estaba agotando las últimas horas de vida, su hijo, Mariano, al amanecer, se estaba preparando para coger el primer tren para ir a la Habana a comprar productos que no lograba encontrar en el mercado de Abastos de Pinar del Río.

Desde que se había inaugurado el último tramo de la línea ferroviaria que unía La Habana con Pinar del Río, era más fácil ir a La Habana, el viaje se había vuelto rápido y cómodo. Mariano tomó el tren en el paradero de Las Ovas, donde lo acompañó Lucas en carro. La pequeña estación, inaugurada el 16 de julio de 1893, fue edificada en una zona que lindaba con el pueblo y que comenzaban a deforestar. Un puñado de albañiles y carpinteros construyeron un edificio de madera de una planta. Lo pintaron de azul, y para que los viajeros se repararan de la lluvia, hicieron un gran soportal sostenido por cuatro columnas pintadas de amarillo. Las ventanas y la puerta eran blancas y el tejado gris.

Él se sentó afuera en uno de los bancos de madera. Mientras esperaba el tren, mirando las plantas que había alrededor de la estación, recordó que en Malgrat también había palmeras, las había traído regresando de Cuba el señor Prats, un indiano rico. De niño, iba a menudo con su padre a pasear cerca de la mansión del señor Prats, rodeada por un gran jardín de plantas exóticas; su padre admiraba la casa, sin embargo, él se quedaba embobado mirando las palmeras y las bellas flores violáceas de la planta de Jacarandá.

Cuando el tren llegó, dejó de pensar con nostalgia en Malgrat y se puso a leer un libro. El tren llegó a media mañana a la vieja estación de Villanueva de La Habana. A él le gustaba andar despacio observando a la muchedumbre, por eso decidió ir callejeando por el barrio antiguo. Las calles estaban abarrotadas de gente de toda clase, ricos, pobres, criados, libertos, soldados, vendedores ambulantes y tenderos que salían de sus tiendas (colmados, pulperías, fruterías, sastrerías, tabaquerías,etc.) gritando lo bueno que era su género. Una negra exuberante se acercó a Mariano sin ningún recato, él le dijo que no le interesaban sus servicios y ella se alejó haciéndose la ofendida.

Poco a poco el olor y el ajetreo de la ciudad lo transportaron al día en que llegó a Cuba con el Señor Sarrá; llevaba consigo una maleta de cartón y una mochila. Aún recordaba el malestar que sentía por aquel bullicio y por el desparpajo de las mujeres cubanas.

Sonrió pensando en que su vida dobló hacia una dirección inimaginable. Entonces era un chiquillo tímido y temeroso de diecisiete años, ahora ya era un hombre valiente de cuarenta y dos, que estaba satisfecho de su vida y de su familia. Quería a Nieves, a Ángel, su ahijado de diecisiete años, y a sus tres hijos: Juan, de casi cuatro años, José, de un año y medio, y Teresa, un bebé de dos meses. Se prometió a sí mismo que en cuanto abrieran el nuevo estudio fotográfico de Pinar del Río, se haría retratar con toda su familia y les enviaría la fotografía a sus padres. Aquel día tampoco podía saber que Nieves iba a darle otras dos niñas, a las que iban a llamar Ramona y Clotilde.

- Tengo una esposa, tres hijos y un ahijado a quienes quiero mucho. Y una familia en España que espero volver a ver pronto. Soy realmente feliz, se dijo, observando a una mujer mulata que sonreía, cargada de chiquillos.

Mientras pensaba en todo ello ,llegó a la tienda de los tres hermanos, Pau, Pepe y Pedro, que lo acogieron con mucha alegría. El grande y el mediano sufrían achaques de gota y tenían reumatismos, pero iban tirando; en cambio, Pedro, el que nunca se enfermaba, en aquel entonces descubrió que tenía piedras en los riñones.

- Tú no te puedes imaginar lo dolorosos que son los cólicos de riñón.

- A ver si bebes más agua. Seguro que tanto alcohol no es bueno para tus riñones.

- ¡Bebamos una copita para celebrar tu llegada!

- No me tomes el pelo. Conmigo, ni una gota de licor, le contestó Mariano.

Al atardecer tenía una cita con Felipe en la plaza de Armas. A la hora establecida le pasó cerca el coche de caballos de su amigo.

- Anda, Mariano, sube.

- ¡ Tú, siempre tan puntual!

Mariano subió y Felipe guió los caballos por las callejuelas de La Habana vieja. Hicieron un largo recorrido, mientras iban hablando.

- Felipe, tuve que huir de España.

- ¿Cómo es eso?

- Soy un fugitivo. Dijo Mariano con una expresión tímida y luego añadió: - Mi padre me preparó el terreno para que huyera, pues una mujer me denunció.

- ¿Fue una chiquillada, no?

- Sí, pero me marcó por toda vida. Para mi padre era una deshonra que un hijo fuera llamado a juicio. Temía habladurías. Por eso hizo saber a todo el mundo que me habían sorteado para el servicio militar. Pronto recibiría la tarjeta de reclutamiento.

- Perdona mi curiosidad. ¿Pero qué mala jugada le hiciste a esa mujer para que te denunciara?

- Si tienes un poco de tiempo, te lo voy a contar. Estoy emocionado, pues jamás se lo he dicho a nadie, ni siquiera al señor Sarrá.

- Tranquilo, yo soy una tumba.

Mientras el coche de caballos se dirigía hacia el puerto, Mariano empezó a contarle la trastada que hicieron él y su amigo Pepito.

- Desde que llegó el tren y nacieron las primeras industrias, en el pueblo se abrió una “casa de barrets”. Un establecimiento de ocio nocturno.

- ¿”Casa de barrets”, quiere decir prostíbulo, no? Le preguntó Felipe.

- Sí, “barret“ quiere decir sombrero de hombre.

La casa de citas, estaba en lo alto del pueblo, El Castell, una barriada obrera, así llamada por la presencia de una torreta medieval. Cerca de allí había un tugurio, llamado La Cueva, donde los hombres iban a beber vino.

- ¡Ah!

- La viuda Lola Iglesias era la dueña del local. Las prostitutas eran, obreras, viudas u otras muchachas pobres que lo hacían para dar de comer a sus hijos. Pero durante las fiestas llegaban meretrices de Barcelona.

- ¡Huy, huy, huy! Esto se está poniendo verde, le dijo riendo Felipe.

- Entraban allí hombres de todas las edades, incluso muy jóvenes… Era costumbre que los ricos llevaran a escondidas a sus hijos varones para su iniciación sexual. Y se decía que la viuda Iglesias, era la más experta en ese campo.

- ¿Ah, sí?

- ¡Pero no te creas! Los más puritanos se quejaban y culpaban al local y a las mujeres del extravío de sus vástagos. Pero ellos eran los primeros en frecuentarlo.

- ¡Qué hipócritas! - Felipe lo miró con el ceño fruncido y las cejas arqueadas - En Cuba la prostitución no se esconde. No está autorizada, pero se practica dondequiera. Ya ves lo que pasa en La Habana, hay una prostituta apostada en cada esquina. Y las autoridades hacen la vista gorda, hasta que alguien presenta una denuncia. Pero eso no pasa.

- Pepito y yo, éramos unos mocosos de dieciséis años. Estábamos emperrados en averiguar lo que se hacía allá dentro. Un día, al atardecer, nos escondimos detrás de unos matorrales y esperamos a que llegaran los clientes. Cuando oscureció nos acercamos a la casa y detrás de una tapia nos pusimos a espiar por los ventanucos…

- ¡Madre mía, me imagino la que se armó al ser descubiertos!

- No corras tanto, Felipe, aquel día no nos descubrieron. Pasamos mucho rato observando las idas y venidas de los hombres. Era la vigilia de una fiesta y había más mujeres de lo normal y bastantes hombres. Algunos eran personas importantes del pueblo, otros simples jornaleros que se gastaban su sueldo semanal en aquel antro.

- ¡Ve al grano, Mariano!

- Volvimos dos o tres veces más. La última vez descubrimos a dos mujeres nuevas. Eran guapas y un poco más jóvenes que las que solían ejercer. Queríamos una cita con ellas, pero no teníamos ni un duro. Pepito, era un chico listo. Tenía un plan para obtener servicios gratis. Chantajear a Lola.

La viuda estaba sentada detrás de un mostrador y al vernos nos dijo:

- Aquí se cobra por adelantado.

- Si no nos dejas pasar, vamos a chivarnos al alcalde que recibes a hombres ilustres, incluso a un cura, le contestó Pepito.

- ¡Sinvergüenzas! Gritó Lola.

- ¿Y entonces qué pasó?

- La viuda empezó a gritar como una loca. Y el alguacil, que estaba solazándose con una de las mujeres, salió de un cuartucho. Con ese inconveniente no había contado Pepito. En pocos minutos se armó la gorda. El alguacil nos detuvo a nosotros y a otros tres chicos que estaban esperando su turno y que se mezclaron en la pelea. Y la viuda al día siguiente nos denunció.

- ¿Y qué dijo tu padre, cuándo lo supo?

- No se enfadó por la chiquillada, sino por las consecuencias que conllevaba. Por eso, cuando llegó al ayuntamiento la denuncia del juzgado, le pidió al alcalde que nadie supiera que yo había sido denunciado. Todo el pueblo creyó que escapaba para no alistarme en el ejército. Era más noble ser un desertor que un rebelde o un criminal.

- Sigo siendo tu amigo, tranquilo, no hiciste nada de malo. La única cosa que te puede ocurrir es que no puedas volver a España. Me informaré y ya te diré.

Aquella misma noche, Mariano le confesó a Nieves el secreto que había guardado tantos años. Ella lo miró a los ojos y le dijo bromeando:

- ¡Qué decepción! ¿Eso es todo?












martedì 7 novembre 2023

Las tres viudas - Cap. 15 (en español)


Las dos cuñadas, Teresita Marés Bigas y María Defaus Moragas, enviudaron cuando eran jóvenes. Joan, el marido de Teresita, falleció en la cama de su casa, a causa de la enfermedad pulmonar, contraída combatiendo en la última Guerra Carlista. Agustí, el esposo de María, fue llamado inesperadamente a las armas y fue enviado a Cuba, donde murió.

A finales de los años ochenta del siglo XIX, el ejército español reclutó soldados de reserva para mantener la paz y sofocar las guerrillas de Cuba y de las últimas colonias que le quedaban al Reino. Entre el servicio militar activo, que variaba de cuatro a seis años, y el servicio de reserva, que duraba otros seis años, los muchachos permanecían doce años en el ejército. Sin embargo, el periodo de reserva no era sino un trámite burocrático, en el que el soldado, como mucho, debía acudir al cuartel de la Guardia Civil, y tras unos años recibía la licencia total, salvo en los periodos de intensas revueltas coloniales que podían volver a llamarlo. Agustí, a los veinte años, había sido sorteado, pero, al morir su padre, hizo sólo doce meses de servicio activo y a los treinta años, cuando estaba cumpliendo el servicio de reserva, tuvo la mala suerte de ser alistado de nuevo.

El día en que María se despidió de su esposo, le dijo:

- Yo iría a ver a mi hermano en La Habana. Él quizás conozca a alguien para que te destine a una tropa que no cumpla acciones bélicas... Mi padre dice que hay muchos catalanes influyentes en Cuba.

- ¡María, no digas tonterías! No sé dónde me van a destinar. ¿Y cómo quieres que un soldado simple deje el ejército para ir a ver a un pariente al otro lado de la isla? Además, ¿qué puede hacer Mariano por mí? Nada de nada.

- ¡Siempre tan pesimista! Yo sólo quiero que vuelvas sano y salvo.

- ¡No te preocupes! La Guerra Grande ya terminó. Los soldados españoles sólo tenemos que vigilar que no se formen de nuevo grupos de guerrilleros independentistas. Verás que voy a volver pronto y tendremos muchos hijos.

- Cuídate y prométeme que me vas a escribir una carta cada semana, le dijo María sollozando.

- ¡Qué sí, mujer! Le contestó él, abrazándola.

A Agustí y a sus compañeros les tocó dispersar y aplastar a los pocos rebeldes que quedaban, y cuando en 1886, parecía que las escaramuzas estaban llegando a su fin, el soldado catalán cayó en una emboscada y fue herido gravemente. Lo llevaron en una camilla, junto a otros heridos, al campamento y allí intentaron curarlo; sin embargo, al cabo de tres días murió. Cuando a María le llegó la noticia, se desesperó, pero poco a poco se calmó para ir pensando en su futuro: decidió recoger sus cuatro cosas para volver a Malgrat. Aquel mismo día llegó a saber por el recadero que Teresita había dado a luz a una niña. María, para que sus padres no se asustaran, en lugar de enviarles un telegrama, decidió que la cosa mejor era tomar en seguida la diligencia e ir a Malgrat, para compartir con ellos su desgracia y para aliviar su pena cogiendo en brazos a la recién nacida. Sin su marido no tenía sentido seguir en la masía, pues el amo, al irse Agustí, contrató a otra pareja de masoveros. Aquel mismo día fue a ver al dueño para contarle lo ocurrido y para avisarle que dejaba su empleo.

Sentada en la diligencia, María pensó en su infancia: era una niña tímida que pasaba desapercibida en medio de todos sus hermanos varones, se avergonzaba de ser pelirroja y pecosa. Muy pronto empezaron a llamarla Marieta, para distinguirla de María Ballesté Teixidó, su abuela. Sin embargo, cuando la abuela falleció, todo el mundo se había acostumbrado al diminutivo y siguieron llamándola así.

- Yo me voy a cuidar de Marieta y tú te vas a encargar de los varones, le dijo María Ballesté a Teresa Moragas, su nuera, el día en que nació la niña.

Teresa Moragas, sintiéndose casi una intrusa en el viejo caserón, aquel día no osó contradecir a su suegra, tuvo que callar, pero le parecía absurdo que se cuidara sólo de la niña.

Pasaron los meses y María Ballesté siguió ocupándose de su nieta, preparándole las papillas, lavándola con esmero y tejiéndole la ropa. José Defaus y Teresa Moragas tuvieron cinco hijos en ocho años. Teresa no daba abasto con tantos chiquillos, pero por suerte vivía con ellos el hermano soltero de su esposo, Joan Defaus Ballesté, que era muy cariñoso con los niños y siempre que podía le echaba una mano.

José Defaus Ballesté, no paraba nunca en casa, se ocupaba del negocio de granos y semillas que había fundado, mientras que Joan labraba la tierra. Los dos hermanos eran polos opuestos: Joan era sencillo, taciturno, humilde y con ideas políticas progresistas; José era hablador, presumido, mandón y le gustaba aparentar, por eso iba a las tertulias de los monárquicos y a misa cada domingo, sin faltar.

- ¡Mi niña, mi niña!, eres mi reina. Yo tuve sólo varones, por eso cuando llegaste me diste la alegría más grande del mundo, le decía la abuela a Marieta, besándola.

- No la mimes tanto, mujer, le decía Mariano Defaus Segarra, su marido.

- Déjame en paz, con Marieta, me estoy vengando de mi penoso destino, fue injusto que muriera nuestra única hijita y que luego me tocaran sólo varones, le contestó su mujer que no tenía pelos en la lengua.

El marido callaba pensando en la niñita que habían tenido y que sólo había vivido nueve días, era menuda y morena. Nació prematura y la bautizaron deprisa y corriendo con el nombre de Luisa Defaus Ballesté. Aquella muerte afectó mucho a María, se volvió más arisca y se enojaba por todo.

Desde hacía unos años, Mariano Defaus Segarra padecía reumatismos, que le molestaban y le impedían labrar la tierra. A pesar de su enfermedad no se quejaba nunca, era un hombre tranquilo, que se entretenía haciendo cestos de mimbre para los jornaleros que recolectaban patatas u otros frutos de su campo. Casi nunca salía de casa y cuando lo hacía se apoyaba en un bastón. Años atrás se enfrentaba a su mujer, pero desde que enfermó, no la contradecía y dejó que ella se encargara de los asuntos familiares.

Marieta miró por la ventanilla y al divisar las sinuosas hileras de viñedos recordó el color morado y el sabor del pan y vino con azúcar que le preparaba María Ballesté para merendar. Su abuela estaba muy orgullosa de la viña que había heredado de su familia y alababa el vino que ella misma hacía con racimos de uva negra. Sintió una gran añoranza por aquella mujer de carácter fuerte, a la que le gustaba mandar y que era un poco cascarrabias, pero con ella se volvía dulce y amorosa.

En verano a Marieta le gustaba que su abuela la bañara en el patio. Se sentaba en el barreño lleno de agua y María Ballesté la iba enjabonando y enjuagando con agua tibia, mientras le cantaba una canción.

- Los cabellos de Mariano son de un rojizo claro y no estoposos como los míos, le dijo un día Marieta a su abuela, cuando le lavaba el pelo y le hacía una trenza.

- ¡Tus cabellos son preciosos!

- Me gustarían lisos y morenos, como los de Joan, o castaños, como Isidro.

- Marieta, Marieta, no te quejes, que eres muy guapa, le dijo su abuela.

Cuando nació Francisco, la abuela se desesperó, pues hubiera querido que naciera otra niña. A Marieta también le hubiera gustado tener una hermanita, pero se encariñó en seguida con el bebé. La alegría en aquella casa duró bien poco, pues la abuela murió de repente y al cabo pocos meses le siguió el abuelo. Marieta pasó de ser la princesa de la casa a la Cenicienta. Creció de golpe, a los nueve años la sacaron del colegio para que echara una mano a su madre, cuidando a sus hermanos, Isidro, Joan y Francisco. Cuatro años más tarde nació Luisa, luego Rosa, a las que Marieta también les hizo de madre.

A medida que la diligencia iba acercándose al pueblo, Marieta empezó a imaginarse su llegada a la casa donde había nacido. Abrió el portalón de madera, recorrió el pasillo de la planta baja, el comedor, siempre cerrado e inhabilitado para cualquier forma de hospitalidad, la galería y llegó a la gran cocina. Allí se vio con sus hermanos sentados cerca de la chimenea, también le pareció oír el crepitar del fuego y oler el humo de los troncos de olivo que iban quemándose. Abrió la puerta del patio y se reconoció sacando agua del pozo y luego lavando la colada en el lavadero. En seguida le llegó la imagen del corral con la hortensia florida y los rosales llenos de rosas, amarillas y rojas. Observó los dos hilos con ropa tendida para secar y se vio recogiendo una sábana de lino blanca. Sonrió recordando el olor fuerte que emanaban las cuadras de los animales, el gallinero y el estercolero, donde echaban los desperdicios. Marieta llegó agotada, pues primero recorrió casi diez kilómetros en carro hasta Girona, y luego los cuarenta que faltaban en diligencia hasta Malgrat. Sus padres la acogieron con mucha alegría, pero cuando les contó lo que le había pasado a Agustí, no se lo podían creer y la consolaron como pudieron. Luisa y Rosa tenían la escarlatina, pero se alegraron mucho de ver a su hermana.

- No os voy a dejar nunca más, les decía Marieta, poniéndoles trapos fríos en la frente para que les bajara la fiebre, dijo Marieta.

- Dejémoslas descansar, el médico ha dicho que se van a recuperar.

- Quiero coger en brazos a Teresa. ¡Mi sobrinita preciosa! No la puedo contagiar. Ya pasé de niña la escarlatina.

La niña era sana y mamaba vorazmente, pero como precaución, Teresita la quería tener alejada de sus cuñadas enfermas.

Marieta cogió a la recién nacida en brazos y empezó a llorar.

- No llores, Marieta. Te vas a volver a casar y vas a tener hijos, le dijo su madre.

- No lloro porque no he tenido hijos. Lloro porque me emociono cuando viene al mundo de la nada una criatura. Y por favor, madre, no diga tonterías. ¿Con treinta años y viuda, cómo voy a casarme de nuevo?

- Eres joven. Y con lo guapa que eres, te van a salir pretendientes.

- Aún lloro por Agustí. No quiero ni pensar en otro marido, le contestó Marieta.

Dicen que las desgracias nunca llegan solas. En pocos días la escarlatina se llevó a las dos hijas menores de Teresa y José. Aquella calamidad fue atroz para la familia: Teresa se desmayó varias veces, y José cayó enfermo. Francisco y Marieta cuidaron a sus padres y se ocuparon del doble entierro. El funeral de las dos muchachas fue uno de los más sentidos y concurridos del pueblo. Teresa no se aguantaba de pie y tuvo que sentarse en una losa de mármol, mientras daban sepultura a sus dos hijas.

Francisco, Teresita y Marieta hicieron lo posible para que Teresa y José, tras la muerte de sus hijas, no cayeran en un hoyo negro. El bebé crecía sano y poco a poco les fue dando alegría a los abuelos, eso les salvó.

Aquel mismo año Marieta conoció a un viudo sin hijos de Malgrat de nombre Narciso Ribot Masens. El viudo era un hombre apuesto, tenía dieciocho años más que ella y era marinero de largos recorridos de ultramar. Un domingo fue a pedir la mano de Marieta a sus padres. Ella aceptó bajo la condición de que Narciso le diera el permiso de ir cada tarde a la casa de sus padres.

- Pero, cada tarde, quiere decir, todas las tardes. Sin faltar una. De tres a siete, le dijo Marieta al viudo.

- Sí, cada tarde, lo acepto. Cuándo yo esté en alta mar, tú puedes quedarte en casa de tus padres todo el día. Yo sólo quiero que estés en nuestro hogar cuando vuelva de una travesía, le dijo Narciso.

Cuando a los pocos meses de casada descubrió que estaba embarazada, fue a ponerle dos cirios al Virgen del Carmen y toda la familia festejó aquel inesperado acontecimiento. A los treinta y dos años tuvo su primer hijo, al que llamó José.

Al cabo de cinco años tuvo una niña preciosa, a la que le puso el nombre de María Engracia, en honor a la hermana de su marido que, al quedarse viuda a los cincuenta años y sin hijos, fue acogida por ella y Narciso en la casa de la calle Sant Esteve. La vivienda la había comprado Narciso años atrás con las ganancias de la navegación. Marieta estaba encantada con su cuñada, mujer alegre y servicial, que la ayudaba en todo y además le hacía compañía cuando su marido estaba en alta mar.

- A ver si Narciso tiene otra mujer por esos mundos de Dios. ¡Nos vemos tan poco y él es tan guapo! Le confió Marieta a su cuñada.

- ¡No lo creo! Pero no sufras, mujer, no vale la pena. Ojos que no ven, corazón que no siente, le contestaba sonriendo María Engracia.

Pasaron los años y un día de primavera en que las dos mujeres y los niños estaban esperando con impaciencia que Narciso llegara de su larga travesía, les llegó un telegrama. Narciso había ahorrado una buena cantidad de dinero y pocos meses antes había decidido que aquel habría sido su último viaje, pues quería disfrutar de su mujer y de sus hijos, pero no estuvo a tiempo de hacerlo.

El informe de la compañía de navegación decía:


El barco Dorotea fue atacado por piratas cerca de la costa venezolana. La tripulación se defendió con valentía. Narciso Ribot Masens murió en la pelea. Ha sido enterrado con los demás valerosos marineros en el cementerio de Maracaibo.


Marieta, a los treinta y ocho años, enviudó por segunda vez. María Engracia la consoló y la apoyó en todo, quizás por eso Marieta en pocas semanas se recuperó de la desgracia y volvió a su rutina de siempre. Las dos viudas se llevaban muy bien. Un día le golpeó a la puerta un hombre que dijo que se llamaba José Moner Sans.

- Yo era el mejor amigo de Narciso. Navegué con él muchos años, dijo el marinero.

- Entre y coma algo con nosotras, le dijo Marieta, haciéndolo pasar hacia dentro.

- No quiero molestarle. Sólo quería entregarle el cuaderno de Narciso. Le prometí que lo haría.

- Un amigo de Narciso será siempre nuestro bienvenido.

José Moner Sans se quedó en casa de las viudas un año entero. El marinero recién llegado tenía sesenta y ocho años y a pesar de su edad seguía navegando; sin embargo, aquel viaje a Venezuela también fue el último para él. Prometió a su amigo Narciso que durante un año velaría por su viuda. Pasados doce meses, se fue a vivir a Barcelona donde tenía una hermana soltera, pero cada dos por tres cogía el tren e iba a visitar a las dos viudas.

Marieta era feliz con sus hijos y su cuñada, y el día en que supo que María Antonia Ribot, una prima de María Engracia, se había quedado sola y sin recursos, la recogió en su casa. María Antonia llegó con un piano y dos baúles. Era una mujer afable a la que le encantaba la música, cada tarde daba clases a niñas ricas del pueblo y cuando terminaba sin faltar se ponía a tocar el piano para las dos mujeres.

Marieta cerraba los ojos, sentada en el jardín de su casa, desde donde podía ver el azul intenso del mar, y se sentía en paz, pensando que aquellos últimos años, a pesar de los pesares, habían sido buenos, pues no le faltaba nada: tenía dos hijos y a dos amigas en casa, además gracias a Narciso, gozaba de una buena posición económica, era dueña de una casa y contaba con una cantidad de dinero en el banco que le daba para vivir.

- “Som les tres Maries, les tres vidues mes feliçes del poble” (somos las tres Marías, las tres viudas más felices del pueblo) les decía riendo a las dos mujeres que vivían con ella.