martedì 11 giugno 2019

Il gomitolo linguistico



Cara amica,
ti ho sentito un po' abbacchiata al telefono. Mi hai detto che ti hanno diagnosticato un’ernia cervicale, mi dispiace tanto. E' normale che questo ti abbia rattristata e amareggiata, ma tutto passerà. Mi hai fatto capire che ti vergogni e che non sopporti quel collarino che devi portare, forse per questo lavori al computer da casa e non vai più a fare la spesa, la ordini per telefono e poi te la consegnano. Credo che ti farebbe bene vedere vecchi amici, ma da quando ti sei trasferita a Trieste hai tagliato i ponti con quasi tutti, volevi cambiare aria e allontanarti da Firenze, dicevi. Il nuovo lavoro di ricerca sui fondali dell'Adriatico settentrionale ti assorbe molto e ti da soddisfazione, ne sono molto contenta, ma cerca di ritagliare un po' di tempo libero per te. Sei una grande lavoratrice, ma non esagerare. Mi dispiace non poter aiutarti adesso che sei lontana, ma appena potrò prendere un giorno di ferie verrò a trovarti.
Ogni tanto penso a te e mi chiedo se ancora lotti tra il desiderio di rimanere e quello di ritornare nella tua terra natale o forse adesso cominci a stare bene nella nuova città e a mettere piano piano radici. Spero tanto che sia così.
Anche tu, come me, sei arrivata in Italia da giovane, ma tu venivi da Capo Verde, da molto lontano. Parlavi due lingue, anche tu come me, quella capoverdiana e il portoghese.
Noi due abbiamo tante cose da condividere, forse tu penserai solo alle innumerevoli fatiche e problemi che abbiamo dovuto affrontare. Io invece ti voglio convincere che ci sono tante cose positive nella vita di chi decide di lasciare la propria terra, per questo voglio raccontarti la storia delle mie lingue intrecciate. Cercherò di raggomitolare i tre fili linguistici che hanno colorato la mia vita.
Da piccola giocavo tutti giorni con mia cugina in una lingua per me un po’ straniera: il castigliano, cioè lo spagnolo. Per qualche ore della giornata, prendevamo in prestito la nuova lingua.
In famiglia e per strada parlavamo sempre catalano, mentre a scuola usavamo solo il castigliano. Questo perché in Spagna, durante il periodo franchista, era vietato insegnare a scuola le lingue diverse da quella ufficiale. Prima, invece, durante la seconda Repubblica, mia madre ha imparato a scrivere nella nostra lingua materna. La sua calligrafia era molto bella, ancora oggi l’apprezzo rileggendo le centinaia di lettere che lei mi ha scritto dopo la mia partenza per l’Italia.
Appena uscivamo dall'aula, nei corridoi, le maestre e noi scolari parlavamo  nella nostra lingua madre. 
Alcuni dei nostri vicini di casa erano emigrati dal sud della penisola. Giocando per la strada con i bambini andalusi, ho imparato molte parole della lingua spagnola.
Per molti anni mi sono sentita dimezzata. Sentivo che mi mancava qualcosa nella mia lingua nativa ma anche qualcos'altro n'ella lingua prestata.
In classe non riuscivo a leggere bene a voce alta. Mi si intrecciavano le due lingue. Facevo fatica, ma mi piaceva imparare parole nuove e scriverle, anche se ho lottato molto con i calamai e le penne, che mi sporcavano le mani, i libri, i quaderni e, a volte, i vestiti.
Dopo poco, ho capito che era molto più facile leggere a voce bassa, senza temere il giudizio degli altri, allora tutto è diventato semplice e piacevole. Da allora ho cominciato a portarmi di nascosto di mia madre, dei libri a letto.
Io come te, quando sono arrivata in Toscana, parlavo poco l'italiano, ma presto lo abbiamo imparato. Ti ricordi quando ci siamo conosciute in Facoltà? Io ti parlavo spagnolo e tu portoghese. Eravamo le uniche due studentesse straniere, per questo ci siamo piaciute subito. Ti ho prestato il libro di Geografia fisica, in una edizione spagnola che avevo trovato in una libreria di Barcellona, forse da li è nata la nostra amicizia.
Tu eri molto brava, avevi vinto una borsa di studio, io invece per mantenermi agli studi universitari davo lezioni di spagnolo ad adulti in una scuola serale. Ricordo ancora una sera quando una signora anziana e molto distinta, che indossava sempre cappellini ogni volta diversi, mi ha chiesto come si diceva in spagnolo la parola amo, sì, quello usato nella pesca. Ho cominciato a sudare, in mente la parola che mi balenava era ham, termine catalano e non spagnolo.
Per qualche secondo ho respinto la parola ham, mentre cercavo di trovare dentro la mia testa la parola spagnola. Finalmente ho ripescato il termine giusto: Anzuelo. Ho tirato un sospiro di sollievo e la signora Angelica, questo era il nome dell’anziana signora assetata di nuove parole, è rimasta contenta.
Col passare del tempo abbiamo cominciato a parlare tra di noi in italiano, ma di scrivere ne avevamo entrambe timore. Mentre tu cominciavi a leggere gli autori italiani, io continuavo a comprare libri nelle mie due lingue. Ti devo ringraziare per avermi prestato i romanzi che più ti erano piaciuti, cosi ho iniziato anch'io ad apprezzare la letteratura italiana.
Ti ricordi che ogni settimana scrivevo una lettera a mia madre? Ora rileggendole rivedo pezzi della mia vita. Tu sai che mi è sempre piaciuto leggere e scrivere lettere e brevi diari, alternando le due lingue, ma adesso ho deciso di provare a scrivere in italiano.
Raccontare storie, mie o degli altri, è stata per me una gran bella scoperta, è come se mi fosse lasciata andare. All'inizio come un mendicante chiedevo l'approvazione dei mie lettori, adesso scrivo e basta.
La mia vita quotidiana mi piace e mi da molti spunti per la scrittura. Piano piano mi sono abituata a scrivere uno o due racconti al mese, in una delle tre lingue, a seconda del momento. Quando parto in viaggio o per la campagna porto sempre con me, un libro, un quaderno e il mio portatile. Adesso a differenza di prima, che mi sentivo insicura, penso che gli errori si possono correggere e che più scrivo più sono felice.
Spero di poter incontrarti presto. Cosa ne diresti di venire a passare un fine settimana da me? Ti aspetto, appena starai meglio e potrai viaggiare. Intanto scrivimi.
Ti abbraccio









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