Cara amica,
ti ho sentito un po' abbacchiata al telefono. Mi hai detto che ti hanno
diagnosticato un’ernia cervicale, mi dispiace tanto. E' normale che
questo ti abbia rattristata e amareggiata, ma tutto passerà. Mi hai
fatto capire che ti vergogni e che non sopporti quel collarino che
devi portare, forse per questo lavori al computer da casa e non vai
più a fare la spesa, la ordini per telefono e poi te la consegnano.
Credo che ti farebbe bene vedere vecchi amici, ma da quando ti sei
trasferita a Trieste hai tagliato i ponti con quasi tutti, volevi
cambiare aria e allontanarti da Firenze, dicevi. Il nuovo lavoro di
ricerca sui fondali dell'Adriatico settentrionale ti assorbe molto e
ti da soddisfazione, ne sono molto contenta, ma cerca di ritagliare
un po' di tempo libero per te. Sei una grande lavoratrice, ma
non esagerare. Mi dispiace non poter aiutarti adesso che sei lontana,
ma appena potrò prendere un giorno di ferie verrò a trovarti.
Ogni
tanto penso a te e mi chiedo se ancora lotti tra il desiderio di
rimanere e quello di ritornare nella tua terra natale o forse adesso
cominci a stare bene nella nuova città e a mettere piano piano
radici. Spero tanto che sia così.
Anche
tu, come me, sei arrivata in Italia da giovane, ma tu venivi da Capo
Verde, da molto lontano. Parlavi due lingue, anche tu come me, quella
capoverdiana e il portoghese.
Noi
due abbiamo tante cose da condividere, forse tu penserai solo alle
innumerevoli fatiche e problemi che abbiamo dovuto affrontare. Io
invece ti voglio convincere che ci sono tante cose positive nella
vita di chi decide di lasciare la propria terra, per questo voglio
raccontarti la storia delle mie lingue intrecciate. Cercherò di
raggomitolare i tre fili linguistici che hanno colorato la mia vita.
Da
piccola giocavo tutti giorni con mia cugina in una lingua per me un
po’ straniera: il castigliano, cioè lo spagnolo. Per qualche ore
della giornata, prendevamo in prestito la nuova lingua.
In
famiglia e per strada parlavamo sempre catalano, mentre a scuola
usavamo solo il castigliano. Questo perché in Spagna, durante il
periodo franchista, era vietato insegnare a scuola le lingue diverse
da quella ufficiale. Prima, invece, durante la seconda Repubblica,
mia madre ha imparato a scrivere nella nostra lingua materna. La sua
calligrafia era molto bella, ancora oggi l’apprezzo rileggendo le
centinaia di lettere che lei mi ha scritto dopo la mia partenza per
l’Italia.
Appena
uscivamo dall'aula, nei corridoi, le maestre e noi scolari parlavamo nella nostra lingua madre.
Alcuni dei nostri vicini di casa erano emigrati dal
sud della penisola. Giocando per la strada con i bambini andalusi, ho
imparato molte parole della lingua spagnola.
Per
molti anni mi sono sentita dimezzata. Sentivo che mi mancava qualcosa
nella mia lingua nativa ma anche qualcos'altro n'ella lingua
prestata.
In
classe non riuscivo a leggere bene a voce alta. Mi si intrecciavano
le due lingue. Facevo fatica, ma mi piaceva imparare parole nuove e
scriverle, anche se ho lottato molto con i calamai e le penne, che mi
sporcavano le mani, i libri, i quaderni e, a volte, i vestiti.
Dopo
poco, ho capito che era molto più facile leggere a voce bassa, senza
temere il giudizio degli altri, allora tutto è diventato semplice e
piacevole. Da allora ho cominciato a portarmi di nascosto di mia
madre, dei libri a letto.
Io
come te, quando sono arrivata in Toscana, parlavo poco l'italiano, ma
presto lo abbiamo imparato. Ti ricordi quando ci siamo conosciute in
Facoltà? Io ti parlavo spagnolo e tu portoghese. Eravamo le uniche
due studentesse straniere, per questo ci siamo piaciute subito. Ti ho
prestato il libro di Geografia fisica, in una edizione spagnola che
avevo trovato in una libreria di Barcellona, forse da li è nata la nostra amicizia.
Tu
eri molto brava, avevi vinto una borsa di studio, io invece per
mantenermi agli studi universitari davo lezioni di spagnolo ad adulti
in una scuola serale. Ricordo ancora una sera quando una signora
anziana e molto distinta, che indossava sempre cappellini ogni volta
diversi, mi ha chiesto come si diceva in spagnolo la parola amo,
sì, quello usato nella pesca. Ho cominciato a sudare, in mente la
parola che mi balenava era ham,
termine catalano e non spagnolo.
Per
qualche secondo ho respinto la parola ham,
mentre cercavo di trovare dentro la mia testa la parola spagnola.
Finalmente ho ripescato il termine giusto: Anzuelo.
Ho tirato un sospiro di sollievo e la signora Angelica, questo era il
nome dell’anziana signora assetata di nuove parole, è rimasta
contenta.
Col
passare del tempo abbiamo cominciato a parlare tra di noi in
italiano, ma di scrivere ne avevamo entrambe timore. Mentre tu
cominciavi a leggere gli autori italiani, io continuavo a comprare
libri nelle mie due lingue. Ti devo ringraziare per avermi prestato i
romanzi che più ti erano piaciuti, cosi ho iniziato anch'io ad
apprezzare la letteratura italiana.
Ti
ricordi che ogni settimana scrivevo una lettera a mia madre? Ora
rileggendole rivedo pezzi della mia vita. Tu sai che mi è sempre
piaciuto leggere e scrivere lettere e brevi diari, alternando le due
lingue, ma adesso ho deciso di provare a
scrivere in italiano.
Raccontare
storie, mie o degli altri, è stata per me una gran bella scoperta,
è come se mi fosse lasciata andare. All'inizio come un mendicante
chiedevo l'approvazione dei mie lettori, adesso scrivo e basta.
La
mia vita quotidiana mi piace e mi da molti spunti per la scrittura.
Piano piano mi sono abituata a scrivere uno o due racconti al mese,
in una delle tre lingue, a seconda del momento. Quando parto in
viaggio o per la campagna porto sempre con me, un libro, un quaderno
e il mio portatile. Adesso a differenza di prima, che mi sentivo
insicura, penso che gli errori si possono correggere e che più
scrivo più sono felice.
Spero
di poter incontrarti presto. Cosa ne diresti di venire a passare un
fine settimana da me? Ti aspetto, appena starai meglio e potrai
viaggiare. Intanto scrivimi.
Ti
abbraccio
Nessun commento:
Posta un commento