È
una cosa un po' bizzarra inseguire la tramvia, pensò Laura quel
pomeriggio di metà febbraio del 2010, mentre era seduta sul sedile
posteriore dell'automobile. Guardò dal finestrino e vide la stazione
di Santa Maria Novella. Fu allora che ripensò alla prima volta in
cui era arrivata a Firenze: era il 1977.
Il treno era partito da Barcellona in orario ma, a causa
dei controlli alle frontiere e delle numerose soste, aveva accumulato
due ore di ritardo e si era fermato a un binario diverso da quello
previsto. Il ragazzo che Laura aveva conosciuto il mese prima a
Barcellona dovette attendere a lungo in stazione.
Sarà
ancora ad aspettarmi?, si chiedeva Laura scendendo dal treno.
Lo riconobbe in lontananza, nonostante un cappellino di
lana grigio e bianco che nascondeva i suoi folti riccioli neri. Era
in testa al binario dove di solito arrivavano i treni internazionali
e stava scrutando tra la folla cercando di individuarla.
Gli si avvicinò da dietro salutandolo e chiamandolo per
nome. Lucio la riconobbe e sorridendo la strinse tra le sue braccia.
Il suo naso, incorniciato dal berretto, le sembrò ancora più
maestoso e forse per questo cominciò a dargli piccoli morsi, come un
topolino che addenta piano piano un pezzo di formaggio.
Frettolosamente si raccontarono alcuni momenti del lungo
viaggio in treno e dell'attesa infinita alla stazione.
Abbracciati si incamminarono verso la fermata del bus
numero ventitré, quello che andava verso la periferia ovest della
città, dove Lucio condivideva un appartamento con altri studenti.
Il pullman avanzava con fatica percorrendo le strade
trafficate intorno alla stazione; alla terza fermata il motore non
diede più segni di vita e, dopo diversi tentativi di metterlo in
moto, l'autista rinunciò. Laura osservò il guidatore, infagottato
in un giubbotto blu, mentre armeggiava con un radiotelefono per
avvisare la centrale del guasto.
«Non
ci voleva! Non ci voleva!»
ripeteva l'autista scoraggiato.
Dopo
si calmò e spiegò ai passeggeri che avrebbero dovuto aspettare
almeno trenta minuti, prima dell'arrivo di un altro mezzo. La maggior
parte dei passeggeri rimase immobile a sedere, forse perché non
avevano il coraggio di farsi a piedi il lungo tragitto per
raggiungere le loro abitazioni; altri scesero silenziosi. Dopo aver
deciso di continuare a piedi, Laura si risistemò il collo del
giaccone e la sciarpa di lana, ma Lucio volle a tutti i costi
coprirle la testa col suo cappellino. Lui si abbottonò bene e si
alzò il colletto della giacca di renna che indossava. Così
imbacuccati attraversarono strade e piazze che, data la tarda ora e
il freddo pungente di quei primi giorni di gennaio, erano deserte.
Mentre camminavano Lucio le raccontò di sua madre, che
aveva vissuto alcuni anni a Firenze prima che lui nascesse. Lavorava
come guardarobiera in un famoso albergo della città e quando doveva
fare il turno di sera, per ritornare a casa, prendeva la tramvia.
Aveva vissuto fino all'adolescenza in un paesino dell'Appennino e,
come tutti in quegli anni, era abituata a spostarsi a piedi.
Camminava ore senza fatica per andare da un paese all'altro. Da
quando era in città le mancavano la campagna coltivata, le strade
silenziose e gli argini del fiume, ma col tempo aveva saputo cogliere
anche la bellezza della città, dei suoi giardini, dei palazzi
antichi. La domenica aveva preso l'abitudine di prendere il tram per
scoprire i quartieri che non conosceva e osservare la gente vestita
a festa.
Laura immaginò la giovane donna che guardava dal
finestrino con curiosità e interesse quella Firenze che sembrava
immobile, ma che in realtà stava crescendo giorno dopo giorno.
«Poi
alla fine degli anni cinquanta le linee urbane del tram sono state
sostituite da una fitta rete di filobus»,
disse Lucio, concludendo il suo racconto.
«Peccato,
se ci fosse stata ancora la tramvia, adesso saremmo già a casa al
calduccio.»
Mentre Laura pronunciava quelle parole, lui si fermò
davanti a un grande portone e infilò la chiave nella serratura.
Erano arrivati.
Laura, seduta immobile sul sedile posteriore
dell'automobile che inseguiva la tramvia, a un certo punto girò la
testa verso l'interno dell'abitacolo e i suoi pensieri tornarono al
presente, al pranzo domenicale appena consumato.
Gli ospiti erano arrivati verso l'una. I figli di Laura
e Lucio, ventenne l'una e diciottenne l'altro, subito si erano messi
a parlare con gli zii. Era un po' di tempo che non si vedevano. Tutti
erano impazienti di raccontare, forse per questo Laura si era
dimenticata di spegnere il forno.
Sorrideva mentre continuava a pensare a quel pranzo e ad
elencare, come faceva di solito, i difetti dei piatti che aveva
cucinato: la pasta era troppo al dente, il branzino un po'
bruciacchiato, le patate poco dorate e il dolce un poco asciutto.
A tavola avevano parlato di tante cose, ma alla fine si
era aperta una lunga discussione sulla nuova tramvia, che proprio
quel giorno era stata inaugurata. Lucio aveva raccontato ai figli che
la nonna, quando viveva a Firenze, si muoveva spesso in tram e che
una volta, quando lui aveva tre o quattro anni, proprio qualche
giorno prima che smettesse di funzionare, aveva portato lui e il
fratello a fare un giro. Disse poi che di recente aveva letto che
durante l'ultima corsa, quella della notte del 20 gennaio 1958, il
conducente ebbe un malore, tanto era il suo dispiacere.
Alla
fine, per curiosità e per celebrarne la rinascita, decisero di fare
un giro sulla nuova tramvia. Prima di uscire di casa, Laura telefonò
in Spagna, a casa di sua sorella, dove suo padre, come tutte le
domeniche da quando era rimasto vedovo, era andato a pranzo. Alla
fine della telefonata, prima di salutarlo gli disse: «Avui
es un gran dia, anem tots en tramvia.1»
Invece
di salire al capolinea della stazione di Santa Maria Novella – dove
pensavano ci fosse una gran folla che, come loro, era curiosa di
provare la nuova tramvia
– decisero di andare in macchina
al capolinea di Scandicci, sperando di trovarla meno affollata.
«C'è
un piccolo problema»,
disse Laura, «mi
sembra che da qualche giorno la batteria della macchina sia scarica.»
«Va
benissimo. Per caricare bene la batteria bisogna fare un po' di
chilometri»,
rispose il fratello di Lucio.
Si recarono al garage, convinti di dover spingere l'auto
per avviarne il motore; lì trovarono Paolo, un vicino di casa.
Paolo, oltre che essere generoso e disponibile, in materia di auto
era attrezzato per qualsiasi evenienza. Appena accennata la
questione, non era stato necessario aggiungere altro, perché tirò
subito fuori due cavetti che permisero di mettere in moto la
macchina senza fatica.
Lucio guidava piano, seguendo i binari del trenino e
Laura si sentiva a suo agio in quella strana passeggiata. Dopo aver
attraversato il ponte sull'Arno, pensò che il ritmo della sua vita
avrebbe dovuto rallentare per poter osservare meglio le persone e le
cose intorno a sé.
Tutte le stazioni erano affollate, la gente aspettava
tranquilla di salire sul tram. I convogli passavano ininterrottamente
in entrambi i sensi, con i vagoni gremiti di passeggeri. Arrivati
alla stazione di Scandicci, diversamente da quanto avevano sperato,
trovarono proprio quella gran folla che avrebbero voluto evitare. Le
persone, alcune sedute e altre in piedi, chiacchieravano
animatamente, mentre aspettavano l'arrivo della tramvia.
Avevano capito che avrebbero dovuto aspettare a lungo
prima di poter salire sul tram. Decisero allora di proseguire in
macchina con l'intenzione, se non altro, di caricare la batteria.
Fecero quindi a ritroso il percorso della tramvia arrivando a Firenze
all'imbrunire.
Quella
sera prima di andare a letto Laura disse a Lucio: «peccato
che non siamo riusciti a inaugurare la tramvia, ma almeno
inseguendola abbiamo caricato la batteria della macchina.»
Lucio
l'abbracciò mentre le diceva «Meno
male che trovi sempre il lato positivo delle cose.»
La
mattina dopo Laura andò in garage. Quando inserì la chiave nel
cruscotto della macchina, capì che qualcosa non andava; riprovò
altre volte, ma non ci fu modo di accendere il motore. La sua prima
reazione fu di irritazione, dato che in mattinata avrebbe voluto fare
mille cose, ma dopo poco si era rinfrancata, convinta che non valeva
la pena innervosirsi per un piccolo contrattempo. Chiamò
l'elettrauto, che sarebbe arrivato dopo pochi minuti. Si sedette in
macchina e mentre aspettava pensò alla frase che avrebbe voluto dire
a Lucio: “Ieri
non siamo riusciti né a rinnovare il tram né a caricare la
batteria... ma alcune storie sono nate e altre volate via”
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