Alcune
mattine fredde quando andavo a lavorare in bicicletta, mi cadevano
lungo il viso delle lacrime.
- Sarà il freddo? mi domandavo.
Un
giorno soleggiato di gennaio il sapore salato dei due rigagnoli che
scendevano dalle mie guance fino ad sfociare nella bocca, portò
i miei pensieri verso il paese della costa catalana dove ero nata.
Era
un giorno di fine di agosto di 1977, mi trovavo seduta nella parte
interna e più ombrosa della terrazza che dava sul giardino della
vecchia casa di famiglia. C'era un grande silenzio perché
tutti
dormivano la siesta. Mi vedevo mentre
scrivevo una lettera a U., il mio innamorato. Ero triste e le mie
lacrime bagnavano la carta velina come quelle prime gocce indecise
che cadono quando si avvicina un temporale. Le parole che scrivevo
con la penna stilografica, si scioglievano e diventavano sempre più
sfocate.
Ricordavo
il sapore salato di quella scelta dolorosa che dovevo fare in quei
giorni:
Andare
a Firenze a vivere con U., che pochi mesi prima avevo incontrato,
trasferendomi quindi all'Università di Firenze o rimanere a
studiare a Barcellona come volevano i miei.
Verso
le quattro, quando il paese cominciava a svegliarsi, sentii lo
scampanellio della bicicletta di Anita la
llevadora1.
Mia
madre andò ad aprire la porta, come tutti giorni, perché
riconosceva quel famigliare tintinnio. La llevadora
arrivava puntuale a farle la solita puntura.
Entrambe
si sedettero poi in giardino a prendere un caffè. Dopo poco mia
madre si mise a piangere, perché temeva che io andasse a vivere in
Italia da lì a poco.
Anita
fu molto dolce con lei, per consolarla le disse, riferendosi a me,
che nella vita bisognava fare la scelta che sentivamo più giusta
per noi, anche se era dolorosa per gli altri e così facendo le
raccontò che anche lei aveva dovuto prendere una decisione. Da quel
balcone ascoltai incuriosita la storia di Anita e ne rimasi
affascinata.
Sapevo che Anita era nata all'inizio del secolo nelle terre catalane, ma
prima che scoppiasse la guerra civil2
era andata a lavorare come levatrice in un
paesino andaluso della Sierra Morena. In
Andalusia aveva sposato Anselmo ed erano stati felici fino alla
morte prematura del loro primo figlio. Dopo alcuni mesi avevano
chiamato Anselmo al fronte ed era sola quando erano spuntati i piedi
del suo secondo figlio, ma subito era sfiorito. Lei per
sopravvivere aveva cercato di convivere con la nascita dei figli
altrui e la morte dei suoi. Ma dopo il suo racconto capii che non sempre ci era riuscita e la notte
il dolore la attanagliava.
Ricordo che raccontò, quasi in forma maniacale, i momenti della sua travagliata scelta e quindi della sua partenza:
Era
già sera quando Anita la llevadora
arrivò alla stazione del piccolo paese della costa catalana.
Sembrava una peonza3,
perché mentre camminava veloce girava la testa insieme al suo
corpo tondo, tondo, in cerca di Anselmo.
-Quale era il motivo di
tutta quella fretta? Si domandò. Prima pensò che la sua sveltezza
fosse dovuta all'emozione mescolata al timore e all'impazienza di
sbarcare nella sua amata Catalogna.
Si
fermò all'improvviso e capii che correva per non tornare indietro
nella scelta che aveva dovuto fare qualche giorno prima. Mentre
guardava la profonda bellezza dei monti della Sierra Morena, tra le
lacrime, aveva deciso di partire, lasciando per sempre il piccolo
camposanto sotto gli ulivi. Voleva ricominciare una nuova vita nella
terra in cui era nata.
Anselmo
era rimasto indietro perché diversamente da lei si muoveva
lentamente, non solo per il pesante bagaglio ma per il suo carattere
un po' flemmatico e parsimonioso.
Anita
era salita su una panchina della piazza vicino alla stazione, per
vedere tra la gente, ma non scorgeva né lui né le grandi valigie.
Su quella torre di avvistamento cominciò ad avere i primi dubbi:
- Avrò fatto bene ad accettare il posto di levatrice in questo tanto
sognato nido lontano?
- Avrei dovuto restare nell'Andalusia, dove Anselmo
avrebbe voluto vivere insieme a me e dove sono sepolti i nostri
figli?
- Forse
nella mia terra potrò essere di nuovo felice pensò dopo, per farsi
forza. Ma
Anselmo si sarebbe trovato bene in quei lidi?
Per
un attimo trattenne il respirò e senza rendersi conto le scappò
un gemito.
Rimase
immobile guardando il mare solcato da alcuni goffi pescherecci che
rientravano stanchi al porticciolo.
Il
sapore di sale delle sue lacrime le ricordò i versi di una poesia di
Antonio Machado che amava molto:
todo
pasa y todo queda
pero
lo nuestro es pasar,
pasar
haciendo caminos,
caminos
sobre la mar4
I
suoi dubbi furono placati da quella strofa e dalla tenue brezza di
mare che accarezzava la sua nuca.
Subito
tornò in lei il buon umore.
Dopo
poco tempo, che ad Anita era parso un'eternità, tra la gente,
intravide Anselmo. Era buffo, con quel bagaglio ingombrante,
sembrava una bilancia a due braccia che si muoveva, su e giù, su e
giù, senza riuscire a trovare mai l'equilibrio. In quelle valigie
era contenuta la loro storia, i momenti felici pesavano appena un
po' di più di quelli infelici, voleva così pensare Anita vedendo
quella bascula umana.
Corse
ad aiutare quel povero uomo rinsecchito, carico come un mulo, che
pur di accontentarla, dalla mattina alla sera aveva lasciato la sua
barberia5
e cavalcato insieme a lei sul primo treno verso il nord, quello che
partiva all'alba.
Passò
un carro e si fermò vicino a loro. L'uomo che lo conduceva gli
diede un passaggio e caricò sopra le loro pesanti valige.
Il
cavallo che tirava il carro non era più giovane, ma era molto
vitale, come l'uomo che lo guidava e che risultò essere Don Ramòn
Aubanell Fontrodona, un vecchio amico del defunto patrigno di Anita.
Era così felice Don Ramòn di quell’incontro,
che li invitò a cena per far loro incontrare sua moglie e Marcel,
suo figlio piccolo.
Dopo
aver mangiato, Marcel Aubanell Garriga, che era diventato un bel
giovanotto, cantò per loro delle canzoni popolari catalane.
Sentendo quelle melodie, Anita fece un leggero movimento con la
lingua e leccandosi le labbra sentii di nuovo i sapore salato delle
lacrime, ma capì che quel senso di dubbio, che aveva prima
esperimentato, era svanito del tutto ed adesso era diventato la sua
certezza.
Anita
era contenta della sua scelta e uscendo dalla casa di Don Ramòn
abbracciò Anselmo e si incamminarono piano piano verso la loro
nuova dimora.
Mentre
scendevo dalla terrazza avevo già deciso che sarei partita,
nonostante il dolore che causavo alla mia famiglia. Ricordo che a
metà pomeriggio uscii di casa per comprarmi una grande valigia,
nella quale avrei messo i miei vestiti, i mie libri e la carta velina
per scrivere ogni settimana una lettera a mia madre.
In
quel giorno soleggiato di gennaio tra una pedalata e l'altra,
sentendo il sapore salato delle lacrime, ho pensato che ero proprio
felice della scelta che avevo fatto tanti anni prima.
1La
levatrice
2Guerra
civile
3trottola
4Tutto
passa e tutto resta, ma questo nostro è un passar, passar facendo
strada come le navi sul mare.
5Negozio
dei barbieri
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