Sono andata con
U. in treno a Bologna un
giorno di primavera alla fine degli anni settanta. In quella bella città c'era una manifestazione di
studenti, credo molto importante, ma io ero appena arrivata dalla
Spagna e capivo poco di politica italiana.
Un
amico di un amico di U. ci aveva prestato la sua casa o meglio la
sua stanza in uno sgangherato appartamento, dove abitava con altri
studenti.
La
casa si trovava nel centro storico, in un edificio antico. L'intonaco
della facciata era in parte scrostato, il portone era vecchio e
pesante e l'ingresso era malconcio. Mentre salivo le ripide e
buie scale mi dicevo:
- dove sono capitata?
- dove sono capitata?
Era
una casa labirintica, con molte stanze comunicanti. Noi, con i nostri
piccoli zaini, seguivamo silenziosamente uno dei padroni di casa.
Attraversando quegli abitacoli, molti dei quali in penombra,
guardavo i libri e gli oggetti che erano accatastati negli scaffali.
Quello sbirciare in qua e in là, era come un passaggio lampo nella
vita degli abitanti di quella casa.
Finalmente,
in fondo al lungo corridoio, siamo arrivati nella nostra camera.
Appena
aperta la porta della stanza, la luce proveniente dall'interno mi ha
illuminato, facendo svanire tutti i mie timori.
Era
una camera piuttosto grande con un'ampia finestra, che si
affacciava su un bel giardino.
Meno
male che è luminosa e accogliente, pensai.
Il
letto di una piazza e mezzo era quasi attaccato al muro. Era stato
rifatto con cura e coperto con un copriletto azzurro, fatto
all'uncinetto. Ai lati due casse di legno scuro, che un tempo
avevano contenuto pregiate bottiglie di vino, facevano da comodini. Un timido armadio si nascondeva in un angolo. Un tavolo
lunghissimo padroneggiava in mezzo alla stanza. Era bello, pensai, perché pieno di libri e quaderni.
Di
solito quando siamo ospiti in una casa, prendo dalla libreria un
romanzo e lo comincio a leggere, mi sembra così di poter conoscere
meglio le persone che ci alloggiano. Quando andiamo via lo rimetto
nello stesso posto dove era.
Mi
ricordo un libro di una bizzarra casa a Siviglia, dove non potevamo
fare la doccia nonostante il caldo soffocante, perché la vasca da
bagno era piena di vasi con delle bellissime piante gigantesche,
talmente pesanti che abbiamo rinunciato a lavarci. Era il primo
romanzo che leggevo di Marcela Serrano, una scrittrice cilena, che
ancora amo.
Mi
avvicinai a un mobile fatto da mattoni e assi di legno. Negli
scaffali c'erano pochi libri, solo due o tre romanzi gialli e alcuni
fumetti. Cercai nella parte alta di quella magra biblioteca ma
trovai solo libroni, la maggior parte erano trattati di Geologia,
Zoologia, Botanica, ma soprattutto di Paleontologia.
In
basso, scoprì dei fossili. Li presi subito in mano, ero
incantata da quei resti antichi, era la prima volta che li toccavo.
In
un piccolo cartellino c'era scritto Ammonite-calcare rosso di
Verona. Le mie dita toccarono quei resti di un organismio marino
vissuto più di 150 milioni di anni fa. I mie polpastrelli sentirono
le spire ruvide, ma eleganti di quella conchiglia gigante, la cui
forma a spirale rassomigliava alle corna di un montone.
Mi
colpì molto un altro cartellino che diceva: pesce fossile di Bolca.
Sembrava un pesce palla, molto cicciotello. Sopra e sotto la testa
partivano delle grandi pinne, come se fossero delle ali. La roccia
che conteneva quel fossile era chiara, le mie dita sentirono ancora
la sabbia finissima dove il piccolo animale era rimasto intrappolato.
Ero
curiosa di avere più notizie su quel pesce, quindi presi un trattato
di Paleontologia e cercai: i fossili di Bolca (Verona).
Mentre leggevo, seduta sul letto la storia di quei pesci, ogni tanto alzavo la testa e mi guardavo intorno. E' stato allora che ho pensato che la casa del paleontologo mi ricordava quella di Anita,
la llevadora1 del mio paese.
Da
piccola quando mi ammalavo andavo da Anita a farmi delle punture, la
prima volta che entrai in quella casa mi sembrò buia e tenebrosa e
ne fui proprio intimorita.
Ero
quasi adolescente, quando un giorno di primavera, mia madre mi chiese
di andare dalla llevadora a portarle delle verdure, che aveva
raccolto nei campi di mio nonno.
Dopo
essere entrata nella sala d'attesa ho percepito lo stesso odore che
sentivo da piccola, la mia pancia si è irrigidita, ma appena Anita
ha aperto la piccola porta in fondo, che sempre avevo visto
sbarrata, una luce intensa mi ha illuminato, facendo svanire tutti
i miei timori.
Ho
visto una cucina accogliente, con due grandi finestre, che davano su
un giardino. Sulla destra ho sentito il fischio di un bollitore posto
sul fornello della vecchia cucina economica, accanto in una specie di
nicchia c'erano molti tronchetti di legna,accatastati con cura. Un
tavolo lunghissimo in mezzo alla stanza era colmo di libri e quaderni
aperti, come se qualcuno ancora stesse studiando. Ma la cosa che mi
colpì di più fu uno scalfale zeppo di libri, quasi nascosto in
fondo.
Suonarono
alla porta mentre Anita sistemava le verdure che le avevo portato
nell'acquaio posto tra le due finestre.
Anita,
di corsa, prese il suo camice bianco e andò ad aprire, lasciandomi
da sola in quella strana stanza.
Cominciai
a sfiorare i libri aperti sul tavolo. Toccai le vecchie penne
stilografiche, le matite consumate e le gomme morbide.
C'erano
quattro quaderni a righe e in tutti c'era scritta con calligrafie
diverse la stessa poesia:
Son
de abril las aguas mil.
Sopla
el viento enchubascado
y
entre nublado y nublado
hay
trozos de cielo añil. Antonio
Machado2
Arrivai
di fronte allo scalfale, presi alcuni libri in mano e notai che le
pagine erano un po' ingiallite e polverose. Mentre accarezzavo quei
libri entrò Anita e mi disse che quei testi appartenevano al vecchio
maestro Planagomà, e che se volevo ne potevo prendere uno, e una
volta letto lo potevo sostituire con un altro. Mi spiegò anche che
il vecchio maestro, aiutato da suo marito Anselmo, tutte le sere
insegnava a leggere e a scrivere ad alcuni adulti del paese.
Immaginai subito la cucina di Anita, piena di persone che scrivevano
la poesia di Antonio Machado.
Tornai
a casa contenta con il libro in mano e pensai che avrei letto uno
dopo l'altro tutti i libri del maestro. Grazie a quei
libri che mi aveva prestato Anita ho cominciato ad amare la lettura.
L'indomani
siamo andati alla stazione di Bologna e abbiamo preso un treno per
Firenze. Mentre guardavo dal finestrino quelle montagne appenniniche
che contenevano tanti segreti della vita della Terra ho deciso che
avrei studiato paleontologia.
1 levatrice
2 Sono
di aprile le acque mille, soffia il vento temporalesco e tra una
nuvole e un'altra appaiono pezzi di cielo azzurro.
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