Come mai
fare l'orlo dei pantaloni ogni volta era per me una complicazione? Mi
domandai un pomeriggio in cui mio figlio ventenne mi aveva chiesto
di accorciargli due paia di pantaloni.
- Forse perché
ancora dopo tanti anni non so usare bene la macchina da cucire, mi sono detta.
Comprai una
macchina elettrica quando i bambini erano ancora piccoli, ricordo che
un sabato mattina di fine inverno mi ero alzata presto con la gran
voglia di andare a cercarne una. Volevo fare a tutti costi l'orlo di
due paia di pantaloni, che erano appoggiati e quasi dimenticati da
un bel po' di giorni in una sedia.
Tutto ciò perché la signora Frida, una nostra vicina di casa, aveva
avuto un infarto da poco e non poteva continuare a fare la sarta e
quindi accorciare via via i nostri pantaloni.
Tutte le
volte che le portavo alcuni indumenti da sistemare, mi fermavo a
parlare con lei, perché sapevo che trascorreva molte ore da sola.
La signora
Frida allora aveva una settantina d'anni soffriva di cuore da quando
si era sposata. Abitava in un piccolo appartamento vicino al nostro
con il marito e suo fratello celibe i quali lavoravano come fabbri in
una bottega posta all'inizio della nostra strada. I due uomini,
nonostante il lavoro impegnativo che svolgevano, trovavano il modo di
fare i lavori domestici più pesanti. Lei cucinava e qualche ora la
mattina e nel tardo pomeriggio, dopo il suo solito riposino, cuciva
mentre ascoltava la radio. Faceva orli, stringeva vestiti, allargava
sottane, sostituiva bottoni, cambiava cerniere ed sfoderava e foderava giacche e cappotti. Ma ogni tanto si cuciva un capo tutto per sé. Appena finito il
vestito o tailleur, a seconda della stagione, andava dal parrucchiere
a farsi pettinare i suoi folti capelli bianchi e poi lo indossava
orgogliosa, non solo perché era ben cucito ma anche perché essendo
ancora snella si vedeva bella allo specchio.
Nella
luminosa stanza dove lavorava di giorno c'erano sempre stoffe, bottoni, fili
e rocchetti intorno alla sua macchina da cucire. All'imbrunire
raccoglieva tutto e nascondeva la sua preziosa macchina in un piccolo
armadio, per poter fare posto a un divano letto dove ogni notte
dormiva il silenzioso fratello.
Il marito
prima e poi il fratello erano morti a distanza di pochi mesi. Lei si
era trovata all'improvviso da sola a gestire la sua fragile vita. Da
allora una sua cugina lontana andava due volte la settimana a farle i
lavori domestici, ma data la sua magra pensione era stato un
grosso sacrificio per lei pagare la cugina, ma grazie ai piccoli
lavoretti di cucitura poteva tirare avanti. Dopo quell'ultimo
infarto era stata operata e aveva dovuto smettere di cucire. La
cugina dopo poco era sparita.
Per fortuna
l'assistente sociale del comune le aveva affidato una persona che
ogni due giorni le faceva la spesa e le faccende domestiche.
La signora
Frida, usciva a fare una passeggiata ogni mattina accompagnata dalla
giovane aiutante. I pomeriggi dopo il suo consueto sonnellino,
accendeva la radio e riprendeva la macchina da cucire. Per prima
cosa la contemplava, poi la spolverava a e infine caricava il rocchetto e infilava l'ago
con un filo ogni giorno di colore diverso e poi aspettava.
Mi diceva
che si sentiva in pace con il mondo, sapendo che la sua macchina era
pronta per ogni evenienza.
La macchina
da cucire della signora Frida, mi ricordava quella di mia madre, una
vecchia Singer, che aveva ereditato da mia nonna. Più di una volta
avrebbe voluto insegnarmi a cucire, ma la macchina era usata
raramente ed era sempre coperta con una una stoffa colorata con un
motivo floreale. Più tardi ho capito che mia madre associava la
Singer alla sua malattia, perché aveva preso una brutta infezione polmonare quando da giovane cuciva di notte delle camice per una sarta.
In quelle
rare occasioni mi diceva di guardare attentamente e di stare seduta
accanto a lei mentre cuciva. Qualche volte ero rimasta vicino a
lei, ma non lasciandomi mai provare a cucire un pezzettino di stoffa, mi
annoiavo e quindi il più delle volte inventavo una scusa e correvo
fuori per la strada.
Crescendo
avevo avuto la convinzione che imparare a cucire era poco
interessante perché mi legava alle tradizioni femminili del paese e
io volevo avere la possibilità di sganciarmi dalla famiglia e di
conoscere altri mondi.
Invece avevo
scoperto più tardi che, per la Signora Frida, la macchina da cucire
era stata addirittura la sua salvezza e la sua fonte d'indipendenza.
La mia mente
era impegnata in tutti quei ricordi quando ho sentito suonare il
campanello.
Erano il fratello di mio marito e la moglie che venivano quella domenica a mangiare da
noi.
Sono entrati
mentre dicevo a mio figlio che avrei fatto gli orli a mano.
- Sei pazza a farli a mano, ti aiuto io ad accorciare i pantaloni con la
macchina, disse mia cognata.
Dopo aver
mangiato abbiamo trascorso tutto il pomeriggio piovoso in casa a
cucire i benedetti pantaloni.
Le cosa sono
filate lisce, fino a che sia per spessore della stoffa, sia per la qualità del filo non troppo buona, la macchina si è bloccata.
- Non
preoccuparti ho detto mia cognata,
sono abituata a queste “bizze” della macchina e mentre lo dicevo ho cominciato a smontare la parte inferiore.
- Ecco
dove era rimasto impigliato il filo, diceva lei.
Eravamo
contente ma, l'allegria è durata poco perché non riuscivamo poi a
incastrare i pezzi smontati.
Con un
strano cerchio di metallo in una mano e il rocchetto inferiore
nell'altra, mi sono sentita buffa e ho ricordato un pomeriggio di
estate di due anni prima quando io e una amica,
volevamo cucire una grezza stoffa di colore beige che doveva
servire a ricoprire le sedie a sdraio del giardino della casa di
Poppi.
Doveva
essere un lavoro da poco, diceva l'amica, che era molto più esperta
di me, invece abbiamo trascorso tra risate e imprecazioni due pomeriggi
interi. La macchina ogni tanto si bloccava, alcune volte non
riuscivamo a infilare il filo nell'ago, altre si rompeva, insomma il
lavoro procedeva molto lentamente.
Lei voleva a tutti costi finire quel pomeriggio, ma dopo che si era bloccata di nuovo la macchina e che non riuscivamo a rimontare i vari pezzi, ha cominciato a temere che non avremmo potuto fare gli angoli perché era troppa spessa la stoffa.
- Mi sa che nemmeno oggi riusciremo a finire, mi disse un po' scoraggiata.
- Mi sa che nemmeno oggi riusciremo a finire, mi disse un po' scoraggiata.
- Chiamerò
la signora Frida, le ho risposto.
- Non
importa ce la caveremo domani, diceva lei, che amava fare tutto da sola senza mai chiedere aiuto.
Dopo un po'
l'ho convinta e sono andata a chiamare la anziana vicina.
La signora
Frida ha preso le chiavi, si è messa la sua giacca verde di lana cotta
e senza dimenticare gli occhiali da presbite è
venuta molto volentieri a casa nostra. La osservavo e vedevo che era
felice, forse perché ci poteva aiutare essendo una esperta nel
cucire e soprattutto perché le piaceva stare in compagnia.
Con le sue
magre mani che si muovevano sicure e precise ci ha rimontato i pezzi
e come per magia la macchina ha cominciato a cucire. Era quasi buio
quando abbiamo finito le fodere delle sedia a sdraio.
Anche quella
domenica abbiamo deciso di chiedere aiuto alla signora Frida, ma il
suo campanello suonava invano.
Mi sono
cominciata a preoccupare e a dare dei colpi più forti alla porta:
- Frida, Frida, urlavo.
All'improvviso
si è aperta la porta e lei sorridente ci ha detto che era in bagno
e che non aveva sentito il campanello.
Come sempre
ha preso le chiavi di casa, la giacca verde e gli occhiali.
Si è seduta
davanti alla macchina da cucire appoggiando, come se l'accarezzasse,
la mano destra sulla manovella e con la sinistra ha sistemato il
pezzo che io avevo smontato e la cucitura è ricominciata.
Quella sera
ero contenta perché avevo sistemato i pantaloni di mio figlio e ho pensato con gratitudine alla Signora Frida, all'amica e alla
cognata, tutte donne generose che mi avevano dato una mano,
senza chiedere niente in cambio.
bello anche questo racconto. in ognuno di essi trovo qualcosa che mi appartiene un pò. grazie! anna
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