Era
molto tempo che non ritornavo a Barcelona. Avevo voglia di rivedere la città dove avevo vissuto a metà degli anni settanta, mentre studiavo all'università. Ero seduta sul treno, che mi portava
dall'aeroporto a una piccola città della costa settentrionale, dove abitava una mia cara amica, quando ho riconosciuto una
coppia di anziani del mio paese natale, la quale si è sistemata
accanto a me. Erano la vecchia llevadora1
e suo marito.
Abbiamo
fatto il viaggio insieme, che inaspettatamente è diventato molto lungo per un
guasto alla linea elettrificata. Seduta sul consumato vagone
guardavo le nuove periferie della città che quasi non riconoscevo
e ascoltavo, prima con svogliatezza e poi con molta attenzione, la
voce della vecchia levatrice, che raccontava brandelli della sua vita, mentre suo marito dormicchiava.
Quella che più mi aveva colpito era stata la storia del loro
innamoramento agli inizi degli anni '30 nella nuova metropolitana
di Barcellona, da poco inaugurata.
Erano
anni difficili, era appena nata la seconda Repubblica, la giovane levatrice
aveva finito la scuola di ostetricia, lui era arrivato
dall'Andalusia da pochi giorni. Era ospite di un fratello, il quale
si riteneva molto fortunato per aver trovato un lavoro come muratore
nella periferia della città.
Nel
vagone in cui la levatrice era seduta con un libro in mano, si erano
guardati. Lei aveva pensato che era un bel ragazzo. Lui in piedi,
guardando la ragazza col libro in mano, avrebbe dato
qualsiasi cosa per farsi leggere un racconto da lei. Subito si
rattristò e si vergognò al pensiero di non saper leggere.
Scesero
entrambi nella stessa stazione, insieme a un fiume di persone
frettolose.
Dopo
qualche minuto si trovarono facendo la coda all'Ufficio
di collocamento. La Generalitat2
aveva organizzato degli
sportelli straordinari per accogliere la valanga di richieste di
lavoro.
Vedendola che stava quasi per svenire a causa della
calca, le offrì un po' d'acqua. La fece anche sedere per
terre in un angolino, lei tirò fuori dalla borsetta il suo
abanico3
il cui fruscio ripetitivo, la rasserenò.
Poi le diede uno spicchio d'arancia. Il profumo
fresco del frutto impregnò la pelle delle loro mani e la loro vita.
Poi raccontò alla llevadora che al suo
paese faceva il barbiere, ma disse che ormai rimanevano pochi
abitanti, solo donne e anziani. Gli uomini erano tutti emigrati verso
il Nord.
Allora lei gli spiegò che sarebbe voluta
andare a lavorare in un ospedale, per poter aiutare le
donne con parti difficili.
Quel giorno non riuscirono ad arrivare davanti allo
sportello, ma furono felici lo stesso. Presero la metropolitana
insieme e non si lasciarono mai più.
Dopo
un po', stanca di aspettare che il treno partisse, anche la vecchia levatrice si era addormentata ed io mentre guardavo
il paesaggio urbano immobile e cambiato, ho ricodato che qualche anno prima, una sera mentre i nostri figli, allora bambini, dormivano e U. seduto
sul divano rosso, guardava la televisione o forse leggeva un libro,
ho cominciato a scrivere un racconto epistolare sul nostro
innamoramento.
La
lettera era composta da tanti brevi scritti, come se fosse un
diario, dove si mescolavano emozioni lontane e recenti.
Nel
corso degli anni avevo più volte cambiato computer, per questo avevo
smarrito il documento che conteneva il racconto e l'unica copia
cartacea rimasta doveva essere nascosta da qualche parte in soffitta.
Nella
lettera perduta ricordavo a U. le sensazioni che avevo avuto il
giorno che ci siamo incontrati.
Mi
vedevo seduta ad un tavolino della terrazza del cafè Zurich
della Plaça Catalunya di Barcelona. Era un pomeriggio di
novembre, a metà degli anni settanta.
Ancora
non avevo scoperto l'effetto benefico delle infusioni, quindi
prendevo una cioccolata calda. Mentre afferravo la tazza con le due
mani ho visto spuntare, in fondo alla fila di tavolini, la figura
snella di U.
Pensai
che sicuramente non lo avrei mai più rivisto, questa sensazione
carica di nostalgia mi riportò il ricordo di un treno in
lontananza che spariva nella notte.
Aspettavo
delle amiche, le quali erano in ritardo. Appena mi sono alzata per
andare a telefonare, ho visto la sua testa nera e riccioluta che si
avvicinava al mio tavolino.
Era
con un ragazzo moro, non tanto alto, anche lui italiano, un
aspirante poeta, molto chiacchierone, che vendeva le sue poesie d'
amore per pochi spiccioli.
Le
mie amiche si sono sedute con noi, nuove sedie sono state aggiunte
via via che arrivavano altre persone conosciute, formando così un
bel gruppo, allegro e chiassoso. Seduto accanto a me c'era sempre
lui, i suoi occhi vispi mi guardavano, il suo naso grande ed
elegante inspirava lentamente gli odori nuovi di quella città, le
sue labbra carnose, scandendo poche parole, mi hanno fatto capire,
un po' in francese e un po' in italiano, che mi invitava a Firenze,
dove abitava con altri studenti.
Da
non rivederlo mai più ad essere accolta nella sua casa c'era una
bella differenza, pensai.
Quella
sera abbiamo preso tutti insieme la metropolitana.
Nel
vagone, gremito di gente che tornava a casa dal lavoro, lui mi
guardava intensamente mentre mi diceva Ciao. Pensavo che
quella parola volesse indicare un saluto di addio e temevo che lui
sarebbe sceso alla fermata successiva. Fui felice quando le porte si
aprirono e lui rimase sorridente di fronte a me con il braccio
alzato, appeso nella maniglia. Cominciava così il nostro
innamoramento nella linea due della metropolitana di Barcellona.
Il
treno cominciò a muoversi verso la costa settentrionale. I due vecchietti dormivano con le teste
appoggiate una sull'altro. Col sguardo rivolto al finestrino
pensavo a tutte quelle storie intrecciate e sentivo un gran
benessere, perché mi vedevo seduta su un altro treno, quello che
correva portando via le nostre vite. Quel treno aveva percorso una
lunga strada, aveva visto nuove terre, aveva permesso a molte persone
di salire, altre erano scese, ma noi due eravamo ancora seduti insieme
nel nostro vagone guardando, a volte con timore, altre con allegria,
ma sempre con voglia di andare avanti, nuovi paesaggi.
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