mercoledì 1 agosto 2012

Un viaggio inconsueto














 L'imbarco

Eravamo contenti di viaggiare verso un arcipelago, finalmente noi due da soli. Lasciavamo indietro stanchezza e tensioni. Non vedevamo l'ora di imbarcarci. Siamo partiti verso mezzogiorno, la giornata era tersa. Mentre attraversavamo l'Appennino campano sentivo, con un libro in mano, un vento caldo quasi soprannaturale, che entrava dalle finestre del nostro veicolo e ci avvolgeva come una grande sciarpa. La sonnolenza mi rapiva e le parole che leggevo si perdevano lentamente in mezzo a quel ciclone caldo.
Il furgone era piuttosto confortevole anche se non aveva l'aria condizionata. Non era molto grande ma ci bastava per i nostri bagagli, quelli che servivano per una quindicina di giorni.
Siamo arrivati a Bari in anticipo e subito, con nostra sorpresa, siamo venuti a sapere che la nave aveva più di tre ore di ritardo.
Ci siamo seduti sulla terrazza di un piccolo bar e abbiamo preso delle bevande fredde. Il proprietario del locale, un giovane barese simpatico e chiacchierone di nome Rocco, si è offerto di vigilare il camper e nel frattempo di prepararci una cena a base di pasta, quindi noi siamo andati tranquillamente a visitare la città.
Mentre camminavo accaldata per le viuzze del centro, tante donne e alcuni uomini erano seduti sulle sedie fuori dall'uscio delle loro case.
Tutte quelle persone su quelle sedie mi ricordavano la strada del paese della costa catalana dove sono nata. Ogni sera all'imbrunire le donne portavano fuori le sedie impagliate della cucina, per poter prendere il fresco e parlare con le vicine. Gli uomini dopo cena andavano al caffè a giocare a carte o a domino e quando rincasavano si sedevano con in bocca il sigaro, ormai spento, a fare tertulia1 con le donne del vicinato.
Noi bambini correvamo e giocavamo per la strada o sulla piazza vicina. Nessuno ci controllava, era bello sentirsi liberi in quelle notti d'estate degli anni sessanta.
Abbiamo mangiato gli spaghetti al pomodoro e basilico che Rocco ci aveva preparato con cura, accarezzati da un vento di ponente, forse un po' insistente ma benefico, dopo la gran calura sofferta. Poi per ammazzare il tempo ci siamo sistemati con i nostri libri sulla terrazza dello stabilimento di Rocco, che lentamente è diventa la nostra nicchia, fatta da tavoli e sedie di plastica rossa in quell'angolo del porto di Bari.
Abbiamo aspettato il traghetto, prima con piacere poi con stanchezza e noia, parlando e guardando il movimento del porto. Verso l'una di notte la nave non era ancora arrivata. Durante l'interminabile attesa abbiamo conosciuto una famiglia molisana, che viaggiava come noi in un camper. Esmeralda, la figlia adottiva, era una bambina di sei anni molto aperta e comunicativa. Subito abbiamo fatto amicizia. Al nostro gruppo si è unito il dolce Dario, un bambino milanese di  dieci anni, che era un po' assonnato, perché si era alzato alle cinque del mattino; viaggiava insieme ai suoi genitori per andare a trovare i nonni materni in Albania.
A un certo punto qualcuno, seduto su una sedia rossa accanto a noi, ci ha detto che il traghetto aveva accumulato molto ritardo, perché aveva dovuto aspettare i passeggeri di una nave che doveva partire da Brindisi, ma che era stata posta sotto sequestro perché avevano trovato nella stiva dei grandi quantitativi di droga.
C'era da disperarsi, avevamo sonno e guardando verso il buio orizzonte la nave non si  vedeva.
Verso le tre come per magia, la gente intorno a noi si è alzata e subito dopo abbiamo visto che le loro macchine si disponevano in fila sul molo, quindi anche noi ci siamo incamminati verso i lunghi serpenti di autovetture. Alle quattro è arrivata la nave e noi esausti e senza più forze abbiamo osservato e seguito incantati, come dei sonnambuli, tutti i movimenti del personale di porto nel far scendere le macchine e i numerosi camion da bordo.
Quando stavamo per salire, abbiamo visto chiudersi di fronte a noi un grosso cancello di ferro. Il motivo l'abbiamo saputo dopo: in un camion, appena sbarcato, avevano trovato venti clandestini.
- Povera gente, non hanno potuto toccare la loro terra promessa, pensai.
I  profughi appena sbarcati sono stati immediatamente rispediti nel paese da dove erano venuti. Hanno viaggiato chiusi in una stiva della nave, ci ha detto un vecchio ufficiale di marina in pensione che abbiamo conosciuto quel giorno sul ponte.
Eravamo tutti impazienti di salpare, nessuno pensava più ai poveri clandestini. Noi volevamo solo cominciare le nostre vacanze e non ci rendevamo conto di quanto eravamo fortunati, a differenza di quei poveracci.
Le operazioni di sbarco e imbarco sono diventate infinite e la nave è partita solo alle sei del mattino.
Avevamo un biglietto che ci permetteva di dormire dentro il camper sul ponte della nave.Appena sdraiati, dalla stanchezza, ci siamo addormentati profondamente, ma ricordo una vaga sensazione di sentirmi cullata dalle onde.Il sole delle dieci ci ha svegliati e tutta la giornata l'abbiamo passata leggendo, parlando, mangiando e giocando a carte con Esmeralda e Dario.
Ogni tanto guadavo il mare, seduta in coperta. Esmeralda veniva in collo a me e mi chiedeva di raccontarle la storia del libro che stavo leggendo. Seduta sulle mie ginocchia, mentre ascoltava, cercava le mie braccia e le sistemava così bene che nasceva un tenero abbraccio. Stavo bene in mezzo a tutta quell'acqua e quei bambini conosciuti da poco.Presto sarebbe finita quella lunga traversata, i clandestini sarebbero tornati in Afganistan, Esmeralda sarebbe andata in Turchia, Dario in Albania con i loro genitori e noi avremo cominciato il nostro viaggio itinerante verso il Peloponneso, pensai quasi nostalgica. Non sapevo che avremo avuto degli altri inconvenienti che avrebbero fatto diventare il nostro viaggio interminabile. Verso l'imbrunire il mare si è fatto grosso e di fronte a l'isola di Corfù, dove la nostra nave doveva fare una sosta, i mozzi non riuscivano a lanciare le corde per l'attracco. Con molta fatica, una fune e poi l'altra sono arrivate a destinazione, ma dopo poco la prima si è rotta. La nave è tornata indietro e noi eravamo ancora più scoraggiati anche perché vedevamo i marinai nervosi e sfiniti. Dopo due tentativi  il tragetto è riuscito ad attraccare.
Sembrava una barzelletta, appena la nave, dopo le operazioni di sbarco stava cominciando a lasciare il porto di Corfù, si è fermata di nuovo. Qualcuno ci ha detto che l'ancora si era incagliata. Non potevamo crederci, era come se una calamita non ci lasciase andare via. Dopo un tempo che mi è sembrato infinito la nave è partita. 

Era buio quando siamo arrivati a destinazione. Eravamo entrambi di buon umore mentre piantavamo la tenda in un campeggio non lontano dal porto. Ci siamo seduti in uno scoglio tra il mare e il cielo stellato e ci siamo abbracciati, poi lui mi ha detto sorridendo:

-E' stato l'imbarco più lungo e faticoso della nostra vita, ma ne è valsa la pena.



Tocchiamo terraferma
Dormire con la tenda aperta è stato una bella scoperta, forse perché era la prima volta che campeggiavo in un paese caldo in piena estate. La Grecia ci regalava il suo calore anche di notte.
La mattina presto, il frinire delle cicale, insistente ma confortante, ci ha svegliati. La sorpresa più bella è venuta dopo scoprendo che quel piccolo e semplice campeggio era un paradiso. Le bianche piazzole terrazzate arrivavano fino a una baia, dove il mare era calmo come una grande piscina.
Mi sono tuffata in acqua, ma il bagno non è stato molto lungo perché dovevamo partire per il Peloponneso prima che il caldo ci attanagliasse.
Abbiamo viaggiato per due giorni sotto un sole rovente e infine abbiamo trovato l'antica e anelata terra greca, la quale mi è parsa molto bella: ulivi, mare azzurro, affioramenti rocciosi, resti archeologici, case bianche, cibo buono e soprattutto persone gentili e aperte.
Prima l'Argolide, visitando Nauplia, dopo la Laconia scoprendo la città di Monenvassia, arroccata su uno sperone roccioso e infine l'isola di Elafonissos ci hanno conquistato il cuore.
Aprire gli occhi ogni mattina e vedere accanto a me lui che dormiva,  con la testa quasi fuori della tenda mi dava un gran benessere e forse mi regalava un po' di sonnolenza, perché mi addormentavo di nuovo ed era lui che mi svegliava quando il sole cominciava a scaldare.
I tre giorni passati in quella piccola isola sono stati molto rilassanti, tra bagni, passeggiate, letture all'ombra e cenette sotto le stelle. Nell'isola c'era solo un paesino con un porticciolo, da dove, con un piccolo traghetto, si arrivava sulla terraferma. Il tragitto era breve, dato che l'isoletta era molto vicina alla penisola. Chissà che storia ha avuto questa piccola terra? Ho osservato che alcuni scogli erano formati da rocce vulcaniche, ma gran parte della costa dell'isola era sabbiosa. Le dune, ancora vergini, erano, la mattina presto, fredde e morbide come la seta. Sdraiata sulla sabbia mi sentivo avvolta da un soffice scialle. L'acqua era turchese e trasparente. Non riuscivamo a uscire da quella vasca placida. Nuotavo e pensavo che molti milioni di anni prima forse quella zona era tappezzata da vulcani attivi.
Risalendo verso nord ci siamo fermati in un campeggio di una piccola località della costa est del Peloponneso, chiamata Tholò. Ci siamo riposati sulla spiaggia di sabbia terrosa, dopo tutti i chilometri percorsi, ma ci è mancato tanto il mare trasparente che avevamo lasciato a Elafonissos.
Lunedì dell'ultima settimana greca, ci siamo alzati presto; dopo aver percorso 80 chilometri verso nord est, siamo arrivati al bellissimo e ben conservato tempio di Basses, dedicato ad Apolo Epicourios (il soccorritore). Poi nelle ore di gran calura, ma per fortuna soffiava un po' di vento, abbiamo visitato l'importante e vasta  area archeologica di Olimpia, dove sorgeva il Tempio di Zeus, che conteneva la statua della divinità realizzata. da Fidia e considerarta una delle sette meraviglie del mondo antico. L'ombra dei grandi alberi ci ha dato un gran sollievo mentre camminavamo ammirando le rovine.
Siamo arrivati all'isola di Lefkada, chiamata isola dei poeti, al tramonto. Abbiamo apprezzato subito la maestosità di quella grande isola, collegata alla terraferma attraverso un ponte lungo pochi chilometri.  La giornata era stata molto  lunga e intensa, quindi desideravamo trovare un bel posto per riposarci. Nella punta più a sud nella località di Vassiliki è spuntato un cartello che indicava un camping. Era quasi notte quando abbiamo piantato la tenda e fatto da mangiare.
La mattina dopo abbiamo fatto un bagno in una spiaggia ciottolosa. Nuotando osservavo l'orizzonte verso la punta più a sud dell'isola e pensavo a una leggenda tardiva secondo la quale la poetessa Saffo, si era gettata da quella parete rocciosa. Le sue poesie erano così belle, che non osavo credere che chi le aveva scritte, con tanto amore per quella terra, alla fine avesse scelto quelle rocce e quel mare per porre fine alla sua vita. Quindi mi confortava credere che la poetessa fosse morta anziana di morte naturale.
Abbiamo proseguito il nostro viaggio verso Nord, visitando la bella cittadina di Parga, e infine  siamo andati a trascorrere l'ultima notte greca nel piccolo campeggio con i terrazzamenti bianchi, quello dei begli inizi.

Il ritorno
Del viaggio di ritorno ricordo solo il mare azzurro e il  romanzo che stavo leggendo,  il cui titolo era  L'home de la maleta 1.
Era un libro che mi aveva regalato l'inverno scorso un amico catalano, che era venuto a trovarci a Firenze. L'avevo subito cominciato, ma  dopo poche pagine  abbandonato sul mio comodino.
Ancora prima dell'alba mi sono svegliata. Forse sarà stato il caldo o il rumore insistente dei motori o il letto un po' stretto del furgone quello che mi ha fatto aprire gli occhi alle quattro del mattino.
Mi sono girata più volte, ma  non riuscendo a riaddormentarmi, ho deciso di spostare un po' la tenda, quella che oscurava la finestra anteriore, per fare entrare la luce.
Quella luce tenue proveniente da un lampione vicino mi ha permesso di leggere seduta sul sedile anteriore.
Quando, dopo qualche ora, lui si é svegliato, abbiamo preparato una bella colazione e dopo siamo saliti  sul ponte superiore.
Il sole cominciava a essere alto nel cielo, quando abbiamo cercato delle poltrone comode per contemplare il mare.
L'azzurro di quelle acque e il libro mi hanno rapito e isolato da tutti e da tutto quello che mi circondava.
Ho vissuto intensamente la storia del protagonista che lentamente si è intrecciata con la mia vita.
A un certo punto ho avuto un gran desiderio di abbracciare mio padre novantenne, che non vedevo da qualche mese.
In quel momento ho deciso che avrei chiesto a mio padre di raccontarmi le vicende più importanti della sua vita e che avrei cercato di scrivere una sua biografia,  quando qualche giorno dopo ci saremmo incontrati.

Mentre sbarcavamo nel porto di Bari, questa volta quasi in orario, ho pensato che quel viaggio era stato  inconsueto ma  pieno emozioni.


1 L'uomo della valigia


Luglio 2012









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