sabato 22 aprile 2023

La darsena - Cap. 1 (in italiano)

 


Mariano, con la faccia incollata al finestrino del treno che stava per partire per Barcellona, non poteva sospettare che un anno dopo, seduto sullo stesso vagone, la sua vita si sarebbe capovolta. Gli mancava poco per compiere sedici anni, eppure si sentiva già un uomo. Quella notte aveva dormito a malapena, era così agitato all'idea d’intraprendere il suo primo viaggio in treno che prima che sorgesse il sole si era alzato per andare a svegliare il padre. Correva l'anno 1872.
Mariano andava a messa tutte le domeniche con i genitori e i sei fratelli più piccoli. Uscendo dalla chiesa gli uomini rimanevano in piazza a parlare tra loro, ma le donne, quelle che non si potevano permettere di avere servitù, si affrettavano per ritornare a casa a finire di preparare il pranzo. Mariano giocava con gli altri bambini, ma ogni tanto si avvicinava al gruppo di adulti per ascoltare le loro conversazioni. Un giorno, quando aveva circa otto anni, Mariano sentì dire al notaio che la chiesa del paese aveva quasi un secolo.
- Cos'è un secolo? Gli domandò Mariano, guardando il padre, come per chiedergli il permesso di parlare.
- Sono cent'anni, rispose il Notaio.
- Era già abitato il nostro paese cent’anni fa?
- Che bravo questo ragazzo, disse il notaio accendendosi una sigaro.
- La nostra famiglia più di un secolo fa si è stabilita in paese e ha costruito una casa proprio accanto alla chiesa, raccontò José Defaus Ballesté, il padre di Mariano, orgoglioso delle sue origini.
Il giorno dopo Mariano arrivò a scuola molto prima che suonasse la campanella d'ingresso. Il maestro stava preparando l’aula per far disegnare gli scolari.
- Vorrei conoscere la storia della nostra chiesa, lei ne sa qualcosa? Gli domandò Mariano.
- Sono di Barcellona, ma ho letto la storia del paese di Malgrat, ti dirò cosa ricordo: all’inizio del diciottesimo secolo, cioè nel millesettecento, arrivarono diversi coloni dal sud della Francia per bonificare le paludi, che fino ad allora erano state terre infestate da malaria e man mano che cresceva il piccolo nucleo urbano, la cappella esistente diventava più piccola. Presto si cominciò a parlare di costruire un tempio più grande, dove sorgeva l’antica cappella.

Il maestro smise di parlare per qualche secondo e poi domandò:
- Mi segui?
- Sì, il diciottesimo secolo è stato il secolo scorso, giusto?
- Corretto. E grazie ai contributi finanziari di un ricco mercante di nome Agustí Gibert Xurrich, nato a Malgrat ma residente a Barcellona, nel 1761 fu posta la prima pietra dell'attuale chiesa, che per le sue dimensioni finirà per essere chiamata popolarmente La catedral de la costa. Il tempio era un po' sproporzionato per le dimensioni ridotte del paese di allora, dove la maggior parte degli abitanti erano contadini o marinai e ben pochi bottegai e commercianti, ma il mare cominciò a essere una fonte di ricchezza, soprattutto con l'apertura del cantiere navale che diede un nuovo impulso al commercio e all'industria che stava nascendo. La città crebbe, le filande prosperarono e si affermarono nuovi artigiani, come bottai, ebanisti, vasai e seggiolai - rimase in silenzio per qualche secondo e poi gli domandò: - Sai cos'è un cantiere navale?

- Sì signore, è un luogo in cui le navi vengono costruite o riparate.
- Molto bene. La darsena di Malgrat è molto importante, oltre a costruirvi navi, da lì partono e arrivano velieri da una a quattro tonnellate, che effettuano traffici lungo la costa verso Valencia e la Francia.
Mariano ne fu soddisfatto della spiegazione del maestro. Ciò che lo aveva maggiormente colpito era stato apprendere che in paese venivano costruiti velieri così grandi. Da quel giorno, ogni volta che passava insieme al padre col calesse vicino alla spiaggia, gli chiedeva di portarlo a vedere le navi del cantiere navale.

La terra dei campi che la famiglia Defaus coltivava era fertile e non mancava di acqua. Tra il mare e le colline, il fiume Tordera aveva formato nel corso degli anni una grande pianura e alla sua foce un piccolo delta di sabbia grossolana.
Quando padre e figlio si fermavano a guardare la pianura in lontananza, José Defaus gli diceva :
- Quei campi un giorno saranno tuoi.

Mariano rimaneva in silenzio, senza osare dirgli che avrebbe desiderato imbarcarsi per vedere il mondo.
La mattina in cui lui e suo padre presero il primo treno per Barcellona, la stazione era piuttosto affollata. Due fattorini stavano caricando cassette in uno dei vagoni merci, il terzo vagone era destinato ai sacchi postali. Alcune persone scendevano dal treno, altre salivano. José Defaus e suo figlio si accomodarono sul primo vagone di terza classe. Il ragazzo prima di sedersi aprì il finestrino e lasciò entrare l’odore del mare che quel giorno era piuttosto mosso. Mentre guardava il via vai della stazione lo colpì una famiglia numerosa che aveva occupato gran parte della pensilina, con decine di valigie e bauli.
- Molte famiglie benestanti di Barcellona, con una sfilza di bambini e domestiche, prendono il treno per trascorrere i tre mesi estivi nelle località balneari. Sono i proprietari delle ville più belle e lussuose dei paesi della costa, gli disse il padre vedendolo stupito da quello spettacolo.
Mentre aspettava la partenza del treno, si mise a guardare i dettagli della facciata della stazione, e pensò che lui aveva tre anni quando quell'edificio fu inaugurato. Molte volte José raccontava con soddisfazione ai figli i dettagli della festa che si era tenuta il giorno in cui il primo treno era arrivato a Malgrat.
- Non potete immaginare quanta gente si era radunata, c'erano le massime autorità della regione, ma anche tanta gente del popolo, tutti indossavano i migliori vestiti che avevano; il sindaco ci offrì un bicchiere di vino dolce, sia agli uomini che alle donne e la banda del paese suonò tutto il giorno ininterrottamente. La sera abbiamo ballato sardane.
José Defaus Ballesté si recava a Barcellona diverse volte all'anno, per vendere e comprare sementi, oltre che a coltivare la terra si dedicava al commercio. Mariano aveva lasciato suo malgrado la scuola da qualche tempo. Suo padre gli aveva insegnato a seminare, coltivare e raccogliere i prodotti della terra, però non aveva fretta di mostrargli i segreti del mestiere mercantile, temeva di perderlo, conoscendo bene il lato sognatore e avventuriero del figlio. Alla stazione successiva salì sul treno un signore elegante con un cappello di paglia.
- È un grande onore per i catalani aver realizzato la prima ferrovia della penisola, gli disse José allo sconosciuto.
- Sì, lo può ben dire, è un onore per la Catalogna. Io sono di Mataró e il 28 ottobre 1847 ho partecipato all'inaugurazione della prima linea ferroviaria da Barcellona a Mataró. Lo ricorderò per tutta la vita. Forse non sapete chi fu l'artefice di quell'opera colossale?
- Ne so ben poco, secondo quello che mi hanno riferito, era un abitante di Mataró, giusto?
- Se avete tempo vi posso raccontare la storia: nel 1837 fu inaugurata la prima linea ferroviaria della corona di Spagna sull'isola di Cuba, dall'Avana a Güines. Qualche anno prima Miquel Biada Buñol, residente a Mataró, era andato a Cuba e si era arricchito grazie al commercio di tabacco e non solo, si dice che fosse direttamente o indirettamente coinvolto nella tratta di schiavi, fatto sta che riuscì ad accumulare una grande fortuna. Miquel Biada, partecipando all'inaugurazione, si rese conto dei vantaggi del nuovo mezzo di trasporto e disse entusiasta a un amico che voleva tornare in Spagna per costruire una ferrovia tra Barcellona e la sua città natale. Trascorsero alcuni anni prima di poterla realizzare, prima andò a Londra per mettere a punto il progetto e poi con due soci fondò la Companya dels camins de ferro. Nacque così una grande avventura imprenditoriale e un sogno di progresso per la Catalogna.
Mentre si stavano avvicinando alla stazione di Mataró, Mariano domandò al signore del capello di paglia:
- Quanto tempo ci vuole per arrivare a Cuba?
- Ci vogliono circa due mesi.
- Due mesi? Deve essere molto lontana!
- È dall'altra parte dell'Atlantico, è una delle isole dove sbarcò Cristoforo Colombo, l'hai studiata a scuola, vero?
José salutò il distinto signore mentre scendeva dal treno e Mariano cominciò a pensare alla cartina geografica che il maestro aveva appeso qualche tempo prima sopra la lavagna. Subito capì dov'era l'isola di Cuba.
Durante tutto il viaggio Mariano rimase in silenzio, guardando il mare e immaginando se stesso in piedi sul ponte di un veliero in rotta verso Cuba.
Fu colpito dalla città di Barcellona, non riusciva a smettere di ammirare gli edifici imponenti e i grandi viali. Accompagnò il padre a sbrigare delle pratiche in alcuni uffici mercantili. Erano quasi le due del pomeriggio quando andarono a pranzare al ristorante Les set portes, vicinissimo al porto.
Mariano rimase a bocca aperta a contare le sette porte e ad ammirare l'arredamento moderno del locale. Ognuno di loro prese una porzione di esquiexada (piatto a base di bacalà crudo e peperoni) e un piatto di arrós a la cassola (risotto con carne, cipolla e pomodoro). Nel pomeriggio andarono a passeggiare per le stradine intorno alla Cattedrale e lungo Les Rambles. Prima di tornare sui loro passi, José fece vedere al figlio il Teatro del Liceu di recente costruzione. Verso le sei raggiunsero la stazione e presero il treno per tornare in paese.
Durante il viaggio di ritorno Mariano domandò al padre:
- Perché così tanti catalani vanno a Cuba?
- Alcuni sono emigranti volontari, che vanno a lavorare e cercano di fare fortuna, altri sono costretti o perché sono soldati reclutati nelle guerre coloniali o perché fuggono dal paese.
- Vorrei andare a Cuba.
- Ma che dici, sei matto, sei il mio primogenito e dovrai prendere le redini dell'azienda di famiglia. Speriamo che i disordini finiscano al più presto e si ritorni ai tempi di pace.
Seguirono mesi di fermento politico, la situazione in Catalogna andava di male in peggio e in quasi tutta la Spagna si era intensificata la guerra civile, la cosiddetta terza guerra carlista. José non ritornò più col figlio a Barcellona, per evitare di essere coinvolti in proteste di piazza, azioni violente, conflitti sociali e disordini pubblici. La mancanza di volontari per l'esercito fu sopperita con il reclutamento di un maggior numero di ragazzi di diciassette anni.

Ogni mattina il postino passava per le case del paese fischiettando una melodia allegra, ma da qualche settimana aveva smesso di cantare. Molte famiglie temevano che portasse loro cattive notizie, perché all'inizio dell'anno tutti i ragazzi tra i diciassette e i trent'anni potevano essere estratti a sorte per essere arruolati nel servizio militare, ma molti ricchi pagavano o trovavano un sostituto per evitarlo. Il povero uomo era in difficoltà, avrebbe voluto abbandonare la borsa piena di lettere e scappare, ma si sforzava di sorridere, pur sapendo che prima o poi avrebbe dovuto consegnare alle famiglie la cartolina di leva.

Alla fine di gennaio del 1873, arrivò una lettera ufficiale per Mariano. Teresa Moragas Gibert, la madre, era disperata, non riusciva a smettere di piangere, i bambini la circondavano senza sapere cosa le stesse succedendo. Quando José entrò in casa, tutti si precipitarono da lui. Mariano era un po' indietro rispetto al padre, ma sentendo il trambusto capì che era arrivata una brutta notizia.
José aprì la busta e dopo aver letto il documento disse:
- Sei stato sorteggiato, presto dovrai partire.

- Mi dica cosa devo fare, padre e io lo farò, rispose Mariano.
- Mi consulterò col sindaco, ma non per chiedergli di subornare o corrompere qualcuno. La nostra famiglia non ha mai fatto questo genere di cose, ma so che alcune persone sono disposte a offrirgli del denaro per farsi falsificare i documenti. Né quanto meno voglio che ti nasconda sulle montagne e diventi un fuorilegge, come altri giovani hanno fatto. Cercherò anche di chiedere aiuto al parroco.
- Potrei andare a Cuba, disse Mariano.
- Ma non dirlo nemmeno, troveremo un'altra soluzione.
Quello stesso pomeriggio José andò dal sindaco. Il pover'uomo era sopraffatto, poiché non smetteva di ricevere genitori disperati. Quando José entrò nel suo ufficio, gli disse che non avrebbe potuto fare niente per Mariano. Per mesi aveva evitato il reclutamento dei giovani di Malgrat, ma questa volta non ci sarebbe riuscito.
Il segretario, che era un uomo molto pratico, mentre raccoglieva alcune carte della scrivania, disse a José che l'unica soluzione per i ragazzi richiamati era scappare.
- Non voglio che mio figlio si deva nascondere sui monti.
- Macché nascondersi sui monti dovrebbe invece andare a Cuba e tra qualche anno, quando saranno finite le rivolte, potrebbe ritornare.
- Cuba è troppo lontana e non è detto che possa ritornare.
- Meglio andare a Cuba che morire, disse il segretario.
- Senti José, a L'Avana, si sono stabilite alcune persone di Malgrat. Ricordi i farmacisti Sarrá? Ebbene, i due cugini Sarrá, qualche anno fa andarono a Cuba e fondarono con altri soci una farmacia, chiamata Reunión anche perché vendevano prodotti sia allopatici che homeopatici. José è riuscito ad acquistare le quote degli altri soci, diventando il proprietario della Sociedad Sarrá y compañía. José torna spesso a trovare i genitori a Malgrat e la moglie e le figlie a Barcellona e guarda caso dopodomani ritornerà a l’Avana con la nave La Isabela. Mariano potrebbe andare con lui, disse il sindaco.
- I Sarrá sono persone molto importanti a L'Avana, non è la prima volta che aiutano i giovani del nostro paese che emigrano a Cuba, concluse il segretario.
- Non so, non so, mi sembra molto rischioso.
- Invierò un telegramma al farmacista per chiedergli di prendere per Mariano il biglietto della nave e trovare il modo di sistemargli i documenti. È la cosa migliore che tuo figlio possa fare, gli disse il sindaco, dandole una pacca sulla spalla per incoraggiarlo.
José andò dall’anziano prete, ma come temeva fu inutile. Prima di andare via, rimase per un po' nella parte buia della chiesa e pregò chiedendo alla Vergine del Carmen di proteggere suo figlio. Tornò a casa scoraggiato ma allo stesso tempo deciso a seguire le indicazioni del sindaco. Era tardi, i piccoli erano andati a letto, vicino al camino acceso Teresa parlava a bassa voce con Mariano.
- Cosa faremo senza di te? So che hai molto coraggio e andrai avanti da solo, ma io soffro al pensiero. Mi prometti che mi scriverai una lettera ogni quindici giorni? Gli domandò piangendo la madre.
- Non voglio morire in guerra, scapperò in Francia attraverso le montagne. Non si preoccupi, madre, saprò prendermi cura di me stesso.
- Non dovrai fuggire attraverso i monti, ti imbarcherai verso Cuba. Il farmacista Sarrá ti accompagnerà. Domani andrai a Barcellona in treno. L'appuntamento è alle nove di sera davanti al ristorante Les set portes. La nave salperà a mezzanotte.
- Sono pronto per andare a Cuba.
- Teresa, aiutalo a fare i bagagli. Fa caldo a Cuba, non servono abiti pesanti, ma per il viaggio in nave bisogna prendere un cappotto, una coperta, alcune candele, un quaderno, buste, una penna, un calamaio e un paio di libri. Due mesi sono lunghi. Potresti cucirgli una tasca all'interno della giacca per nascondere una mazzetta di soldi. Che ne direste se gli diamo anche le monete d’argento, che abbiamo nascoste nella scatolina dietro la madonna di legno?

Teresa sorrise, le piaceva che il marito chiedesse la sua opinione, anche se la maggior parte delle volte fosse lui a disporre tutto.
- Domani ti preparerò del cibo per il viaggio. Inoltre metterò delle provviste nella tua valigia, una pagnotta, un salamino, un bel pezzo di formaggio stagionato, carne salata, baccalà, mele dell'orto e tutto ciò che mi verrà in mente.
Mariano quella notte stentava ad addormentarsi, pensava al progetto del padre: da una parte si stava realizzando il suo sogno di andare a Cuba, dall'altra aveva paura di abbandonare la famiglia, perché non sapeva quando sarebbe rimpatriato. Quello di cui era sicuro è che non avrebbe mai spezzato i legami con i genitori e fratelli.
- Scriverò loro due o tre lettere dalla nave, un'altra appena sarò arrivato, un'altra quando mi sarò sistemato sull'isola, un'altra.
E pensando all'elenco delle cose da fare piano piano si era addormentato.






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