sabato 22 aprile 2023

La darsena - Cap. 1 (in italiano)

 


Mariano, con la faccia incollata al finestrino del treno che stava per partire per Barcellona, non poteva sospettare che un anno dopo, seduto sullo stesso vagone, la sua vita si sarebbe capovolta. Gli mancava poco per compiere sedici anni, eppure si sentiva già un uomo. Quella notte aveva dormito a malapena, era così agitato all'idea d’intraprendere il suo primo viaggio in treno che prima che sorgesse il sole si era alzato per andare a svegliare il padre. Correva l'anno 1872.
Mariano andava a messa tutte le domeniche con i genitori e i sei fratelli più piccoli. Uscendo dalla chiesa gli uomini rimanevano in piazza a parlare tra loro, ma le donne, quelle che non si potevano permettere di avere servitù, si affrettavano per ritornare a casa a finire di preparare il pranzo. Mariano giocava con gli altri bambini, ma ogni tanto si avvicinava al gruppo di adulti per ascoltare le loro conversazioni. Un giorno, quando aveva circa otto anni, Mariano sentì dire al notaio che la chiesa del paese aveva quasi un secolo.
- Cos'è un secolo? Gli domandò Mariano, guardando il padre, come per chiedergli il permesso di parlare.
- Sono cent'anni, rispose il Notaio.
- Era già abitato il nostro paese cent’anni fa?
- Che bravo questo ragazzo, disse il notaio accendendosi una sigaro.
- La nostra famiglia più di un secolo fa si è stabilita in paese e ha costruito una casa proprio accanto alla chiesa, raccontò José Defaus Ballesté, il padre di Mariano, orgoglioso delle sue origini.
Il giorno dopo Mariano arrivò a scuola molto prima che suonasse la campanella d'ingresso. Il maestro stava preparando l’aula per far disegnare gli scolari.
- Vorrei conoscere la storia della nostra chiesa, lei ne sa qualcosa? Gli domandò Mariano.
- Sono di Barcellona, ma ho letto la storia del paese di Malgrat, ti dirò cosa ricordo: all’inizio del diciottesimo secolo, cioè nel millesettecento, arrivarono diversi coloni dal sud della Francia per bonificare le paludi, che fino ad allora erano state terre infestate da malaria e man mano che cresceva il piccolo nucleo urbano, la cappella esistente diventava più piccola. Presto si cominciò a parlare di costruire un tempio più grande, dove sorgeva l’antica cappella.

Il maestro smise di parlare per qualche secondo e poi domandò:
- Mi segui?
- Sì, il diciottesimo secolo è stato il secolo scorso, giusto?
- Corretto. E grazie ai contributi finanziari di un ricco mercante di nome Agustí Gibert Xurrich, nato a Malgrat ma residente a Barcellona, nel 1761 fu posta la prima pietra dell'attuale chiesa, che per le sue dimensioni finirà per essere chiamata popolarmente La catedral de la costa. Il tempio era un po' sproporzionato per le dimensioni ridotte del paese di allora, dove la maggior parte degli abitanti erano contadini o marinai e ben pochi bottegai e commercianti, ma il mare cominciò a essere una fonte di ricchezza, soprattutto con l'apertura del cantiere navale che diede un nuovo impulso al commercio e all'industria che stava nascendo. La città crebbe, le filande prosperarono e si affermarono nuovi artigiani, come bottai, ebanisti, vasai e seggiolai - rimase in silenzio per qualche secondo e poi gli domandò: - Sai cos'è un cantiere navale?

- Sì signore, è un luogo in cui le navi vengono costruite o riparate.
- Molto bene. La darsena di Malgrat è molto importante, oltre a costruirvi navi, da lì partono e arrivano velieri da una a quattro tonnellate, che effettuano traffici lungo la costa verso Valencia e la Francia.
Mariano ne fu soddisfatto della spiegazione del maestro. Ciò che lo aveva maggiormente colpito era stato apprendere che in paese venivano costruiti velieri così grandi. Da quel giorno, ogni volta che passava insieme al padre col calesse vicino alla spiaggia, gli chiedeva di portarlo a vedere le navi del cantiere navale.

La terra dei campi che la famiglia Defaus coltivava era fertile e non mancava di acqua. Tra il mare e le colline, il fiume Tordera aveva formato nel corso degli anni una grande pianura e alla sua foce un piccolo delta di sabbia grossolana.
Quando padre e figlio si fermavano a guardare la pianura in lontananza, José Defaus gli diceva :
- Quei campi un giorno saranno tuoi.

Mariano rimaneva in silenzio, senza osare dirgli che avrebbe desiderato imbarcarsi per vedere il mondo.
La mattina in cui lui e suo padre presero il primo treno per Barcellona, la stazione era piuttosto affollata. Due fattorini stavano caricando cassette in uno dei vagoni merci, il terzo vagone era destinato ai sacchi postali. Alcune persone scendevano dal treno, altre salivano. José Defaus e suo figlio si accomodarono sul primo vagone di terza classe. Il ragazzo prima di sedersi aprì il finestrino e lasciò entrare l’odore del mare che quel giorno era piuttosto mosso. Mentre guardava il via vai della stazione lo colpì una famiglia numerosa che aveva occupato gran parte della pensilina, con decine di valigie e bauli.
- Molte famiglie benestanti di Barcellona, con una sfilza di bambini e domestiche, prendono il treno per trascorrere i tre mesi estivi nelle località balneari. Sono i proprietari delle ville più belle e lussuose dei paesi della costa, gli disse il padre vedendolo stupito da quello spettacolo.
Mentre aspettava la partenza del treno, si mise a guardare i dettagli della facciata della stazione, e pensò che lui aveva tre anni quando quell'edificio fu inaugurato. Molte volte José raccontava con soddisfazione ai figli i dettagli della festa che si era tenuta il giorno in cui il primo treno era arrivato a Malgrat.
- Non potete immaginare quanta gente si era radunata, c'erano le massime autorità della regione, ma anche tanta gente del popolo, tutti indossavano i migliori vestiti che avevano; il sindaco ci offrì un bicchiere di vino dolce, sia agli uomini che alle donne e la banda del paese suonò tutto il giorno ininterrottamente. La sera abbiamo ballato sardane.
José Defaus Ballesté si recava a Barcellona diverse volte all'anno, per vendere e comprare sementi, oltre che a coltivare la terra si dedicava al commercio. Mariano aveva lasciato suo malgrado la scuola da qualche tempo. Suo padre gli aveva insegnato a seminare, coltivare e raccogliere i prodotti della terra, però non aveva fretta di mostrargli i segreti del mestiere mercantile, temeva di perderlo, conoscendo bene il lato sognatore e avventuriero del figlio. Alla stazione successiva salì sul treno un signore elegante con un cappello di paglia.
- È un grande onore per i catalani aver realizzato la prima ferrovia della penisola, gli disse José allo sconosciuto.
- Sì, lo può ben dire, è un onore per la Catalogna. Io sono di Mataró e il 28 ottobre 1847 ho partecipato all'inaugurazione della prima linea ferroviaria da Barcellona a Mataró. Lo ricorderò per tutta la vita. Forse non sapete chi fu l'artefice di quell'opera colossale?
- Ne so ben poco, secondo quello che mi hanno riferito, era un abitante di Mataró, giusto?
- Se avete tempo vi posso raccontare la storia: nel 1837 fu inaugurata la prima linea ferroviaria della corona di Spagna sull'isola di Cuba, dall'Avana a Güines. Qualche anno prima Miquel Biada Buñol, residente a Mataró, era andato a Cuba e si era arricchito grazie al commercio di tabacco e non solo, si dice che fosse direttamente o indirettamente coinvolto nella tratta di schiavi, fatto sta che riuscì ad accumulare una grande fortuna. Miquel Biada, partecipando all'inaugurazione, si rese conto dei vantaggi del nuovo mezzo di trasporto e disse entusiasta a un amico che voleva tornare in Spagna per costruire una ferrovia tra Barcellona e la sua città natale. Trascorsero alcuni anni prima di poterla realizzare, prima andò a Londra per mettere a punto il progetto e poi con due soci fondò la Companya dels camins de ferro. Nacque così una grande avventura imprenditoriale e un sogno di progresso per la Catalogna.
Mentre si stavano avvicinando alla stazione di Mataró, Mariano domandò al signore del capello di paglia:
- Quanto tempo ci vuole per arrivare a Cuba?
- Ci vogliono circa due mesi.
- Due mesi? Deve essere molto lontana!
- È dall'altra parte dell'Atlantico, è una delle isole dove sbarcò Cristoforo Colombo, l'hai studiata a scuola, vero?
José salutò il distinto signore mentre scendeva dal treno e Mariano cominciò a pensare alla cartina geografica che il maestro aveva appeso qualche tempo prima sopra la lavagna. Subito capì dov'era l'isola di Cuba.
Durante tutto il viaggio Mariano rimase in silenzio, guardando il mare e immaginando se stesso in piedi sul ponte di un veliero in rotta verso Cuba.
Fu colpito dalla città di Barcellona, non riusciva a smettere di ammirare gli edifici imponenti e i grandi viali. Accompagnò il padre a sbrigare delle pratiche in alcuni uffici mercantili. Erano quasi le due del pomeriggio quando andarono a pranzare al ristorante Les set portes, vicinissimo al porto.
Mariano rimase a bocca aperta a contare le sette porte e ad ammirare l'arredamento moderno del locale. Ognuno di loro prese una porzione di esquiexada (piatto a base di bacalà crudo e peperoni) e un piatto di arrós a la cassola (risotto con carne, cipolla e pomodoro). Nel pomeriggio andarono a passeggiare per le stradine intorno alla Cattedrale e lungo Les Rambles. Prima di tornare sui loro passi, José fece vedere al figlio il Teatro del Liceu di recente costruzione. Verso le sei raggiunsero la stazione e presero il treno per tornare in paese.
Durante il viaggio di ritorno Mariano domandò al padre:
- Perché così tanti catalani vanno a Cuba?
- Alcuni sono emigranti volontari, che vanno a lavorare e cercano di fare fortuna, altri sono costretti o perché sono soldati reclutati nelle guerre coloniali o perché fuggono dal paese.
- Vorrei andare a Cuba.
- Ma che dici, sei matto, sei il mio primogenito e dovrai prendere le redini dell'azienda di famiglia. Speriamo che i disordini finiscano al più presto e si ritorni ai tempi di pace.
Seguirono mesi di fermento politico, la situazione in Catalogna andava di male in peggio e in quasi tutta la Spagna si era intensificata la guerra civile, la cosiddetta terza guerra carlista. José non ritornò più col figlio a Barcellona, per evitare di essere coinvolti in proteste di piazza, azioni violente, conflitti sociali e disordini pubblici. La mancanza di volontari per l'esercito fu sopperita con il reclutamento di un maggior numero di ragazzi di diciassette anni.

Ogni mattina il postino passava per le case del paese fischiettando una melodia allegra, ma da qualche settimana aveva smesso di cantare. Molte famiglie temevano che portasse loro cattive notizie, perché all'inizio dell'anno tutti i ragazzi tra i diciassette e i trent'anni potevano essere estratti a sorte per essere arruolati nel servizio militare, ma molti ricchi pagavano o trovavano un sostituto per evitarlo. Il povero uomo era in difficoltà, avrebbe voluto abbandonare la borsa piena di lettere e scappare, ma si sforzava di sorridere, pur sapendo che prima o poi avrebbe dovuto consegnare alle famiglie la cartolina di leva.

Alla fine di gennaio del 1873, arrivò una lettera ufficiale per Mariano. Teresa Moragas Gibert, la madre, era disperata, non riusciva a smettere di piangere, i bambini la circondavano senza sapere cosa le stesse succedendo. Quando José entrò in casa, tutti si precipitarono da lui. Mariano era un po' indietro rispetto al padre, ma sentendo il trambusto capì che era arrivata una brutta notizia.
José aprì la busta e dopo aver letto il documento disse:
- Sei stato sorteggiato, presto dovrai partire.

- Mi dica cosa devo fare, padre e io lo farò, rispose Mariano.
- Mi consulterò col sindaco, ma non per chiedergli di subornare o corrompere qualcuno. La nostra famiglia non ha mai fatto questo genere di cose, ma so che alcune persone sono disposte a offrirgli del denaro per farsi falsificare i documenti. Né quanto meno voglio che ti nasconda sulle montagne e diventi un fuorilegge, come altri giovani hanno fatto. Cercherò anche di chiedere aiuto al parroco.
- Potrei andare a Cuba, disse Mariano.
- Ma non dirlo nemmeno, troveremo un'altra soluzione.
Quello stesso pomeriggio José andò dal sindaco. Il pover'uomo era sopraffatto, poiché non smetteva di ricevere genitori disperati. Quando José entrò nel suo ufficio, gli disse che non avrebbe potuto fare niente per Mariano. Per mesi aveva evitato il reclutamento dei giovani di Malgrat, ma questa volta non ci sarebbe riuscito.
Il segretario, che era un uomo molto pratico, mentre raccoglieva alcune carte della scrivania, disse a José che l'unica soluzione per i ragazzi richiamati era scappare.
- Non voglio che mio figlio si deva nascondere sui monti.
- Macché nascondersi sui monti dovrebbe invece andare a Cuba e tra qualche anno, quando saranno finite le rivolte, potrebbe ritornare.
- Cuba è troppo lontana e non è detto che possa ritornare.
- Meglio andare a Cuba che morire, disse il segretario.
- Senti José, a L'Avana, si sono stabilite alcune persone di Malgrat. Ricordi i farmacisti Sarrá? Ebbene, i due cugini Sarrá, qualche anno fa andarono a Cuba e fondarono con altri soci una farmacia, chiamata Reunión anche perché vendevano prodotti sia allopatici che homeopatici. José è riuscito ad acquistare le quote degli altri soci, diventando il proprietario della Sociedad Sarrá y compañía. José torna spesso a trovare i genitori a Malgrat e la moglie e le figlie a Barcellona e guarda caso dopodomani ritornerà a l’Avana con la nave La Isabela. Mariano potrebbe andare con lui, disse il sindaco.
- I Sarrá sono persone molto importanti a L'Avana, non è la prima volta che aiutano i giovani del nostro paese che emigrano a Cuba, concluse il segretario.
- Non so, non so, mi sembra molto rischioso.
- Invierò un telegramma al farmacista per chiedergli di prendere per Mariano il biglietto della nave e trovare il modo di sistemargli i documenti. È la cosa migliore che tuo figlio possa fare, gli disse il sindaco, dandole una pacca sulla spalla per incoraggiarlo.
José andò dall’anziano prete, ma come temeva fu inutile. Prima di andare via, rimase per un po' nella parte buia della chiesa e pregò chiedendo alla Vergine del Carmen di proteggere suo figlio. Tornò a casa scoraggiato ma allo stesso tempo deciso a seguire le indicazioni del sindaco. Era tardi, i piccoli erano andati a letto, vicino al camino acceso Teresa parlava a bassa voce con Mariano.
- Cosa faremo senza di te? So che hai molto coraggio e andrai avanti da solo, ma io soffro al pensiero. Mi prometti che mi scriverai una lettera ogni quindici giorni? Gli domandò piangendo la madre.
- Non voglio morire in guerra, scapperò in Francia attraverso le montagne. Non si preoccupi, madre, saprò prendermi cura di me stesso.
- Non dovrai fuggire attraverso i monti, ti imbarcherai verso Cuba. Il farmacista Sarrá ti accompagnerà. Domani andrai a Barcellona in treno. L'appuntamento è alle nove di sera davanti al ristorante Les set portes. La nave salperà a mezzanotte.
- Sono pronto per andare a Cuba.
- Teresa, aiutalo a fare i bagagli. Fa caldo a Cuba, non servono abiti pesanti, ma per il viaggio in nave bisogna prendere un cappotto, una coperta, alcune candele, un quaderno, buste, una penna, un calamaio e un paio di libri. Due mesi sono lunghi. Potresti cucirgli una tasca all'interno della giacca per nascondere una mazzetta di soldi. Che ne direste se gli diamo anche le monete d’argento, che abbiamo nascoste nella scatolina dietro la madonna di legno?

Teresa sorrise, le piaceva che il marito chiedesse la sua opinione, anche se la maggior parte delle volte fosse lui a disporre tutto.
- Domani ti preparerò del cibo per il viaggio. Inoltre metterò delle provviste nella tua valigia, una pagnotta, un salamino, un bel pezzo di formaggio stagionato, carne salata, baccalà, mele dell'orto e tutto ciò che mi verrà in mente.
Mariano quella notte stentava ad addormentarsi, pensava al progetto del padre: da una parte si stava realizzando il suo sogno di andare a Cuba, dall'altra aveva paura di abbandonare la famiglia, perché non sapeva quando sarebbe rimpatriato. Quello di cui era sicuro è che non avrebbe mai spezzato i legami con i genitori e fratelli.
- Scriverò loro due o tre lettere dalla nave, un'altra appena sarò arrivato, un'altra quando mi sarò sistemato sull'isola, un'altra.
E pensando all'elenco delle cose da fare piano piano si era addormentato.






giovedì 13 aprile 2023

El astillero - Cap. 1 (en español)


Con la cara pegada en la ventanilla del tren que estaba a punto de salir para Barcelona, Mariano no podía sospechar que un año más tarde, sentado en el mismo vagón, su vida empezaría a dar vueltas. Iba a cumplir dieciséis años; sin embargo, se sentía ya un hombre hecho y derecho. Casi no había dormido en toda la noche de lo nervioso que estaba por emprender su primer viaje y antes de que saliera el sol se levantó para ir a despertar a su padre. Corría el año 1872.

Mariano solía ir cada domingo a misa con sus padres y sus seis hermanos, él era el mayor. Saliendo de la iglesia, los hombres se quedaban en la plaza hablando entre ellos; sin embargo, las mujeres, las que no tenían servidumbre, se apresuraban para volver a casa y rematar la comida. Mariano jugueteaba con los demás chiquillos, pero de vez en cuando se acercaba al corro de los mayores para escuchar lo que decían. Un día, cuando tenía unos ocho o nueve años, Mariano oyó que el notario comentaba que la iglesia dentro de pocos años iba a cumplir un siglo.

- ¿Qué es un siglo? Le preguntó Mariano, mirando a su padre, como pidiéndole permiso para hablar.

- Son cien años, contestó el notario.

- ¿Ya vivía gente en el pueblo?

- ¡Qué chico tan espabilado! Exclamó el notario mientras se encendía un cigarro.

- Nuestra familia se estableció aquí hace más de un siglo y construyó una casa justo al lado de la iglesia, dijo José Defaus Ballesté, el padre de Mariano.

Al día siguiente Mariano llegó a la escuela mucho antes de que tocara la primera campana para empezar las clases. El maestro estaba preparando el aula para que los alumnos hicieran dibujo.

- Me gustaría conocer la historia de la iglesia de Malgrat. ¿Usted sabe algo? Le preguntó Mariano.

- Soy de Barcelona, pero he leído la historia del pueblo.

El maestro empezó a contarle que a principios del siglo dieciocho fueron llegando colones provenientes del sur de Francia, para bonificar las marismas, antes tierras de malaria. El pequeño centro urbano fue creciendo y la capilla del siglo catorce quedó pequeña y fue substituida por el templo monumental.

El maestro se detuvo y le preguntó:

- ¿Has entendido?

- Sí, el siglo dieciocho era el siglo pasado, ¿no?

- Muy bien.

El maestro se sentó y siguió su relato.

Gracias a las aportaciones económicas de un rico comerciante, nacido en Malgrat, pero vecino de Barcelona, llamado Agustí Gibert Xurrich, en 1761 se colocó la primera piedra de la iglesia actual, que por sus dimensiones acabaría siendo llamada popularmente la catedral de la costa. El templo era un poco desproporcionado por lo pequeño que era el pueblo en aquel entonces. La mayoría de sus habitantes eran labradores o marineros y unos pocos comerciantes y tenderos. Sin embargo, con la inauguración del astillero, el mar empezó a ser una fuente de riqueza y dio un nuevo empuje al comercio y a la industria que estaba naciendo. El pueblo se engrandó, prosperaron los fabricantes de hilados y se establecieron nuevos artesanos, como cuberos y alfareros.

Se calló de nuevo y luego le preguntó:

- ¿Sabes lo que es un astillero?

- Sí, señor, es un lugar donde se construyen y reparan barcos.

- Del astillero de Malgrat salen gran cantidad de navíos. Van y vienen de Valencia y del sur de Francia.

Mariano se quedó satisfecho con la explicación del maestro. Lo que le llamó más la atención fue saber que en el pueblo se construían barcos tan grandes. Desde aquel día, cada vez que pasaba en la tartana con su padre cerca de la playa, le pedía que lo llevara al astillero para ver los veleros.

La tierra de los campos que la familia Defaus cultivaba, era fértil y no le faltaba agua. Entre el mar y las colinas, el río Tordera había ido formando a lo largo de los años una grande llanura y en la desembocadura un pequeño delta de arena gruesa.

Mientras a lo lejos padre e hijo divisaban la planicie, José Defaus a menudo le decía:

Esos campos un día serán tuyos.

Mariano se quedaba callado sin osar confesarle que desearía embarcarse para conocer el mundo.

La mañana en que él y su padre tomaron el tren para Barcelona, la estación estaba bastante concurrida. Dos hombres cargaban cajas en uno de los vagones de mercancías, el último era para los sacos de correos. Algunas personas bajaban del tren, otras subían. José Defaus y su hijo subieron al primer vagón de tercera clase. Antes de sentarse, el chico abrió la ventanilla y dejó entrar el olor del mar. Mientras iba observando el bullicio de la estación, le llamó la atención una mujer, con cuatro niños y tres criadas, que ocupaban gran parte del andén, con decenas de maletas y baúles.

- Las familias acomodadas de Barcelona suelen ir a veranear en los pueblos de la costa. Son los dueños de las villas más bonitas y lujosas de los pueblos, le comentó su padre, viéndole asombrado.

Mientras esperaba que el tren se pusiera en marcha, Mariano observó los detalles de la fachada de la estación y pensó en que tenía tres años cuando, en 1859, se inauguró el edificio. Recordaba que a su padre le gustaba contarles, a él y a sus hermanos, los pormenores de la fiesta que se hizo el día en que llegó el primer tren al pueblo.

Había mucha gente, desde las máximas autoridades de la región hasta la gente más humilde, todos se habían engalanado con su mejor ropa, el alcalde ofreció una copa de vino dulce, sea a los hombres que a las mujeres, la banda del pueblo tocó todo el día sin parar y por la noche se bailaron sardanas.

José iba varias veces al año a Barcelona, se ocupaba de vender y comprar granos y semillas, era labrador pero más que a labrar se dedicaba al comercio. Mariano tiempo atrás había dejado la escuela. Su padre le había enseñado a labrar, sembrar y cosechar la tierra; sin embargo, no tenía prisa en mostrarle los secretos de su oficio mercantil, pues temía perderlo, conociendo bien el lado soñador y aventurero de su hijo. En la tercera estación subió un señor muy bien vestido que llevaba un sombrero de paja.

- No le parece una gran cosa que los catalanes hayamos construido la primera línea de ferrocarriles, le comentó José al desconocido.

- Sí, ya lo puede decir, es una honra para Cataluña. Yo soy de Mataró y el 28 de octubre de 1847 participé a la inauguración de la primera línea de Barcelona a Mataró. Lo recordaré toda la vida. ¿Quizás usted no sepa quién fue el artífice?

- Pues sé bien poco, fue un materonés, ¿no?

El señor, con el sombrero de paja, empezó a contarles: En el año 1837 se inauguró la primera línea de tren de la corona de España en la isla de Cuba, de La Habana a Güines. Miquel Biada Buñol, un vecino de Mataró, fue a Cuba para hacer fortuna y en pocos años se hizo muy rico, comerciando tabaco y no sólo, dicen que directa o indirectamente fue un esclavista. El día de la inauguración se dio cuenta de las ventajas del nuevo medio de transporte. Al cabo de poco se propuso volver a España para construir un ferrocarril entre Barcelona y su ciudad natal. Tardó unos años en conseguirlo, primero se fue a Londres para elaborar mejor su proyecto y luego con dos socios fundó la Companya dels camins de ferro... De esta manera se puso en marcha una compleja aventura empresarial y un sueño de progreso para Cataluña.

Cuando el tren se estaba acercando a la estación de Mataró, el señor del sombrero de paja se levantó y, mientras recogía su pequeña maleta, Mariano se atrevió a preguntarle:

- ¿Cuánto se tarda en llegar a Cuba?

- Unos dos meses.

- ¿Dos meses? ¡Debe estar muy lejos!

- Está al otro lado del Atlántico, es una de las islas donde desembarcó Cristóbal Colón. Seguro que lo has estudiado en el colegio.

José saludó al señor distinguido y Mariano se puso a pensar en el mapa que tiempo atrás el maestro les había colgado encima de la pizarra. Entonces cayó en la cuenta de dónde estaba la isla de Cuba.

Mariano durante todo el trayecto estuvo callado, mirando el mar e imaginándose de pie sobre la cubierta de un velero, navegando hacia Cuba.

Le encantó Barcelona, no paraba de admirar los edificios imponentes y las grandes avenidas. Acompañó a su padre a las oficinas mercantiles. Eran casi las dos de la tarde cuando fueron a almorzar cerca del puerto, en el restaurante Les 7 Portes.

Mariano se quedó con la boca abierta, contando las siete puertas y admirando la decoración moderna del establecimiento. Comieron cada uno una ración de esquiexada (plato a base de bacalao crudo y pimientos) y un plato de arrós a la cassola (arroz con sofrito de carne, cebolla y tomate). Por la tarde se entretuvieron paseando por el barrio de la Catedral y por las Ramblas. Antes de volver sobre sus pasos, José quiso que su hijo admirara el recién inaugurado Teatro del Liceo. Hacia las seis llegaron a la estación y cogieron el tren para volver al pueblo.

Durante el viaje de regreso Mariano, le preguntó a su padre:

- ¿Por qué tantos catalanes van a Cuba?

- Algunos son emigrantes voluntarios que van para hacer fortuna, otros están obligados porque son soldados reclutados en las guerras coloniales o porque huyen del país.

- ¡Me gustaría ir a Cuba!

- Pero, ¿que dices? estás loco. Tú eres mi primogénito y debes llevar adelante el negocio de la familia Defaus. Esperemos que se terminen esas malditas revueltas y que pronto volvamos a tiempos pacíficos.

Siguieron meses alborotados, la situación en Cataluña iba de mal en peor y en casi toda España recrudecía la guerra civil, la llamada tercera guerra carlista. José no volvió a Barcelona con su hijo, para no verse implicado en acciones violentas y desórdenes públicos. La falta de voluntarios para el ejército, que en aquellos años, además de ocuparse de los conflictos internos, tenía que contener las sublevaciones de las colonias, se suplía reclutando a un mayor numero de muchachos de diecisiete años.

Cada mañana el cartero solía pasar por las casas del pueblo silbando una melodía alegre, pero llevaba días sin cantar. Muchas familias temían que les trajera malas noticias, pues a principios de año todos los varones de los diecisiete a los treinta años podían ser sorteados para ser reclutados al servicio militar. Sin embargo, los ricos pagaban o encontraban un substituto para evitarlo. El pobre hombre lo pasaba mal, hubiera querido abandonar su bolsa repleta de cartas y huir; sin embargo, intentaba sonreír, a pesar de que sabía que tarde o temprano iba a entregarles la tarjeta de reclutamiento.

A finales de enero de 1873 le llegó a Mariano una carta oficial. Teresa Moragas Gibert, la madre, estaba desesperada, no paraba de llorar, los hijos pequeños la rodeaban sin saber bien lo que le pasaba. Cuando José entró en casa, todos se le echaron encima. Mariano iba un poco rezagado, detrás de su padre, pero oyendo aquel alboroto supo que habían llegado malas noticias.

José abrió el sobre, lo leyó y le dijo a su hijo:

- Te han sorteado.

- Dígame lo que he de hacer, padre, y yo lo haré, le contestó Mariano.

- Voy a pedirle ayuda al alcalde, pero no quiero sobornar a nadie. Nuestra familia nunca ha hecho eso, pero yo sé que hay algunos vecinos del pueblo que están dispuestos a ofrecerle dinero para que les falsifique los papeles. Tampoco quiero que te vayas a la montaña y que te conviertas en un bandolero.

- Podría irme a Cuba, dijo Mariano.

- ¡Pero qué estás diciendo! Encontraremos otra solución.

José aquella misma tarde se fue a ver al alcalde, el pobre hombre estaba agobiado, pues no paraba de recibir a padres desesperados. Cuando entró en su despacho, el alcalde le dijo que no podía hacer nada. Durante meses había evitado reclutamientos de muchachos de Malgrat, sin embargo, esta vez le era imposible ayudarles.

El secretario, que era un hombre muy práctico, mientras recogía unos papeles, le dijo a José que la única solución era escapar.

- Yo no quiero que mi hijo se esconda en los montes.

- Si se marcha a Cuba, seguro que podrá volver cuando terminen las revueltas.

- Cuba, ni hablar, está demasiado lejos y quién sabe si lo volveríamos a ver más.

- Mejor irse a Cuba que morirse en la guerra, le dijo el secretario.

- Mira José, en La Habana se han establecido algunos malgratenses. ¿Te acuerdas de José Sarrá Catalá, el segundo hijo del doctor Sarrá ?

El alcalde le contó que en los años cincuenta José Sarrá y su primo Valentín Catalá se fueron a Cuba y fundaron una farmacia con otros socios. Le pusieron el nombre de La Reunión, por la agrupación de socios y también porque vendían dos tipos de medicamentos, los tradicionales y los homeopáticos. En pocos años José triunfó comprando las participaciones de los otros socios y se convirtió en el dueño de la nueva Sociedad que llamó Sarrá y compañía.

- José visita muy a menudo a sus padres en Malgrat y a su esposa e hijas en Barcelona. Y mira qué coincidencia, pasado mañana él volverá a Cuba con el barco La Isabela. Mariano podría ir con él, dijo el alcalde.

- Los Sarrá son personas muy importantes en La Habana. No es la primera vez que ayudan a los de nuestro pueblo que emigran a Cuba, terminó diciendo el secretario.

- No sé, no sé, me parece muy arriesgado.

- Ahora mismo le voy a enviar un telegrama para que le saque el pasaje del buque y para que le arregle los papeles. Es la mejor cosa que puede hacer tu hijo, le propuso el alcalde, tocándole el hombro para animarlo.

Más tarde, José Defaus se fue a hablar con el cura del pueblo, pero como temía, no sirvió para nada. Se quedó un rato en la parte oscura de la iglesia pidiéndole a la Virgen del Carmen que protegiera a su hijo.

Volvió a casa desanimado pero a la vez determinado en seguir las disposiciones del alcalde. Era tarde, los pequeños se habían acostado. Cerca del hogar, Teresa hablaba con Mariano en voz baja.

- ¿Qué haremos sin ti? Sé que tú tienes muchas agallas y vas a salir de apuros, pero... ¿Me prometes que vas a escribirme una carta cada quince días? Le pidió la madre llorando.

- Yo no quiero morirme en la guerra, huiré a Francia por el monte. No se preocupe, madre, sabré cuidarme.

- No tienes por qué huir al monte, te embarcarás para Cuba. El farmacéutico Sarrá te acompañará. Mañana irás a Barcelona en tren. La cita es a las nueve de la tarde en frente del restaurante Les 7 Portes. El buque va a salir a la una de la madrugada, le dijo decidido.

- Estoy preparado para ir a Cuba.

- Teresa, ¿lo ayudas a hacer el equipaje? En Cuba hace calor, no necesita ropa de lana, pero para el viaje es mejor que se lleve el abrigo. Dale también una manta, velas, papel, sobres, pluma, tintero y un par de libros para el viaje…

- Ahora voy... Yo le cosería un bolsillo en la parte interior de la chaqueta, para esconder los documentos y el dinero.

- Me parece muy bien. ¿Y si le diéramos las monedas de plata que tenemos escondidas en el cofre detrás de la virgen de madera?

Teresa sonrió, sabía que José, como todos los esposos, era el que mandaba en casa, pero le agradecía que le pidiera su opinión.

- Mañana prepararé las provisiones para tu viaje. A ver qué puedo meter en tu maleta... una hogaza de pan, un salchichón, un buen trozo de queso curado, carne salada, quizás también bacalao, manzanas del huerto y… dijo Teresa.

Mariano no lograba dormirse, le daba vueltas a los planes de su padre, por un lado, su sueño de ir a Cuba se estaba realizando, por el otro tenía miedo de alejarse de su familia, pues tampoco sabía si podría regresar a su patria. De lo que estaba seguro es que nunca perdería los vínculos con sus padres y hermanos.

- Les voy a escribir varias cartas desde el buque, otra recién llegado, otra cuando me haya instalado en la isla, otra …

Y pensando en aquella lista de cosas que quería hacer poco a poco, se durmió.