mercoledì 22 giugno 2022

L'appuntamento- Cap 2

 


Dopo alcune settimane Carlo iniziò a raccontare a Elisa un’altra storia.

L’altro giorno mi ha chiamato la cameriera del primo piano, quella che si occupa di pulire e cambiare i letti.

- Direttore, da due ore sta suonando una sveglia nella camere 108. Ogni tanto smette ma dopo qualche minuto riparte. Devo entrare per vedere se è successo qualcosa?

Le ho detto di non preoccuparsi, che ci avrei pensato io. Ho bussato alla porta della camera 108 e dopo pochi minuti mi ha aperto un uomo di mezza età, con i capelli arruffati e con aria assonnata.

- Buon giorno, tutto bene? Abbiamo sentito la sua sveglia che non smette di suonare.

- Tutto a posto.

- Ha bisogno di qualcosa?

- Non saprei. Lei si chiederà perché accendo e spengo in continuazione la sveglia.

- In effetti, me lo chiedevo.

- A casa di solito, quando leggo o cucino, mi metto la sveglia vicina per sentire il tic tac. Ogni tanto inserisco l'allarme. Il suono martellante dello orologio è l’unica cosa che mi fa compagnia e che mi dà pace

- Venga con me nel salone, prendiamoci un caffè.

L’uomo che era ancora in pigiama, ha accolto il mio invito senza protestare. Mi ha detto che sarebbe sceso dopo quindici minuti. Gli ho offerto un cappuccino e una pasta nel bar dell’albergo. Mentre si asciugava, con un tovagliolo di lino bianco, la schiuma del latte che gli era rimasta sulle labbra, ha iniziato a parlare.

Da mesi non usciva più di casa e non vedeva né amici né parenti. Aveva attacchi di panico quando cercava di aprire la porta ed uscire fuori. Ogni volta sentiva un dolore forte sul petto, tornava indietro e si sdraiava sul divano. Dopo un’ora si sentiva meglio. La spesa la faceva attraverso Internet. Aveva ottenuto la pensione anticipata e non aveva problemi economici. Ma la sua precaria routine era stata stravolta da uno strano sogno, che mi ha raccontato, dopo una lunga pausa.

Si vedeva mentre remava faticosamente una barchetta, in un mare le cui onde erano sempre più alte. Sudava e si affannava, sentendosi alla deriva. A un certo punto, come per miracolo, è approdato una spiaggia, dove c’era un albergo. Era un edificio piccolo, ma l’insegna dell’Hotel Placido si vedeva da lontano. Aveva camminato sulla sabbia per un lungo tratto, si sentiva bene, come mai gli era capitato prima, ma questa sensazione è durata poco, il suono insistente della sveglia gli ha fatto aprire gli occhi.

Mi ha detto che quel benessere onirico gli aveva dato l’impulso per cercare, sull’elenco telefonico, un albergo che avesse lo stesso nome di quello del sogno, prenotare una stanza, fare la valigia e prendere il primo treno utile per il mare.

Non sapeva come aveva fatto a uscire di casa. Si ricordava solo che mentre apriva la porta ascoltava il suono della sveglia che si era infilato nella tasca della giacca e che ogni tanto accendeva e spegneva.

Io l’ho incoraggiato, dicendogli che era stato molto bravo, ma che adesso doveva riuscire ad uscire dall’albergo.

- Che storia incredibile. Ed è riuscito veramente ad uscire dall’albergo? Domandò Elisa.

- Si, col mio aiuto è entrato nella porta girevole, mentre con una mano sfiorava il bottone dell’allarme della sveglia che aveva in tasca. Poi ha preso un tassì, ma non so dove sia andato. La sera è rientrato e mi ha detto che sarebbe partito il giorno dopo, per il Brasile, dove aveva trovato un albergo con lo stesso nome.

- In Brasile? Non ci posso credere.

- Cosa faresti tu se non riuscissi ad uscire di casa? Le domandò Carlo.

- Non oso pensarci, anch’io ho avuto attacchi di panico, ma non riesco a parlarne. Non voglio rivangare quel brutto periodo.

Carlo aveva letto da qualche parte che dopo la morte di una persona cara bisogna tirare fuori sentimenti ed emozioni, altrimenti il dolore rimane intrappolato dentro. Un giovedì andò da Elisa deciso a smuoverla.

- Perché non mi racconti di te? Dicono che in terza persona, sia più facile. Provaci.

Quando Carlo era ormai sicuro che lei avrebbe declinato l’invito, rispose.

- Ci proverò, inizierò da quando ho incontrato Fabio, un’ altra volta ti racconterò di prima.

Elisa si era sposata con Fabio a ventidue anni. Lui ne aveva quasi dieci più di lei. A venticinque aveva già due figli. Perché si era sposata così presto? Se lo chiedeva spesso, senza saper darsi una risposta.

Elisa apprezzava la gentilezza e l’affidabilità del marito. Fabio da subito era diventato il suo faro, quello che decideva e aggiustava tutto. Aveva capito di amare Fabio solo quando era arrivata la malattia.

Elisa si rammaricava di essere rimasta incinta appena sposata e di fare un lavoro noioso. Avrebbe voluto licenziarsi e fuggire da quella città.

A Elisa le giornate le sembravano aride e tristi. Per scacciare via i pensieri negativi, correva in palestra, dall'estetista o dal parrucchiere. Si sentiva realizzata solo quando faceva la valigia e partiva col marito per un viaggio, non importava dove fossero diretti.

- Va bene così? O faccio troppa confusione, saltando di palo in frasca? Domandò Elisa.

- Stai andando benissimo, ma adesso però continua, disse Carlo.

Fabio era un uomo ambizioso e capace, in poco tempo aveva tirato su la piccola azienda di montature di occhiali del suocero, che anni prima aveva rischiato il fallimento.

Elisa era miope. Detestava gli occhiali, nonostante avesse a portata di mano i modelli più costosi che suo marito le regalava. Usava esclusivamente lenti a contatto.

Elisa aveva un naso leggermente aquilino, ma a lei non piaceva. Se lo fece rifare, nonostante il marito le avesse sconsigliato vivamente. Ebbe delle complicazioni a causa di una infezione, ma superò stoica dolori e disagi. Quando sparirono gonfiori e lividi, rimase male scoprendo un naso finto, di dimensioni piccole, con la punta troppo in su e le narici sproporzionatamente larghe. Ogni volta che si guardava allo specchio piombava nello sconforto.

Elisa si chiuse in camera. Trascorreva le ore seduta in pigiama sulla poltrona o a letto. Mangiava appena e non riusciva a parlare.

Fabio si spaventò e dovete escogitare un piano per farla uscire di casa. Le parlò di un albergo di lusso in un isola esotica, poi le fece vedere le fotografie delle spiagge da sogno e il programma dettagliato del viaggio. In meno tempo di quello che aveva previsto, convinse la moglie a partire per i Caraibi.

A malincuore vendete alcune azioni e diede in gestione la fabbrica a un uomo di fiduccia. Dopo consigliò a Elisa di richiedere al suo datore di lavoro un periodo di aspettativa non retribuita. Con le tasche piene di banconote partirono.

Elisa la mattina andava in spiaggia, indossava un capello di paglia e appariscenti occhiali da sole. Tutti la guardavano come se fosse un’attrice famosa. Lei si sentiva attraente e smise di pensare al suo naso. Leggeva sotto l’ombrellone mentre si lasciava accarezzare dalla sabbia bianca.

Fabio con la scusa che il sole gli faceva male, rimaneva in albergo a lavorare. Elisa presto ricominciò a raccontare al marito le cose buffe che le erano successe al mare o a parlare col personale e gli ospiti dell'albergo. 

Dopo tre settimane rientrarono a casa, ma dopo poco, Elisa volle ripartire per il Sudest asiatico. In primavera attraversarono la Russia in treno. D’estate andarono negli Stati Uniti. L’inverno arrivò e decisero di partire per l’Australia. Dopo un anno che giravano il mondo, decisero di fermarsi. I lunghi viaggi avevano aiutato Elisa a trovare un suo equilibrio. Rientrando a casa, contrariamente a quello che tutti si sarebbero aspettati, Elisa riprese a lavorare e a sentirsi sollevata, fino a quando una notte Fabio cominciò a tossire e a sputare sangue.

Scoprirono che aveva un tumore molto aggressivo. Fabio aveva capito che gli restavano pochi mesi di vita, invece Elisa non riusciva ad accettare la malattia del marito. Voleva convincere tutti, nonostante le diagnosi degli specialisti, che lui sarebbe guarito. Nelle ultimissime ore di Fabio, Elisa non riuscì a dirgli addio, continuava a ripetergli che presto sarebbe ritornato a casa; poi quando lui era entrato nello stato di incoscienza, avrebbe voluto ringraziarlo per l’amore incondizionato che le aveva dato, ma era ormai troppo tardi.

Elisa organizzò il funerale e sbrigò le pratiche burocratiche con un’ efficienza inattesa. Tante persone andarono a farle le condoglianze, ma il più delle volte era lei a consolare gli altri. Diventava insofferente con chi la compativa.

I figli avevano quasi trent’anni quando Fabio morì, uno lavorava a Roma e l’altro in Canada. Aspettarono una settimana per andarsene via. Elisa avrebbe voluto dire, non partite ancora, ma non lo fece.

Era spaventata, arrabbiata e infelice, ma non voleva che nessuno se ne accorgesse. Non si era permessa di piangere in pubblico nemmeno una lacrima.

Si sforzava di non deludere i figli. Quando chiamava, li sentiva lontani e staccati, ma poi non ci soffriva più di tanto, lei voleva solo il suo Fabio. Si era aggrappata a lui e non riusciva a vivere la sua vita.

- Non guardarmi così, disse Elisa, appena prese fiato.

- Così come? Le domandò Carlo.

- Come se avessi fatto errori tremendi nella mia vita.

- Invece ti guardo con stupore e con ammirazione.

- Non scherzare.

- Non sto scherzando. Non è facile uscire da una depressione, mentre me ne parlavi mi è venuto in mente l’uomo della sveglia... e poi potrei raccontarti di me, ma lasciamo perdere.








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