
Siamo
arrivati alla stazione di notte. A quell'ora passavano pochi autobus,
quindi abbiamo deciso di  andare a casa a  piedi. Nonostante    l'aria fosse  ancora piacevole e non
troppo fredda, le strade erano quasi deserte,  si sentiva ogni tanto solo il passo di qualche raro viandante. Erano gli ultimi giorni di  settembre e la città
stava cominciando a riprendersi, dallo schiamazzo notturno dei mesi
estivi. Il silenzio delle vie era spezzato dal rumore delle  ruote
delle  nostre valige.
Prima
di arrivare  in  piazza  San Giovanni, alla fine di Via Cerretani, abbiamo
incontrato una coppia di amici. Ci siamo fermati qualche minuto a
parlare con loro; lei  non  ha detto quasi niente,  ascoltava  il
marito col sorriso sulla bocca; lui ci  ha raccontato che
tutte le sere, a mezzanotte in punto, andava a fare una lunga
passeggiata per le viuzze della città, perché purtroppo soffriva di
insonnia.
Ogni
tanto la moglie, che era una  brava  scultrice cinese, un po' più   giovane di lui,  si offriva  ad accompagnarlo. 
Lui
era andato in pensione da poco, aveva lavorato  tanti anni  come
architetto in uno studio affermato, ma  a un certo punto, dopo il
divorzio dalla sua seconda moglie, aveva deciso di lasciare la
professione per dedicarsi al disegno artistico. Aveva conosciuto la
ragazza cinese attraverso  uno scambio culturale, dopo poco lei si era trasferita nella 
nostra città  e  si erano sposati. 
La
mattina  si alzava tardi e dopo una lunga colazione   andava a fare la spesa e metteva a posto il loro
appartamento,  non lontano da Piazza della Signoria;  alcune volte
disegnava le bozze  di alcuni pezzi, che poi  lei riproduceva. Dopo
un pranzo frugale e un  piccolo riposino, si preparava l'itinerario
per la sua passeggiata notturna. Sceglieva con cura i libri e gli autori che
parlavano della storia degli edifici e monumenti che avrebbe trovato
lungo il suo percorso. Si sedeva sempre in una poltrona con vista sui
tetti e cominciava a leggere,  di solito con un sottofondo di musica
jazz.
Alle sette preparava  per entrambi un aperitivo a base di  frutta e un po' di liquore, per poi
ritornare  nella sua poltrona.
Verso
le otto cominciava a pensare alla cena. Era un po' maniacale nel
pulire il  pesce o le verdure, ma questo lavoro  manuale, ci diceva,
lo fortificava e lo faceva stare bene.  
La
 sua passione erano i piatti di pesce  elaborati, quindi  piuttosto
lunghi da cucinare. Più impegnativi erano, più si divertiva.
La
moglie,  si vedeva, era contenta e orgogliosa del marito cuocopesce,
così lo chiamava  col suo  buffo accento orientale.
Abbiamo
salutato  quella coppia bizzarra e abbiamo continuato per la nostra  strada facendo
scivolare  sul selciato  le nostre valige.
Appena
attraversata la piazza, abbiamo bordeggiato  la cattedrale e 
subito mi è apparsa lei.  Ho sentito un tuffo al cuore, come la
prima volta. Mi succede sempre  quando mi allontano da
lei per diversi giorni.
La
prima volta che la vidi, ero appena arrivata  a Firenze. Era
venuto a prendermi alla stazione con  una cinquecento bianca, U., il ragazzo toscano, che avevo
conosciuto un mese prima a Barcelona.
Il treno aveva accumulato più di due ore di ritardo, era  pomeriggio
inoltrato, data la stagione invernale era  già calata la notte da un
bel po'.  U.  aveva parcheggiato la sua utilitaria  di fronte all'entrata principale della stazione ferroviaria.
Ricordo
che quando scesi dal treno, non lo vidi subito, ma appena ci
incontrammo, il  nostro intenso abbraccio e il lungo bacio, mi 
fecero  andare tutto il  sangue nella la testa. 
Mentre
uscivamo dalla stazione, mi disse che prima di  andare 
verso  il suo appartamento, che condivideva con altri studenti,
voleva a tutti costi  portarmi a  vedere una  cosa bella.
Non
ero mai salita su una macchina così piccola. Appena seduta  accanto 
a lui,  chiusi gli occhi un attimo per  scacciare via l'enorme stanchezza
che  avevo, dopo quel  viaggio lungo quasi ventiquattro ore.
Lo
guardai mentre era concentrato nel mettere in moto il motore,  mi
fece tenerezza il fatto che  si fosse  coperto la testa e i   folti
capelli  neri, con un cappellino di lana.
Mi tornò in mente una delle prime cose che  lui mi  aveva raccontato, seduti in un caffè della
Plaça Catalunya de  Barcelona.
- Sicuramente qualcuno dei miei antenati era etrusco. Non ci credi?
- Sicuramente qualcuno dei miei antenati era etrusco. Non ci credi?
Guarda bene il mio profilo. Ecco il mio bel naso. Mi ripeteva.
Io
lo  guardavo e ridevo.
Mi
sentivo come dentro a un sogno, seduta accanto a lui; quando ha cominciato
a  guidare, mi  volevo lasciare  andare,  ma ero un po' tesa, dentro di
me  ero intimorita e  mi sentivo in colpa, forse perché avevo vent'anni,
avevo detto una bugia ai miei per poter partire e  conoscevo appena 
quel ragazzo accanto a me.
Mi
ricordo  che è sparito ogni malessere in me  quando l' ho vista emergere
dalla  piazza.  Mentre la
cinquecento passava vicino, vicino all'abside della cattedrale,  sentivo che entrava dentro di me la bellezza di quella cupola  ed allora ho capito che ero
innamorata di quel ragazzo e di quella  città.
-
Ti ricordi il  primo giorno in cui arrivai  a Firenze e  tu mi hai
portato a fare un giro in  macchina?  Ho 
chiesto a mio marito. 
-
Mi  ricordo   bene del  tuo stupore  e della tua  felicità  nello
scoprire il Battistero, il Campanile di Giotto, il Duomo e infine la
cupola del Brunelleschi. Disse
lui sorridendo.
Entrambi
ci siamo fermati  dietro il  Duomo a contemplare l'abside, per ennesima volta;  dopo un  po' abbiamo
voltato per via del Proconsolo. Mentre ascoltavo il rumore dei nostri
passi e delle ruote delle  valigie, ho pensato  che nonostante 
i tanti anni trascorsi da quella prima volta,   sempre mi stupiva  e
rallegrava, la visione della cupola. Voltando per  Via Ghibellina, 
ho respirato  a fondo, come  se volessi  godere  gli ultimi istanti di
quella notte piena di incontri, allora  ho ripensato a  cuocopesce 
e mi sono detta che  l'indomani gli avrei chiesto una delle sue 
nuove ricette. 
 
 
 
Nessun commento:
Posta un commento