venerdì 12 dicembre 2014

Piccoli traslochi


Francisca era seduta sulla vecchia sedia sdraio nella terrazza della casa di campagna. Il marito era andato a fare un giro in bicicletta. I figli, ormai grandi, non seguivano più i genitori il fine settimana o durante le vacanze. Aveva finito un libro e non ne voleva cominciare un altro per continuare a godere  la storia appena letta. Pensò che poteva  controllare la posta elettronica, quindi rispondere i messaggi  o scrivere nuove mail,  seduta al tavolino del giardino, all'ombra del noce, ma si rese conto che aveva dimenticato il carica-batterie del computer portatile in città:
- Peccato! Oggi il giardino è bellissimo, tutto il prato tappezzato da piccole margheritine, che avrebbero fatto di sfondo ai mie scritti. Andrò a prendere carta e penna e scriverò a mano, come nei vecchi tempi. Disse a se stessa.
La campagna intorno alla casa si stava svegliando, gli uccellini avevano un gran daffare in quella mattina di maggio, in lontananza si sentivano le campane che annunciavano la prima messa nel vicino paese.
Andò in camera da letto a cercare della carta per scrivere. In fondo all'ultimo cassetto le apparvero le lettere di sua madre.
Portò il plico di lettere in giardino, si sedette sotto il  grande albero e cominciò a leggerne alcune. Le più antiche erano del 1977, anno in cui Francisca era partita dal suo paese.
Le missive dalla sua terra le arrivavano ogni settimana. La madre, con una bella calligrafia, le raccontava gli avvenimenti più importanti della famiglia e  volte le parlava di alcuni abitanti del paese. Le buste un po' ingiallite, alcune senza francobollo, perché erano stati staccati per regalarli a un vicino di casa collezionista filatelico, sembravano che aspettassero di essere di nuovo aperte.
Alla fine degli anni novanta la corrispondenza cartacea  tra madre e figlia era piano piano diminuita perché diventata quasi esclusivamente telefonica, salvo alcune rare cartoline inviate a Natale o a Pasqua. Una delle ultime lettere, datata nel 1995, scritta  in una carta rosa con delle fragoline  come frontespizio, era molto diversa dalle altre.
Di solito quando la madre scriveva una lettera lo faceva seduta in cucina, raccontando i piccoli aneddoti o i  grandi avvenimenti della loro vita quotidiana, ma parlava poco di se stessa. Invece la lettera delle fragoline era colma di pensieri intimi e cominciava così:

Cara Figlia:
Sono seduta sulla spiaggia guardando il mare, penso sempre intensamente a voi da quando siete partiti, sento nostalgia dei giorni passati insieme, ma soprattutto mi mancano tanto i vostri bambini. Mi sento sola nella nostra grande casa, tuo padre lavora tutto il giorno e io non smetto di rimuginare sui problemi famigliari.
Fino a qualche minuto fa i mie pensieri erano concentrati sulla famiglia di zia Lola. Non ti ho mai raccontato che zio Pepe, suo marito, non mi può soffrire. Lui non mi ha mai perdonato il fatto che io non avessi accettato la richiesta di matrimonio di Juaquín. suo fratello.
Juaquín era il giovane medico di Santa Tecla, quel piccolo paese che dista poco dal nostro. Lo ricordi? Lui era sempre gentile e affettuoso con tutti. Aveva una gran passione per il suo lavoro ed spesso si dimenticava di guardarsi allo specchio. I suoi capelli ribelli e i suoi indumenti fuori moda, gli davano un'aria svanita. Tutti mi dicevano che era un buon partito, ma io non ero sicura di amarlo. Pepe diventò, dopo la morte precoce di suo fratello, l'unico erede di una famiglia benestante, ma un po' strana. Oltre che gli anziani genitori, nella casa della famiglia Tordera, così venivano chiamati, vivevano quattro bizzarri zii  celibi. La gente mormorava che fossero molto avari, forse perché avevano comprato in paese molte case e tanti ettari di terra e non si sapeva bene con quali soldi. I più maliziosi dicevano che anticamente erano stati gli strozzini del paese. Lola, la sorella piccola di tuo padre, sposandosi con Pepe, sacrificò tutta la sua gioventù badando, uno alla volta, i quattro vecchietti.
Ma adesso Lola ha una bella casa, invece io no. Di questo ne sono un po' invidiosa.
Mi sento imprigionata, non ho mai potuto fuggire di questa nostra vecchia dimora.
Vorrei avere avuto una vita diversa, forse per questo, nonostante il dolore che ho sentito alla tua partenza, ora sono contenta e orgogliosa di te, per il coraggio che hai avuto nel lasciare la nostra terra.
Quando sei andata via sono stata molto male, piangevo tutti giorni. Una sera vennero a trovarmi i tuoi zii, ricordo che Pepe, invece di consolarmi, mi fece un gran male, dicendomi che se tu eri scappata via, abbandonando i genitori, era tutta colpa mia.
- Tu non hai carattere, mi diceva.
Lui faceva sparire in me l'allegria di avere dei figli che lottavano per aprirsi spazio nella vita. Mi schiacciava sempre, facendomi sentire che la mia vita era tutta sbagliata.
No ti ho mai detto che alla fine degli anni'50, ho sofferto molto, dopo aver scoperto di aver una rara malattia autoimmune. Anche in quell'occasione Pepe mi umiliava dicendomi che era tutta colpa mia, che ero troppo magra, che mi ero trascurata e soprattutto mi ripeteva che solo sapevo fare infelice gli altri. Ero incinta di tuo fratello, tu avevi appena un anno, mi ricordo che la levatrice del paese, mi diede il coraggio per affrontare la malattia, la nuova gravidanza e il parto.
Guardando il mare vedo la mia vita scorrere, avanti e indietro, cose fatte bene e cose fatte male.
Vorrei essere stata come mia sorella, lei ha un buon cuore, aiuta sempre gli altri, non è invidiosa come me e sempre è contenta di quello che ha.
Il via vai delle onde mi ricorda ossessivamente che ho trascorso tutta la mia vita nella casa secolare dei miei trisnonni, eppure da giovane, volevo andare a vivere altrove. Spesso mi vedevo mentre preparavo il baule e le grandi valige per il trasloco. Invece mi innamorai di tuo padre, che era del nostro paese. Lui mi faceva la corte, era bello, ma povero. Il giorno che l'ho visto ballare con un'altra, ho deciso che lo avrei sposato, anche se il mio sognato trasloco era in pericolo.
Tuo padre ed io, quando ci siamo fidanzati, speravamo, che dopo il matrimonio, saremo andati ad abitare da soli in una casetta, con un piccolo giardino e un pergolato, proprietà di tuo nonno paterno. Ma le cose si sono complicate, qualcuno della famiglia ha fatto cambiare idea a mio futuro suocero. Forse c'è stata la zampina di zio Pepe. No l'ho mai saputo.
Penso che avrei potuto cucinare  per voi dei piatti migliori.
Vorrei tanto poter ritornare al giorno nel quale siete arrivati, te lo dico con tutto il cuore, vorrei essere stata migliore, più affettuosa e più brava, sia come madre che come nonna.
In questi giorni di vacanza ti ho visto sempre presa dai bambini. Penso che non hai mai tempo per te stessa, ma ti sento felice e si vede che stai volentieri con i tuoi figli. Io invece, quando voi eravate piccoli, mi sentivo ingolfata di emozioni, di rabbia, di fallimento, di malattia, di dolore e soprattutto di fatica. Non riuscivo quasi a galleggiare. Volevo solo che passassero gli anni velocemente per vedervi già cresciuti.
Adesso mi sento più tranquilla dopo averti scritto.
Il mare è calmo, come ora lo è il mio spirito, la spiaggia è deserta, come a volte lo è il mio cuore. La schiuma bianca, che mi bagna i piedi, mi accarezza e mi sussurra, che lei non è la stessa acqua di prima, che tutto cambia, anche se noi rimaniamo nello stesso posto. Questo pensiero mi fa capire che in questi anni le cose intorno a me sono mutate, e che forse dovrei accontentarmi dei piccoli traslochi. Si, voglio passare questi ultimi anni accanto a tuo padre, accettando la mia vita, che non è stata come sognavo, ma che dopo tutto adesso non è così male.    
Scrivimi ma non citare questa mia lettera. Ti auguro tutta la felicità di questo mondo. 
Un abbraccio
Tua madre 

Appena finita la lettura, Francisca accarezzò la lettera, la mise tra le pagine del libro che aveva in borsa e pensò che sua madre aveva ragione, se la vita non ci ha regalato dei cambiamenti o noi non siamo riusciti ad aggrapparsi alle nuove opportunità, bisognava accontentarsi dei piccoli traslochi.













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