Anita e suo marito Anselmo sono arrivati in treno con due grandi valige nel mio paese natale della costa catalana, verso gli inizi degli anni quaranta.
Nessuno
sapeva da dove venissero.
Di
Anita, alcuni dicevano, che grazie a una ricca signora, da cui sua
madre lavorava come domestica, aveva potuto frequentare la scuola di
ostetriche a Barcellona. Altri mormoravano che aveva imparato il
mestiere da una vecchia levatrice.
Correva
la voce che Anselmo, già da ragazzino, fosse molto bravo con le
forbici. Dicevano che tagliava i capelli a tutti, grandi e piccoli
nel suo paesino andaluso, prima di emigrare verso la regione
catalana. Durante la guerra civile spagnola faceva il barbiere in
caserma, questa è stata la sua gran fortuna, altrimenti sarebbe
finito come i suoi compagni, morti nella battaglia del Ebro.
Appena
arrivati, Anita e Anselmo, hanno trovato una piccola casa in
affitto, un
baix1,
nel centro storico del paese. Lui ha cominciato a lavorare come
barbiere, lei lentamente si è fatta una clientela come levatrice e
come infermiera.
Erano
una coppia solitaria e un po' misteriosa, nessuno sapeva niente della
loro vita.
La
loro casa era sempre in penombra. Mi ricordo ancora l'ingresso che
faceva da sala d'attesa, se si poteva chiamare così. Appena entrati
si vedevano quattro sedie di formica bianca attaccate al muro, io da
piccola mi ci sedevo intimorita. Non potevo soffrire quella casa
perché mi disgustava quel odore forte di medicine, ma soprattutto
avevo una gran paura delle punture che mi faceva Anita.
La llevadora2,
aveva sempre un sorriso forzato sulle labbra, la rivedo ancora oggi
con il suo vecchio e consumato grembiule bianco nel momento in cui
provava l'ago, spruzzando il liquido da iniettarmi.
Anita
era una donna gentile ma molto riservata. Parlava molto poco.
Sorrideva, anzi rideva, solo quando faceva nascere un bambino. Ha
fatto venire al mondo molte generazioni di creature.
Negli
anni '50, decade della mia nascita, si recava in bicicletta con la
sua valigetta, dalle donne incinte. Il parto avveniva sempre in casa.
Qualche
anno dopo le donne avevano cominciato a partorire in ospedale. I
mariti delle partoriente, portavano di corsa la moglie insieme alla
llevadora, in automobile all'ospedale più vicino. Durante il
tragitto di andata, Anita non sprecava le sue parole, solo
proferiva alcune frasi corte e indispensabili per cercare di
alleggerire le doglie alla futura madre.
I
padri emozionati e un po' storditi, dopo la nascita del loro figlio,
riaccompagnavano Anita al paese. Era in quei viaggi di ritorno,
che quegli uomini sentivano per prima volta la voce calma e profonda
della llevadora.
Mentre
essi guidavano pensando al nascituro, Anita cominciava a parlare.
Pochi di tutti quegli uomini che l'hanno conosciuta, la ascoltavano
veramente. Iniziava sempre dicendo, che era felice ogni volta che
aiutava a far nascere un bambino. Sussurrava, forse a se stessa,
che il travaglio più difficile, che le era capitato, era stato
durante la nascita di suo figlio. Era quella maledetta notte in
cui Anselmo era stato portato in caserma. Queste parole le uscivano
spezzare dall'emozione.
Alla
fine raccontava, come se fosse una cantilena, il sogno che faceva
ogni notte appena si coricava:
Sento la primera punxada,
forts
dolors arriben.
Soc
la llevadora del meu part,
podalic es presenta.
podalic es presenta.
Tremolo.
de sobte m'engenollo
de sobte m'engenollo
surt
un peu,
després
l'altra.
Tremolo.
Estiro
el petit cos,
toco una maneta
després
l'altra.
Tremolo.
El
cos no vol fugir.
Apreto
el cap no pot sortir.
el cap no pot sortir.
Em
desperto
suada i espantada,
suada i espantada,
La
“llevadora”, dicevano alcuni, aveva avuto un figlio, il quale
era morto alla nascita. Altri mormoravano che Anita non poteva avere
figli.
Molti
uomini l'hanno sentita raccontare alcuni brandelli della sua vita ma
nessuno in paese ricorda la storia di Anita.
Anita
e Anselmo in tutti quegli anni trascorsi nel paese hanno fatto poche
amicizie.
Sono
invecchiati come tutti, hanno ottenuto una piccola pensione, e un
giorno senza dire niente a nessuno sono andati via in treno con le
sue grandi valige. Nessuno
sa dove fossero diretti.
Firenze
marzo 2010
1 pianterreno
3 Riconosco la prima fitta. Forti dolori arrivano, sono io la levatrice del mio parto. Si presenta podalico. Tremo. subito m'inginocchio esce un piede, dopo l'altro. Tremo. Tiro fuori il piccolo corpo. Tocco una manina, dopo l'altra. Tremo. Il corpo non viene fuori. Spingo. La testa non può uscire. Mi sveglio sudata e spaventata, ogni notte sento la stessa pugnalata
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