sabato 8 dicembre 2012

La casa delle Cure




Alcuni giorni prima era arrivato a casa l'avviso di una raccomandata. Dovevamo andare a ritirarla in un ufficio postale vicino a Piazza delle Cure.
Quella mattina ero libera, quindi ho preso la bicicletta e mi sono incamminata verso la posta. Senza pensarci troppo ho pedalato verso piazza D'Azeglio, e poi ho seguito la stessa strada che facevo diversi anni prima, quando andavo a casa della signora Natalia.
L'aria della città era quasi calda e ogni pedalata mi riportava tanti ricordi.
All'inizio degli anni ottanta ho conosciuto la signora Natalia in una accademia di lingue, dove insegnavo spagnolo. Ero molto contenta di aver trovato quell’impiego, perché lavoravo solo tre pomeriggi la settimana e questo mi permetteva la mattina di seguire le lezioni alla Facoltà di Geologia di Firenze, dove mi ero iscritta dopo il mio trasferimento da Barcellona. I miei allievi erano adulti e studiavano lo spagnolo per lavoro, per viaggiare, per curiosità o come la signora Natalia per passione.
La trovai seduta al primo banco di una piccola aula, quando arrivai timorosa, per la mia inesperienza, il primo giorno di lezione. Occupava da sola un banco doppio, perché doveva sistemare nella sedia accanto a l'elegante cappotto di lana e sul tavolo il bizzarro cappello. Aveva diversi cappelli, uno per ogni stagione ed io m'incantavo a contemplarla tutte le volte che se li toglieva o se li metteva con una cura quasi maniacale.
Era alta e robusta, ma di portamento aristocratico. I capelli bianchi erano raccolti in una crocchia ben pettinata. Il volto paffutello e i lineamenti delicati le davano unaria gentile, ma gli occhi chiari e vispi, dallo sguardo risoluto, mostravano la sua vera indole. Era molto curiosa, voleva sapere tutto e conoscere il mondo prima di diventare troppo vecchia, per questo aveva tanto interesse a imparare nuove lingue.
Di solito indossava una pacata gonna nera, con sopra delle larghe giacche chiare, ma i colorati foulard di seta fine, che sfoggiava intorno al collo, le davano un'eleganza quasi esotica.
Aveva da poco superato la settantina, ma la gran voglia d'imparare la ringiovaniva.
Durante le mie lezioni era quasi l'unica ad alzare la mano per chiedere delle spiegazioni e il significato di alcune parole.
A volte portavo dei libri e leggevo alcuni brani. Allora per segnare le pagine dei testi piegavo l'angolo superiore, cosa che ora detesto. Lei vedendo quelle “orecchiette” si innervosiva e facendo una risatina isterica mi consigliava di trattare meglio i libri.
Quell’anno a giugno, finiti i corsi, mi chiese il numero di telefono. Verso l'inizio di settembre mi chiamò e mi pregò di farle delle lezioni private.
Ogni martedì dalle dieci alle undici e mezzo mi recavo in bicicletta a casa sua, che si trovava nella zona delle Cure.
Ricordavo che la prima volta che ero stata da lei, appena ero entrata nel vecchio appartamento al pianterreno, piuttosto buio e pieno di mobili antichi, mi aveva raccontato che la sua famiglia era stata molto benestante, perché suo padre aveva una piccola industria di profumi e abitavano in una casa signorile in piazza Savonarola. Dopo la morte del padre, la ditta aveva avuto delle difficoltà e si erano dovuti trasferire in quel lugubre pianterreno del quartiere delle Cure.
La madre era morta da pochi anni e in quella casa aveva abitato da sola Maria, la figlia più piccola, la quale non si era mai sposata e per tutta la vita aveva impartito lezioni private di pianoforte.
La signora Natalia si era trasferita  nella casa delle Cure dopo che si era separata  dal marito, ma questo me lo aveva raccontato nelle settimane successive.
Il pianoforte a coda si trovava nell'unica sala luminosa della casa, che si affacciava su un grande giardino.
Ho frequentato la casa delle Cure per diversi anni e mentre vedevo invecchiare le due sorelle, ricostruivo ogni volta  un pezzetto della storia della loro giovinezza.
Suonavo il campanello, due o tre volte, giacché erano un po' sorde. Mentre aspettavo sentivo i passetti della  signora Natalia. Nei primi tempi, udivo in lontananza il ticchettio rapido delle sue scarpe nere a tacco basso, negli ultimi anni arrivava strascicando le ciabatte.
La prima cosa che faceva era offrirmi una tazza di tè. Mentre aspettavo seduta che lei preparasse l'infusione, mi sentivo a mio agio circondata da quei pesanti mobili antichi, che  raccontavano storie dei loro vecchi proprietari. La mia immaginazione correva fino a che, a un tratto, sentivo la sorella in cucina che borbottava  a uno dei suoi tanti gatti.
- micio mio, come sei bello.
Maria era snella e sembrava fragile con il suo sguardo miope. Tutte le volte che mi si avvicinava, mi salutava e  mi raccontava strane storie di gatti abbandonati, poi andava nel salone più bello della casa e suonava della musica meravigliosa.
Le tazze e la teiera facevano parte del servizio buono, del quale la signora Natalia era molto orgogliosa. Il tempo passava veloce, sedute a quel tavolo troppo lungo per quella piccola stanza. Parlavamo di fronte alla tazza di tè, o meglio parlava lei raccontandomi brandelli della sua vita, dopo andavamo nella sua camera da letto dove, vicino alla finestra, aveva una scrivania. Leggevamo e traducevamo poesie di autori spagnoli o sudamericani. Un giorno mentre recitava un poema di Antonio Machado,  Yo voy soñando caminos, mi raccontò la storia del suo innamoramento:
Una sera piovosa, quando aveva quasi trent'anni, all'uscita del teatro aveva conosciuto un quarantenne bello, ricco e intelligente che le offriva riparo sotto il suo grande ombrello. Nacque subito una grande passione. Natalia era così felice da non vedere che il suo innamorato dipendeva totalmente dalla madre e dalle due sorelle nubili.
Il futuro marito le promise che dopo un anno dal loro matrimonio sarebbero andati a vivere da soli in una villetta nella zona di Poggio Imperiale di loro proprietà, ma che in quel periodo era purtroppo affittata.
Lei, molto innamorata, aveva creduto alle parole del fidanzato.
Le nozze furono austere per volere della suocera, ma l'indomani la famiglia di Natalia organizzò in campagna, in una casa che possedevano vicino alla Consuma, una festa indimenticabile per tutti gli invitati. Dopo pochi mesi rimase incinta. Il marito, con la scusa dell'aiuto che madre e sorelle le potevano dare per accudire il neonato, non volle trasferirsi nella villetta che, nel frattempo, si era liberata. Lei ne fu molto dispiaciuta, ma dato che non voleva rovinare il meraviglioso evento della nascita del figlio e l'affetto del marito, non insistette più.
Gli anni passavano e suocera e cognate diventavano sempre più gelose di lei.
Il secondo figlio nacque dopo dieci anni di matrimonio. Natalia era felice allevando i suoi figli, ma non sopportava l'intromissione delle tre donne.
Quando morì la suocera, le due cognate, libere di agire, l'umiliavano ad ogni occasione.
Una volta, mentre tutti i membri della famiglia stavano parlando con dei cugini che erano arrivati dall'America,  Natalia si mise in un angolo del salotto ad allattare il bambino. Una  delle cognate tirando fuori  fuori un  fazzoletto per coprirle il seno le disse scorbuticamente:
- vai in cucina, non crederai di poter allattare in mezzo alla gente.
- non ci penso nemmeno, voglio stare con voi. Disse lei
- quando ti ci metti riesci a rovinare tutto, rispose l'altra sorella col broncio.
Suo marito, quel giorno non ebbe il coraggio di difenderla e dopo, quando lei gli ricordò la promessa che le aveva fatto, di andarsene insieme da quella casa, lui le confessò che mai avrebbe abbandonato le  sorelle.
Quella notte,  mentre piangeva si diceva:
- non appena si sarà sposato  nostro figlio piccolo, me ne andrò di questa casa, con o senza marito.
Effettivamente lasciò il marito dopo le nozze del secondo figlio. A più di settanta anni, dovette cominciare da sola una nuova vita e trovò che la miglior cosa fosse andare a vivere con Maria.
Ero andata alla casa delle Cure ogni martedì in bicicletta per quasi dieci anni, fino a quando, alla fine degli anni ottanta, era nata la mia prima figlia.
La signora Natalia aveva continuato a chiamarmi di tanto in tanto, e ogni anno per Pasqua mi chiedeva di passare da lei per ritirare dei dolci per i miei figli e così facendo trascorrevamo un bel pomeriggio insieme.
L'ultima volta sono andata a trovarla col mio secondo figlio, allora undicenne. Mi aprì una badante un po' scorbutica e un odore pungente di gatti ci penetrò nelle narici, ma ben presto arrivò la signora Natalia, che camminava a stento aiutata da un bastone. Era felice di vederci e mi abbracciò così affettuosamente che ancora me ne ricordo come se fosse stato ieri.
Non poteva più muoversi di casa, i suoi viaggi erano da diversi anni un lontano ricordo, ma ancora amava la vita e si emozionava leggendo i poemi di Antonio Machado, il suo poeta preferito.
Mi raccontò che sua sorella aveva perso totalmente la testa, viveva solo per i gatti. Aveva animali in tutta la casa. Soprattutto in bagno c'è ne erano più di dieci e li curava come se fossero dei bambini.
Maria non si ricordava più di suonare, voleva solo essere accompagnata ai giardini e nei campi vicini a casa per curare tutti i gatti malati che incontrava.
La situazione era considerata dai figli insostenibile, per questo volevano portare le due donne in una bella casa di cura. Lei si opponeva, ma d'altra parte non desiderava che i figli soffrissero per causa sua. Quindi mi promise che presto mi avrebbe chiamata per dirmi come avevano risolto la situazione.
Passarono le settimane e presa dai mille impegni quotidiani e non pensai più alle due anziane sorelle.
Una mattina tornando dal lavoro, la ragazza che mi aiutava a fare le pulizie, mi disse che aveva ricevuto la telefonata di un signore con una voce molto triste, il quale voleva farmi sapere che era morta sua madre.
Chiamai subito il figlio della signora Natalia, il quale mi raccontò che una settimana prima di far trasferire la madre e la zia in una clinica sulle colline fiorentine, la badante, che aveva aiutato le due anziane a coricarsi, aveva trovato le due donne morte.
La pianista giaceva nel salone circondata dai suoi gatti.
Pareva che si fosse alzata di notte e  che sicuramente, dopo un malore, era caduta lacerandosi una delle vene varicose della gamba, perdendo del sangue. Pensavano che fosse morta subito, per questo non l'avevano sentita chiedere aiuto.
La signora Natalia fu trovata accasciata  sul letto. Sopra al comodino, stranamente sgombro di libri, c'era una tazza di tè del servizio buono, ma nessuno si spiegava come fosse arrivata li. Da molto tempo quelle tazze erano state avvolte nella carta velina  dentro uno uno scatolone e sistemate su uno scaffale del ripostiglio, troppo alto per esser raggiunto da una donna anziana.
Cosa era successo quella notte? Pensavo mentre pedalavo verso Piazza delle Cure. Mi piaceva immaginare che quella donna, quasi centenaria, si era fatta una seconda promessa: - una volta arrivato il momento sarò io a scegliere da dove partire per l'ultimo viaggio.
Le mie gambe conoscevano a memoria quella strada perché senza rendermi conto arrivai di fronte alla casa delle Cure, lasciandomi alle spalle l'ufficio postale e la raccomandata.

Yo voy soñando caminos... 
          Yo voy soñando caminos                     Vado sognando strade
          de la tarde. ¡Las colinas                      della sera. ! Le dorate
          doradas, los verdes pinos,                  coline, i verdi pini,
          las polvorientas encinas!...                 le polverose querce!....

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