Da
quando, quattro anni prima, era morta mia madre tutte le sere
chiamavo mio padre. Così gli tenevo compagnia, mentre lui mi
raccontava minuziosamente i fatti della sua giornata. A volte, quando
doveva andare in bagno o a chiudere una porta o una finestra,
lasciava la cornetta del telefono appoggiata sul tavolino e in quel
tempo di attesa sentivo i rumori della casa.
Il
suono delle campane della chiesa vicina, il miagolio del
gatto, lo scricchiolio della porta della cucina e infine
il rumore dei suoi passi lenti, mi facevano sentire accanto a lui.
Nonostante mi trovassi a più di mille
chilometri di distanza, mi sembrava di vedere le sue ciabatte di
lana cotta che si strascicavano sul pavimento di graniglia, quello
che mia madre aveva lucidato con tanto impegno tutta la sua vita. Poi
lui si sedeva e riprendeva la cornetta del telefono per continuare a
parlare con me.
Mio
padre allora aveva novant'anni e camminava un po' a stento, ma
non voleva la compagnia di una badante, quindi viveva da solo, ma
tutti i giorni andava a pranzo da mia sorella con la sua vecchia
automobile e a cena da mio fratello, che abitava molto vicino alla
casa dove lui viveva da più di sessanta anni. Mio padre si sentiva solo soprattutto la
notte, quando, dopo cena, rientrando a casa, guardava la
televisione, seduto sul vecchio divano scolorito.
A mio
padre non erano mai piaciuti gli animali, ma da quando era rimasto
vedovo, il grosso gatto nero di mia madre era diventato il suo unico
coinquilino.
Non ci
potevo credere la prima volta che ho visto il gattone nero sulle
ginocchia di mio padre, mentre guardava una gara di ballerini di
tango sul vecchio televisore.
Quella
telefonata notturna era per me come un rito. Verso le undici, prima
che U. venisse a dormire, indossavo la camicia di notte, entravo nel
lettone, leggevo qualche pagina del libro che avevo sopra il comodino e poi facevo il solito numero telefonico. Avevo la sensazione
che parlandogli da sotto le coperte gli
avrei trasmesso un po' del mio calore.
Ricordo
che mio padre, i primi giorni dopo la scomparsa di mia madre,
parlava sempre di lei. Si sentiva in colpa, perché diceva che non
l'aveva amata tanto quanto lei aveva amato lui ed era ossessionato dal fatto di non averla portata, dopo che era caduta, in
un buon ospedale.
Per
distoglierlo dai suoi sensi di colpa e dalla nostalgia che sentiva
della sua compagna di vita, gli parlavo della situazione politica
italiana. Appena udiva le mie lamentele verso il primo ministro di
allora, mi diceva:
- Calla,
no diguis res per telèfon. Ens poden escoltar.1
Lo
tranquillizzavo ricordandogli che nessuno aveva interesse di
ascoltarci, ma lui non ci credeva, perché gli ritornava in mente il
terrore che aveva provato, sia durante il periodo della guerra
civile, che durante la lunga dittatura franchista. Per
lui non erano così lontani gli anni in cui il governo di Franco
aveva terrorizzato il paese, prima con el toque de queda2,
poi con i controlli nei luoghi pubblici, le intercettazioni
telefoniche ad opera della guardia civil3
e della polizia, la dura prigione e spesso la pena di morte per
motivi politici.
Ricordava ancora la censura sulla stampa, radio,
letteratura, cinema, teatro, la mancanza di libertà, la messa al
bando dei partiti politici, l'assenza del voto popolare, il
fanatismo religioso, l'abolizione delle feste laiche, la morte
delle lingue minori e l'obbligo di usare dappertutto la lingua
ufficiale.
Un
giorno la sua voce trapelava allegria. Mi ha raccontato che era
andato a fare il pieno di carburante al Parador, così
veniva chiamata la gasolinera4,
che si trovava all'uscita del paese e che aveva incontrato Antón
Soler Bonet, il vecchio proprietario della pompa di benzina, che da
poco aveva passato la gestione al figlio. Agli inizi degli anni
sessanta Antón dovette smettere di coltivare la terra perché le sue
proprietà furono confiscate, a causa della costruzione della
nuova carretera nacional5,
quella che collegava Barcelona alla frontiera francese. Antón,
con tutti i suoi risparmi e il poco denaro che gli
avevano pagato per le sue terre, prese in gestione il
Parador.
Oltre
che la pompa di benzina c'era una piccola pensione e un caffè dove
i viaggiatori si fermavano a dormire o a mangiare un boccone. Alcuni
vecchi del paese avevano preso l'abitudine di andare al Parador a
giocare a carte e a fare tertulia6.
Mio nonno Francisco, in quegli anni, acquistò un’
automobile usata, anche se non sapeva guidarla.
A
nonno Francisco piaceva andare tutti i giorni a giocare a carte al
Parador, quindi mio padre, che aveva preso la patente da
poco, nel primo pomeriggio lo accompagnava e all'imbrunire lo andava
a riprendere.
Antón
quella mattina seduto al sole ricordò a mio padre il giorno in cui
avevano conosciuto Bela Kardos, il chófer alemán7.
Quel
giorno, mentre il gruppo di vecchietti giocava a carte e parlava come
sempre di semina e di raccolti, vide arrivare un pullman, il cui
motore fumava come una locomotiva.
L'autoveicolo
veniva dalla Germania e stava andando a prendere alcuni turisti
tedeschi in una località marina vicina, dove avevano trascorso le
loro vacanze estive.
L'autista
prima sembrava disperato, perché temeva che l'avaria al
motore fosse grave e che sarebbe dovuto rimanere in quel paese
sperduto diversi giorni, ma dopo aver conosciuto i paesani che
frequentavano il Parador, capì che
non era così sfortunato e apprezzò il detto spagnolo: no hay
mal que por bien no venga8.
Appena scese dal veicolo fumante i vecchietti rimasero colpiti
dal fatto che Bela parlasse spagnolo e che inoltre sapesse qualche
parola di catalano.
Quel Bon dia9
e dopo quel vull pa amb tomaquet10
pronunciati dall'autista finirono per conquistare Antón e gli
anziani del paese.
Mio
padre si ricordava che, il giorno che conobbe Bela, era
andato un'ora prima del solito a prendere mio nonno e che lungo la
strada aveva offerto una passaggio ad Anita, la llevadora1,
la quale aveva bucato una ruota della sua bicicletta, mentre stava
andando al paese vicino a visitare una puerpera. Bela, che il
realtà era di origine ungherese, era un uomo di corporatura media,
capelli neri lucidi, naso da pugile e una buona "forchetta".
Era mite, ma molto appassionato quando parlava di politica. Era
laico con idee progressiste come mio padre, ma la cosa che lui
aveva più apprezzato di Bela era che gli aveva raccontato senza
timore quello che succedeva veramente in Europa.
Antón
era vedovo e aveva un desiderio segreto, quello di sposare una
donna tedesca, quindi vide in Bela la strada per raggiungere il suo
sogno.
Il
benzinaio riempì l'autista di attenzioni. Gli preparava ogni
giorno una tortilla12e
altri piatti tipici. I vecchietti insegnarono a Bela il gioco
del parchis13
e alcuni giochi di carte. L'autista vinceva spesso, ma
essendo sempre allegro e scherzoso nessuno ne era invidioso. Si creò
tra di loro, in pochi giorni, un bel sodalizio. Dopo
quella volta dell'avaria, sempre che si recava in Spagna faceva una
sosta nel Parador. Antón qualche anno dopo sposò una
bella donna tedesca. Mio padre, grazie a Bela, riuscì piano piano
a riconquistare la fiducia e la speranza di vedere una Spagna più
libera.
Quella
sera al telefono ho sentito la voce di mio padre ringiovanita.
Quando è tornato da me, dopo aver posato la cornetta sul tavolino
per andare ad aprire la porta al gatto, ho sentito i suoi passi più
leggeri. Mi sembrava un'altra persona, forse il ricordo del suo
amico Bela gli aveva fatto dimenticare il timore che provava di
essere spiato o intercettato. Quella sera mi ha parlato delle sue
idee di democrazia e di libertà cui tutta la vita aveva anelato.
Prima di salutarci mi ha detto che nonostante la sua vecchia età
ancora aveva voglia di vivere, per poter vedere un mondo migliore con
meno ingiustizie e più equità.
Quella
sera era stato mio padre a trasmettermi calore sotto le coperte.
3E'
un corpo di polizia militare equivalente all'arma italiana dei
carabinieri
4Pompa
di benzina
5Strada
statale
6Riunione
di persone che parlano di politica, letteratura, arte,ecc.
7Un
autista tedesco
8Non
c'è male che nuoccia
9Buon
giorno
10Voglio
pane con pomodoro maturo condito con olio e sale.
11La
levatrice
12Frittata
tipica spagnola fatta con 6/8 uova generalmente con patate e
cipolla .
13Gioco
da tavola a quattro di origine araba che si gioca con un dado.
Bajo
las sábanas
Desde
que mi madre se había muerto,
hacía cuatro años,
cada noche llamaba a mi padre. De esta manera le hacía
compañia
mientras él me contaba detalladamente lo que había
hecho durante el día.
A
veces, cuando él iba al cuarto de baño
o a cerrar una puerta o una ventana, dejaba el teléfono sobre la
mesita, yo esperando a que volviese, oía
los ruidos de la casa.
Las
campanadas de la iglesia cercana, el maullido del gato, el crujido
de la puerta de la cocina y finalmente el ruido de sus pasos lentos,
me hacían sentir a su lado.
A pesar de estar a más de
mil kilómetros de
distancia, me parecía que
estaba viendo sus zapatillas de lana que arrastraba en las
baldosas, que mi madre había
dado brillo con tanto esmero toda la vida. Luego se sentaba y cogía
otra vez el teléfono para renudar nuestra conversación.
Mi
padre por aquel entonces tenía más de noventa años
y caminaba un poco inseguro, pero no quería
ninguna cuidadora, por eso vivía
sólo, sin embargo cada día
iba a comer con su viejo automóvil
a casa de mi hermana y a cenar a la de mi hermano, quien vivía
muy cerca del caserón, donde
él habitaba desde hacía
más de sesenta años.
Mi
padre sentía el peso de la
soledad sobre todo por la noche, cuando, después de cenar regresaba a su
casa y miraba la televisión
sentado en el viejo y descolorido sofá.
A
él nunca le habían gustado
los animales, pero desde que se había
quedado viudo, el enorme gato negro de mi madre era su
compañero.
No
me lo podía creer, cuando un
día ví
al gato en el regazo de mi padre, mientras él miraba un concurso de
baile en el viejo televisor.
Aquella
llamada noctura era para mí
como un rito. Hacia las
once, antes de que mi marido se acostara, me ponía
el camisón, me sentaba en la cama, leía unas páginas del libro de mi mesita de noche y luego marcaba siempre el mismo número
telefónico. Tenía la
sensación de que hablándole, abrigada con una manta, le habría
trasmitido un poco de mi calor.
Recuerdo
que mi padre, los primeros días
después de la muerte de mi madre, hablaba siempre de ella. Decía que se sentía
culpable por haberla amado menos de lo que ella lo había
hecho y pensaba obsesivamente que había actuado mal, después de su caída,
llevándola a un pequeño
hospital.
Para
distraerlo de su sentimiento de culpabilidad y de su añoranza
por la compañera
de toda la vida, le hablababa de la situación política
italiana. Oyendo mis quejas hacia el primer ministro de aquel entonces, en
seguida me decía:
-
Calla, no diguis res per telèfon. Ens poden escoltar.1
Lo
tranquilizaba diciéndole que nadie tenía
interés en escucharnos, pero él no me creía,
porque seguía en su cabeza
el terror que había sufrido
en la guerra civil y durante la interminable dictatura franquista.
Para
él aún eran cercanos los años
en que el gobierno de Franco había
terrorizado al país, con el
toque de queda, con la policía o la guardia civil que inspeccionaba a la gente común en los
lugares públicos y espiaba las comunicaciones telefónicas, con la
dura prisiòn y a veces con la pena de muerte por motivos políticos.
Todavía
recordaba la censura de la imprenta, radio, literatura, cine, teatro,
la falta de libertad, los partidos políticos y el voto popular
inexistentes, el fanatismo religioso, la abolición de las fiestas
laicas, la muerte de los idiomas menores y la obligación de usar en
todos los ámbitos la lengua oficial.
Un
día su voz desprendía alegría.
Me contó que había ido a
poner gasolina al Parador, la gasolinera que estaba en las
afueras del pueblo. Allí vio a Antón Soler Bonet, el viejo
propietario del deposito de carburante, que desde hacía
poco tiempo lo había traspasado a su hijo.
A
principios de los años
sesenta, Antón tuvo que dejar de cultivar la tierra porque le
confiscaron sus fincas, a raiz de la construcción de la carretera
nacional que iba de Barcelona a la frontera francesa.
Antón
con sus ahorros y con el poco dinero que le habían
pagado por sus tierras, abrió el Parador.
Además
de la gasolinera el establecimiento tenía una pequeña
pensión y un café para los viajeros que quisieran pasar la
noche o simplemente comer un bocado. Algunos jubilados del pueblo
tenían la costumbre de ir paseando al Parador a jugar a cartas y a hacer tertulia. Mi abuelo Francisco en
aquellos años
compró un coche de segunda mano, sin embargo no lo supo manejar jamás.
Al
abuelo le gustaba ir a jugar a cartas al Parador, por lo tanto mi
padre, que se había sacado el carnet de conducir en aquel entonces, por
las tardes lo acompañaba
y al atardecer lo iba a buscar.
Antón
aquella mañana,
sentado al sol, le recordó el día en el que habían
conocido al chófer alemán, Bela Kardos.
Aquel
día, el grupo de viejecitos mientras jugaba a cartas y charlaba
como siempre de siembra o de cosechas, divisó un autocar, cuyo motor
echaba humo como una locomotora.
El
autobús procedía de Alemania e iba a buscar a un grupo de turistas
alemanes en una cercana localidad de la costa, donde habían
pasado las vacaciones.
El
conductor parecía desesperado pues temía,
que la avería del motor fuera seria y por consiguiente, tener que quedarse en aquel pueblo perdido, pero despuès de haber
conocido a lo parroquianos del Parador, supo que no había
tenido mala suerte y apreció de buena gana el dicho español: no hay mal que por
bien no venga. Mientras
Bela bajaba del autocar los viejecitos se quedaron pasmados oyéndole
hablar español
y algunas palabras de catalán.
Aquel
Bon dia2
y luego aquel vull
pa amb tomaquet3
que el chófer pronunció acabaron de conquistar a Antón y a los
viejecitos del pueblo.
Mi
padre se acordaba que el día en que conoció a Bela, había ido a
buscar al abuelo una hora antes y que en la carretera había encontrado a
Anita la llevadora, quien estaba sentada en la cuneta porque había
pinchado la rueda de la bicicleta, mientras iba a un pueblo cercano a
ayudar a una mujer que iba de parto.
Bela, que en realidad era
de origen húngara, era un hombre alto y bastante robusto, de pelo negro y brillante y la nariz chata de boxeador. Le encantaba comer bien. Era tranquilo, pero
cuando hablaba de política
se entusiasmaba. Era laico con ideas progresistas como mi padre, pero
la cosa que él había valorado
más de Bela era el hecho de que le hubiera contado sin temor todo lo
que estaba sucediendo realmente en Europa.
Antón
era viudo y le hubiera gustado casarse con una mujer
alemana, por eso vio en Bela el camino parar alcanzar su sueño.
El
gerente de la gasolinera era muy amable con el chófer, cada día le
preparaba una tortilla de patatas y demás platos típicos de la zona.
Los viejecitos le enseñaron
a Bela a jugar a parchís y a la butifarra, un juego de cartas. Bela ganaba a
menudo, pero siendo alegre y bromista todo el mundo lo apreciaba. Después de la avería cada
vez que iba a España
se paraba en la gasolinera.
Mi padre, gracias a Bela,
consiguió reconquistar la esperanza y la confianaza de ver una
España
más libre y Antón al cabo de pocos años
se casó con una hermosa mujer alemana.
Aquella
noche la voz de mi padre parecía
rejuvenecida. Cuando volvió al teléfono, después de haber ido a
abrir la puerta al gato, oí sus pasos más ligeros. Parecía
otra persona, quizás el recuerdo de su amigo Bela le había
hecho olvidar el miedo que tenía
de ser espiado. Aquella noche me habló de sus ideas de democracia y
de libertad que toda la vida había
anhelado. Antes de despedirnos, me dijo que, a pesar de su edad aún
tenía ganas de vivir para
poder ver un mundo mejor y más justo. Aquella noche fue mi padre quien me transmitió calor bajo las sábanas.
1Calla
no digas nada. Nos pueden oir.
2Buenos
dias
Che bello leggere dopo aver sentito e un po' dimenticato, ti permette di assaporare di nuovo il piacere di stare insieme e condividere. Ti ringrazio tanto: oggi sarà una bella giornata. Patrizia
RispondiEliminaGrazie per le tue parole.besitos.
EliminaCon i tuoi racconti, dai vita ai rumori della casa, porti le persone fuori dal buio dell'anonimato e ce le metti davanti: ho sentito anch'io il passo strascicato di tuo padre, con le sue ciabatte di lana cotta e mi sembra di vederlo. E' bello e generoso dividere queste emozioni, il calore è arrivato anche sotto alle mie coperte. Gracias, Fina!
RispondiEliminaGrazie lettore o lettrice aninima. Sono contenta che il calore del racconto sia arrivato a coperte lontane. besitos
Eliminaun'altra bella pagina nel tuo modo intimo e delicato di condividere le emozioni della tua vita. Brava Fina! Emanuele
RispondiEliminaGrazie Emanuele. Mi piacerebbe leggere un tuo nuovo racconto. un abbraccio.
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