Quattro
musicisti suonavano Jazz una sera d'estate, mentre ero seduta
davanti a un palco.
Quel
pomeriggio mi era arrivato l'invito di una amica ad andare nella
piazza del mercato, dove il suo compagno la sera suonava.
Ero
da sola perché U. era stanco, cosa strana in lui, che è sempre
pronto ad uscire di casa.
L'aria
era calda, ma nello stesso tempo gradevole,
perché soffiava un po' di vento. Nel cielo si vedeva una luna piena
molto luminosa.
Mi
piaceva stare in mezzo alla gente sconosciuta per potermi
guardare intorno, osservando
attentamente quel pezzettino di mondo, mentre mi ponevo tante
domande:
-
Cosa ci facevo in quell’immenso
universo? Quanto era grande e dove finiva?
-
Quante persone avevano visto e quante altre vedranno la stessa luna
e le stesse costellazioni?
Chiudevo
gli occhi ed immaginavo il nostro pianeta. Lo vedevo come un
minuscolo sassolino insieme ad altri granellini che giravano
intorno a un corpo luminoso. Via via vedevo migliaia di stelle vicine
alla nostra, nella parte periferica della galassia, la quale faceva
parte di uno dei tanti ammassi galattici del nostro sconfinato
universo. Questo pensiero mi faceva girare un po' la testa, ma allo
stesso tempo mi permetteva di apprezzare maggiormente la gente e le
cose intorno a me.
Forse
anche le formiche si disorientavano guardando in lontananza. Ho
ricordato un vecchio libro, che sfogliavo da piccola, le cui
illustrazioni di un formicaio mi avevano molto colpita. I piccoli
insetti avevano costruito il loro rifugio dentro a un pezzo di
tronco marcio, in una zona fitta della foresta tropicale. L'albero
per questi animaletti forse era il loro sistema solare, ho pensato.
C'erano innumerevoli alberi nella boscaglia che loro non potevano
vedere. Inoltre non avrebbero mai potuto scoprire che oltre alla
loro foresta, formata da tante specie vegetali, ce n'erano altre.
Pensavo che se le formiche avessero potuto ragionare, mentre
guardavano il confine del loro tronco, si sarebbero sentite smarrite
come me, ma forse anche felici di stare tutte insieme nel nido che
si erano costruite con tanto impegno.
Accanto
al palco, scorrazzavano alcuni bambini e in fondo alla piazza altri
ragazzi giocavano al pallone. Guardando quei fanciulli mi sono vista
da piccola correre per la piazza principale del mio paese.
Tutte
le domeniche d'estate, all'imbrunire, gli abitanti del paese,
andavano nella piazza a ballare sardanes1,o
a sedersi nei tavolini al fresco, mentre
ascoltavano la musica e prendevano un bicchiere di horchata
de chufa2.
Nel
tardo pomeriggio, gli organizzatori della serata montavano, in fondo
alla piazza, un piccolo palco di legno, dove un’orchestra,
la sera, avrebbe suonato. Per i più piccoli cominciava allora la
festa. La cosa più bella era giocare sul palco e correre
liberamente per la piazza.
Quando
sentivamo le prime note musicali, dovevamo ritornare al tavolo, dalla
nostra famiglia, ma dopo poco scappavamo via per sederci in mezzo a
uno dei cerchi che formavano i danzanti.
Dal
basso vedevo le gambe dei ballerini che si muovevano come le dita di
un musicista quando suona un pezzo al pianoforte. Ricordo che
alcune volte seduta per terra mi divertivo ad osservare le scarpe dei
danzatori.
Guardavo
i sandali nuovi, ma già deformati, della paffuta macellaia, che
sfiguravano accanto alle belle scarpe di cuoio allacciate di suo
marito, il quale da alcuni anni era il sindaco del paese. Ammiravo
poi, le scarpine rosse della vanitosa parrucchiera, che risaltavano
vicino ai consumati mocassini del postino, gli stessi che, tutte le
mattine, con passi sicuri spingevano la bicicletta, con sopra il
borsone carico di missive. Le sue gambe si muovevano con un brio
speciale e io ne rimanevo incantata. Sì, ricordavo bene quei piedi,
quando si appoggiavano sul gradino dell'entrata della nostra casa,
dove d'estate giocavo seduta con le mie bambole, ne ero felice,
perché sicuramente avrebbero portato un vampata di novità. Ogni
mattina lo sentivo cantare, mentre lasciava nelle case vicine
delle lettere, alcune d'amore, mi piaceva pensare. Quando invece
vedevo una striscia nera in alto nella busta, sapevo che erano
avvisi mortuari. Recapitava spesso le cartoline di alcuni paesani
emigrati in America o le notizie dei tanti esuli della guerra
civile. Altre volte vedevo grossi pacchi legati con un grezzo
spago, che fuoriuscivano dalla sua borsa di cuoio, raramente portava
telegrammi o notifiche notarili, ma una volta all'anno consegnava
ai ragazzi ventenni le cartoline di richiamo alla leva.
Alcuni ballerini però, calzavano le comode esperdenyes catalanes3, nonostante la domenica fosse abitudine indossare gli abiti e le scarpe migliori.
Alcuni ballerini però, calzavano le comode esperdenyes catalanes3, nonostante la domenica fosse abitudine indossare gli abiti e le scarpe migliori.
Altre
volte mi piaceva seguire l'andamento di due scarpe sconosciute, che
sceglievo tra le tante per costruirci una storia.
Mi
ricordo una giovane villeggiante, forse di Barcellona, che una
sera, per ballare meglio, si levò, le scarpe. Allora pensai che
era una donna coraggiosa, che non le importava cosa dicessero gli
altri. Immaginai la sua vita così: viveva con le sue amiche nel
centro della città, lavorava come infermiera, aveva un innamorato,
ma soprattutto era molto indipendente, forse come mi sarebbe piaciuto
essere da grande.
Una
domenica di fine estate in cui ero seduta, un po' distante dagli
altri bambini, in mezzo al cerchio di ballerini, la mia mente si era
allontanata dalla piazza mentre mi facevo delle domande:
-
cosa ci facevo in mezzo a tanti piedi? Perché c'erano tante
stelle? Dopo la morte dove andavano tutte le persone? Oltre a
quelle stelle ce n'erano altre?
La
musica jazz aveva smesso di suonare, la gente aveva cominciato ad
alzarsi e ad andare vai.
Camminando
per le strade ancora calde del mio quartiere, mentre tornavo a
casa, sorridevo pensando
che la musica delle sardanes e quella del jazz erano molto diverse, ma che entrambe quella sera mi avevano procurato delle belle sensazione.
Josefina
Privat Defaus.
Novembre 2011
1
Antica danza popolare catalana, molto semplice, dove le persone,
di ogni estrazione sociale, si prendono per le mani formando
grandi cerchi, muovendosi e saltando a suon di musica. Forse ha
origini nel “ballo tondo” sardo.
2
Bevanda naturale e molto rinfrescante preparata con acqua, zucchero
e latte di tubercolo ipogeo, diffuso nelle piane di Valencia,
chiamato in catalano o valenciano xufa
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