martedì 22 novembre 2022

Un uomo buono

 

L’altra mattina ho incontrato per strada Giovanna, una mia coetanea che abita nel nostro quartiere. L’avevo conosciuta quando entrambe avevamo i bambini piccoli. Ci vedevamo in un giardino pubblico, dove, all’uscita della scuola, portavamo i figlioletti, poi c’eravamo perse di vista.

All'inizio non l'avevo riconosciuta, il suo corpo era un po’ appesantito e arrotondato, i suoi capelli corti, una volta neri e folti, adesso erano diventati più radi e bianchi, ma il suo sorriso era lo stesso di tanti anni prima. Il suo piccolo cane annusava l’angolo della strada scodinzolando, mentre noi parlavamo sul marciapiede.

Ricordavo di lei che lavorava in un ospedale della città, era un'infermiera-caposala.

- Ancora lavori, le domandai?

- Sono andata in pensione prima della pandemia, ma dopo poco ho scoperto di avere un tumore molto aggressivo.

- Che sfortuna, mi dispiace tanto!

- Ma nella sfiga sono stata fortunata, ero andata a farmi un’ecografia per altri problemi di poco conto, il giorno in cui hanno scoperto che avevo un tumore polmonare, disse Giovanna portandosi la mano sul petto.

- Meno male. Immagino l’angoscia e la sofferenza che hai patito durante le pesanti terapie antitumorali.

- Ho resistito e sono sopravvissuta a queste cure bestiali. Essendo una donna positiva, ho lottato per i miei due figli e per il nipotino che stava per nascere. Adesso sembra che tutto sia sotto controllo: le terapie hanno funzionato e non devo sottopormi a un’operazione.

Poi Giovanna, tossì, prese una caramella balsamica dalla borsa, la portò in bocca e continuò il suo racconto:

- Mio marito ha fatto quello che ha potuto, ma stava male quando veniva con me in ospedale, una volta è addirittura svenuto. Spesso sono stata accompagnata dai figli, ma qualche volta sono andata alle sedute di chemio e radioterapia con una amica.

- Non eri da sola! Questa è una bella cosa, non tutti hanno la fortuna di avere amici e parenti premurosi!! Le ho detto io.

- Anche mio padre, che allora aveva quasi cent’anni, mi ha aiutata molto. Lui aveva un buon carattere e non si lamentava mai, al contrario quando mi chiamava mi tirava su di morale, raccontandomi aneddoti e ricordi. Mi faceva tanto bene sentire la sua voce.

- Non sapevo che tuo padre fosse vissuto fino a cent’anni. Abitava a Firenze?

- No, abitava nella zona dell’Amiata senese, a Badia San Salvatore, nella casa dove era nato. Da quando era morta mia madre, avevamo deciso di tenerci la brava badante polacca che l’ aveva accudita con tanta dedizione fino alla fine. Mio padre a quei tempi non ne avrebbe avuto bisogno, ma accettava volentieri le nostre disposizioni perché non voleva diventare un peso per noi figli. Mia sorella abita lì vicino e gli dava una mano, ma lui fino all’ultimo è stato sempre in gamba: ogni mattina scendeva in giardino per curare i suoi fiori e annaffiare l’orticello.

- Mi commuovo quando sento parlare di persone come tuo padre. Dalle tue parole percepisco la sua bontà.

- Per me è stato un padre magnifico, ma penso che tutti quelli che lo hanno conosciuto ti potrebbero dire che è stato un grande uomo. Ti voglio raccontare un aneddoto curioso: qualche mese prima della sua morte ricevette una lettera di uno scrittore spagnolo, che mio padre, più di quaranta anni prima, aveva conosciuto. Il ragazzo spagnolo faceva autostop con un amico dalle parti di casa nostra e mio padre dette loro un passaggio. Era diventato buio e lui decise di dargli ospitalità. Mia madre preparò una bella cena e allestì una camera per i due autostoppisti. Nella lettera oltre i ringraziamenti, lo scrittore gli diceva che voleva incontrarlo.

- Bravo lo scrittore che dopo tanti anni si è ricordato della gentilezza e bontà di tuo padre.

- In realtà la storia è un po’ più lunga. Se non hai fretta, te la posso raccontare.

- Molto volentieri. Come vedi sto rientrando a casa dal mercato, anch’io sono in pensione come te e ho tanto tempo a mia disposizione, dissi io appoggiando le borse della spesa per terra.

Giovanna allora cominciò a raccontarmi come si era svolta la faccenda:

Mia sorella, che ha quattro anni meno di me, ha due figli ventenni. L’anno in cui il più piccolo andò in gita in Spagna, prima dell’esame di Maturità, successe qualcosa di incredibile. Il professore d’italiano, insieme alla professoressa di educazione fisica, accompagnarono i ragazzi di quinta Liceo a Barcellona. Girarono per lungo e largo la città, apprezzando la sua vivacità e bellezza. Visitarono anche le opere di Gaudì, il Museo Picasso e la Fundaciò Mirò. Il professore era molto curioso di ascoltare la gente che parlava il catalano e spesso faceva notare ai ragazzi le differenze tra le due lingue parlate in Catalogna. 

Il giorno della partenza per l’Italia, in un’area di servizio, dove si erano fermati a fare rifornimento di benzina, prima della frontiera francese, l’insegnante di lettere comprò El País, uno dei un giornali più importanti della Spagna. Si ricordava le basi grammaticali della lingua spagnola, che aveva imparato nel corso di letteratura all’Università, ma erano anni che non praticava la lingua. Seduto sul pullman che viaggiava veloce attraverso le terre del sud della Francia, il professore aprì il giornale. I ragazzi ascoltavano musica con le cuffie o dormivano, c’era un insolito silenzio. Grazie ai suoi studi classici e alla sua passione per le lingue moderne, il professore riuscì  a capire a grandi linee la maggior parte degli articoli del giornale.

A un certo punto il professore chiamò mio nipote, attraverso il microfono del pullman.

- Gabriele, puoi venire?

Lui, ancora mezzo addormentato, si recò verso la parte anteriore del pullman, dove il professore era seduto.

- Credo di ricordare che tuo nonno sapeva bene il latino e che ogni tanto ti aiutava a fare i compiti. Per caso si chiama Angelo Mambrini? Disse il professore.

- Si, ma perché mi domanda adesso questo?

Il professore, segnalando il giornale che aveva aperto sulle gambe, disse:

- Perché ho appena letto l’articolo di un noto scrittore spagnolo, dove racconta del viaggio che fece in Italia alla fine degli anni settanta. Parla dell’altruismo del señor Angelo Mambrini, il quale una sera, in cui lui e il suo amico, due studenti squattrinati ma pieni di entusiasmo e curiosità, facevano autostop, aveva dato loro un passaggio in macchina. Con grande emozione racconta che senza l’aiuto di tuo nonno quella notte sarebbero morti di freddo e di fame sul bordo di una strada deserta. Al ragazzo spagnolo la prima cosa che aveva colpito di Angelo era il suo sguardo nobile.

- Non ne sapevo niente di questa storia, disse mio nipote.

- Lo scrittore studiava Storia dell’arte all’Università di Granada e amava molto la lingua italiana, anche conoscendola poco. Il suo grande stupore fu scoprire che tuo nonno sapesse il latino e fosse laureato. Dice che, non capendosi sempre nelle rispettive lingue, ogni tanto dovevano ricorrere al latino. Descrive tuo nonno come uomo colto di mezza età, ma semplice come un contadino. Ricorda per filo e per segno la sera in cui furono ospitati a Badia San Salvatore e che la mattina dopo furono accompagnati da  Angelo a Siena, alla fermata dell’autobus per andare a Roma e che consegnò loro dei soldi per il viaggio e una bottiglia del suo miglior vino.

- Mio nonno è veramente così: buono come il pane, disse Gabriele con un filo di voce.

Giovanna  prese dalla borsa  il  cellulare che stava suonando e lo spense,  poi continuò:

Appena ritornati dalla gita, il professore volle andare con Gabriele a conoscere Angelo Manfrini, per rileggergli l’articolo. Mio padre si commosse al vedere il suo nome sull'articolo del giornale e mentre ascoltava la traduzione del professore e poi disse:

- Vidi i due ragazzi spagnoli in lontananza, erano immobili, seduti sul ciglio della strada, ma quando la mia macchina si fermò, i due saltarono di gioia, ormai avevano perso la speranza di avere un passaggio.

- Angelo, si rende conto che il suo gesto generoso è stato immortalato in questo articolo? Disse il professore.

- Per questo voglio ringraziare Antonio, rispose mio padre.

- E noi ti troveremo il suo indirizzo, disse Gabriele.

Gabriele scrisse subito alla casa editrice, dove lo scrittore pubblicava e dopo pochi giorni arrivò l’indirizzo. L’indomani mio padre dettò a Gabriele una lettera.

Giovanna la cercò sul cellulare e la lesse a voce alta:

Caro Antonio,

tra pochi giorni compierò cent’anni. Il regalo più grande, che non avrei mai sognato di avere per questo importante anniversario, è stato leggere il tuo articolo su El País, quello che parla del nostro incontro, avvenuto più di quaranta anni fa.

La vita è fatta da combinazioni incredibili: è stato un caso che quella sera io mi trovassi nella strada provinciale dell’Amiata; il pomeriggio ero andato a Siena per un appuntamento di lavoro, ma mi ero confuso, era per il giorno successivo, quindi stavo rientrando a casa. Voi vi eravate persi, ma ancora non vi eravate resi conto. Vi ho visti infreddoliti e senza pensarci due volte vi ho portati a casa. Ricordo ancora le nostre chiacchierate, un po’ in spagnolo, un po’ in italiano e qualche parola in latino. Avete mangiato con voracità il piatto di pasta e fagioli che aveva cucinato mia moglie e bevuto con gusto il nostro vino rosso.

Qualche giorno fa, il professore di uno dei miei nipoti, rientrando dalla gita scolastica a Barcelona, ha comprato El País, nell’ultimo giornalaio della Spagna, prima della frontiera francese, anche questa è una cosa insolita. Nonostante conoscesse poco la lingua spagnola i suoi occhi sono caduti sul tuo articolo e sul mio nome.

Tutte queste coincidenze mi riempiono il cuore. Mi sento un uomo fortunato, non so come spiegarti le emozioni che ho provato leggendo il tuo scritto.

Mi hai fatto sorridere quando parli del contadino laureato, si, ero un uomo umile ma determinato. Sono stato privilegiato ad aver frequentato in quei tempi l’Università di Siena. Avrei potuto andare a Roma a esercitare la mia professione per guadagnare più soldi, ma io ho voluto rimanere a Badia San Salvatore per aiutare, col mio mestiere, tutti quelli che ne avevano bisogno. Ero fiero della mia terra e dei mie compaesani.

Adesso seduto nel mio giardino chiudo gli occhi e apprezzo quella mia scelta di restare, nonostante fossi stato sconsigliato da parenti e amici. Non sono diventato ricco né famoso, non era il mio scopo di vita, per questo sono in pace con me stesso. Adesso credo di essere pronto per lasciare il mio posto su questa Terra ad altre generazioni.

Tanti complimenti per il grande scrittore che sei diventato. Bravo!!

Grazie di cuore per ricordati ancora di me.

Angelo

- E’ una lettera bellissima! Dissi io.

Giovanna, si era fermata qualche secondo prima di concludere la storia, per prendere un fazzoletto e asciugarsi le due lacrime  che scendevano sul suo viso.

- Lo scrittore rispose subito a mio padre, gli diceva che la sua lettera lo aveva toccato nel profondo e che al più presto sarebbe andato a trovarlo; Ma non fece in tempo, mio padre morì pochi giorni dopo, una notte nel sonno, senza disturbare nessuno. Accettò la morte come aveva accettato ogni cosa della sua vita, quelle buone e quelle cattive. Mi piace pensare che nel suo ultimo sogno, lui si vedeva camminando lentamente per una lunga strada, senza voltarsi indietro, perché sapeva che tra ben poco sarebbe arrivato a destinazione.

- Che belle parole, Giovanna! Volevi molto bene a tuo padre.

- Si, mi manca tanto.

Mentre le campane della chiesa vicina suonavano mezzogiorno, il cane di Giovanna, vedendo un altro cane piuttosto grosso che gli passava accanto col padrone, cominciò ad abbaiare. Giovanna ed io ci siamo accorte che era passata quasi un’ora da quando ci eravamo fermate a parlare, quindi ci siamo salutate, scambiandoci i numeri di telefono. Mentre camminavo con le borse della spesa verso casa pensavo che volevo scrivere la storia dell’uomo buono, per non dimenticarla.






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