Avevo
cinquantacinque anni, quando pensai che in tutti quegli anni
d'insegnamento nessuno dei miei studenti mi aveva mai scritto una
lettera, un po' ne ero dispiaciuta. Quel pensiero, in quella mattina
grigia, mi era venuto in mente ricordando Laura, i viaggi che
facevamo insieme in macchina e la lettera che le aveva scritto un suo
vecchio alunno.
Molti
anni prima avevo vinto un concorso per insegnare alle scuole
superiori, allora avevo circa trent'anni. Ricordo che all'inizio
avevo timore ad insegnare in una lingua che non padroneggiavo
completamente, ma il bel rapporto che nacque con gli studenti fece
svanire in breve le mie paure. Dopo alcuni anni, ci furono dei tagli
nel bilancio statale con la conseguenza che, essendo una delle ultime
in graduatoria, dovetti lasciare la mia cattedra a Firenze per andare
a insegnare nel Mugello.
Subito
ho fatto amicizia con alcuni colleghi, pendolari come me. Tutte le
mattine ci trovavamo in un punto di Via Faentina, dove sotto un
grande albero, lasciavamo parcheggiate le auto. Poi salivamo tutti su
un'unica vettura che, a rotazione, ciascuno di noi metteva a
disposizione degli altri. Ogni giorno percorrevamo la strada da
Firenze a Borgo San Lorenzo, spesso chiacchierando e ridendo e,
nonostante la levataccia, quei viaggi mi piacevano. Un collega di
italiano, il "professore poeta", così veniva chiamato da
tutti, era sempre malinconico, ma grazie a lui ho apprezzato
l'intensità dei colori delle campagne autunnali che traversavamo.
Due
volte la settimana, cominciavo le lezioni alle dieci e mi trovavo a
viaggiare solo con Laura, la quale, ogni mercoledì, prendeva la sua
macchina, in quei giorni mi alzavo contenta perché mi piaceva
percorrere la strada con
lei. Aveva qualche anno più di me, un figlio adulto, un marito
innamorato e una gran passione per la storia e la filosofia, materie
che insegnava nel nostro Liceo. La macchina di Laura era vecchia ma
robusta, la sua guida era rilassante, in quell' abitacolo caldo ci
siamo raccontate brandelli della nostra vita. Laura era molto
premurosa, spesso mi portava, per le mie esperienze di laboratorio,
dei limoni e pane ammuffiti.
Ricordo
la volta in cui, mentre guidavo concentrata la mia piccola utilitaria
bianca, attenta a non finire sul ghiaccio accumulato al bordo della
strada, Laura mi disse che voleva leggermi una lettera di un suo
allievo di qualche anno prima, che si era trasferito negli Stati
Uniti.
Era
una lettera bellissima, che cominciava così:
Cara
Professoressa mi ricordo ancora di lei.............
Ne
rimasi folgorata e contagiata dal piacere che Laura aveva provato nel
riceverla e nel rileggermela.
Forse
era stata una coincidenza, ma il caso aveva voluto che qualche giorno
dopo quei nostalgici ricordi dei viaggi con Laura, una mia alunna mi
scrivesse una lettera. Ma partiamo dall'inizio:
Una
mattina, nell'aula della seconda G della scuola fiorentina dove
lavoravo da un po' di anni, ho visto Elena triste, seduta da sola
all'ultimo banco. Quel giorno quando siamo andati nel laboratorio di
Biologia, per preparare e osservare ce cellule dell'epidermide della cipolla, lei è rimasta seduta
nella sua postazione iniziale, quasi senza guardare nel microscopio i vetrini da osservare.
Era da qualche settimana che avevo notato il suo disinteresse durante
le mie lezioni, mi aveva colpito perché per tutto l'anno precedente
era stata una delle più entusiaste della classe, soprattutto quando andavamo in laboratorio. Elena
non era la stessa di sempre.
Così
all'uscita della lezione le ho parlato. Sembrava che non aspettasse
altro, ha cominciato a chiacchierare, prima serenamente, dopo
impazientemente chiedendo il mio aiuto. Voleva cambiare scuola, non
si trovava bene nella classe, pensava di essersi sbagliata nella
scelta del Liceo e desiderava andare in un Liceo Artistico. Qualche
giorno dopo sono venuta a sapere, che anche altre alunne della classe
erano scoraggiate e insoddisfatte questo mi aveva colpito e
rattristito.
Dopo
qualche settimana i genitori di Elena hanno deciso di lasciarle
cambiare scuola. La perdita di un' alunna è stato sempre un gran
dispiacere per me, ma in quell'occasione ho voluto pensare che
trasferirsi in un'altra scuola sarebbe stato la miglior cosa per lei.
La
mattina del sabato in cui Elena se ne sarebbe andata via, mi sono
svegliata con un pensiero fisso. Dovevo fare qualcosa per la seconda
G, avrei dovuto trasmettere a tutta la classe, non sapevo ancora
come, la bellezza della vita, indurre ad apprezzare che il dono più
grande che tutti abbiamo è quello di essere nati e far capire che
con tenacia e umiltà si possono superare tutti gli ostacoli che vai
via ci si presentano, questo sarebbe stato anche il mio saluto a
Elena.
In
quei giorni stavo spiegando un argomento di genetica, in particolare
la trasmissione dei geni dei gruppi sanguigni. Quella mattina mentre
facevo colazione, sorseggiando un tè caldo e leggendo il giornale,
mi è tornato in mente, un racconto che avevo scritto alcuni mesi
prima.
Lo
scritto parlava della mia nascita prematura a causa del sangue Rh
negativo di mia madre e quello positivo di mio padre e finiva dicendo che ringraziavo un libro di Biologia per avermi fatto capire che ero una donna felice perché ero nata o
meglio perché avevo lottato per poter nascere e ci ero riuscita.
In
quel momento ho pensato istintivamente che scienze e narrativa
potevano essere un buon abbinamento.
Dopo
aver introdotto l'argomento di genetica sull'ampliamento delle leggi
di Mendel, ho detto alle mie allieve che gli ultimi minuti di
lezione, sarebbero stati dedicati alla lettura di quel racconto,
basato appunto sui gruppi sanguigni.
Ero
un po' emozionata, era la prima volta che leggevo un mio scritto a
una classe.
Nell'aula
c'era uno strano silenzio, sentivo la mia voce, con la mia
caratteristica inflessione catalana.
Dopo
qualche giorno mi è arrivata una lettera di Elena che diceva:
Cara
Professoressa:
E'
da più di un anno che ci conosciamo e penso che il rapporto che si è
instaurato, per quanto bello è genuino, è sempre un legame tra
insegnate e alunno che non permette a nessuno dei due di conoscersi
totalmente, spesso a causa di “cliché gerarchici”.
Oggi,
però siamo riuscite a conoscere una grande verità, che lei è
riuscita a trasmetterci anche commuovendoci: la vita è un
meraviglioso regalo ed essendo unica va vissuta al meglio. Ci ha
inoltre dimostrato che lei nutre una vera passione per la sua
materia, cosa non scontata per molti professori, facendoci vedere
come la scienza è comunque presente nel vivere quotidiano.
Non
saprei cosa aggiungere se non grazie di cuore per tutto ciò che mi
ha insegnato e trasmesso.
Elena
Da quel
giorno non potevo più dire, nessuno scrive alla professoressa.
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