Nel leggere l'indirizzo del mittente delle lettere che mia madre scriveva a una sua amica di Andorra e che mi dava da imbucare, ho imparato a scrivere Calle Ollers, nome della strada dove si trovava la nostra casa. Ancora non capivo cosa significasse quella parola catalana, che più tardi ho saputo che voleva dire vasai, ma il suo suono mi piaceva e mi dava sicurezza; sapevo che qualunque cosa fosse successa, sarei potuta tornare in quella viuzza e la mia famiglia mi avrebbe accolta sempre a braccia aperte.
In paese piano piano erano state dismesse le botteghe dei vasai, per cui nessuno pronunciava più quella parola. I bambini avevamo imparato a scuola che coloro i quali si dedicavano a fare vasellame di terracotta venivano chiamati alfareros. Le lezioni erano in lingua spagnola. Le maestre non ci avevano insegnato la nostra lingua, ma a casa e per strada parlavamo in catalano. Nelle scuole di Catalogna, Galizia e del Paese Vasco era stato severamente vietato dalla Dittatura Franchista usare, sia gli studenti che i professori, la lingua madre.
Quando arrivava il bel tempo, il pomeriggio all'uscita dalla scuola, giocavo con le mie cugine nella nostra strada o nel giardino di zia Margarita che abitava vicino a noi. Un giorno, avrò avuto circa otto o nove anni, la mia compagna di banco, Montserrat, chiamata da tutti Montse, mi disse che aveva un cassettone pieno di giornalini, racconti e fumetti; da quel momento la cosa che più desideravo era poter aprire quei cassetti stracolmi di libri. Ma il cassettone di Montse, purtroppo, si trovava dall’altra parte del paese.
Il sabato, giorno dedicato alle pulizie di casa, mia madre ci lasciava giocare fuori tutto il pomeriggio, quindi, quel sabato verso le due, mentre mia sorella ed io stavamo finendo di sparecchiare la tavola, ho chiesto a mia madre:
- Posso andare a giocare a casa della mia amica Montse? ma lei senza lasciarmi finire la frase e senza voltarsi dall'acquaio, dove lavava i piatti, mi ha risposto:
- No, è troppo lontano. Rimane a giocare davanti a casa.
Le ho risposto che avevo poca voglia di giocare per strada e che preferivo andare a casa di zia Margarita.
- D'accordo, ma devi rientrare a casa prima delle sei, disse mia madre.
Suonai da mia zia, ma la porta rimase chiusa. Una vicina mi disse che i miei zii erano andati con le figlie in un paese vicino, per il funerale di un parente lontano. Ho subito pensato al cassettone di Montse; allora istintivamente ho cominciato a correre, ho attraversato il paese e dopo pochi sono arrivata affannata davanti alla casa della mia amica.
La famiglia di Montse stava finendo di pranzare ed io, dopo aver salutato tutti, ho seguito la mia amica che mi ha accompagnata nello stanzino dov'era il mobile pieno di libri.
- Comincia a leggere; io finirò subito da pranzare, mi ha detto mentre mi apriva un dei cassetti.
Ho preso una raccolta di racconti illustrati; ricordo che giravo lentamente le pagine per assaporare meglio quel momento.
La mia testa si stava riempiendo di storie e io ho perso la nozione del tempo e dello spazio. Non ho smesso di leggere quando la mia amica è arrivata.
- Ti ho fatto venire per giocare e non perche tu legga giornalini tutto il tempo, mi disse Montse, alzando un po’ la voce.
Il tempo passava e io non riuscivo ad allontanarmi dal cassettone. Montse aveva rinunciato a farmi uscire dallo stanzino ed era andata a giocare nel cortile con una cugina che abitava nella casa accanto. Io non smettevo di tirare fuori libri dai cassetti.
Era già buio quando ho sentito la voce stridula di mia sorella che da un'ora mi stava cercando per tutto il paese; era arrabbiatissima perché per colpa mia non era potuta andare al cinema con le sue amiche.
Mentre tornavo a
casa, accanto a mia sorella, all'imbocco della strada ho sentito per
prima volta un certo disagio nel veder la targa di marmo col nome
Calle Ollers. Temevo che mia madre fosse furibonda. Ero sicura che, ancora una volta, mi
avrebbe rimproverata, dicendomi che i libri sarebbero stati la mia
perdizione.
Nessun commento:
Posta un commento