Alcuni
giorni prima era arrivato a casa l'avviso di una raccomandata.
Dovevamo andare a ritirarla in un ufficio postale vicino a Piazza
delle Cure.
Quella
mattina ero libera, quindi ho preso la bicicletta e mi sono
incamminata verso la posta. Senza pensarci troppo ho pedalato verso
piazza D'Azeglio, e poi ho seguito la stessa strada che facevo
diversi anni prima, quando andavo a casa della signora Natalia.
L'aria della
città era quasi calda e ogni pedalata mi riportava tanti ricordi.
All'inizio
degli anni ottanta ho conosciuto la signora Natalia in una accademia
di lingue, dove insegnavo spagnolo. Ero molto contenta di aver
trovato quell’impiego, perché
lavoravo solo tre pomeriggi la settimana e questo mi permetteva la
mattina di seguire le lezioni alla Facoltà di Geologia di Firenze,
dove mi ero iscritta dopo il mio trasferimento da Barcellona. I miei allievi
erano adulti e studiavano lo spagnolo per lavoro, per viaggiare, per
curiosità o come la signora Natalia per passione.
La trovai
seduta al primo banco di una piccola aula, quando arrivai timorosa,
per la mia inesperienza, il primo giorno di lezione. Occupava da sola
un banco doppio, perché doveva sistemare nella sedia accanto a sé
l'elegante cappotto di lana e sul tavolo il bizzarro
cappello. Aveva diversi cappelli, uno per ogni stagione ed io
m'incantavo a contemplarla tutte le volte che se li toglieva o se li
metteva con una cura quasi maniacale.
Era alta e
robusta, ma di portamento aristocratico. I capelli bianchi erano
raccolti in una crocchia ben pettinata. Il volto paffutello e
i lineamenti delicati le davano
un’aria
gentile, ma gli occhi chiari e vispi, dallo sguardo
risoluto, mostravano la sua vera indole. Era molto curiosa, voleva
sapere tutto e conoscere il mondo prima di diventare troppo vecchia,
per questo aveva tanto interesse a imparare nuove lingue.
Di solito
indossava una pacata gonna nera, con sopra delle larghe giacche
chiare, ma i colorati foulard di seta fine, che sfoggiava intorno al
collo, le davano un'eleganza quasi esotica.
Aveva da
poco superato la settantina, ma la gran voglia d'imparare la
ringiovaniva.
Durante le
mie lezioni era quasi l'unica ad alzare la mano per chiedere delle
spiegazioni e il significato di alcune parole.
A volte
portavo dei libri e leggevo alcuni brani. Allora per segnare le
pagine dei testi piegavo l'angolo superiore, cosa che ora detesto.
Lei vedendo quelle “orecchiette” si innervosiva e facendo una
risatina isterica mi consigliava di trattare meglio i libri.
Quell’anno a giugno, finiti i corsi, mi chiese il numero di telefono. Verso
l'inizio di settembre mi chiamò e mi pregò di farle delle lezioni
private.
Ogni martedì
dalle dieci alle undici e mezzo mi recavo in bicicletta a casa sua,
che si trovava nella zona delle Cure.
Ricordavo
che la prima volta che ero stata da lei, appena ero entrata nel
vecchio appartamento al pianterreno, piuttosto buio e pieno di
mobili antichi, mi aveva raccontato che la sua famiglia era stata molto benestante, perché suo padre aveva una
piccola industria di profumi e abitavano in una casa signorile in
piazza Savonarola. Dopo la morte del padre, la ditta aveva avuto delle
difficoltà e si erano dovuti trasferire in quel lugubre pianterreno
del quartiere delle Cure.
La madre era
morta da pochi anni e in quella casa aveva
abitato da sola Maria, la figlia più piccola, la quale non
si era mai sposata e per tutta la vita aveva impartito lezioni
private di pianoforte.
La signora
Natalia si era trasferita nella casa delle Cure dopo che si era
separata dal marito, ma questo me lo aveva raccontato nelle
settimane successive.
Il
pianoforte a coda si trovava nell'unica sala luminosa della casa,
che si affacciava su un grande
giardino.
Ho frequentato la casa delle Cure per diversi anni e mentre vedevo invecchiare le
due sorelle, ricostruivo ogni volta un pezzetto della storia
della loro giovinezza.
Suonavo il
campanello, due o tre volte, giacché erano un po' sorde. Mentre aspettavo sentivo i passetti della signora Natalia. Nei primi tempi, udivo in lontananza il
ticchettio rapido delle sue scarpe nere a tacco basso, negli ultimi
anni arrivava strascicando le ciabatte.
La prima
cosa che faceva era offrirmi una tazza di tè. Mentre aspettavo
seduta che lei preparasse l'infusione, mi sentivo a mio agio circondata
da quei pesanti mobili antichi, che raccontavano storie dei loro vecchi proprietari. La mia
immaginazione correva fino a che, a un tratto, sentivo la sorella in
cucina che borbottava a uno dei suoi tanti gatti.
- micio mio, come sei bello.
- micio mio, come sei bello.
Maria era
snella e sembrava fragile con il suo sguardo miope. Tutte le volte che mi si
avvicinava, mi salutava e mi raccontava strane storie di
gatti abbandonati, poi andava nel salone più bello della casa e
suonava della musica meravigliosa.
Le tazze e
la teiera facevano parte del servizio buono, del quale la
signora Natalia era molto orgogliosa. Il tempo passava veloce,
sedute a quel tavolo troppo lungo per quella piccola stanza.
Parlavamo di fronte alla tazza di tè, o meglio parlava lei
raccontandomi brandelli della sua vita, dopo andavamo nella sua
camera da letto dove, vicino alla finestra, aveva una scrivania.
Leggevamo e traducevamo poesie di autori spagnoli o sudamericani. Un
giorno mentre recitava un poema di Antonio Machado, Yo voy
soñando
caminos, mi raccontò la storia del suo innamoramento:
Una sera
piovosa, quando aveva quasi trent'anni, all'uscita del teatro aveva
conosciuto un quarantenne bello, ricco e intelligente che le
offriva riparo sotto il suo grande ombrello. Nacque subito una grande
passione. Natalia era così felice da non vedere che il
suo innamorato dipendeva totalmente dalla madre e dalle due sorelle
nubili.
Il futuro
marito le promise che dopo un anno dal loro matrimonio sarebbero
andati a vivere da soli in una villetta nella zona di Poggio
Imperiale di loro proprietà, ma che in quel periodo era
purtroppo affittata.
Lei,
molto innamorata, aveva creduto alle parole del fidanzato.
Le nozze
furono austere per volere della suocera, ma l'indomani la famiglia
di Natalia organizzò in campagna, in una casa che possedevano
vicino alla Consuma, una festa indimenticabile per tutti gli
invitati. Dopo pochi mesi rimase incinta. Il marito, con la
scusa dell'aiuto che madre e sorelle le potevano dare per
accudire il neonato, non volle trasferirsi nella villetta che, nel
frattempo, si era liberata. Lei ne fu molto dispiaciuta, ma dato
che non voleva rovinare il meraviglioso evento della nascita del
figlio e l'affetto del marito, non insistette più.
Gli anni
passavano e suocera e cognate diventavano sempre più
gelose di lei.
Il secondo
figlio nacque dopo dieci anni di matrimonio. Natalia era felice
allevando i suoi figli, ma non sopportava l'intromissione delle tre
donne.
Quando morì
la suocera, le due cognate, libere di agire, l'umiliavano ad ogni occasione.
Una volta,
mentre tutti i membri della famiglia stavano parlando con dei
cugini che erano arrivati dall'America, Natalia si mise in un
angolo del salotto ad allattare il bambino. Una delle cognate tirando fuori fuori un fazzoletto per coprirle il seno le disse scorbuticamente:
- vai in cucina, non crederai di poter allattare in mezzo alla gente.
- non ci penso nemmeno, voglio stare con voi. Disse lei
- quando ti ci metti riesci a rovinare tutto, rispose l'altra sorella col broncio.
Suo marito, quel giorno non ebbe il coraggio di difenderla e dopo, quando lei gli ricordò la promessa che le aveva fatto, di andarsene insieme da quella casa, lui le confessò che mai avrebbe abbandonato le sorelle.
- vai in cucina, non crederai di poter allattare in mezzo alla gente.
- non ci penso nemmeno, voglio stare con voi. Disse lei
- quando ti ci metti riesci a rovinare tutto, rispose l'altra sorella col broncio.
Suo marito, quel giorno non ebbe il coraggio di difenderla e dopo, quando lei gli ricordò la promessa che le aveva fatto, di andarsene insieme da quella casa, lui le confessò che mai avrebbe abbandonato le sorelle.
Quella
notte, mentre piangeva si diceva:
- non appena si sarà sposato nostro figlio piccolo, me ne andrò di questa casa, con o senza marito.
Effettivamente lasciò il marito dopo le nozze del secondo figlio. A più di settanta anni, dovette cominciare da sola una nuova vita e trovò che la miglior cosa fosse andare a vivere con Maria.
- non appena si sarà sposato nostro figlio piccolo, me ne andrò di questa casa, con o senza marito.
Effettivamente lasciò il marito dopo le nozze del secondo figlio. A più di settanta anni, dovette cominciare da sola una nuova vita e trovò che la miglior cosa fosse andare a vivere con Maria.
Ero andata alla casa delle Cure
ogni martedì in bicicletta per quasi
dieci anni, fino a quando, alla fine degli anni ottanta, era nata
la mia prima figlia.
La signora
Natalia aveva continuato a chiamarmi di tanto in tanto, e ogni anno
per Pasqua mi chiedeva di passare da lei per ritirare dei dolci per i
miei figli e così facendo trascorrevamo un bel pomeriggio insieme.
L'ultima
volta sono andata a trovarla col mio secondo figlio, allora
undicenne. Mi aprì una badante un po' scorbutica e un odore pungente
di gatti ci penetrò nelle narici, ma ben presto arrivò la
signora Natalia, che camminava a stento aiutata da un bastone. Era
felice di vederci e mi abbracciò così affettuosamente che ancora
me ne ricordo come se fosse stato ieri.
Non poteva
più muoversi di casa, i suoi viaggi erano da diversi anni un lontano
ricordo, ma ancora amava la vita e si emozionava leggendo i poemi di Antonio Machado, il suo
poeta preferito.
Mi raccontò
che sua sorella aveva perso totalmente la testa, viveva solo per i
gatti. Aveva animali in tutta la casa. Soprattutto in bagno c'è ne
erano più di dieci e li curava come se fossero dei bambini.
Maria non si
ricordava più di suonare, voleva solo essere accompagnata ai
giardini e nei campi vicini a casa per curare tutti i gatti malati che incontrava.
La
situazione era considerata dai figli insostenibile, per questo
volevano portare le due donne in una bella casa di cura. Lei si
opponeva, ma d'altra parte non desiderava che i figli soffrissero per
causa sua. Quindi mi promise che presto mi avrebbe chiamata per dirmi
come avevano risolto la situazione.
Passarono
le settimane e presa dai mille impegni quotidiani e non pensai più alle due anziane
sorelle.
Una mattina
tornando dal lavoro, la ragazza che mi aiutava a fare le pulizie, mi
disse che aveva ricevuto la telefonata di un signore con una voce
molto triste, il quale voleva farmi sapere che era morta sua madre.
Chiamai
subito il figlio della signora Natalia, il quale mi raccontò che
una settimana prima di far trasferire la madre e la zia in una
clinica sulle colline fiorentine, la badante, che aveva
aiutato le due anziane a coricarsi, aveva trovato le due donne
morte.
La pianista
giaceva nel salone circondata dai suoi
gatti.
Pareva che
si fosse alzata di notte e che sicuramente, dopo un malore, era caduta
lacerandosi una delle vene varicose della gamba, perdendo del
sangue. Pensavano che fosse morta subito, per questo non l'avevano sentita
chiedere aiuto.
La signora
Natalia fu trovata accasciata sul letto. Sopra al comodino,
stranamente sgombro di libri, c'era una tazza di tè del
servizio buono, ma nessuno si spiegava come fosse arrivata li. Da molto
tempo quelle tazze erano state avvolte nella carta velina dentro uno
uno scatolone e sistemate su uno scaffale del ripostiglio, troppo
alto per esser raggiunto da una donna anziana.
Cosa era
successo quella notte? Pensavo mentre pedalavo verso Piazza delle
Cure. Mi piaceva
immaginare che quella donna, quasi centenaria, si era fatta una
seconda promessa: - una volta
arrivato il momento sarò io a scegliere da dove partire per
l'ultimo viaggio.
Le mie gambe
conoscevano a memoria quella strada perché senza rendermi conto
arrivai di fronte alla casa delle Cure, lasciandomi alle spalle
l'ufficio postale e la raccomandata.
Yo
voy soñando caminos...
Yo
voy soñando caminos
Vado sognando strade
de
la tarde. ¡Las colinas
della sera. ! Le dorate
doradas,
los verdes pinos, coline, i
verdi pini,
las
polvorientas encinas!... le
polverose querce!....