Ieri sera mio marito ha invitato degli amici a cena. Non ci vedevamo da qualche anno. Dopo avermi salutata, il nostro amico, guardandomi, mi hanno detto:
—Sei molto carina. Hai fatto qualcosa ai capelli?
—Beh, proprio in questi giorni, non mi ci vedo con questo taglio. Non so se lasciarmi crescere i capelli o tagliarmeli —gli ho risposto.
—Se questo è il tuo unico problema, significa che stai bene.
Era vero, stavo trascorrendo un buon periodo in armonia con mio marito e al lavoro. Ero soddisfatta anche dei nostri figli che erano già indipendenti e vivevano per conto proprio.
Tuttavia sentivo una strana inquietudine, che avevo già percepito in passato. In quelle occasioni vedevo i miei capelli sempre più sottili e mi sentivo particolarmente insicura. Da diversi giorni mi guardavo allo specchio da vicino e mi ripetevo:
—Prima di Natale andrò dal parrucchiere, ma non voglio accorciare troppo i capelli.
Fin da bambina amavo le trecce, le crocchie o i capelli raccolti. Ancora mi piacciono i capelli lunghi, ma in poche occasioni ho lasciato che i miei capelli crescessero.
Vado dal parrucchiere ogni due mesi circa per farmi tingere i capelli di biondo e sistemare il taglio. Ogni volta mi dice:
—I tuoi capelli sono forti e sani, ma sono così fini che non puoi permetterti di portarli lunghi, perché non hanno volume e ti rimarrebbero schiacciati sulla testa.
In mezzo a tutti quei pensieri, mentre i due ospiti e mio marito guardavano al computer delle fotografie e delle mappe topografiche di una zona del Chianti, mi sono venuti in mente dei ricordi che avevo quasi dimenticato:
Ogni mattina mia madre mi faceva due trecce e mi diceva:
—Nemmeno mettendole insieme, le tue due trecce raggiungerebbero lo spessore di una delle trecce di tua cugina.
Il giorno prima di Natale dei primi anni Sessanta, mia madre cercò di risolvere il problema dei miei capelli fini a modo suo, trascinandomi da Ramona, la sua parrucchiera, per farmi fare una permanente. Poi se ne andò subito a casa, lasciandomi circondata da donne curiose, che mi guardavano senza ritegno. Erano sedute con la schiena diritta, sotto i caschi degli asciugacapelli che coprivano parte delle loro teste, ma i loro occhi erano sempre puntati su di me. All’epoca avevo circa sei anni.
Ricordo che mi hanno fatto aspettare a lungo, seduta su una poltrona. La ragazza che si occupava del lavaggio dei capelli mi guardava e mi sorrideva, come per dire: poverina. Ramona, invece, non mi ha quasi considerata durante l’attesa. Quel giorno ho scoperto che era una donna molto loquace e anche piuttosto pettegola. Suo marito, che è venuto al salone a portare dei pacchi, era piuttosto mingherlino, al contrario di lei, che era un donnone.
Quando è arrivato il mio turno, la ragazza che si occupava dei lavaggi ha messo dei cuscini su una sedia per rialzarmi e mi ha legato un telo bianco al collo; poi, per proteggere il vestito, ne ha messo un altro più grosso sopra. Ramona, invece, è stata molto meno premurosa nell'operazione di prendere piccoli ciuffi di capelli e arrotolarli intorno ai bigodini di legno e fissarli poi con dei nastrini elastici. Mentre Ramona, svogliata, mi metteva gli ultimi bigodini, mi ha detto che avrei dovuto fare la permanente per tutta la vita. Quando ha finito, ho notato che la testa mi faceva male, e sentivo come se qualcuno mi tirasse il cuoio capelluto. Poi, con una sorta di pennello, mi hanno messo un intruglio appiccicoso dall’odore sgradevole. Alla fine di quell’operazione, mi hanno detto che quel liquido agiva lentamente, e che avrei dovuto aspettare un'ora. Poiché il salone si trovava abbastanza vicino a casa nostra, mi hanno avvolto la testa con un asciugamano e mi hanno mandata a casa.
Ricordo la rabbia e la vergogna che provai nell'attraversare la piazza principale del paese con quel pastrocchio in testa. Appena arrivata a casa, sono scoppiata a piangere e non volevo più tornare nel salone di Ramona. Mia madre, però mi convinse a tornarci, spiegandomi che se non mi avessero sciacquato la testa dopo un’ora, i miei capelli si sarebbero bruciati a causa del liquido della permanente. Entrai nel salone sconvolta. Ramona, vedendo la mia faccia tolse i bigodini con più delicatezza e quando mi guardai allo specchio con i capelli ricci, non vidi una bambina, ma una donna in miniatura. Ho detto ad alta voce, in modo che Ramona e tutte le pettegole che mi spiavano sotto i caschi sentissero, che non sarei più tornata e ho mantenuto la mia promessa.
Per fortuna il giorno dopo era festa, e mi sono dimenticata dei miei capelli ondulati. Alle due gli adulti si sono seduti a tavola per il pranzo di Natale e noi bambini eravamo liberi di giocare liberamente per tutta la casa.
Da adulta, ho capito che mia madre, facendomi fare la permanente, aveva agito nel miglior modo possibile, voleva che fossi bella durante le feste natalizie, perché lei aveva i capelli sottili come i miei e ne aveva sofferto molto da giovane. La ricordo, però felice quando andava da Ramona a farsi fare la permanente.
Ho smesso di pensare a mia
madre e alla permanente e mi sono dedicata agli ospiti.
La cena
è stata molto piacevole, ci siamo divertiti, soprattutto quando
abbiamo parlato dei vecchi tempi, quando da studenti abitavamo
insieme nella stessa casa colonica.
—Ricordate la parrucchiera di S. Polo? Quella che una volta ci ha tagliato i capelli in modo così strano e anche un po’ maldestro? — domandò la nostra amica sorridendo.
Siamo scoppiati tutti e quatto a ridere e il mio malessere è scomparso.
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