sabato 4 ottobre 2025

Patate


                              

                                                                 

Sono le sette di sera e sono seduta al tavolo della cucina. Ho appena sbucciato delle patate per fare una frittata; poi le ho tagliate sottili, le ho messe in una padella con dell’olio abbondante, coprendole. Devo aspettare un po' perché siano pronte e ogni tanto devo girarle per evitare che si attacchino; nel frattempo, leggo un libro.
Abito in un appartamento in città e non ho molte occasioni per sentire i profumi delle piante dell'orto. Per questo, quando cucino, avvicino al naso pomodori, fagioli, lattuga e patate, che erano gli ortaggi più coltivati dai miei genitori negli anni Sessanta. Adesso annusando le mie dita che odorano di patate mi tornano in mente, come lampi, i ricordi della mia infanzia.


La mia era una famiglia contadina da molte generazioni. Abitavamo a Malgrat, un paese del Maresme, sulla costa nord-orientale della Catalogna. I miei bisnonni possedevano terreni lungo il fiume Tordera, a pochi passi dalla spiaggia. La zona, chiamata Pla de Grau, era una pianura fertile; ma ora l'agricoltura sta morendo a causa dell’espansione degli impianti turistici e industriali. Attualmente nel paese sopravvivono solo una decina di agricoltori, mentre negli anni Sessanta e Settanta erano centinaia le famiglie che vivevano dei prodotti della terra.

Da piccola sentivo gli adulti lamentarsi dei pericoli che mettevano a repentaglio i raccolti. Ogni volta che cadeva un forte acquazzone, mio nonno ci ripeteva che quando era giovane le piogge torrenziali, e con esse lo straripamento del fiume, avevano fatto marcire le radici delle patate. Mio padre, invece, quando percorrevamo la strada lungo la spiaggia, ci raccontava che, a causa delle grandi quantità di sabbia prelevata dal letto del fiume per costruire nuove case, il mare aveva avanzato erodendo quasi tutta la spiaggia e che una notte di tempesta l'acqua salata aveva raggiunto i campi, danneggiando le coltivazioni. Poi sorrideva soddisfatto e ci diceva:
«Ho lottato e sono riuscito a impedire che il mare arrivasse alle terre coltivate. La vita è una lotta, non dimenticatelo mai».
Si vedeva che era orgoglioso di aver fondato un comitato con altri contadini e albergatori della zona e di essere riuscito a farsi ascoltare dal sindaco convincendolo, a far mettere delle rocce sulla spiaggia per difendere la costa dalle tempeste.
Entrambe le minacce erano devastanti, ma, per fortuna, poco frequenti. Comunque, ogni anno in primavera, i miei genitori temevano le gelate tardive che avrebbero potuto danneggiare le piante. Inoltre, alla fine dell'estate e all'inizio dell'autunno, incombeva un'altra minaccia: le intense grandinate che distruggevano le foglie e rovinavano il raccolto. Insomma, il mondo era pieno di pericoli, pensavo da bambina.
La semina delle patate seguiva un rituale che si ripeteva ogni anno. In autunno si raccoglievano patate di una varietà adatta alla semina, che venivano depositate in cassette basse e larghe e coperte con dei teli affinché germogliassero al buio. Da ogni gemma spuntava un germoglio che avrebbe dato vita a una nuova pianta: un vero miracolo! Era importante che i tuberi non fossero esposti alla luce durante tutto l'inverno, perché se diventavano verdi producevano solanina, una tossina pericolosa.
Per la loro semina bisognava aspettare che fosse passato il rischio di gelate. Tra la fine di febbraio e i primi di marzo iniziava un altro rituale: mio padre, con l'aiuto di mia madre e di altri lavoratori, tirava fuori i tuberi dal loro letargo e li tagliava. Era importante usare un coltello affilato, ma non troppo per evitare di ferirsi. Lo facevano seduti in cerchio e, mentre li dividevano in due o quattro pezzi, ciascuno con un germoglio, chiacchieravano e ridevano, sempre con la radio sempre accesa. Noi bambini correvamo intorno a loro. La campagna di semina delle patate era molto importante per i guadagni delle famiglie contadine. I miei genitori speravano che il raccolto fosse buono, come negli anni precedenti. Ma c'era sempre qualche contrattempo che provocava un calo del prezzo e tutti si lamentavano di nuovo. Comunque ogni anno tornavano a seminare patate.
Quando io e mio marito andavamo a trovare i miei genitori in macchina, ci regalavano sempre un sacco di patate. Non riuscivano a immaginare la loro figlia in un paese lontano, senza le patate del Maresme. Mio padre smise di coltivarle quando si ammalò a novant'anni.


Mi alzo per controllare se le patate sono pronte per essere tolte dalla padella, mescolate alle uova sbattute e rimesse in padella con poco olio. La tortilla mi piace ben cotta e di solito la giro più volte affinché diventi dorata su entrambi i lati.
Mentre aspetto, guardo il vassoio che abbiamo sopra il frigorifero. e mi rendo conto che è sempre pieno di patate.

Quando sono arrivata a Firenze, ho avuto modo di assaggiare le delizie della cucina italiana; ma nella casa in cui vivevo con altri studenti, finivamo per mangiare sempre pasta al pomodoro. Ogni tanto, però, cucinavo patate per sentire il sapore di casa. All’epoca sapevo poco di cucina e le preparavo bollite con le verdure, ma pian piano ho imparato a cucinarle in tanti altri modi: stufate, fritte, in purea, nelle frittate o al forno.
Sono passati molti anni da allora, ma continuo a sentire la mancanza delle patate del Pla de Grau e, quando ho mal di pancia, sento il bisogno di mangiare patate lesse con un po' d’olio d'oliva. Sarà un istinto ancestrale? Non lo so, ma mi fanno bene.









giovedì 2 ottobre 2025

Patatas

 



Son las siete de la tarde y estoy sentada en la mesa de la cocina. Acabo de pelar patatas para hacer una tortilla, las he cortado en láminas finas, las he puesto en una sartén con bastante aceite y las he cubierto con una tapadera. Tengo que esperar una media hora para que estén en su punto, dándoles la vuelta de vez en cuando para que no se peguen. Mientras tanto, leo un libro.

Vivo en un apartamento de una ciudad italiana y no tengo muchas oportunidades de oler los aromas de las plantas del huerto. Por eso, cuando cocino, acerco a mi nariz tomates, judías, lechugas y patatas, que eran la mayor parte de las hortalizas que cultivaban mis padres en los años sesenta. Ahora, al percibir el olor de las patatas en mis dedos, me vienen destellos de recuerdos de mi infancia.


Mi familia era campesina desde hacía muchas generaciones. Vivíamos en Malgrat, un pueblo de El Maresme, en la costa noreste catalana. Mis tatarabuelos poseían un un terreno junto al río Tordera, a pocos pasos de la playa. La zona, llamada Pla de Grau, era una llanura fértil; pero hoy en día la agricultura ha dejado de florecer en ella, y se ha transformado en un área turística e industrial. Actualmente, en el pueblo solo sobreviven una decena de agricultores, es difícil de creer que, a caballo entre los años sesenta y setenta, fueran centenares las familias que vivían de los productos de la tierra.

De niña escuchaba a los mayores lamentarse de los peligros que acechaban a las cosechas. Mi abuelo, cada vez que caía un fuerte aguacero, nos repetía que cuando él era joven las lluvias torrenciales, y el consiguiente desbordamiento del río, habían podrido las raíces de las patateras. En cambio, mi padre, cuando pasábamos por la carretera de la playa, nos contaba que,debido a la grande cantidad de arena que los constructores habían extraído del lecho del río para edificar nuevas viviendas, el mar había avanzado y se había tragado casi toda la playa y que una noche de borrasca el agua salada había llegado a los campos y secado las matas sembradas; luego sonreía de satisfacción y nos decía:

Yo luché para que el mar no llegara a nuestras tierras. La vida es una lucha, no lo olvidéis nunca.

Se le notaba que estaba orgulloso de haber fundado un comité con otros campesinos y hoteleros de la zona, y de haber logrado que el alcalde los escuchara y colocaran rocas en la playa para defender el litoral de las tempestades.

Ambas amenazas eran devastadoras, pero, por suerte, poco frecuentes. Sin embargo, cada año en primavera, mis padres temían las heladas tardías que dañaban a las plantas. Además, a finales de verano y principios de otoño, se cernía otra amenaza: las intensas granizadas que a su paso trituraban las hojas y estropeaan la cosecha; en fin, el mundo estaba lleno de peligros, pensaba yo de pequeña.

La siembra de las patatas era un rito que se repetía cada año. En otoño se recolectaban las patatas que en febrero servirían para la siembra. Se depositaban en cajas bajas y anchas y se cubrían con unos sacos para que en la oscuridad sacaran brotes. De cada ojo salía un brote del que nacía una planta nueva, ¡un milagro! Era importante que los tubérculos no se expusieran a la luzdurante todo el invierno, pues si enverdecían producían solanina, que es una toxina peligrosa.

Para sembrarlas había que esperar que pasara el riesgo de heladas y entonces comenzaba otro ritual: mi padre sacaba los tubérculos de su letargo y, con la ayuda de mi madre y otros trabajadores, los cortaba. Era importante usar cuchillos afilados, pero no demasiado para no herirse. Lo hacían sentados en corro y, mientras los dividían en dos o cuatro pedazos, cada uno con un brote, charlaban y reían, siempre con la radio encendida de fondo. Los niños correteábamos a su alrededor. La campaña de la siembra de patatas era muy importante para los ingresos de las familias campesinas. Mis padres esperaban que la cosecha fuera buena, como la de los años anteriores. Pero siempre ocurría algo que provocaba una caída en el precio y todos se quejaban de nuevo. Sin embargo, cada año mi familia volvía a sembrar patatas.

Cuando mi esposo y yo íbamos a ver a mis padres en coche, nos regalaban un saco de patatas. No se imaginaban a su hija en un país lejano, sin las patatas de El Maresme. Mi padre dejó de cultivarlas cuando enfermó, a los noventa años.


Me levanto para ver si las patatas están hechas y poder sacarlas, después las mezclo en un bol con los huevos batidos y las pongo de nuevo a fuego bajo en la sartén con poco aceite. Me gusta la tortilla cuajada y suelo darle varias vueltas para que quede dorada por ambos lados.

Mientras espero, me fijo en la bandeja repleta de patatas que tenemos encima de la nevera y me doy cuenta de que nunca la dejo vacía.

Cuando llegué a Firenze, probé las delicias de la cocina italiana; pero en la casa que compartía con otros estudiantes, acabábamos siempre comiendo pasta al pomodoro; sin embargo, de vez en cuando, cocinaba patatas para sentir el viento de casa. Tenía pocas nociones de cocina y las hacía hervidas con verdura, pero poco a poco fui aprendiendo nuevas recetas: guisadas, fritas, en puré, en tortilla y asadas al horno.

Han pasado muchos años de ello, pero sigo echando de menos las patatas del Pla de Grau y, cuando me duele la barriga, siento el impulso de comer patatas hervidas con un poco de aceite de oliva. ¿Será un instinto ancestral? No lo sé, pero me curan.