Nel
paese dove sono nata c'è una piazzetta dietro la chiesa. Tutti la
chiamano placeta, ma il suo vero nome è Plaça Pau Casals.
Anticamente si chiamava San Antonio Abad, protettore degli
animali, dei cavalli e dei carri. Il giorno della festa, il
diciassette gennaio, i cavalli venivano benedetti nella piazzetta.
Gli abitanti del mio paese si dedicavano
soprattutto all’agricoltura e pochi facevano i pescatori nonostante fosse un luogo di mare. Ricordo che spesso per le strade vedevo
cavalli che trainavano carri colmi di raccolti.
A quel
tempo, una delle strade che sfociavano nella piazza non aveva case
vere e proprie, vi si aprivano solo stalle e rimesse per veicoli e carri.
La strada era un cul de sac. Ecco perché non aveva un nome.
Negli anni '70 il Comune acquistò la casa, situata alla fine
del vicolo, per abbatterla e far posto alla strada. Fu allora che i
vicini iniziarono a costruire abitazioni sul retro dei giardini o dei
cortili. Quel vicolo divenne una vera strada. Senza molta
immaginazione la chiamarono San Antonio Abad. Per alcuni anni via e
piazza ebbero lo stesso nome, ma in seguito dettero alla piazza il nome del grande musicista catalano, ma tutti
continuarono a chiamarla La placeta.
Fino a qualche
anno fa i pochi cespugli che c'erano nella piazzetta non si potevano
guardare, da quanto erano brutti. Le fioriere erano state
danneggiate dalle intemperie o da persone poco rispettose, insomma
tutto l’insieme era abbastanza trascurato. Tuttavia, dopo gli
ultimi lavori di ristrutturazione, che prevedevano la sostituzione
della pavimentazione e la sistemazione delle aiuole, con nuove
piante, erba e fiori, la piazza cambiò volto.
Piantarono
nuovi alberi, montarono cinque panchine e un porta biciclette con
supporti metallici. Misero dei cassonetti interrati, che
non sempre sono risultati efficaci, a volte, quando sono pieni,
alcune persone lasciano i rifiuti fuori.
In inverno la
piazzetta è popolata solo da scolaretti, che si dirigono o escono
da scuola, e da casalinghe, che vanno a fare la spesa. Le
casalinghe, trascinando lentamente i loro carretti, sono le uniche
persone che si trattengono un po' a parlare o a spettegolare, tutti
gli altri attraversano la piazza in fretta e furia, senza mai
fermarsi. In estate la piazzetta invece è molto più affollata, a
tutte le ore ci sono ragazzi che giocano a pallone e bambine che
saltano la corda o giocano a campana. Ma è all'imbrunire che la
gente esce di casa a passeggiare per il centro storico e la piazza si
anima. Prima di cena, alcuni vicini si siedono sulle panchine per
chiacchierare e prendere una boccata d'aria fresca.
Mio
fratello e sua moglie abitano in una casa della piazzetta Pau
Casals, ma conducono una vita piuttosto impegnata e non hanno mai
tempo di sedersi sulle panchine della piazza.
Ogni estate
mio marito ed io e andiamo in vacanza nel mio paese per qualche
settimana. Una delle prime cose che facciamo è andare a trovare mio
fratello e sua moglie. Quest'estate è successo che più di una volta
ci siamo dati appuntamento davanti alla loro casa, quasi sempre
verso le otto di sera. Arrivando alla piazza subito notai un curioso
capannello di persone che mi ha riempì di tenerezza. Ci siamo
avvicinati e li abbiamo salutati. Quando mio fratello e sua moglie
sono usciti di casa, ce li hanno presentati. Due di loro erano
persone del quartiere, li conoscevo di vista, ma la coppia della
sedia a rotelle non l’avevo mai incontrata prima.
La
seconda sera sono andata da sola a trovare mio fratello e
prima di entrare in casa mi sono intrattenuta a parlare con il gruppo
di vicini. Ho iniziato raccontando loro qualcosa di me: che vivevo a
Firenze da quarantacinque anni, che mio marito era italiano, che
avevo due figli sulla trentina, che presto sarei diventata nonna, che
ero appena andata in pensione e che forse in futuro avrei passato più
tempo in paese, ecc.
Loro,
quel pomeriggio e poi i giorni successivi, hanno cominciato, a
spizzichi e bocconi, a raccontarmi la loro vita.
- Amo
cucire a macchina. Dovete sapere che anche se mi dedico al cucito
tutto il giorno, cerco di prendermi cura di me stessa: ogni mattina
alle nove esco di casa per fare una passeggiata, d'estate vado al
mare a fare il bagno. Verso le dieci e mezzo inizio a cucire davanti
alla finestra. Ogni tanto alzo lo sguardo e osservo la gente che
attraversa la piazza. Mangio verso le due e poi mi sdraio sul letto
per fare un pisolino. Nel pomeriggio mi rimetto a cucire fino alle
sette, poi comincio ad annaffiare le piante del giardino e a
riordinare un po' la casa. Verso le otto esco, prima faccio due o
tre giri intorno alla piazzetta col mio girello e poi mi siedo su una
panchina a prendere una boccata d'aria con i vicini, mi disse Adela
il primo giorno.
Adela è una donna magra con occhi vivaci
e capelli bianchi raccolti in una crocchia. Il suo sorriso e la sua
voglia di vivere fanno sparire le rughe sul suo volto. Ha appena
compiuto novantacinque anni. È nata nella casa sulla piazzetta dove
tuttora abita. Si è sposata giovanissima, come la maggior parte
delle donne della sua generazione. Il marito, con l'aiuto di un
muratore, sistemò alla meglio le due stanze del primo piano della
vecchia casa dei genitori di Adela. Lui nacque in Andalusia, ma a
dieci anni emigrò con la famiglia verso la Catalogna in cerca di
lavoro. Gli fu difficile integrarsi nel paese, ma quando raggiunse
l'età di sedici anni ce la mise tutta per cercare un lavoro. Ebbe la
fortuna di trovare un impiego da operaio in una fabbrica di prodotti
chimici, dove dopo pochi anni è diventato caposquadra. Adela gli
parlava in catalano e lui le rispondeva sempre in spagnolo. Ebbero
due figli.
Adela faceva riparazioni sartoriali per
l'intero quartiere. Quando sua madre morì, suo marito si prese cura
della cucina e della spesa. Presto morì anche il padre e Adela
ereditò la casa. Suo marito, che era un tuttofare, trasformò quella
vecchia casa buia in una abitazione bianca e piena di luce.
Adela
era una donna loquace e allegra, ma non sopportava stare da sola.
Quando i figli si sposarono, si era sentita un po' abbandonata, ma
presto si abituò alla nuova vita e la scansione delle sue attività
quotidiane insieme alla gente che le stava intorno la aiutarono ad
affrontare la vecchiaia.
Suo marito iniziò a frequentare tutti
i pomeriggi la
placeta quando
andò in pensione. Si sedeva su una panchina, leggeva il giornale e
guardava la gente passare. Amava andare al mercato e cucinare nuovi
piatti per la moglie. Quando morì il marito, Adela aveva quasi
novant'anni. Uno dei suoi figli, che si era appena separato dalla
moglie, andò a vivere da lei, e si occupò di fare la spesa e di
cucinare per la madre. Ancora una volta la macchina da cucire la
aveva aiutata a superare il lutto.
- Mi manca mia moglie
giorno e notte, ma mi sento meglio quando esco per strada. Seduto su
questa panchina mi distraggo e smetto per un po' di pensarla, le
disse Mario il secondo giorno, singhiozzando.
Mario è un
uomo paffuto di una ottantina d’anni. Indossa sempre un berretto e
cammina molto lentamente a causa dell’artrite.
Da giovane gli
piaceva viaggiare e divertirsi. Cambiava lavoro spesso ed impazziva
per le auto sportive. I suoi genitori erano preoccupati per quanto
fosse sprecone e spesso minacciavano di diseredarlo, ma lui li
ignorava. Un giorno Mario, avrà avuto una quarantina d'anni, in un
ristorante di Bristol, conobbe una cameriera inglese, di dieci anni
più grande di lui, che sposò pochi mesi dopo.
I genitori
di Mario erano molto tradizionalisti e non furono entusiasti di quel
matrimonio, ma sollevati perché credevano che suo figlio sposandosi
avrebbe messo la testa a posto. Fecero sistemare per gli sposi un
alloggio indipendente, sull’ala della vecchia casa che si
affacciava sulle scuderie.
Mario, dopo aver perso il suo
ultimo impiego, decise di entrare a lavorare nella piccola azienda
agricola dei suoi genitori, ma senza crederci troppo e con poche
ambizioni. Lo fece perché sua moglie lo implorò. Quando poteva
continuava a girare con la sua macchina sportiva, questo era ciò che
lo rendeva più felice.
La donna inglese era aperta e cordiale e
si era adattata ben presto alla vita monotona del paese. Cantava
mentre lavava e stendeva i panni. La suocera si occupava della
cucina, ma tutte le altre faccende domestiche erano sbrigate da lei.
Al tramonto le piaceva sedersi in terrazza e guardare la piazza, non
scendeva quasi mai, ma dall'alto parlava e scherzava con i
vicini.
Imparò subito alcune parole di catalano e
spagnolo che mescolava con la sua lingua. Negli anni, il suo spagnolo
migliorò, ma continuò a mescolare le tre lingue e non perse mai il
forte accento anglosassone.
Era una gran lavoratrice, prese le redini dell’azienda dei suoceri, quando questi andarono in
pensione. Teneva i conti, pagava le tasse e riscuoteva gli
affitti.
Quando i genitori di Mario morirono, gli
lasciarono una bella eredità. Mario smise gradualmente di coltivare
i campi e lasciò che sua moglie si occupasse di tutto per tirare
avanti. Passarono gli anni, Mario iniziò ad ingrassare e languire.
Usciva sempre di meno a causa dell’artrosi galoppante. D'altra
parte, la moglie continuò con la sua vitalità a gestire la casa e
ad occuparsi di tutto senza mai lamentarsi. La coppia era diventata,
contro ogni previsione, affiatata. Avevano avuto diversi cani e
vivevano felici a modo loro, fino a quando una mattina lei cadde
morta in cucina, dopo un attacco cardiaco.
- Ti piace
stare qui, Anita? Santiago chiedeva ogni giorno a sua moglie, senza
che lei gli rispondesse mai.
- Anche se non parla, capisce
quello che le dico. E’ più presente la mattina, quando le do la
colazione e le racconto per filo e per segno le cose che faremo
nella giornata. Poche volte mi sorride, ma quando lo fa, quel suo
mezzo sorriso mi dà la forza di andare avanti, mi disse Santiago il
terzo giorno.
Santiago e Anita sono una coppia sulla
settantina. Lei è nata a Barcellona e lui in un paese della Mancia,
ma ben presto la sua famiglia era emigrata in Catalogna. Santiago era
bravo a scuola e all'età di sedici anni trovò lavoro in un albergo
come fattorino, tuttavia dopo poco tempo fu trasferito alla reception
perché era vispo e parlucchiava diverse lingue. Santiago conobbe
Anita in albergo, l'estate in cui lei ci andò in
vacanza.
Iniziarono subito a frequentarsi e si sposarono
poco dopo, anche perché Anita era rimasta orfana, dopo l’incidente
stradale dei suoi genitori. Con l'eredità di Anita, gli sposi
acquistarono un bell’appartamento, dietro la placeta.
Anita
avendo studiato ragioneria si avventurò ad aprire un piccolo ufficio
che si occupasse di pratiche burocratiche e legali. Santiago fin
dall’inizio andava a fare la spesa e Anita cucinava. Quando
l'agenzia iniziò ad andare bene, Santiago lasciò l'albergo e andò
a lavorare con la moglie. Ebbero un figlio. Gestirono entrambi per
diverse anni con successo l'agenzia che si trovava a due isolati
dalla loro abitazione.
Quando il figlio si sposò si
trasferì in un paese vicino. Quel cambiamento destabilizzò Anita,
che iniziò a fare stranezze. Non ricordava più niente, non riusciva
a concentrarsi nel lavoro, non cucinava più e soprattutto si chiuse
in se stessa.
Anita era stata una bella donna. Gli piaceva
vestirsi bene per andare al lavoro o per uscire col marito. Tuttavia
lentamente iniziò a trascurarsi. Dal pomeriggio in cui era caduta
sul sagrato della chiesa, non volle più uscire di casa, era
impaurita. Santiago la portò da un neurologo, il quale le
diagnosticò l'Alzheimer. Furono tempi terribili per entrambi, giorno
dopo giorno Anita perdeva la testa.
Santiago dovette
vendere l’agenzia e chiedere il pensionamento anticipato per sua
moglie. Grazie ai risparmi accantonati poté dedicarsi alla moglie
corpo e anima fino a quando anche lui ottenne la pensione. Arrivò un
momento in cui Anita non riconosceva più nessuno, nemmeno suo
figlio. Tuttavia, Santiago non si scoraggiò e continuò a coccolare e a badare alla moglie con dedizione. Ben
presto si rese conto che per fare uscire la moglie di casa doveva
comprarle una sedia a rotelle. Da allora il pomeriggio Santiago
girella per il paese e prima di rientrare si ferma nella
piazzetta.
Molti giorni al tramonto passo apposta per la
piazza per incontrare Adela, Mario, Anita e Santiago.
Ho notato
che Adela e Santiago si sforzano per consolare Mario della morte
della moglie, seppellita due settimane prima.
Poi
che Adela è incoraggiata dai due uomini ad andare a fare il bagno al
mare e aggrapparsi saldamente alla corda che i bagnini hanno
predisposto, in modo che gli anziani
possano bagnarsi in sicurezza. E infine che Mario e Adela, prima di
rincasare si occupano per qualche minuto di Anita, le parlano e le
accarezzano il viso, così Santiago, può sedersi e smettere di
preoccuparsi per la moglie.
Al
tramonto dell'ultimo giorno di vacanza siamo andati a salutare mio
fratello e mia cognata. Il gruppo bizzarro di vicini come ogni sera
era seduto sulla solita panchina.
Ci siamo avvicinati e
dopo avere salutato tutti, ho domandato
ad Anita:
- Ti piace stare con
noi nella
placeta?
-
Sì, molto, ha detto lentamente, pronunciando le due parole in modo
pastoso.
- Anche a me piace molto stare con te nella placeta,
dissi prendendole le mani tra le mie.
Poi Anita sorrise.